T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 11-10-2011, n. 7870

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 6 agosto 2010, n. 30349, resa nei confronti delle stesse parti di cui al gravame in trattazione, la Sezione ha annullato il provvedimento 1° ottobre 2009 dell’Autorità della concorrenza e del mercato che, all’esito del procedimento n. PS1314, ritenuta la scorrettezza di tre distinte pratiche commerciali adottate dalla L.E. s.r.l., ai sensi degli artt. 20 e 21, comma 1, lett. b), del codice del consumo di cui al d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, ne aveva vietato l’ulteriore diffusione ed aveva comminato alla società tre sanzioni amministrative pecuniarie di importo pari ad Euro. 70.000,00, Euro 120.000,00 e Euro 50.000,00.

Con il ricorso all’odierno esame, notificato in data 2 novembre 2010, depositato il successivo 4 novembre, la L.E. ha impugnato la deliberazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato del 6 ottobre 2010, con la quale è stato riaperto il procedimento istruttorio PS1314 nei confronti della società, dopo la citata sentenza della Sezione n. 30349 del 2010.

Con mezzi aggiunti, notificati in data 14 aprile 2011 e depositati il successivo 21 aprile, la società ha, altresì, impugnato il provvedimento assunto dall’Autorità nell’adunanza 9 febbraio 2011, che ha esitato il procedimento riaperto.

Con tale provvedimento l’Autorità ha ritenuto, sempre ai sensi dell’art. 20 e 21, comma 1, lett. b), del codice del consumo, la scorrettezza delle pratiche commerciali in parola.

Esse consistono in tre campagne pubblicitarie, diffuse a mezzo di spot televisivi e stampa, facenti leva sulla innovatività e sulla particolare efficacia dei componenti principali dei prodotti e della loro miscelazione, esito anche di ricerche della società e verificate da ricerche di laboratorio, volte a promuovere:

a) una linea di prodotti cosmetici in fiale denominata Crescina R5 – Ricrescita e Crescina Anticaduta, per i quali si affermava la proprietà di contrastare il problema del diradamento dei capelli;

b) una soluzione a base di cellule staminali vegetali da miscelare a Crescina Stem ed a L.ina Stem, per ottenere "trattamenti che aiutano la crescita fisiologica dei capelli in caso di diradamento" e "aiutare a riempire le rughe profonde del viso";

c) una linea di cosmetici L. Stem MakeUp, presentata come "un vero passo in avanti nell’assicurare una funzione rigenerante ai prodotti di trucco grazie all’azione attiva di rinnovamento esplicata dalle cellule staminali vegetali attive in essi inserite".

L’Autorità ha ravvisato la contrarietà delle pratiche alla diligenza professionale, sotto il profilo dell’ambiguità e della inesattezza dei contenuti informativi relativi alle caratteristiche, possibilità di impiego e risultati ottenibili attraverso l’uso dei prodotti pubblicizzati.

L’Autorità ha, altresì, ritenuto la riscontrata natura ingannevole delle stesse idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico dei consumatori, indotti ad un falso affidamento in ordine alle caratteristiche principali dei prodotti reclamizzati.

Per tali motivi, ai sensi dell’art. 27, comma 9, del codice del consumo, l’Autorità ha vietato l’ulteriore diffusione delle pratiche in argomento e ha irrogato alla società, per le violazioni sopra descritte, le stesse sanzioni amministrative pecuniarie già precedentemente irrogate con l’atto annullato in sede giurisdizionale (Euro 70.000,00; 120.000,00, 50.000,00).

Questi i motivi di gravame che la società ha dedotto avverso l’atto di riapertura del procedimento.

1) Violazione della delibera AGCM 15 novembre 2007, n. 17589, regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, nonché dei principi generali in tema di procedimenti sanzionatori in ordine alla riapertura del procedimento.

Poiché l’avvio del procedimento in parola data al 6 aprile 2009, alla data di riapertura dello stesso (6 ottobre 2010) è abbondantemente decorso il termine massimo (150 giorni) per la sua conclusione, di cui all’art. 7 del regolamento dell’Autorità sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette. L’errore commesso dall’Autorità e acclarato con la sentenza della Sezione n. 30349 del 2010 non giustifica il mancato rispetto del termine in parola, in quanto, diversamente opinandosi, verrebbe disattesa la stessa ratio della sua previsione.

2) Falsa applicazione dell’art. 13 del regolamento dell’Autorità sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette – eccesso di potere per violazione della regola del contraddittorio in ordine all’affidamento della consulenza tecnica all’IFO.

Della consulenza tecnica intervenuta nel procedimento è stato investito lo stesso organo (IFO) che l’aveva già precedentemente effettuata nel mancato rispetto delle regole del contraddittorio, con evidente distorsione delle stesse regole.

Questi i motivi di gravame che la società ha formulato avverso l’atto sanzionatorio.

1) Illegittimità derivata dalla illegittimità della deliberazione di riapertura – eccesso di potere per carenza di motivazione in ordine alla scelta di confermare la riapertura del procedimento e l’affidamento della consulenza all’IFO anche dopo le censure del professionista.

