T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 13-12-2011, n. 3149

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il ricorrente, dirigente regionale, chiede con il presente ricorso il risarcimento dei danni per non aver potuto partecipare al concorso indetto dalla Regione con D.D.C. 21 febbraio 2006 n. 1841 ed annullato dal TAR con sentenza confermata dal Consiglio di Stato per mancata pubblicazione del bando sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

Nelle more del ricorso contro gli atti del concorso, il Consiglio di Stato, con ordinanza 3/6/2008 n. 3006, aveva sospeso l’efficacia della sentenza impugnata, fermo restando l’obbligo per l’Amministrazione di congelare un posto di dirigente di ruolo da bandire e mettere a concorso, in modo da soddisfare la pretesa dell’appellato a partecipare alla procedura concorsuale.

In attuazione di ciò la Regione ha bandito un nuovo concorso per un posto di dirigente, invitando a partecipare il ricorrente, il quale si è collocato in posizione utile in graduatoria ed è stato assunto in data 8 maggio 2009.

Con il presente ricorso il ricorrente chiede il risarcimento dei danni per aver conseguito in ritardo la qualifica di dirigente regionale in quanto i vincitori del concorso al quale egli non ha potuto partecipare sono stati assunti in data 1 gennaio 2008.

A tal fine il ricorrente rileva che essendosi collocato in graduatoria al terzo posto del concorso del 2008, che si è svolto allo stesso modo di quello del 2006 e nel quale egli ha conseguito un punteggio che gli avrebbe permesso, nel concorso del 2006, di risultare tra i vincitori, egli ha diritto al risarcimento del danno nella misura pari alle retribuzioni conseguite dai dirigenti assunti nel 2006 dal momento della loro nomina (1 gennaio 2008) fino alla data della sua assunzione (8 maggio 2009) per un totale di euro 94.681,08, oltre agli interessi ed alla rivalutazione.

La difesa regionale ha chiesto la reiezione del ricorso.

All’udienza del 18 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

2. Il ricorso è fondato nei limiti di cui in motivazione.

In primo luogo occorre chiarire che l’illegittimità del bando di concorso, derivante dall’insufficiente pubblicità assicurata ad esso, ha leso l’interesse legittimo del ricorrente alla partecipazione al concorso medesimo e quindi ha comportato un danno alle chance di partecipazione di lui vantate.

L’interesse del ricorrente è quindi un classico interesse procedimentale pretensivo che avrebbe potuto essere soddisfatto in forma specifica con la riedizione del concorso, resa impossibile dalla L.R. 14/2009 art. 1 c. 7, che, integrando le norme in materia di pubblicazione dei bandi regionali di assunzione, ha fatto salvi gli effetti dei concorsi già banditi ed espletati e della cui illegittimità, pur palese, non si discute in questo giudizio.

Neppure è possibile ritenere, secondo la ricostruzione effettuata dalla difesa regionale, che l’avvenuta indizione di un nuovo concorso (e la sua partecipazione) in attuazione della pronuncia cautelare del Consiglio di Stato nel giudizio incardinato contro gli atti del concorso dal ricorrente sia sufficiente a eliminare il nesso di causalità tra la condotta dell’amministrazione ed il danno in quanto, come evidenziato dalla pronuncia del Consiglio di Stato (Cons. Stato, V, 1 aprile 2009 n. 2077) nella controversia riguardante la legittimità del bando, "la situazione ricreata attraverso la procedura selettiva ad un solo posto dirigenziale non costituisce succedaneo idoneo e satisfattivo di procedura con ben maggiori chances di collocazione in graduatoria", con la conseguenza che l’avvenuta indizione e partecipazione al concorso del 2008 da parte del ricorrente non ha fatto venire meno l’interesse a ricorrere.

