Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-05-2011) 23-06-2011, n. 25218 Costruzioni abusive Reati edilizi

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) La Corte di Appello di Caltanisetta, con sentenza del 18.3.2010, confermava la sentenza del Tribunale di Gela, in composizione monocratica, del 18.1.2008, con la quale G.S. e B.L. erano stati condannati, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 3, giorni 15 di arresto ed Euro 8.500,00 di ammenda per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 44, lett. b) (capo a), D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64 e 71 (capo b), D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 65 e 72 (capo c) D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 95 (capo d), unificati sotto il vincolo della continuazione.

2) Ricorrono per cassazione G.S. e B.L., denunciando, con un unico motivo, la violazione di legge in relazione agli artt. 157 e 161 c.p., essendo i reati estinti per prescrizione.

3) Il ricorso è fondato in relazione al reato di cui al capo d), punito con la sola pena dell’ammenda. Il termine massimo di prescrizione di anni 3, secondo la previsione più favorevole del previgente art. 157 c.p., era decorso fin dal 26.11.2008, risultando secondo la contestazione "chiusa" (fino al 26.11.2005) cessata in tale data la permanenza del reato.

La forza propulsiva dell’atto di impugnazione travolge anche i residui reati per i quali la prescrizione è maturata dopo la emissione della sentenza impugnata.

Per essi il termine massimo di prescrizione di anni 4 e mesi 6 è, infatti, maturato in data 26.5.2010.

A norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 100 copia della sentenza va trasmessa all’Ufficio tecnico della Regione Siciliana.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione. Copia sentenza all’Ufficio tecnico della Regione Siciliana.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 14-07-2011, n. 188 7Armi da fuoco e da sparo

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Svolgimento del processo

Con il ricorso principale la Sig.ra P.B.J. impugna il provvedimento in data 2 agosto 2010 con cui la Commissione medica costituita presso la ASL di Milano l’ha dichiarata permanentemente non idonea alla guida in quanto affetta da deterioramento cognitivo di grado lievemoderato e da rallentamento motorio, nonché il successivo atto di revoca della patente di guida adottato dalla Motorizzazione civile in data 26/10/2010.

La ricorrente lamenta che l’eccessiva genericità delle formule adottate dalla Commissione medica per descrivere il suo stato di salute non consentirebbe di comprendere a quale delle ipotesi tassative di inidoneità alla guida la sua situazione sarebbe riconducibile. Essa si duole, inoltre, del contrasto fra la diagnosi compiuta dalla ASL di Milano e gli accertamenti medici a cui si era sottoposta poco tempo prima che non avevano evidenziato particolari criticità.

Con ordinanza emessa in data 21 gennaio 2011 il Collegio ha accolto l’istanza cautelare sul rilievo che "il giudizio di notevole rallentamento motorio globale non appare supportato da specifiche analisi e, comunque, non appare congruente con il quadro clinico delineato dalla documentazione prodotta dalla ricorrente dalla quale emerge un miglioramento della sua complessiva situazione di salute".

E’ stata così ordinata all’Amministrazione "la ripetizione della visita attraverso accertamenti clinici specificamente volti ad appurare la effettiva sussistenza di un rallentamento motorio e la ripetizione del giudizio di idoneità da compiersi mediante adeguata motivazione circa il nesso fra l’eventuale patologia riscontrata e l’inabilità alla guida".

La ASL di Milano sottoponeva, quindi, nuovamente a visita la Sig.ra B.J.P. dichiarandola, questa volta, idonea alla guida con obbligo di lenti e divieto di uso di bevande alcoliche.

A seguito del nuovo giudizio la ricorrente chiedeva alla Motorizzazione Civile di Milano la restituzione del permesso di guida. L’ente preposto accoglieva solo parzialmente l’istanza disponendo una restituzione temporanea della patente valevole fino alla definizione del ricorso innanzi al TAR.

Con successiva nota in data 15/02/2011 la Direzione Generale per la motorizzazione civile del Ministero dei Trasporti invitava l’Ufficio locale a restituire in via definitiva la patente all’interessata con la scadenza annuale stabilita dalla Commissione medica.
La patente veniva quindi restituita con annotazione manuale della data di scadenza.