L’illegittimità della determinazione di riapertura del procedimento e di affidamento della consulenza all’IFO, inficiando l’intera procedura, si riverbera sull’atto finale. Non è stato soddisfatto l’obbligo di motivare la riapertura del procedimento e l’affidamento della consulenza nuovamente all’IFO, che pure la società ha contestato in via endoprocedimentale.

2) In riferimento alla pratica a), eccesso di potere per contraddittorietà della motivazione nonché per errore di fatto.

La disamina delle parti del provvedimento dedicate alla campagna relativa a Crescina R5 manifesta una meticolosità solo apparente, rinvenendosi nella stessa fraintendimenti, contraddizioni ed errori di fatto, che rendono incomprensibile la determinazione finale.

3) In riferimento alla pratica b), eccesso di potere per insufficienza e contraddittorietà della motivazione nonché per errore di fatto.

Le censure mosse dall’Autorità alla campagna relativa alle cellule staminali poggiano su presupposti che, nella massima parte, non trovano alcun riscontro nella campagna stessa.

4) In riferimento alla pratica c), eccesso di potere per insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla pretesa ingannevolezza del messaggio, nonché violazione di legge per contrasto con l’art. 11, l. 689/81, richiamato dall’art. 27, comma 13 del codice del consumo – eccesso di potere per manifesta sproporzione tra il comportamento scorretto accertato concernente la pubblicazione del messaggio e la sanzione applicata.

Quanto alla campagna relativa alla linea di prodotti L. Stem Make Up, nessuna norma o protocollo relativo ai cosmetici impone, come ritenuto dall’Autorità, di vantarne gli effetti esclusivamente sulla base di prove in vivo anziché in vitro. Nella determinazione della relativa sanzione, l’Autorità ha errato nell’individuare il periodo di durata della campagna.

5) In riferimento alla quantificazione della sanzione, falsa applicazione dell’art. 27, commi 9 e 13 del d. lgs. 206/2005 – eccesso di potere per irrazionalità ed ingiustizia manifesta in riferimento all’eccessività della sanzione anche nel presupposto dell’ingannevolezza dei messaggi pubblicitari.

L’Autorità ha, in ogni caso, comminato sanzioni sproporzionate rispetto alle contestazioni.

6) Quanto alla quantificazione della sanzione, falsa applicazione dell’art. 27, comma 13 del d. lgs. 206/2005 e dell’art. 11 della l. 689/81 in riferimento alla eccessività della sanzione rispetto alle condizioni economiche del soggetto sanzionato ed iniquità della sanzione da valutarsi secondo un giudizio di merito.

Le condizioni economiche della società non sono state correttamente valutate ai fini della determinazione delle sanzioni.

Esaurita l’illustrazione delle illegittimità rilevate a carico degli atti impugnati, la ricorrente ne ha domandato l’annullamento.

Si è costituita in giudizio l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha eccepito l’infondatezza di tutte le censure formulate in gravame, di cui ha domandato il rigetto.

Si è costituita in resistenza anche l’Associazione Consumatori Associati, che a suo tempo aveva segnalato all’Autorità la presunta scorrettezza delle pratiche. Con breve memoria depositata nel corso del giudizio l’Associazione ha specificato di non aver svolto alcun ruolo di impulso nella riapertura dell’istruttoria.

Con ordinanza 9 giugno 2011, n. 2116, la Sezione ha accolto la domanda cautelare dalla parte ricorrente formulata in uno ai mezzi aggiunti.

La causa è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 13 luglio 2011.

Motivi della decisione

1. Come già esplicitato in fatto, dopo la sentenza della Sezione 6 agosto 2010, n. 30349, che ha annullato il provvedimento 1° ottobre 2009 dell’Autorità della concorrenza e del mercato che, all’esito del procedimento n. PS1314, ritenuta la scorrettezza di tre distinte pratiche commerciali adottate dalla L.E., ai sensi degli artt. 20 e 21, comma 1, lett. b), del codice del consumo di cui al d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, ne ha vietato l’ulteriore diffusione ed ha comminato alla società tre distinte sanzioni amministrative pecuniarie di importo pari ad Euro. 70.000,00, Euro 120.000,00 e Euro 50.000,00, l’Autorità ha proceduto alla riapertura del procedimento sanzionatorio.

Le pratiche commerciali consistono in tre campagne pubblicitarie, diffuse a mezzo di spot televisivi e stampa, facenti leva sulla innovatività e sulla particolare efficacia dei componenti principali dei prodotti e della loro miscelazione, esito anche di ricerche della società e verificate da ricerche di laboratorio, volte a promuovere:

a) una linea di prodotti cosmetici in fiale denominata Crescina R5 – Ricrescita e Crescina Anticaduta, per i quali si affermava la proprietà di contrastare il problema del diradamento dei capelli;

b) una soluzione a base di cellule staminali vegetali da miscelare a Crescina Stem ed a L.ina Stem, per ottenere "trattamenti che aiutano la crescita fisiologica dei capelli in caso di diradamento" e "aiutare a riempire le rughe profonde del viso";

c) una linea di cosmetici L. Stem Make Up, presentata come "un vero passo in avanti nell’assicurare una funzione rigenerante ai prodotti di trucco grazie all’azione attiva di rinnovamento esplicata dalle cellule staminali vegetali attive in essi inserite".

