Cons. Stato Sez. VI, Sent., 18-02-2011, n. 1044 Procedimento

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con la sentenza gravata il primo giudice ha accolto il ricorso n. 346 del 2006 proposto dall’odierno appellata avverso il provvedimento prot. 9738 del 28 novembre 2005, con cui la F. s.p.a., Polo Territoriale di Milano, ha escluso l’appellato dalla gara per l’assegnazione in vendita degli alloggi di proprietà di F.R.E. s.p.a., siti in Milano via Guerzoni n. 17, stabilita dal bando di cui al foglio disposizioni n. 13 di F. s.p.a. in data 13 luglio 2005.

Come ricostruito dal primo giudice, nel bando si stabiliva che la vendita fosse destinata esclusivamente a dipendenti delle società del Gruppo F.D.S., aventi residenza lavorativa nel Comune di Milano e che non risultassero proprietari di immobili a destinazione abitativa nella provincia di Milano.

Si prevedeva infine che la società F.R.E. "si riserva la facoltà insindacabile di approvare la graduatoria delle vendite che potrà avvenire dopo che la proprietà avrà espresso il definitivo parere ed a seguito di benestare del Comune di Milano". Sempre nel bando si stabiliva l’attribuzione di punteggi agli aspiranti in funzione della anzianità di servizio, dei carichi di famiglia e del bisogno di alloggi.

Con il provvedimento impugnato F. s.p.a. comunicava l’esclusione del ricorrente dalla gara per la mancanza della "condizione essenziale di non essere proprietari di alloggi a destinazione abitativa nel Comune e nella Provincia di Milano": condizione, questa, ritenuta da F. s.p.a. non ricorrente in relazione all’odierno appellato perché comproprietario pro indiviso nella quota di 1/18 di un appartamento di 90 mq di superficie, pervenutogli in via ereditaria a seguito del decesso della sorella.

Nel dettaglio, il giudice di primo grado, disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione dedotta dalla società FRE s.p.a., ha sostenuto che la clausola del bando in base alla quale, per partecipare alla procedura per l’acquisto degli immobili de quibus, è necessario "non possedere alloggi di proprietà nel Comune e nella Provincia di Milano compreso il coniuge non separato legalmente", va interpretata nel senso che non possono partecipare alla procedura coloro i quali vantino un titolo dominicale su un’unità immobiliare almeno astrattamente idonea al soddisfacimento di esigenze abitative di un nucleo familiare.

Il TAR ha quindi concluso osservando che l’essere proprietario non soltanto di un alloggio oggettivamente inidoneo a soddisfare le concrete esigenze abitative dell’interessato e della sua famiglia, ma nella specie di una semplice quota pro indiviso pari 1/18 di un appartamento di 90 m.q., non può essere di ostacolo alla partecipazione alla gara, essendo il suddetto diritto di proprietà immobiliare oggettivamente del tutto inidoneo al soddisfacimento delle esigenze abitative del nucleo familiare del ricorrente.

2. Propone gravame la s.p.a. F.R.E., ritenendo l’erroneità della sentenza impugnata di cui chiede l’annullamento, con il conseguente rigetto del ricorso di primo grado.

L’appellato si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del gravame.

3. Con atto del 14 gennaio 2011, la s.p.a. F.D.S., subentrata nella posizione processuale della società appellante, ha rinunciato al gravame.

Il Collegio prende atto della rinuncia e condanna la società appellante al pagamento delle spese processuali, nella misura ridotta liquidata in dispositivo, in ragione della dichiarata rinuncia.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 10334 del 2006, prende atto della rinuncia.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali del secondo grado del giudizio, liquidate in complessivi 1500 euro.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 03-03-2011, n. 160 Competenza della Regione Personale ospedaliero

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Svolgimento del processo

Con ricorso al T.A.R. Palermo, l’odierno appellante Be.Ma., già ragioniere-economo presso la U.S. L. n. 53 di Corleone, esponeva:

– di aver ottenuto l’attribuzione del secondo livello dirigenziale ex A.N.U.L. 17.2.1979 con deliberazione aziendale n. 814 del 27.9.90, successivamente annullata dalla C.P.C. di Palermo;

– che detto annullamento era stato, a sua volta, annullato con sentenza n. 1510/1997 del medesimo T.A.R. Palermo;

– che l’Azienda U.S. L. n. 6 aveva preso atto di detta sentenza con deliberazione n. 360 dell’11.2.1998;

– che la stessa Azienda, con la deliberazione n. 6907 del 20.11.1998, aveva successivamente disposto l’annullamento in autotutela della deliberazione n. 814/90 e la revoca della deliberazione n. 360/1998.