Nonostante la cessazione della materia del contendere la ricorrente ha chiesto l’adozione di una pronuncia di accertamento degli atti impugnati ex art. 34 c.p.a. che possa valere ai fini di una successiva azione risarcitoria.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e la ASL di Milano per resistere al ricorso.

All’udienza del 16 giugno 2011, sentiti gli avvocati delle parti come da separato verbale, relatore Dr. R G il ricorso è stato trattenuto in decisone.

Motivi della decisione

Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione processuale di carenza di legittimazione passiva formulata dalla ASL la quale ritiene non imputabili a sé i giudizi di idoneità alla guida adottati dalla Commissione medica prevista dall’art. 119 del codice della strada.

L’eccezione è fondata in quanto la predetta Commissione deve ritenersi organicamente appartenente al Ministero dei Trasporti.

Invero, come la giurisprudenza ha già osservato (TAR Veneto, 29/09/2009 n. 2451) ai sensi dell’art. 330 del d.P.R. n. 495 del 1992:

la nomina del Presidente della CML avviene con decreto del Ministro dei trasporti di concerto con il Ministro della sanità (comma 1);

entro il mese di febbraio di ogni anno il Presidente della Commissione medica locale invia al Ministero dei trasporti e a quello della sanità una dettagliata relazione sul funzionamento dell’organo presieduto, relativa all’anno precedente (comma 15);

– l’istituzione di ulteriori commissioni mediche locali prevista al comma 16 è subordinata all’accertamento dell’esistenza di obiettive condizioni da parte del Ministero dei trasporti di concerto con il Ministero della sanità;

il modello di attestato di idoneità psicofisica di cui agli articoli 115, comma 2, lett. b) del codice della strada e 307 del regolamento di esecuzione, modello "che fa parte integrante" del regolamento stesso, ha la seguente intestazione: "Ministero della sanità -La Commissione medica locale di…" (v. S.O. alla G. U. n. 303 del 28 dicembre 1992, pag. 410);

ancora, l’art. 119, comma 5 del codice della strada prevede che avverso il giudizio delle CML è ammesso nei 30 giorni, avanti al Ministro dei trasporti, ricorso in sede amministrativa, che la stessa D.G.M.C.T.C. del Ministero dei Trasporti qualifica come "ricorso gerarchico".

I dati normativi suindicati depongono quindi nel senso dell’esistenza di una relazione organica tra CML e Amministrazioni dei trasporti e della sanità.

Deve quindi disporsi l’estromissione dell’ASL dal giudizio, con compensazione delle spese.

Venendo all’esame del merito il ricorso contenente la domanda di annullamento deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta cessazione della materia del contendere.

La Commissione medica della ASL di Milano ha, infatti, dichiarato l’idoneità alla guida della Sig.ra P seppure con talune prescrizioni che non sono oggetto di contestazione.

All’esito della nuova visita gli uffici della Motorizzazione civile hanno rilasciato la patente di guida.

In tale situazione dall’accoglimento della domanda di annullamento non potrebbe derivare alla ricorrente alcun ulteriore vantaggio poiché, nel sistema del nuovo codice del processo amministrativo, siffatta pronuncia non è più necessaria ai fini risarcitori esaurendo la sua utilità negli effetti conformativi e ripristinatori scaturenti dal giudicato che, nel caso di specie, sono già stati anticipati dal comportamento tenuto dalla p.a. nel corso del giudizio.

Residua, tuttavia, un interesse della Sig.ra P ad ottenere una pronuncia di accertamento della illegittimità degli atti impugnati in vista di una successiva azione risarcitoria ai sensi dell’art. 34 comma 3 c.p.a.

A tal proposito, il Collegio non concorda con l’assunto secondo cui tale interesse presupporrebbe la avvenuta formulazione di una specifica domanda risarcitoria da parte del ricorrente (TAR Brescia 3/03/2011 n. 373).

