T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 22-04-2011, n. 610 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – Sono stati posti in discussione in questa sede, in via progressiva, i tre atti in rubrica menzionati.

2 – Con il primo la Direzione Generale Territorio ed Urbanistica della Regione Lombardia si pronuncia positivamente in ordine alla compatibilità ambientale intorno ad un allevamento avicolo nel territorio del Comune di Scandolara, allocabile in zona agricola (E1).

3 – Con il secondo provvedimento – a firma del competente funzionario di detto Comune – viene adottato il relativo permesso di costruire.

4 – Con il terzo atto – di natura pianificatoria – il C.C. dell’intimato Comune individua, con procedura abbreviata di variante al PRG ex L.r. n. 23 del 1997, in relazione all’art. 25 della l.r. n. 12 del 2005, l’insistente reticolo idrico minore esistente sul territorio di competenza.

5 – Avverso il primo atto sono stati avanzati, inizialmente, alcuni variegati motivi di ricorso.

6 – I medesimi vengono di poi aggiuntivamente ripresentati nei confronti dell’atto di assenso edilizio, salvo alcune specifiche puntualizzazioni ulteriori.

7 – Mentre avverso la delib. CC. N. 16 del 20.05.2010 (atto C.C. di cui sopra p. 4) sono stati introdotti, in via duplicemente aggiuntivi, motivi del tutto diversi.

8 – All’U.P. del 23.III.2011 la causa è stata trattenuta, dopo breve discussione, in decisione.

9 – Si omette di esporre i motivi di ricorso e si tralasciano le varie controdeduzioni e le eccezioni delle parti avverse e costituite e che sono state precisate oralmente in U.P..

9.1 – Infatti va osservato che, con riguardo al primo provvedimento, e cioè quello di emanazione regionale, la parte ricorrente non evidenzia quale danno concreto, diretto ed effettivo subirebbe (anche singolarmente), per il tramite lo stesso; né viene data concreta dimostrazione di probabile insistenza, pur per il futuro di ciò, al concretizzarsi del relativo intervento edilizio. Ed invero si paventano rischi e pericoli in modo meramente apodittico. Né si intravede – a tutto concedere ed in relazione al detto atto – alcun portatore in essa parte ricorrente di un radicato interesse partecipativoprocedimentale valutabile, all’occasione e ricorrendone almeno utili presupposti di vicinitas od altri, come interesse specifico di carattere processuale.

10 – Con riguardo poi al secondo atto e cioè quello con il quale il Comune dispone assenso edilizio, nel rammentare quanto sopra già annotato, va altresì osservato che non risulta evidenziata alcuna posizione di utile vicinitas stabile.

Né – ancora a tutto concedere in relazione allo specifico caso – è indicata la relativa portata di diffusiva concreta incidenza negativa di pericoli e rischi solo paventati che intersechino interessi tutelabili.

11 – Ad analoghe conclusioni può pervenirsi con riguardo alla delib. CC. N. 16 del 20.05.2010; infatti è rilevabile, nel caso ed all’evidenza, una specifica carenza di interesse pur anche di solo ulteriore profilo procedimentale; invero – ed ancora a tutto concedere – tali profili non sono trasferibili, peraltro, in potestà processuali di attiva legittimazione poiché le osservazioni formulate in sede amministrativa non trovano giustificazione in posizioni di fondo specifiche; senza contare che non si allega alcuna concreta prova di lesione diretta.

12 – Analoga sorte di inammissibilità consegue per gli ulteriori motivi aggiunti veicolata con deposito del 4.10.2010.

13 – E dunque ed in conclusione si deve affermare che il ricorso è del tutto inammissibile, così convenendo con la relativa eccezione di fondo.

14 – Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) definitivamente decidendo, dichiara inammissibili tutti i prospettati motivi di cui al ricorso presente.

Spese a carico della parte ricorrente, qui soccombente, per Euro 7.000,00 (IVA e CPA esclusi).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 13-01-2011) 10-05-2011, n. 18323 Competenza per territorio

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 31.3.2010 il Tribunale di Sorveglianza di Napoli dichiarava inammissibili le istanza L. n. 354 del 1975, ex artt. 47, 47 ter e 50 e dichiarava non luogo a provvedere sull’istanza D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 94, presentate da F.F..