A ciò si aggiunge che neppure l’avvenuto superamento del nuovo concorso bandito dalla Regione può ritenersi pienamente satisfattivo in quanto il ricorrente ha dovuto attendere diverso tempo ed impegnare cospicue risorse per vedere soddisfatte in sede giurisdizionale le sue pretese partecipative, con la conseguenza che l’esistenza di un danno pare al Collegio evidente. In particolare occorre rammentare che il ricorrente ha dovuto ottenere ben tre pronunce favorevoli (TAR Lombardia, Milano, n. 53/2008; Cons. Stato, V, 2077/2009; Cass. SS.UU. 14495/2010) per vedersi riconosciuto il suo interesse legittimo a partecipare alla procedura in questione.

Per quanto riguarda poi l’elemento soggettivo della responsabilità deve ritenersi che l’inadempimento all’onere di pubblicità nazionale, chiaramente previsto dalla legge, costituisca una violazione grave ed inescusabile della legge.

Non è possibile, invece, accedere alla ricostruzione del ricorrente nella parte in cui sostiene che il superamento del successivo concorso avrebbe trasformato il danno da lui sofferto sostanzialmente in un danno da tardiva assunzione.

In primo luogo non può trattarsi di danno da mancata assunzione in quanto l’avvenuto superamento di un altro concorso non comporta la certezza o l’elevata probabilità del superamento del concorso in questione, stante il carattere aleatorio delle prove.

A ciò si aggiunge che è comune esperienza che la maggior parte delle persone raggiungono un dato livello di preparazione e riescono a mantenerlo per un tempo ragionevolmente limitato, mentre la capacità di superare diversi concorsi di particolare complessità in tempi non molto ravvicinati richiede una prova specifica che il ricorrente non ha fornito.

In secondo luogo non può trattarsi di danno da ritardo in quanto questo tipo di danno presuppone la certezza circa la spettanza del bene ed è volto appunto a risarcire il ritardato conseguimento di detto bene.

Chiarito quindi che il danno subito dal ricorrente è solo un danno per perdita di chance, occorre ora specificare che tale danno non può essere quantificato nelle retribuzioni non percepite.

Infatti la giurisprudenza ha chiarito che il pagamento della retribuzione e dei contributi presuppone l’avvenuta instaurazione del rapporto di lavoro ed è quindi possibile solo in caso di illegittima interruzione del rapporto di impiego con una pubblica amministrazione (ipotesi di responsabilità contrattuale dell’amministrazione), per cui non è dovuto in ogni caso di mancata o tardiva assunzione, ove sussiste solo una responsabilità extracontrattuale della medesima (Cons. St., ad. plen., 12 dicembre 1991, 10; Cons. St. IV Sez. 19 febbraio 1990 n. 97, VI Sez. 1 dicembre 1989 nn. 608, 1565 e 1495, 27 maggio 1988 n. 718, 10 giugno 1980 n. 667, 5 febbraio 1987 n. 23, 2 aprile 1982 n. 164 e 8 luglio 1980 n. 716, Csi. 2 novembre 1988 n. 171; Tar Campania, 10 aprile 2002, n. 1978; Tar Abruzzo, 12 aprile 2002, n. 392; Tar CampaniaNapoli, Sez. V 26 febbraio 2002 n. 1113; Cons. St,, sez. IV, n. 49 del 4.1.2001; Cons. St. sez. VI, 4 luglio 2000, n. 3672; Tar Puglia lecce, sez. I, 1 febbraio 2001, n. 310; Cons. St. sez. IV, 14 luglio 1997; Cassazione civile, sez. III, 14 dicembre 2007, n. 26282; Cons. Stato, V, 30 giugno 2011 n. 3934).

Il ricorrente ha invece sofferto la lesione dell’interesse legittimo al corretto svolgimento delle procedure concorsuali, interesse legittimo partecipativo di carattere pretensivo rispetto al conseguimento dell’utilità finale della assunzione, la cui lesione comporta esclusivamente un danno da perdita di chance.

In merito il Collegio ritiene che le probabilità del ricorrente di superare l’esame, corroborate dalla vittoria nel successivo concorso, non potessero essere superiori al 50%, stante l’aleatorietà delle prove concorsuali, l’esistenza di un potere di valutazione tecnica ampio nella commissione esaminatrice e l’effetto utile dal ricorso ottenuto in virtù dell’ordinanza di sospensione del Consiglio di Stato nella parte in cui ha subordinato la sospensione della graduatoria all’obbligo di bandire un nuovo concorso cui invitare il ricorrente, che ha riaperto le possibilità partecipative del ricorrente.