Infatti, la disposizione di cui al terzo comma dell’art. 34 del c.p.a. non deve essere confusa con una condanna risarcitoria limitata all’an debeatur. Si tratta, invece, di una norma volta a non privare di ogni utilità l’esperimento della azione di annullamento tutte le volte in cui, a causa di eventi sopravvenuti, dagli effetti della pronuncia costitutiva non possa più derivare alcun vantaggio per il ricorrente. In tal caso, pur venendo meno l’interesse a ricorrere sulla domanda principale, è consentito al ricorrente formulare in corso di giudizio una domanda di accertamento della illegittimità del provvedimento senza che sia necessario, a tal fine, dimostrare in tutto o in parte la sussistenza degli altri presupposti per l’insorgere della responsabilità civile della p.a.

L’utilità di tale domanda è solo quella di precostituire nel futuro eventuale giudizio risarcitorio il giudicato sulla sussistenza dell’elemento oggettivo dell’illecito. L’interesse a proporla, pertanto, sussiste per il solo fatto che sia possibile in un successivo momento esperire l’azione risarcitoria.

Premesso ciò la domanda di accertamento della illegittimità degli atti impugnati con il ricorso principale deve essere accolta.

Il giudizio di inidoneità alla guida della Commissione medica della ASL di Milano appare, infatti, del tutto apodittico in quanto non sorretto da specifiche analisi cliniche e, comunque, non tiene conto dei risultati delle analisi a cui la signora P si era sottoposta le quali evidenziavano un significativo miglioramento delle sue condizioni di salute.

Non a caso la medesima Commissione, alla luce di un accertamento più approfondito, ha rivisto il proprio operato, dichiarando la ricorrente idonea alla guida.

In conclusione, il Collegio deve dichiarare la cessata materia del contendere sulla domanda di annullamento ed accogliere quella di accertamento della illegittimità degli atti impugnati.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione III di Milano, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara la cessazione della materia del contendere sulla domanda di annullamento degli atti impugnati e dichiara la loro illegittimità ai sensi dell’art. 34, terzo comma, c.p.a.

Dichiara altresì il difetto di legittimazione passiva della ASL di Milano.

Condanna il Ministero dei Trasporti alla refusione delle spese di lite che liquida in Euro 1.500 oltre IVA, c.p.a. e restituzione del contributo unificato.

Compensa le spese tra le altri parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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Cons. Stato Sez. IV, Sent., 03-08-2011, n. 4651 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con ricorso alla Corte di Cassazione, proposto ai sensi dell’art. 2 della legge n.89/2001, la sig.ra I. A., patrocinata dall’odierno ricorrente, chiedeva a detta Corte la condanna del Ministero di Grazia e giustizia e del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento di un equo indennizzo, a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale, a causa dell’inosservanza del principio della ragionevole durata del processo di cui alla Convenzione dei diritto dell’uomo, ratificata dall’Italia con la legge n. 848/1955.

La Corte adìta, con l’ordinanza epigrafata, condannava il Ministero al pagamento della somma di Euro 450, con interessi legali nei termini ivi specificati, oltre al rimborso delle spese del giudizio, generali ed accessorie. Quanto alle spese dei giudizi susseguitisi (di merito e di legittimità) ne disponeva la distrazione in favore del patrocinio ricorrente.

La sentenza passava in giudicato e veniva munita di formula esecutiva, (nonchè notificata all’amministrazione).

Al fine di dare in esecuzione alla predetta distrazione delle spese dei giudizi, il suddetto patrocinio notificava atto di diffida e messa in mora ai sensi dell’art. 90 del r.d. n. 642/1907, con assegnazione di termine per provvedere al pagamento a saldo di Euro 648,49.

Nonostante tale adempimento l’amministrazione non procedeva ad eseguire la pronunzia mediante corresponsione delle somme determinate dal giudice ordinario; di qui l’azione proposta dall’Avv. M. col ricorso in esame e tesa ad ottenere l’ottemperanza del provvedimento nei termini di cui sopra.