Con il provvedimento conclusivo del procedimento riaperto l’Autorità ha nuovamente ritenuto la scorrettezza delle pratiche commerciali in parola, sempre ai sensi dell’art. 20 e 21, comma 1, lett. b), del codice del consumo, poiché contrarie alla diligenza professionale, sotto il profilo dell’ambiguità e della inesattezza dei contenuti informativi relativi alle caratteristiche, possibilità di impiego e risultati ottenibili attraverso l’uso dei prodotti pubblicizzati.

L’Autorità ha, altresì, ritenuto la riscontrata natura ingannevole delle stesse idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico dei consumatori, indotti ad un falso affidamento in ordine alle caratteristiche principali dei prodotti reclamizzati.

Per tali motivi, ai sensi dell’art. 27 comma 9 del codice del consumo, l’Autorità, con lo stesso provvedimento, ha vietato l’ulteriore diffusione delle pratiche in argomento e ha irrogato alla società, per le violazioni sopra descritte, le stesse sanzioni amministrative pecuniarie già irrogate con l’atto in precedenza annullato in sede giurisdizionale (Euro 70.000,00; 120.000,00, 50.000,00).

Oggetto dell’odierno scrutinio sono i provvedimenti dell’Autorità che hanno riaperto e concluso il sopravvenuto segmento procedimentale.

2. Ai fini di una miglior comprensione della materia del contendere, la disamina del gravame – di cui può già anticiparsi la fondatezza – va fatta precedere da una esposizione, sia pur sintetica, delle motivazioni poste a base della sopra citata sentenza della Sezione n. 30349 del 2010.

3. Nel pervenire all’accertamento dell’illegittimità del provvedimento in quella sede gravato ed alla conseguente statuizione demolitoria ivi contenuta, la Sezione rilevava che la disciplina di riferimento del procedimento considerato (artt. 12 e 13 del regolamento dell’Autorità sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, adottato con deliberazione dell’Autorità n. 17589 del 15 novembre 2007) distingue nettamente, ai fini del riconoscimento delle garanzie procedimentali e partecipative degli interessati, le ipotesi in cui l’Autorità stabilisca di procedere alla mera richiesta di informazioni (art. 12), nel qual caso il contraddittorio, non essendo prevista alcuna forma di partecipazione e di preventiva comunicazione, è garantito attraverso la possibilità per l’interessato di esercitare il diritto di accesso, ovvero decida di procedere all’acquisizione di perizie e consulenze (art. 13), dovendo in tali casi darne comunicazione alle parti del procedimento, alle quali devono essere anche comunicati i risultati delle perizie e delle consulenze, e che possono nominare, dandone comunicazione al responsabile del procedimento, un proprio consulente, che può assistere alle operazioni svolte dal consulente dell’Autorità e svolgere osservazioni sui risultati delle indagini tecniche svolte.

Tanto premesso, la Sezione osservava che, nella fattispecie ivi in esame, sia il tenore della richiesta formulata dall’Autorità all’IFO nel corso del procedimento sanzionatorio, sia il correlato tenore delle osservazioni formulate in risposta – che avevano condizionato, se non determinato, le valutazioni finali espresse dall’Autorità – faceva emergere con ogni evidenza che la richiesta stessa, pur se dall’Autorità espressamente qualificata come richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 12 del richiamato regolamento, doveva, in realtà, essere invece qualificata come richiesta di un’attività di natura consulenziale vera e propria, in cui alla trasmissione di informazioni si è affiancata una specifica attività valutativa dei dati raccolti e della loro attendibilità e serietà, e della qualità ed efficacia dei prodotti.

E ciò senza che alla società fosse stata garantita la partecipazione al segmento procedimentale siccome tipizzata dall’art. 13 del citato regolamento, con irrimediabile perdita in capo all’interessata di uno strumento di tutela, insuscettibile di essere replicato in sede giurisdizionale.

4. Tornando all’esame del presente contenzioso, ritiene il Collegio che, come fatto constare dalla società con il secondo motivo del ricorso diretto avverso l’atto di riapertura del procedimento (falsa applicazione dell’art. 13 del regolamento dell’Autorità sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette – eccesso di potere per violazione della regola del con traddittorio), con censura di carattere assorbente, anche il nuovo modus procedendi adottato dall’Autorità risulta viziato.

5. Dispone l’art. 13 del regolamento dell’Autorità sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette (titolato "Perizie, analisi statistiche ed economiche e consultazioni di esperti") che, in ordine a qualsiasi elemento rilevante ai fini dell’istruttoria, possono essere autorizzate dall’Autorità perizie, analisi statistiche ed economiche, ovvero consultazione di esperti "proposte dagli uffici".