Per quanto riguarda il periodo in cui tale chance partecipativa dev’essere riconosciuta, il ricorrente ha chiesto il risarcimento per il periodo intercorso tra l’assunzione dei vincitori del concorso del 2006 (1 gennaio 2008) e la data di assunzione del ricorrente (1 luglio 2009).

Per quanto riguarda, invece, la prova del danno occorre ricordare che secondo la giurisprudenza in caso di domanda di risarcimento danni per perdita di chance derivanti da concorso, il ricorrente ha l’onere di provare, anche facendo ricorso a presunzioni e al calcolo delle probabilità, soltanto la possibilità che avrebbe avuto di conseguire l’inquadramento sperato, atteso che la valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. presuppone pur sempre che risulti comprovata l’esistenza di un danno risarcibile (Cass. 25 ottobre 1990, n. 14074).

In merito deve ritenersi che il ricorrente abbia dato sufficiente prova presuntiva con riferimento al successivo concorso vinto delle probabilità di vittoria del concorso, sebbene non nella misura da lui richiesta.

Per quanto riguarda, poi, la base imponibile sulla quale calcolare il risarcimento questa non può che essere la retribuzione tabellare (41.968,00) e la retribuzione di posizione (25.207,87) con riferimento alla fascia più bassa di inquadramento e alla data di assunzione (1.1.2008) per un totale di euro 67.175,87 per l’anno 2008.

Il riferimento alla fascia più bassa si giustifica con il fatto che il danno risarcibile dev’essere certo, mentre i diversi inquadramenti più favorevoli conseguibili dal ricorrente sono solo ipotetici.

La somma così determinata va aumentata in via equitativa della metà (euro 33.587, 93) per il periodo 1.1.2009 – 30.06.2009 per un totale di euro 100.763, 8.

Non è possibile invece calcolare gli oneri riflessi, come richiesto dal ricorrente in quanto si tratta di oneri dovuti dal datore di lavoro sul presupposto della sussistenza del rapporto di lavoro, che nel caso del ricorrente manca. Ne consegue inoltre che gli oneri riflessi non debbono essere posti a carico del ricorrente ad opera dell’amministrazione in quanto il credito del ricorrente non ha natura retributiva, come nel caso di omessa o tardiva assunzione, ma è un risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi alla partecipazione a procedura concorsuale.

Neppure è possibile calcolare un’ipotetica retribuzione media contrattuale percepita dai vincitori del concorso del 2006, come richiesto dal ricorrente, in quanto tale richiesta in sostanza costituisce una domanda di riconoscimento del mancato avanzamento di carriera che il ricorrente avrebbe potuto ottenere. Tale danno però presuppone l’avvenuta stipulazione del contratto e presuppone una responsabilità contrattuale che nel caso non sussiste.

Alla retribuzione base va aggiunta in via equitativa la retribuzione di risultato, in quanto percepita di fatto da tutti i dirigenti assunti con il concorso del 2006, nella misura annua lorda di euro 4.518,80 per il 2008 e della metà per il 2009 (euro 2259,40) per un totale di euro 6.778,2.

In base al principio della compensatio lucri cum damno la somma va decurtata in considerazione del fatto che (CdS, Sez. VI, 29 ottobre 2008, n. 5413; Sez. V, 25 luglio 2006, n. 4645; C. G. A., 20 aprile 2007, n. 361) l’interessato, per il periodo di mancata assunzione, non ha dovuto impegnare le proprie energie lavorative nell’esclusivo interesse dell’Amministrazione, ma ha potuto rivolgerle alla cura d’ogni altro interesse, sia sul piano lavorativo, che del perfezionamento culturale e professionale anche in relazione alla particolare tipologia di impiego cui si aspira.