A sostegno delle proprie ragioni, deduceva le seguenti censure:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 64 D.P.R. n. 761/1979; violazione dell’art. 9 L. n. 76/1981; eccesso di potere sotto molteplici profili.

L’Azienda avrebbe erroneamente ritenuto di non poter modificare, sia pure con valore di proposta all’Assessorato regionale alla sanità ed efficacia provvisoria, l’inquadramento del ricorrente, frutto di una pronuncia giurisprudenziale e di un provvedimento la cui efficacia risalirebbe ad epoca anteriore al 20 dicembre 1979.

2) Violazione dei principi in tema di autotutela; eccesso di potere sotto molteplici profili;

Non sussisterebbero i presupposti per il disposto annullamento in autotutela.

3) Violazione del giudicato.

La propria posizione risulterebbe favorevolmente cristallizzata in esito alla citata sentenza n. 1510/1997, non suscettibile di essere vanificata con l’atto impugnato.

Si costituiva in giudizio l’Azienda intimata deducendo l’infondatezza del gravame.

Con la sentenza n. 1558/03, il Tribunale adito ha respinto il ricorso.

Con l’appello in epigrafe, il prefato Be.Ma., sostanzialmente riproponendo le medesime censure dedotte in primo grado, ha chiesto la riforma della sentenza impugnata.

Si è costituita in giudizio l’Azienda intimata per sostenere l’infondatezza dell’appello e per chiederne, quindi, il rigetto.

Alla pubblica udienza del 28 aprile 2010, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

L’appello è infondato e, pertanto, va respinto.

Il Collegio ritiene di affermare, preliminarmente, di condividere in ogni sua parte la sentenza impugnata e, tuttavia, di formulare le seguenti ulteriori considerazioni.

Alla stregua di quanto già rilevato da questo stesso Consiglio, si ribadisce che per effetto del combinato disposto dell’art. 47 L. n. 833/1978 e degli artt. 1 e 7 D.P.R. n. 761/1979, l’inquadramento nei ruoli nominativi regionali dei dipendenti del S.S.N. è di esclusiva competenza delle regioni, spettando all’U.S.L. solo un eventuale potere di proposta (cfr. C.G.A. n. 140/2003).

Orbene, non è controverso che l’odierno ricorrente, con D.A. 75570/1989, dallo stesso mai impugnato, venne inquadrato nei ruoli nominativi regionali nella posizione funzionale di "Assistente Amministrativo". Neppure viene contestato dal ricorrente che detto D.A. 75570/89 non può essere modificato se non con provvedimento dello stesso Assessorato adottato a seguito di una proposta della U.S.L. che dia atto di una sopravvenuta modificazione, in fatto ed in diritto, della posizione dell’interessato.

Al riguardo, premesso che non risulta che si sia verificato qualche fatto nuovo che potesse giustificare la modifica dell’inquadramento del ricorrente, questo Consiglio ha avuto modo di statuire che "non è possibile la valutazione delle ricostruzioni di carriera e dei reinquadramenti dopo tale data", e cioè dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 761/1979 (cfr. C.G.A. n. 499/1997).

Il ricorrente lamenta che la delibera n. 814/90 avesse valore di proposta e, pertanto, sarebbe illegittimo il provvedimento con cui è stata definitivamente annullata.

Invero, condividendo le motivazioni e la conseguente conclusione cui è pervenuto al riguardo il Giudice di prime cure, si ritiene che detta delibera n. 814/90, che si esclude possa essere considerata alla stregua di una proposta di nuovo inquadramento, è stata annullata legittimamente dall’Azienda U.S. L. n. 6 di Palermo, con l’atto n. 6907/1998 sopra richiamato, posto che essa non aveva mai prodotto effetti, non essendosi formato al riguardo alcun giudicato.