Chiarisce il secondo comma della disposizione che "La scelta dei periti e dei consulenti viene effettuata dall’Autorità tra le persone iscritte negli albi istituiti presso i tribunali ovvero affidata ad università o centri di ricerca, che designano le persone ritenute professionalmente più idonee a compiere l’accertamento tecnico richiesto.".

Nel caso in cui l’Autorità disponga perizie e consulenze, il comma 3 obbliga l’Autorità a darne comunicazione alle parti del procedimento.

A sua volta, il comma 4 impone al responsabile del procedimento di comunicare alle parti i risultati delle perizie e delle consulenze.

Infine, l’ultimo comma dell’articolo 13 prevede che i soggetti ai quali è stato comunicato l’avvio del procedimento, nonchè quelli intervenuti ai sensi dell’art. 10 dello stesso regolamento, possono nominare, dandone comunicazione al responsabile del procedimento, un loro consulente, il quale può assistere alle operazioni svolte dal consulente dell’Autorità e presentare, nel termine di dieci giorni dalla comunicazione di cui al comma 4, scritti e documenti in cui svolgere osservazioni sui risultati delle indagini tecniche.

6. Come già rilevato dalla Sezione nella ridetta sentenza 30349/2010, la descritta disposizione dell’art. 13 introduce a favore degli interessati una specifica garanzia per la eventuale fase costituita delle perizie e consulenze.

Essa si concreta nella previsione di una forma di partecipazione al segmento procedimentale più intensa di quella regolata dal precedente art. 12.

Ed infatti, alla luce del precipuo contenuto dell’art. 13, tale partecipazione si sostanzia, oltre che nella ricezione della determinazione dell’Autorità di procedere a perizia o consulenza e dei relativi risultati, nella facoltà degli interessati di nominare, dandone comunicazione al responsabile del procedimento, un proprio consulente, che può assistere alle operazioni svolte dal consulente dell’Autorità e svolgere osservazioni sui risultati delle indagini tecniche svolte.

In altre parole, l’art. 13 del regolamento dell’Autorità sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette prevede, per l’ipotesi dell’indagine tecnica rimessa all’esterno dell’amministrazione procedente, una più compiuta operatività del principio del contraddittorio procedimentale, che realizza mediante una interlocuzione tra l’interessato e l’incaricato dell’indagine stessa, che la disposizione delinea come diretta, ovvero non mediata dal tramite dell’amministrazione procedente, come quella regolata dal precedente art. 12.

Siffatta forma di contraddittorio presuppone congenitamente la terzietà del consulente tecnico, tant’è che esso, secondo l’art. 13, comma 2, del regolamento in parola, viene si prescelto discrezionalmente dall’Autorità, ma in base ad una valutazione di tipo oggettivo, che tenga conto esclusivamente delle competenze tecniche e professionali richieste dalla consultazione.

Ne discende che la norma evoca uno scenario nel quale è particolarmente aperta la possibilità che gli elementi offerti dal privato che si avvale del contraddittorio procedimentale possano svolgere una influenza nell’iter di formazione dell’avviso tecnico.

Null’altro significato può essere, infatti, ascritto alla previsione dell’art. 13 della facoltà della parte privata di nominare un proprio consulente tecnico, che può assistere alle operazioni svolte dal consulente dell’Autorità e svolgere osservazioni sui risultati delle indagini tecniche svolte.

E allora, il contenuto minimo, da un lato naturale, dall’altro obbligatorio, dell’art. 13 deve essere ravvisato nella necessità di assicurare all’interessato, posta la definizione dell’oggetto dell’indagine, rimessa all’Autorità (art. 13, comma 1: "perizie e analisi statistiche ed economiche…consultazione di esperti, proposte dagli uffici"), e antecedentemente allo svolgimento delle operazioni consulenziali, la presenza di tutte le condizioni utili per interloquire sull’oggetto della valutazione in corso in una posizione di tendenziale "parità di armi" con l’amministrazione procedente.

Diversamente opinando, il principio del contraddittorio valorizzato dall’art. 13 verrebbe ad essere svuotato di ogni contenuto sostanziale.

7. La delibera di riapertura del procedimento del 6 ottobre 2010 non soddisfa tale condizione.

,In particolare, il provvedimento, richiamata, nel preambolo, la ridetta sentenza della Sezione n. 30349 del 2010 (anche se la stessa è stata erroneamente indicata con il numero di registro generale del corrispondente ricorso), rileva che la sua motivazione consiste specificamente nella "violazione formale, in relazione al parere fornito dall’IFO – Istituti Fisioterapici Ospedalieri…delle garanzie partecipative previste dall’art. 13 del Regolamento, dalla quale violazione sarebbero derivati effetti sostanziali e un’effettiva lesione della posizione della parte ricorrente".