Tale somma è indicata nella domanda presentata alla Regione per il risarcimento dei danni in euro 35.656,00 oltre ad euro 611,20 per arretrati per un totale di euro 36.267,2. Tale somma va aumentata della metà in via equitativa per l’anno 2009 per un totale di euro 18.133,6.

Ne consegue un totale di euro 53.141,2 (100.763, 8 + 6.778,2 – 36.267,2 – 18.133,6) che, ridotti del 50%, fanno un totale di euro 26.570,6.

Il danno non va ulteriormente ridotto, come richiesto dalla Regione, per mancato utilizzo dell’ordinaria diligenza nel verificare la pubblicazione dei bandi di concorso sul BURL in quanto tale forma di pubblicità non è equipollente a quella sulla Gazzetta Ufficiale.

L’obbligazione di risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale configura un debito di valore, in quanto diretta a reintegrare completamente il patrimonio del danneggiato, per cui resta sottratta al principio nominalistico e va quantificata tenendo conto della svalutazione monetaria sopravvenuta, secondo gli indici di deprezzamento della moneta e fino alla data della liquidazione (Cass. 21 maggio 2004, n. 9711).

A tale somma vanno aggiunti gli interessi che decorrono dalla data in cui il danno si è verificato, cioè con la conclusione del concorso e l’assunzione dei dirigenti (01.01.2008), trattandosi di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, in quanto, ai sensi dell’art. 1219 c.c., secondo comma c.c., il debitore è in mora (mora ex re) dal giorno della consumazione dell’illecito (Cass. 9 febbraio 2005, n. 2654) e vanno liquidati sulla somma originaria via via rivalutata anno per anno.

Il concorso degl’interessi con la rivalutazione dev’essere regolato non calcolando gl’interessi sulla somma finale rivalutata, bensì calcolando gl’interessi legali sulle somme via via rivalutate con riferimento ai periodi di tempo considerati dagl’indici dell’Istituto centrale di statistica sul costo della vita (Cassazione, I sezione, 3 gennaio 1998 n. 13, III sezione, 24 febbraio 1996 n. 1456 e 10 marzo 2000 n. 2796).

Il calcolo degli interessi e della rivalutazione è rimesso alla Regione in attuazione dell’art. 34 del Codice del processo amministrativo, stabilendo il termine per l’offerta in 60 giorni dal ricevimento della presente sentenza.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, ACCOGLIE il ricorso indicato in epigrafe e CONDANNA la Regione Lombardia al risarcimento del danno, nella misura ritenuta equa di Euro. 26.570,6 (Euro ventiseimilacinquecentosettanta/06), oltre ad interessi e rivalutazione monetaria;

CONDANNA altresì la medesima Regione al pagamento delle spese giudiziali, nella misura di Euro. 4.500,00 (Euro quattromilacinquecento/00), oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-06-2012, n. 9469 Cessazione della materia del contendere

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza n. 531 del 2000, in accoglimento della domanda proposta il 9.12.98 da Ca.Lu. per la verificazione di una scrittura privata di compravendita di porzioni immobiliari site in (OMISSIS), stipulata data 16.1.1994 con C.F., che l’aveva contestata disconoscendone la sottoscrizione, il Tribunale di quella città, all’esito dell’espletata consulenza tecnica, ritenute inammissibili sia la successiva querela di falso proposta dal convenuto venditore, sia, per tardività, la richiesta del medesimo di dichiarare nullo il contratto, dichiarò autentica la firma apposta dal C., condannandolo alle spese del giudizio.

All’esito dell’appello del soccombente, cui aveva resistito l’appellato, la Corte di Catanzaro, con sentenza n. 511 del 30/5- 8/6/05, rigettava il gravame, confermando la sentenza di primo grado e condannando l’appellante alle ulteriori spese, tra l’altro e per quanto ancora rileva in questa sede, prendendo in esame e disattendendo, dopo averla qualificata eccezione e non domanda riconvenzionale, la denuncia di nullità del contratto sollevata dal C..