2- Alla camera di consiglio del 31 maggio 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

3- Sussistendo tutti i presupposti processuali per l’azione di ottemperanza proposta, il Collegio non può che rilevarne la fondatezza nel merito, non risultando in atti alcun elemento che attesti il pagamento effettivo, da parte dell’amministrazione condannata, delle somme riconosciute dal decreto in epigrafe specificato.

Occorre pertanto ordinare all’amministrazione stessa il pagamento (ovviamente al netto di quanto già eventualmente corrisposto) delle somme predette entro un termine certo ed altresì procedere alla nomina, per il caso di inottemperanza perdurante oltre detto termine, di un commissario "ad actus".

4- Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c) e vanno poste a carico dell’amministrazione intimata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto:

1- ordina all’amministrazione intimata di dare esecuzione al decreto in epigrafe mediante corresponsione alla parte ricorrente, della somma richiesta dal ricorso in esecuzione, entro sessanta giorni dalla notifica delle presente sentenza o, in mancanza, dal deposito della stessa presso la segreteria;

2- nomina, per il caso di inottemperanza perdurante oltre detto termine, quale commissario "ad actus" il Ragioniere generale dello Stato o un dirigente dal medesimo delegato;

3- condanna l’amministrazione intimata al pagamento, in favore di parte ricorrente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida complessivamente in Euro cinquecento, oltre accessori.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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Cass. civ. Sez. I, Sent., 29-12-2011, n. 30000 Indennità di espropriazione

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato l’11.06.2002, M.M. adiva la Corte di appello di Bari e premesso che, onde attuare la rete fognatizia nella la e 2a zona industriale locale, il Comune di Ruvo di Puglia, aveva assoggettato a procedimenti di espropriazione, definito con decreto sindacale n. 24 dell’8.05.2002, e di occupazione d’urgenza (decreti nn. 154 del 28/03/1997 e n. 172 del 3.10.1997), il terreno in sua proprietà, esteso mq. 1409, che la prevista opera non era stata realizzata sul suo fondo, sicchè, stante l’illegittimità dei procedimenti, aveva chiesto il 31.05.2002, la retrocessione del suo suolo, chiedeva che fossero determinate le giuste indennità, che assumeva provvisoriamente stimate in misura incongrua.

Con sentenza del 28.09-29.10.2004, la Corte di appello di Bari, nel contraddittorio delle parti, dichiarava la nullità dell’atto di citazione, per assoluta incertezza in ordine alla cosa oggetto della domanda, condannando il M. al pagamento delle spese processuali.

La Corte territoriale riteneva che il M. avesse attivato la procedura L. n. 865 del 1971, ex art. 19:

– senza specificare le ragioni per le quali aveva dedotto l’incongruità delle somme offerte dal Comune a titolo di indennità di occupazione e di espropriazione;

– premettendo che l’esproprio era da considerarsi illegittimo in quanto il suo suolo non era stato utilizzato per la realizzazione della prevista opera pubblica, tanto che aveva chiesto, il 31.05.2002, la retrocessione, rilievo incompatibile con la richiesta di determinazione dell’indennità di esproprio e nel merito estraneo all’ambito dell’attivata procedura;

– producendo a sostegno della domanda solo documentazione attestante il mancato utilizzo del bene a fini di pubblica utilità;

– limitandosi a richiedere in sede di replica l’ammissione di ctu a comprova del suo assunto, mezzo non utilizzabile a tale fine;

– non specificando nemmeno successivamente le ragioni dell’opposizione (erronea indicazione della superficie occupata? La sua destinazione di fatto? La sua destinazione urbanistica? Il suo valore di mercato? Il calcolo?), non essendo a tal fine utile il mero e generico richiamo al disposto della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis ed alla normativa vigente mancando di avvalersi del termine concessogli dall’istruttore, ex art. 164 c.p.c., commi 3 e 4 comma, per precisare la domanda ed ovviare all’eccezione di nullità per indeterminatezza della domanda, sollevata dall’ente convenuto.