Ciò posto, la delibera, ritenuta necessaria, in ottemperanza della suddetta sentenza, la riapertura dell’istruttoria, ritiene, altresì la necessità "al fine di valutare compiutamente l’eventuale scorrettezza delle pratiche commerciali oggetto del procedimento, di disporre una consulenza tecnica, volta a verificare, anche sulla base delle informazioni fornite e della documentazione tecnico scientifica prodotta in atti dalla L. Italia s.r.l., l’efficacia e le caratteristiche dei prodotti denominati "Crescina R5 – Ricrescita e Crescina Anticaduta", dei prodotti a base di cellule staminali "Crescina Stem" e "L.ina Stem" nonché dei prodotti della linea di trucco "L. Stem Make Up" con cellule staminali attive, come vantate nei messaggi diffusi dal professionista.

In forza di tali considerazioni, la delibera in argomento, disposta la riapertura del procedimento nei confronti della società, dispone anche l’affidamento dell’incarico di svolgere la predetta consulenza tecnica all’IFOIstituti Fisioterapici Ospedalieri.

Osserva il Collegio che, come ben tenuto presente dalla delibera in parola, alla luce del riportato preambolo, l’IFO è lo stesso ente di cui l’Autorità aveva già ritenuto di avvalersi nella richiesta di informazioni precedentemente ed illegittimamente attivata ai sensi dell’art. 12 del regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette.

Indi, l’Autorità ha ritenuto di consultare, questa volta nella sede propria della consulenza tecnica ex art. 13 del regolamento, lo stesso soggetto che, in assenza di contraddittorio, aveva già avuto modo di formarsi, antecedentemente alla consulenza tecnica, una opinione in relazione alla efficacia ed alle caratteristiche dei prodotti commerciali oggetto di indagine da parte dell’Autorità.

E, al riguardo, non è chi non veda che, nel disporre che la consulenza tecnica di cui evidentemente il procedimento necessitava avvenisse con la siffatta modalità, l’Autorità, e, per essa, la delibera di riapertura del procedimento, ha rispettato solo formalmente, trasformandolo in un mero simulacro, il principio del contraddittorio presidiato dalla disposizione dell’art. 13 del regolamento sulle procedure istruttorie e rimarcato dalla sentenza della Sezione.

Non si vuole con ciò affermare che all’IFO era completamente preclusa la possibilità di esprimere un diverso avviso, da maturarsi sulla base della partecipazione della società al procedimento consulenziale.

Una tale conclusione non sarebbe confortata da alcun principio di prova.

Ma, al contempo, non vi è neanche alcuna prova, né può escludersi con ragionevole certezza, che la circostanza che l’Istituto si fosse già espresso sulle questioni oggetto di consulenza in carenza di contraddittorio ed in senso sfavorevole alla società non abbia alterato il procedimento di formazione dell’avviso consulenziale.

E già la sola possibilità di un siffatto accadimento è idonea a offuscare il requisito della terzietà della consulenza, nonché a travolgere l’atto che l’ha disposta, tenuto conto della corretta lettura delle previsioni dell’art. 13 del regolamento dell’Autorità sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette e dei principi di imparzialità e buon andamento di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione, che devono conformare l’operato di ogni amministrazione e in ogni segmento procedimentale.

8. Le difese sul punto formulate dall’amministrazione resistente non offrono elementi convincenti.

L’Autorità evidenzia che non si tratta del riaffidamento della consulenza, considerato che precedentemente era stata disposta solo una richiesta di informazioni.

L’argomentazione, di tenore estremamente formale, nulla aggiunge alle questioni come sin qui trattate, rilevando, ai fini di cui al presente gravame, non la tipologia della consultazione richiesta, ma la già intervenuta formazione in capo all’IFO di un avviso tecnico, che sussiste anche nella corrispondenza ad una richiesta di informazioni, che presuppone un percorso valutativo, che si estrinseca nel parere finale attraverso l’esternazione di compiute e coerenti motivazioni.

L’Autorità sostiene, ancora, che l’affidamento della consulenza all’IFO si giustifica per la peculiare e qualificata competenza specialistica dell’ente, in un settore ove non sono rinvenibili enti analoghi, né gli stessi sono stati indicati dalla ricorrente.

Al riguardo, va innanzitutto osservato che tale ultimo rilievo deve essere ribaltato, essendo, semmai, onere dell’Autorità, a fronte della raggiunta prova di un profilo di difformità della disposta consulenza alle previsioni di cui all’art. 13 del ridetto regolamento, costituito dal suo affidamento allo stesso ente che aveva precedentemente espresso un parere in ordine alle stesse questioni da trattare, fornire elementi in ordine alla insussistenza di altri soggetti idonei a svolgere l’incarico consulenziale.

In ogni caso, poi, con memoria depositata in corso di causa la ricorrente ha sostenuto, condivisibilmente, che la consulenza in parola ben avrebbe potuto essere affidata ad una delle numerose università nazionali, partitamente indicate, che, nell’ambito delle facoltà di medicina e di farmacia, svolgono corsi di master in dermatologia cosmetologica o in scienza e tecnologie cosmetiche.

In ultimo, sostiene l’Autorità che la ricorrente avrebbe dovuto ricusare il consulente nel corso del procedimento.