Avverso la suddetta sentenza e limitatamente a quest’ultimo profilo il C. proponeva ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, con i quali gradatamente deduceva:

1) l’illogicità della decisione, laddove, pur qualificando, in motivazione, eccezione e non domanda riconvenzionale la suddetta richiesta, aveva poi, nel dispositivo, "confermato" la sentenza di primo grado, anche nella parte dichiarante inammissibile la domanda de qua;

2) omessa motivazione e violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., per avere, nondimeno, esaminato e disatteso nel merito detta questione;

3) violazione degli artt. 1362 e 1362 c.c., con connessi vizi di motivazione, nell’interpretazione del contratto, che avrebbe dovuto essere dichiarato nullo, in quanto costituente una promessa di donazione;

4) "nullità del contratto per inesistenza di causa e di rapporto sinallagmatico tra trasferimento e prestazione pecuniaria e vizio di forma (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 1418 e 1325 c.c.).

Resisteva il Ca. con controricorso.

Fissato il giudizio per la pubblica udienza, con memoria del 13.4.11 il difensore del ricorrente, premesso che in data 13.5.2010 il proprio assistito era deceduto e che, con sentenza n. 757 del 13.8.2008, non impugnata dalle parti, il Tribunale di Paola aveva definito un parallelo giudizio tra le il C. ed il Ca., rigettando la domanda del primo, diretta alla dichiarazione di nullità dei negozi contenuti sia nella scrittura privata in data 16.1.94 oggetto del presente giudiziosa di altra analoga, dell’8.4.90 e che il presente ricorso era stato proposto al solo fine di "evitare il formarsi di un giudicato implicito " sulla questione, chiedeva a questa Corte dichiararsi "la estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere". A seguito ed in ottemperanza all’ordinanza interlocutoria di questa Corte emessa nella pubblica udienza del 19.4.11, il suddetto difensore depositava successivamente copia autentica della suddetta sentenza del Tribunale di Paola, munita di attestazione in calce della cancelleria in data 2.12.2010 di passaggio in giudicato., per mancanza di impugnazioni.

Dall’esame del suddetto documento, ammissibilmente prodotto ai sensi dell’art. 372 c.p.c., si rileva che effettivamente la duplice domanda di accertamento di nullità, proposta dal C. nei confronti del Ca. e rigettata dal suddetto Tribunale, aveva ad oggetto i negozi contenuti nelle scritture private inter partes dell’8.4.1990 e del 16.1.1994, la seconda delle quali, dunque, formante oggetto anche del presente giudizio.

L’intervenuta definizione di ogni questione sulla validità del negozio controverso comporta, pertanto, la sopravvenuta cessazione di ogni interesse, per sopraggiunto giudicato sul relativo oggetto, alla decisione sul ricorso per cassazione, che va quindi dichiarato inammissibile. Sussistono, tuttavia, giusti motivi per la compensazione delle spese, tenuto conto del particolare esito del giudizio, della leale condotta processuale della parte ricorrente e del disinteresse manifestato nelle ultime fasi da quella resistente, non comparsa nelle pubbliche udienze.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile ed interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012

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Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-02-2013) 18-02-2013, n. 7913

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 6 febbraio 2012 il Tribunale di Massa, in composizione monocratica, ha assolto C.G. dal reato previsto dall’art. 660 cod. pen., perchè il fatto non costituisce reato.

Al C. era stato contestato di avere, col mezzo del telefono cellulare, per petulanza o altro biasimevole motivo, arrecato molestia e disturbo a Ca.El., indirizzandole continue telefonate nel periodo temporale compreso tra il (OMISSIS).

Ad avviso del Tribunale, era plausibile quanto dichiarato dal C., il quale non aveva negato di aver chiamato con il suo telefono cellulare l’utenza mobile nella disponibilità della Ca., come emerso anche dall’acquisito tabulato della TIM attestante nove chiamate ravvicinate, due telefonate ed una sola chiamata, rispettivamente, nei giorni (OMISSIS), e, tuttavia, aveva attribuito tali contatti ad un errore nella trascrizione del numero telefonico di un’altra persona, indicata in F.V. di (OMISSIS), con la quale aveva avuto una relazione sentimentale, errore di cui si era avveduto solo dopo le plurime telefonate alla Ca., rimaste senza risposta, desistendo pertanto da ulteriori tentativi.