Infatti, detta delibera è stata annullata in autotutela nella pendenza del termine per proporre eventuale appello avverso la sentenza di annullamento del provvedimento della C.P.C.

D’altra parte, come condivisibilmente osservato dal Giudice di prime cure – in ciò sostenuto da unanime giurisprudenza – anche se si fosse formato il giudicato, esso non avrebbe inciso sul potere dell’Azienda U.S.L. di annullare in autotutela l’atto che provvedeva sull’inquadramento del ricorrente, nella determinante considerazione che la sentenza, della quale il ricorrente chiede che questo Consiglio dichiari l’esecutività nei confronti dell’Amministrazione, è stata in realtà resa sul ricorso avverso l’atto di controllo negativo della C.P.C. e non sull’atto controllato.

Il Tribunale, invero, non si è mai pronunciato sulla competenza o meno dell’U.S. L. n. 53 ad adottare la deliberazione n. 814/90, competenza che detta Amministrazione ha poi esercitato legittimamente per emanare il contestato provvedimento di annullamento in autotutela della suddetta deliberazione.

Per i motivi esposti, l’appello viene respinto per infondatezza.

Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso, in Palermo, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 28 aprile 2010, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Chiarenza Millemaggi Cogliani, Gabriele Carlotti, Filippo Salvia, Pietro Ciani, estensore, componenti.

Depositata in Segreteria il 3 marzo 2011.

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Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-06-2011, n. 12473 Conciliazione in sede sindacale

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte rilevato che:

il giudice d’appello di Firenze, riformando la sentenza di prime cure, ha dichiarato l’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati fra i lavoratori indicati in epigrafe e Poste Italiane s.p.a. e la conseguente instaurazione fra le parti di rapporti di lavoro subordinato, con condanna della società al pagamento delle retribuzioni dalla data della costituzione in mora;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Poste Italiane s.p.a. affidato a tre motivi, i lavoratori hanno resistito con controricorso;

successivamente Poste Italiane s.p.a. ha depositato verbale di conciliazione in sede sindacale, sottoscritto dai predetti lavoratori;

dal verbale di conciliazione sopra indicato risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale;

ad avviso del Collegio il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo;

alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278);

in definitiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per cessazione della materia del contendere;

avuto riguardo alla materia del contendere stimasi compensare integralmente tra le suddette parti le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse con compensazione delle spese di legittimità.

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Cass. civ. Sez. V, Sent., 30-06-2011, n. 14371 Agevolazioni tributarie Esenzioni ed agevolazioni

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Svolgimento del processo

L’Associazione indicata in epigrafe propose ricorso avverso provvedimento con il quale la Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate aveva disposto la sua cancellazione dall’anagrafe unica delle Onlus per difetto dei requisiti: in particolare, perchè gli atti costitutivi dell’associazione ricorrente difettavano dell’espressa previsione di reimpiego degli utili od avanzi di gestione ai fini della realizzazione degli scopi istituzionali.

L’adita commissione provinciale respinse il ricorso, con decisione confermata, in esito all’appello dell’associazione, dalla commissione regionale.

Nel suo nucleo essenziale, la decisione di appello è così motivata:

"… L’automaticità della sanzione consente di superare ogni ulteriore indagine in ordine all’obbligatorietà, o meno, del parere da richiedersi alle Agenzie per l’Onlus ed al valore vincolante o meno, di tale parere. E’ indiscusso, quanto al reale merito, tra le parti che gli atti costitutivi dell’associazione ricorrente difettavano dell’espressa previsione di reimpiego degli utili od avanzi di gestione ai fini della realizzazione degli scopi istituzionali. Tant’è che tale incongruità risulta sanata ex postea con la trasmissione all’Ufficio erariale da parte della l’Oasi di Torretta della modifica statutaria; modifica di cui non può tenersi conto poichè successiva ai fatti di causa ed al periodo in discussione. Oltre che corretta tale analisi sotto il profilo dell’imperio legislativo non può neanche non evidenziarsi che risulta dalle poste del bilancio agli atti del procedimento che le eccedenze di gestione sistematicamente venivano collocate dalla ricorrente associazione in fondi di riserva che, seppur non è stato provato venissero ripartiti quale utile, non è stato neppure provato che siano stati destinati alla realizzazione degli scopi assistenziali perseguiti dall’associazione.