Neanche tale difesa è conducente, atteso che la denunzia giudiziale del vizio del procedimento di cui si discute non risulta in alcun modo preclusa per l’ipotesi di mancata ricusazione del consulente tecnico.

Ad abundantiam, può aggiungersi che, come emerge anche dall’impugnato provvedimento finale, la società ha contestato in corso di procedimento l’opportunità e la legittimità della scelta dell’Autorità di affidare la consulenza all’IFO. Il rilievo, peraltro, non è stato fatto oggetto da parte dell’Autorità di alcuna confutazione espressa.

9. Per tutto quanto precede, in accoglimento del predetto motivo di gravame, va disposto l’annullamento della impugnata delibera dell’Autorità del 6 ottobre 2010, nella parte in cui ha affidato all’IFO la consulenza intervenuta nel procedimento di cui trattasi.

Tale illegittimità, come denunziato dalla società nei motivi aggiunti, si riverbera nel provvedimento finale assunto dall’Autorità nell’adunanza 9 febbraio 2011, che ha fatto sostanzialmente proprie le conclusioni della consulenza.

Anche di quest’ultimo va pertanto disposto l’annullamento.

Il Collegio ritiene, nondimeno, equo disporre la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie, disponendo, per l’effetto, l’annullamento degli atti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-06-2011) 05-10-2011, n. 36173 Colloqui e corrispondenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Il GIP del Tribunale di Catania, con cinque autonomi decreti – emessi rispettivamente il 7 aprile 2008, il primo; il 19 luglio 2008, il secondo ed il terzo; il 22 luglio 2008 il quarto ed il quinto – disponeva nei confronti dell’imputato detenuto A.A., sottoposto al regime differenziato di cui all’art. 41 bis prd. pen., il trattenimento di varia corrispondenza: nel primo caso, una lettera inviata al detenuto dalla madre contenente un numero di telefono;

negli altri quattro casi, alcune missive inviate dal detenuto, nelle quali si informava il destinatario di pregressi provvedimenti di trattenimento di corrispondenza e se ne contestava la fondatezza, con frasi ritenute provocatorie e derisorie dell’operato dell’Autorità giudiziaria ("prima o poi troverò un giudice a Berlino"; "i giudici fuori della Sicilia applicano la legge"; "questi geni"; "ritengo impossibile che mi stanchi prima io" prefigurando l’intenzione di inviare "altre 6 cartoline la settimana, circa 25 al mese, meno di 600 in 2 anni").

2. – Proposti dall’ A. tempestivi reclami avverso tali decreti, l’adito Tribunale di Catania li rigettava, con cinque autonome ordinanze deliberate tutte l’8 novembre 2010, rilevando:

quanto alla lettera indirizzata al detenuto, che si trattava di un trattenimento "disposto temporaneamente", al fine di effettuare accertamenti in relazione al numero telefonico ivi indicato e "verificare se effettivamente corrispondesse al numero di un tassista"; quanto alle lettere Inviate dal detenuto, che la redazione delle stesse, per il loro contenuto, poteva integrare un comportamento meritevole di essere valutato in sede penale.

3. – Avverso le predette ordinanze ha proposto un unico ricorso per cassazione il detenuto, personalmente, deducendo: a) con riferimento al reclamo relativo al trattenimento della lettera inviata dalla madre, la manifesta illogicità dell’ordinanza di rigetto, avendo il tribunale, con la stessa, a distanza di oltre due anni e mezzo dall’adozione del provvedimento, sostanzialmente legittimato un trattenimento della missiva definito "temporaneo", disposto oltretutto per l’effettuazione di un accertamento per nulla complesso, incongruamente addossando sul detenuto l’onere di richiedere all’Autorità giudiziaria l’esito degli accertamenti; b) quanto al rigetto degli altri reclami, che intanto illegittimamente il tribunale aveva ritenuto emendabile dal giudice del reclamo l’assenza di motivazione di alcuni decreti, a ragione del rilevo che l’ordinamento non sanzionerebbe con la nullità dell’atto l’assenza di motivazione, prescritta invece dalla legge; che altra missiva di contenuto analogo era stata ritenuta inoltrabile, senza rilievi, dal Tribunale di Catania, in composizione solo parzialmente difforme; che le missive di cui trattasi, in realtà, non avevano contenuto pericoloso "per l’ordine e la sicurezza pubblica". 4. – Il Procuratore generale presso questa Corte ha depositato motivata requisitoria con la quale richiede l’annullamento con rinvio dei provvedimenti emessi dal Tribunale di Catania l’8 novembre 2010.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta dall’ A., nei limiti meglio precisati in prosieguo, è fondata.

La motivazione dei provvedimenti di rigetto dei reclami proposti dal ricorrente risulta infatti incongrua ed in contrasto con i dati normativi.