Il tribunale di sorveglianza, rilevato che il F. era stato condannato alla pena di anni 3 di reclusione con sentenza del GIP di Napoli del 10.6.2008, che l’esecuzione del conseguente ordine di carcerazione, per la residua pena di anni 1, mesi 5 e giorni 1, era stato sospeso, che l’istante aveva omesso di dichiarare o eleggere domicilio nell’istanza , come previsto a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 677 c.p.p., dichiarava inammissibili le richieste.

Considerato, poi, che l’istanza D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 94, non risultava in atti e che era stata registrata per errore, dichiarava non luogo a provvedere sulla stessa.

1.2.- Propone ricorso per Cassazione il difensore di F. F. adducendo: vizio di motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, e dagli atti del processo, sotto il profilo della manifesta illogicità e contraddittorietà in relazione alla valutazione degli elementi di fatto.

Lamenta il ricorrente che la dichiarazione di inammissibilità, ex art. 677 c.p.p., comma 2, dell’ordinanza impugnata si fonda sull’errato presupposto che della mancata presentazione della elezione di domicilio, da parte del F., unitamente alla presentazione delle istanze di misura alternativa. Sostiene il difensore che l’elezione di domicilio, contestuale alla dichiarazione di nomina del difensore di fiducia, fu redatta dal F. con atto in data 10.11.2009 e presentata unitamente alle istanze di misure alternative presso la Cancelleria dell’Ufficio Esecuzioni Penali della Procura della Repubblica di Napoli, come da copia allegata al ricorso. Di qui la non imputabilità al F. dell’inosservanza della norma procedurale, che se sussistente non avrebbe comunque consentito di instaurare il procedimento che invece era stato trattato in camera di consiglio e poi rinviato. Ulteriore vizio dell’ordinanza gravata è ravvisabile nell’omessa pronuncia in relazione alla ulteriore richiesta D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 90, totalmente disattesa dal tribunale di sorveglianza che inopinatamente pronunciato un non luogo a provvedere in ordine alla diversa istanza ex art. 94 del citato D.P.R., mai presentata dal F., come evincibile dalla documentazione in atti.

1.3.- Il Procuratore Generale dott. Enrico Delehaye, con atto depositato il 20.7.2010 ha concluso per il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

1.4.- Rileva preliminarmente il Collegio che, essendo stato in primis dedotto error in procedendo, per avere il tribunale di Sorveglianza erroneamente ritenuto che mancasse agli atti la dichiarazione o l’elezione di domicilio, che il ricorrente assume di aver allegato alla istanza depositata presso la Procura della Repubblica di Napoli, si è proceduto a verificare gli atti trasmessi al Tribunale di sorveglianza dalla Procura e tra essi non vi è la elezione di domicilio che il ricorrente ha allegato in copia al ricorso e che, è da sottolineare, è priva di timbri di pervenuto.

Dunque, correttamente il tribunale ha proceduto a dichiarare, in forza della disposizione dell’art. 677 c.p.p., comma 2 bis, inammissibili le istanze di affidamento in prova al servizio sociale e di detenzione domiciliare presentate dal F.. Infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure alternative alla detenzione, l’obbligo di dichiarare o eleggere domicilio sussiste anche nelle ipotesi di cui all’art. 656 c.p.p.,, comma 5, dovendosi ricomprendere, in mancanza di espressa deroga, tra le "indicazioni" menzionate nel citato comma quella di cui all’art. 677 c.p.p., comma 2 bis, richiesta in via generale per tutte le istanze concernenti il procedimento di sorveglianza (S.U. sent.

17.dicembre .2009, n. 18775, Rv. 246720; Sez. 1 sent. 8 novembre 2005, n. 46556, Rv. 232970; Sez. 1, sent. 20 marzo 2004, n. 20968, Rv. 228367).

Quanto al rilievo che il tribunale abbia erroneamente, ed illogicamente, dichiarato non luogo a provvedere su una istanza di concessione di affidamento terapeutico D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 94, invece che sull’istanza di sospensione dell’esecuzione della pena detentiva ai sensi del citato D.P.R. n. 309 del 1990, art. 90, che il ricorrente assume di aver presentato, si tratta di censura del tutto priva di pregio considerato che, comunque, l’istanza non era in atti e su di essa, per tale motivo, il tribunale non poteva pronunciarsi.