Tale tesi difensiva, secondo il Tribunale, era avvalorata dalla concentrazione delle telefonate in soli tre giorni, dall’ (OMISSIS), molto ravvicinate tra loro solo nel primo giorno e, quindi, più rare fino a cessare del tutto, e dalla durata di esse probabilmente protratta dall’abbandono dell’apparecchio da parte della Ca., infastidita di ricevere chiamate da un’utenza sconosciuta.

Profilandosi, dunque, il dubbio che il C. avesse ritenuto in buona fede che l’utenza nella disponibilità della Ca. fosse utilizzata da altra persona da lui conosciuta e avesse insistito nelle chiamate solo perchè non si era rappresentato immediatamente le ragioni del mancato contatto con la persona cercata, si imponeva l’assoluzione dell’imputato, a norma dell’art. 530 c.p.p., comma 2, per difetto dell’elemento psicologico del reato ascrittogli ovvero perchè il fatto non costituisce reato.

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso a questa Corte il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Genova, il quale, con unico motivo, deduce il vizio della motivazione anche nel profilo del travisamento della prova e la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e degli artt. 82 e 660 cod. pen., segnalando con riguardo a quest’ultime norme, l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

2.1. La sentenza impugnata violerebbe l’art. 192 cod. proc. pen. perchè il dubbio ragionevole che legittima la decisione assolutoria deve fondarsi sulle prove raccolte e non sulle mere allegazioni dell’imputato rimaste, nel caso in esame, senza alcun riscontro, non avendo il C. dimostrato, pur essendovi tenuto, il dichiarato errore nel l’aver scambiato il numero telefonico della F. con quello della Ca., e non avendo il suo presunto rapporto con la F. formato oggetto di alcuna istruzione e, neppure, di deduzione probatoria, donde l’illegittimità della pronuncia e la carenza motivazionale su un elemento di sicura rilevanza, con complessiva illogicità della decisione.

2.2. La sentenza impugnata avrebbe, inoltre, violato l’art. 82 cod. pen., in tema di aberrano ictus, con riguardo all’art. 660 cod. pen..

E, al riguardo, il ricorrente contesta un orientamento della giurisprudenza di legittimità, rimasto peraltro isolato, secondo il quale la disciplina dell’aberratio ictus non sarebbe applicabile alla fattispecie criminosa prevista dall’art. 660 cod. pen. (sentenza n. 36225 del 2007 relativa al ripetuto invio di messaggi di contenuto omosessuale al telefono cellulare di persona diversa da quella cui l’autore dei messaggi intendeva indirizzarli).

La natura dolosa della contravvenzione prevista dall’art. 660 cod. pen. renderebbe pienamente compatibile con essa la disposizione di cui all’art. 82 cod. pen., poichè rispetto alla persona offesa per errore sussiste comunque la volontà lesiva dell’agente non vanificata dallo scambio di persona, così come l’offesa del bene- interesse tutelato dalla norma penale, senza che si configuri il rischio di una responsabilità oggettiva come erroneamente ritenuto nel suddetto precedente giurisprudenziale,rimasto peraltro minoritario.
Motivi della decisione

1. Il ricorso deduce espressamente, oltre alla inosservanza dell’art. 82 in relazione all’art. 660 cod. pen., a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), anche il vizio della motivazione sotto il profilo del travisamento della prova e della motivazione illogica e mancante, ai sensi dello stesso art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come da esposizione che precede.

Ne discende, a norma dell’art. 569 c.p.p., comma 3, che non ammette il ricorso immediato per cassazione nei casi previsti dall’art. 606, comma 1, lett. d) ed e), la conversione del ricorso in appello.

2. Gli atti vanno, pertanto, trasmessi alla competente Corte di appello di Genova per il giudizio sull’impugnazione proposta dal pubblico ministero.
P.Q.M.