2. – Al riguardo è necessario ricordare, in primo luogo, che le censure e i controlli della corrispondenza, incidendo su diritto fondamentale le cui limitazioni sono, a mente dell’art. 15 Cost., soggette a riserva di legge rinforzata dalla garanzia giurisdizionale, possono essere attuati, anche nei confronti dei detenuti e degli internati, soltanto in forza di provvedimento dell’autorità giudiziaria e nei soli casi previsti. La disciplina di tali limitazioni nei confronti di persone soggette a restrizione della libertà personale è ora (dopo numerosi moniti e condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo) interamente regolata dall’art. 18 ter ord. pen. ( L. n. 354 del 1975, come modificata per la materia dalla L. 8 aprile 2004, n. 95), che al comma 1 prevede, come regola generale, che sia le limitazioni e le censure ("visto di controllo"), disciplinate dai commi da 1 a 4, sia i provvedimenti di "trattenimento", previsti dal comma 4, possono essere adottati esclusivamente "per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza e di ordine dell’istituto".

E sembra ovvio che dette esigenze e ragioni, generiche in funzione di prevenzione per il controllo, debbono divenire specifiche allorchè dal controllo si passa al trattenimento di singoli plichi, incidendosi così non soltanto sulla riservatezza della corrispondenza ma anche sulla disponibilità e il possesso dei materiali trattenuti. Ancorchè un detenuto sia legittimamente sottoposto a visto di controllo, deve quindi senz’altro escludersi, in base alla citata normativa, che nel caso in esame, un prolungato trattenimento del contenuto di plichi a lui diretti possa venire motivato soltanto in base alla circostanza che debba essere effettuato un accertamento, per altro non particolarmente complesso, sul titolare di un’utenza telefonica menzionata nella missiva.

Nè, per altro verso, in assenza di concrete indicazioni circa l’avvenuto esercizio dell’azione penale nei confronti dell’ A., a ragione del "tenore" delle missive (o cartoline) dallo stesso redatte, ovvero l’adozione nei suoi confronti di provvedimenti di sequestro delle stesse, il trattenimento della corrispondenza può venire legittimamente autorizzato in base alla sola considerazione che il contenuto di tali missive sarebbe suscettibile "di essere valutato in sede penale".

Ed invero deve qui ribadirsi il principio, già affermato da questa Corte (Sez. 1, sentenza n. 16926 del 22 aprile 2010, imp. A.), sia pure con riferimento ad una fattispecie in parte diversa (trattenimento di un piego contenente libri di testo universitari), secondo cui il trattenimento di corrispondenza del detenuto può ritenersi consentito se la stessa cela al proprio interno qualcosa o contenga scritti pericolosi per la sicurezza e l’ordine interno dell’Istituto o che ne rendono necessario il sequestro probatorio o preventivo, in relazione a ipotesi specifiche e secondo le regole generali del codice di rito. In questi casi il trattenimento o il sequestro possono essere emessi, però, esclusivamente dall’autorità giudiziaria. Ne consegue che nel caso in esame il tribunale non poteva, dopo che erano già trascorsi più di due anni dall’adozione dei provvedimenti reclamato, limitarsi ad affermare che il trattenimento delle missive era giustificato dal compimento di verifiche di cui non si specifica neppure l’esito ovvero di un possibile esercizio dell’azione penale, a ragione di un suo contenuto "penalmente rilevante". 3. – I provvedimenti Impugnati devono dunque essere annullati con rinvio al Tribunale di Catania perchè proceda a nuovo esame, senza incorrere nelle lacune motivazionali in precedenza evidenziate.

P.Q.M.

Annulla i provvedimenti impugnati e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catania.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-09-2011) 24-10-2011, n. 38159

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 17 dicembre 2010 la Corte d’appello di Bari confermava la condanna ad anni due di reclusione inflitta a J. R. per il reato di maltrattamenti commesso in danno della moglie e dei figli minorenni fino al (OMISSIS).

Contro detta sentenza l’imputato ricorre per Cassazione e denuncia il vizio di mancanza di motivazione. Lamenta che la Corte di merito avrebbe omesso di esaminare le censure sollevate nei motivi d’appello in ordine all’attendibilità della denunciante e alla sussistenza del fatto e del dolo. Lamenta ancora che nessuna risposta sia stata data alla richiesta di proscioglimento per estinzione del reato, posto che i fatti risalirebbero all’anno 1999. Lamenta infine che le attenuanti generiche siano state negate in considerazione dell’intensità del dolo e dei rilevanti precedenti penali.

2. I motivi di ricorso sono manifestamente infondati. Dalla lettura congiunta delle sentenze di primo e secondo grado, le cui motivazioni si fondono insieme essendo l’una confermata dall’altra, emerge una esaustiva spiegazione delle ragioni della condanna.

E’ stata data giustificazione della ritenuta credibilità delle dichiarazioni della persona offesa G.M., osservando che contengono "una puntuale e coerente ricostruzione fattuale", che "non sono smentite da alcuna obiettiva emergenza di segno contrario", che "sono corroborate dalle dichiarazioni di entrambi i figli minorenni".