Avverso la decisione di appello, l’Associazione ha proposto ricorso per cassazione in due motivi, illustrando le proprie ragioni anche con memoria.

L’Agenzia ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, l’Associazione – deducendo "violazione e falsa applicazione del D.P.C.M. n. 329 del 2001, art. 4, e del D.M. n. 266 del 2006, artt. 5 e 6" – censura la decisione impugnata (sotto il profilo della violazione del D.P.C.M. n. 329 del 2001, art. 4, e D.M. n. 266 del 2003, artt. 5 e 6) per aver escluso l’invalidità del provvedimento oggetto della controversia nonostante la mancata acquisizione del parere obbligatorio dell’Agenzia delle Onlus.

Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia deducendo "violazione del D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10" – censura la decisione impugnata per aver ritenuto che "… la carenza di un requisito formale previsto dal D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10, pur in presenza dei requisiti sostanziali relativi allo svolgimento di una attività di assistenza socio-sanitaria e al reimpiego degli utili e/o avanzi di gestione per finalità istituzionali, comporti necessariamente la cancellazione dall’Anagrafe delle Onlus e la conseguente decadenza dai benefici fiscali previsti per le suddette organizzazioni, tanto più ove si consideri che tale carenza non era stata rilevata nel corso di una verifica fiscale antecedente all’emanazione del provvedimento di cancellazione impugnato, ingenerando quindi nella contribuente il legittimo affidamento in ordine all’esatta e puntuale conformità, anche da un punto di vista formale, delle previsioni statutarie alle prescrizioni dettate dal D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10)".

Entrambe le doglianze si rivelano infondate.

Occorre premettere che, il tenore della sopra riportata motivazione della sentenza impugnata, rivela accertamento in fatto, non censurato sul piano del vizio motivazionale, secondo cui "gli atti costitutivi dell’associazione ricorrente difettavano dell’espressa previsione di reimpiego degli utili od avanzi di gestione ai fini della realizzazione degli scopi istituzionali".

Ciò posto, deve rilevarsi, quanto alla prima doglianza, che il D.M. n. 266 del 2003, non prevede il parere obbligatorio dell’Agenzia delle Onlus per l’ipotesi, qui specificamente considerata, della cancellazione dall’anagrafe in conseguenza del riscontro della mancanza, negli atti costitutivi dell’associazione, dell’espressa previsione di reimpiego degli utili od avanzi di gestione ai fini della realizzazione degli scopi istituzionali. Detto decreto prevede, infatti, il menzionato parere solo in caso: a) di riscontro di concreta inosservanza dei requisiti prescritti nello statuto; b) di riscontro del successivo venir meno dei requisiti presenti al momento dell’iscrizione (cfr. art. 5, commi 2 e 5); c) di ostacolo al controllo della ricorrenza dei requisiti (cfr. art. 6, comma 4).

Quanto alla seconda doglianza, deve, poi, considerarsi che i requisiti formali previsti dal D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10, non possono ritenersi surrogabili con il concreto accertamento della fattuale osservanza dei precetti della norma, sia per la non equivoca lettera della legge sia per il fatto che si tratta (cfr. Cass. 11986/09, 7653/09) di norma di stretta interpretazione. L’assunto non risulta, d’altro canto, contraddetto dalle decisioni di questa Corte richiamate in memoria dall’associazione ricorrente, poichè da queste è dato solo ricavare la propensione ad una lettura non formalistica delle norme statutarie al fine di riscontrarvi la previsione dei requisiti per l’applicazione della normativa sulle Onlus. Ciò mentre l’evocato principio dell’affidamento si rivela connaturalmente inidoneo a giustificare il riconoscimento della qualifica di Onlus in assenza dei correlativi requisiti.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone il rigetto del ricorso.

Per la natura della controversia e per tutte le specifiche implicazioni della fattispecie, si ravvisano le condizioni per disporre l’integrale compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.

la Corte: rigetta il ricorso; compensa le spese.

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