1.5.- Per le ragioni sopraesposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’ art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 (mille) a favore della Cassa Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 30-09-2011, n. 20042 ICI

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Svolgimento del processo

L’Amministrazione della Difesa propose ricorso avverso avvisi di accertamento i.c.i. per gli anni 2001 e 2002 notificati dal Comune di Cassino in relazione ad immobili di sua proprietà.

A fondamento dei ricorsi, l’Amministrazione deduceva che gli immobili erano esenti dal tributo, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a, in quanto destinati a propri fini istituzionali e, segnatamente, ad alloggio di servizio per il proprio personale.

L’adita commissione provinciale respinse il ricorso, con decisione confermata, in esito all’appello del Ministero, dalla commissione regionale.

I giudici di appello osservarono che l’esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a non si applica ad alloggi, quali quelli oggetto della controversia, di proprietà degli enti, indicati dalla norma e concessi in locazione o in comodato ai dipendenti per esclusivo uso personale loro e delle relative famiglie, giacchè tale uso non può considerarsi rientrare strictu sensu nei fini istituzionali degli enti medesimi; non trascurarono, inoltre, di rilevare come molti degli alloggi oggetto della controversia risultavano concessi in godimento a soggetti in pensione o addirittura privi di qualsiasi collegamento funzionale con l’Amministrazione medesima.

Avverso la decisione di appello, l’Amministrazione della Difesa ha proposto ricorso per cassazione in due motivi ed illustrato le proprie ragioni anche con memoria.

Il Comune ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, l’Amministrazione della Difesa – deducendo violazione del L. n. 497 del 1978, artt. 1, 5 e 6 – censura la decisione impugnata per non aver considerato che, per la peculiarità delle funzioni istituzionali del Ministero della Difesa, il relativo intero patrimonio alloggiativo concorre al soddisfacimento dei propri fini istituzionali.

Con il secondo motivo di ricorso, l’Amministrazione deduce violazione dei limiti della giurisdizione tributaria, nella parte in cui, la decisione ha ritenuto suo onere dimostrare la ricorrenza dei presupposti dell’esenzione.

Le censure sono infondate.

Occorre, invero, osservare che questa Corte ha già reiteratamente affermato (cfr. Cass. 20850/10, 14094/10, 20577/05) che l’esenzione dall’i.c.i., prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a, per gli immobili posseduti dagli enti ivi indicati "destinati esclusivamente ai compiti istituzionali", spetta soltanto se l’immobile è direttamente e immediatamente destinato allo svolgimento dei compiti istituzionali dell’ente e che, evidentemente, tale ipotesi non ricorre in caso di utilizzazione semplicemente indiretta a fini istituzionali, che si verifica quando il godimento del bene stesso sia ceduto per il preminente soddisfacimento di esigenze di carattere privato (quali quelle abitative proprie del cessionario e della relativa famiglia) e della quale è certo sintomo il pagamento di un canone.

Di tale criterio – la cui correttezza trova riscontro anche nel rilievo che le norme introducenti esenzioni, in quanto eccezionali, sono di stretta interpretazione (cfr., tra le altre, Cass. 6925/ 381/06) – il giudice a quo ha fatto coerente applicazione, riscontrando peraltro, nel puntuale esercizio della propria giurisdizione, che, mentre molti degli alloggi oggetto della controversia apparivano concessi in godimento a soggetti privi di collegamento funzionale con l’Amministrazione, quest’ultima non aveva assolto l’onere della prova, su di lei incombente, in merito alla ricorrenza del presupposto oggettivo dell’evocata esenzione.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone il rigetto del ricorso.

Per la soccombenza, l’Amministrazione della Difesa va condannata al pagamento delle spese di causa, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

la Corte: respinge il ricorso; condanna l’Amministrazione della Difesa al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessive Euro 2.200,00 oltre spese prenotate a debito.

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Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-04-2011) 09-06-2011, n. 23278 Detenzione abusiva e omessa denuncia

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Tribunale di La Spezia ha affermato la responsabilità di Z.V. in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, della L. n. 110 del 1975, art. 23, del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 13 e 14. La pronunzia è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Genova che ha ridotto la pena.

2. L’imputato ha interposto ricorso per cassazione, ma ha successivamente presentato rituale dichiarazione di rinuncia.

3. Il ricorso è pertanto inammissibile ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. d).

4. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di Euro 500 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500 a favore della cassa delle ammende.

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