Converte il ricorso in appello e dispone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Genova per il giudizio di secondo grado.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2013

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Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 31-07-2012, n. 13707

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Svolgimento del processo
Z.P. chiedeva al Tribunale del lavoro di Napoli nei confronti dell’Azienda napoletana M. e S.spa il riconoscimento del suo diritto all’inquadramento superiore nel il livello del CCNL di cui all’Accordo 13.5.1997 con la qualifica di Capo servizio – Capo tecnico responsabile a decorrere dal 14.7.1999, con condanna dell’Azienda convenuta a pagamento delle differenze dovute. Il Tribunale con sentenza del 15.3.2005 accoglieva la domanda.
Sull’appello dell’Azienda napoletana la Corte di appello di Napoli con sentenza dell’8.10.2009 lo accoglieva rigettando la domanda. La Corte territoriale rilevava l’applicabilità del R.D. n. 148 del 1931, art. 18 e che il ricorrente in primo grado non aveva dimostrato la ricorrenza delle condizioni poste dalla detta norma per il riconoscimento del vantato diritto all’inquadramento superiore e cioè un ordine scritto del Direttore o di altro soggetto da questi delegato e che le mansioni si riferissero ad un posto previsto in ptanta stabile e vagante. Era stata prodotta solo un’abilitazione alio svolgimento delle mansioni rivendicate, ma non era stata provata la vacanza del posto. Le differenze retributive non erano state richieste indipendentemente dal riconoscimento del superiore inquadramento non spettante per quanto prima ricordato.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre lo Z. con due motivi;
resiste l’Azienda napoletana intimata con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce la violazione di legge in quanto il R.D. 9 gennaio 1931, n. 148, art. 18, all. a) sarebbe stato abolito dal D.L. 22 dicembre 2008, n. 200, art. 2, comma 1 convertito in L. n. 9 del 2009.
Il motivo appare infondate in quanto, a stare allo stesso motivo, la pretesa abrogazione opererebbe solo dal 16.12.2C09 e quindi non potrebbe di certo legittimare la fondatezza di una domanda introdotta il 6.7.2000.
Con il secondo motivo si deduce comunque la violazione o falsa applicazione del R.D. 8 gennaio 1931, art. 1 e art. 18, all. A. Il ricorrente aveva prodotto un verbale di abilitazione allo svolgimento di mansioni di capo-servizio dal quale si evinceva che lo stesso aveva superato le prove ed era stato giudicato idoneo a svolgere le mansioni rivendicate di capo-servizio. Era evidente quindi la vacanza del posto in organico e non era necessario un ordine scritto in quanto vi era stato il superamento della prova selettiva.
Anche tale motivo appare infondato. Il ricorrente non ha prodotto il citato verbale nè ha indicato in quale incarto processuale lo stesso sia rinvenibile contravvenendo così al chiaro disposto di cui all’art. 369 c.p.c., comma 4 e non ne ha neppure riprodotto il contenuto contravvenendo al "principio di autosufficienza" del ricorso in cassazione; la Corte territoriale ha già valutato il documento osservando ed ha osservato che si tratta di un verbale di mera abilitazione alle mansioni di Capo-servizio, elemento questo – in difetto di ulteriori allegazioni e produzioni documentali – che non può comprovare nè che corrisponda ad un posto vacante in pianta organica, nè tantomeno che sia intervenuto un ordine scritto del Direttore o di altro soggetto autorizzato allo svolgimento delle mansioni in parola. La motivazione sul punto appare congrua e logicamente coerente non essendo emersa la prova della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del vantato diritto ad una qualifica superiore, apparendo per quanto prima detto il documento prodotto del tutto inidoneo.
Si deve quindi rigettare il ricorso. Le spese di lite – liquidate come al dispositivo – seguono la soccombemza.
P.Q.M.
La Corte:
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 40,00 per esborsi, nonchè in Euro 2.000,00 per onorari ai avvocato, oltre IVA, CPA e spese generali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012

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