Avverso questa sentenza, notificata il 6.05.2005, il M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrato da memoria e notificato il 7.12.2005 al Comune di Ruvo di Puglia, che ha resistito con controricorso notificato il 16.01.2006 e depositato memoria.

Motivi della decisione

A sostegno del ricorso il M. denunzia:

1. "Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione agli artt. 163 e 164 c.p.c. e alla L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis.

Violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia".

Censura la declaratoria di nullità dell’atto introduttivo, correlata alla assoluta incertezza in ordine alla cosa oggetto della domanda, sostenendo:

– che la sua domanda era perfettamente e chiaramente specificata e determinata nel suo oggetto, sia sotto l’aspetto del petitum che della causa petendi, tanto che il Comune aveva potuto articolare dettagliatamente tutte le sue difese;

– che con l’ordinanza del 17.10.2002, la Corte distrettuale aveva autorizzato le parti al deposito di note ex art. 180 c.p.c. e non già al deposito di note ex art. 164 c.p.c., comma 5, per integrazione della domanda;

che irrilevante era il richiamo alla formulata istanza di retrocessione del terreno espropriato, da lui formulata ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 63 implicante solo una riserva di futura tutela.

2. "Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 180, 183 e 184 c.p.c. e alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis.

Violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia".

Sostiene che illegittimamente ed erroneamente gli è stato addebitato di non avere dimostrato o offerto di dimostrare il suo assunto, posto che aveva prodotto il decreto definitivo d’esproprio e chiesto l’ammissione di CTU, mezzo istruttorio necessario e indispensabile per decidere l’opposizione alla stima. Aggiunge che aveva reiteratamente chiesto la revoca dell’ordinanza del 17.10.2002, resa all’udienza ex art. 180 c.p.c., inidonea in caso di mancato deposito di note autorizzate a comportare decadenze.

I due motivi del ricorso, che essendo connessi consentono esame unitario, non sono fondati.

In materia di espropriazione per pubblica utilità, il principio per cui il giudizio di opposizione alla stima dell’indennità non si configura come un giudizio di impugnazione dell’atto amministrativo ma introduce un ordinario giudizio sul rapporto, che non si esaurisce nel mero controllo delle determinazioni adottate in sede amministrativa ed è diretto a stabilire il "quantum" effettivamente dovuto, va coordinato con le regole proprie della domanda di cognizione ordinaria che lo introduce e che è soggetta anche ai requisiti di contenuto prescritti dall’art. 163 c.p.c., comma 3.

Nella specie dall’esame degli atti, consentito dalla natura dei denunciati vizi, emerge che in effetti nella citazione introduttiva il M. non aveva validamente assolto l’onere di determinazione dell’oggetto della domanda, imposto dal n. 3 della citata norma, avendo lo stesso omesso, come eccepito dalla controparte e puntualmente rilevato dai giudici di merito, di indicare le ragioni che a suo parere giustificavano l’esercizio della sua azione e segnatamente di illustrare ed allegare dati oggettivi, sia pure solo sintomatici, atti a concretare e confortare il suo assunto circa l’incongruità delle indennità di espropriazione e di occupazione legittima determinate in sede amministrativa; ciò anche previo confusorio richiamo alla circostanza, atta a legittimare diversa iniziativa giudiziaria, della mancata utilizzazione del suo fondo per i previsti scopi pubblici e del suo intento di ottenere la retrocessione del bene ablato. Inoltre, dai verbali del pregresso grado di merito, stilati alle udienze svoltesi dinanzi alla Corte distrettuale il 17.10.2002 ed il 16.01.2003, risulta pure che il ricorrente non aveva nemmeno provveduto a precisare la sua domanda nel termine che anche a tale specifico scopo, gli era stato espressamente concesso ai sensi dell’art. 180, comma 1, nel testo all’epoca vigente, e art. 164 c.p.c. D’altra parte la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, sicchè il suddetto mezzo di indagine officioso non può esonerare la parte dallo specificare il suo assunto e dal fornire dati significativi che giustifichino il ricorso ad esso.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del ricorrente, soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il M., a rimborsare al Comune controricorrente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, di cui Euro 1.300,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.