Orbene dalle predette dichiarazioni, ampiamente riportate nella sentenza impugnata, sono stati enucleati gli elementi costitutivi di una condotta vessatoria sistematica protratta per un significativo lasso temporale, sorretta da un dolo particolarmente intenso, cosicchè è stata correttamente ritenuta integrata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la fattispecie di reato contestata.

Le attenuanti generiche sono state negate con una motivazione che si è attenuta a specifici parametri di valutazione indicati dall’art. 133 c.p. (intensità del dolo e precedenti penali).

La prescrizione non è stata riconosciuta, perchè la consumazione del reato, che ha natura permanente, è cessata il 13 dicembre 2003 e, quindi, al momento della pronuncia della sentenza d’appello non era ancora maturata.

Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta equa, di Euro mille alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-05-2012, n. 7434 Ammissione al passivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Banca di Palermo s.p.a. proponeva innanzi al Tribunale di Palermo opposizione allo stato passivo del fallimento della società Gargano Carlo e dei singoli soci per lamentare l’esclusione dallo stato passivo di plurime distinte voci di credito vantato nei confronti della società fallita, originato da rapporti intercorsi tra quest’ultima e la Cassa Rurale di Monreale Banca di Credito Cooperativo s.r.l. ad essa ceduti. Per quel che rileva, si trattava di credito privilegiato relativo al conto corrente n. 010156095, in L. 5.473.992 per sorte capitale, L. 2.68.641 per interessi di mora sino al 31 dicembre 1997 al tasso convenzionale del 20,50% e interessi maturati successivamente al detto tasso sino alla data del fallimento ed al tasso legale durante la procedura, e di credito privilegiato per mutuo ipotecario di cui all’atto 25 settembre 1992 per notaio Pennisi, di L. 424.142.346 per capitale, L. 295.858.526 per interessi di mora maturati sino al 31.12.1997 al tasso del 22%, di L. 9.804.660 per successivi interessi maturati al tasso dell’11,23% sino alla data del fallimento ed interessi legali successivi. Le restanti voci si riferivano a credito chirografario relativo all’apertura di credito in conto corrente n. (OMISSIS) ed agli esborsi della procedura esecutiva immobiliare intrapresa nei confronti della fallita. Il Tribunale respingeva l’opposizione con sentenza 18/22.1.2004, ritenendo indimostrate tutte le ragioni di credito addotte dalla banca istante. Sosteneva in particolare, quanto al credito per mutuo ipotecario, che non era stata provata l’effettiva erogazione della somma mutuata. La creditrice Banca di Palermo impugnava la decisione innanzi alla Corte d’appello di Palermo che con sentenza n. 1977 depositata il 21 dicembre 2009 e notificata il 26 febbraio 2010, ne ha disposto parziale riforma.

Ritenendo acquisita la prova dell’effettiva erogazione della somma mutuata, ha ammesso allo stato passivo della società e dei soci illimitatamente responsabili il relativo credito. Nel resto ha sostenuto che l’istante non avesse ragione di dolersi della mancata ammissione dei crediti per saldo passivo dei conti correnti, avendo corredato la domanda di estratti conto relativi ai soli movimenti intervenuti tra le date dell’11 settembre 1995 ed il 31 dicembre 1997, pur riferendosi i conti di cui trattasi all’inizio del 1990. Il saldaconto peraltro non rappresenta prova idonea del credito.

Contro questa pronuncia il curatore fallimentare ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi resistiti dalla Banca di Palermo intimata con controricorso.

Motivi della decisione

Venendo in rilevo preliminarmente, l’eccezione della controricorrente d’inammissibilità del ricorso è infondata:

1.- la procura alle liti apposta a margine del ricorso, priva della sottoscrizione, asseritamente prescritta a pena di nullità, dell’Avv. Giuliana Sangiorgi, difensore munito di procura congiunta all’altro difensore Avv. Gaetano Sangiorgi, indica quest’ultima quale domiciliataria, qualità ribadita nell’intestazione del ricorso, la cui sottoscrizione, alla luce di consolidata giurisprudenza – per tutte Cass. n. 11556/1995, non è prescritta nè in calce al ricorso, nè tanto meno in calce alla procura.

2.- In ordine al difetto di specialità desumibile poi dall’omessa indicazione nel testo della procura stessa del provvedimento di autorizzazione all’impugnazione disposto dal g.d. nonchè della decisione contro cui è indirizzata l’impugnazione, occorre rilevare che il requisito in discorso, quanto alla riferibìlità alla decisione contro cui è indirizzata l’impugnazione è soddisfatto con l’apposizione della procura a margine del ricorso stesso. Siffatta omissione non incide sull’ammissibilità del ricorso medesimo che contenga tutti gli elementi prescritti, perchè la stretta e materiale inerenza del mandato all’atto d’impugnazione osta a che tale lacuna determini alcuna incertezza sulla identificazione di quella decisione, alla stregua del contesto del ricorso – Cass. n. 18781-2011. Quanto all’autorizzazione del giudice delegato ne è sufficiente l’indicazione nel corpo del ricorso non essendo essa prescritta a pena di nullità nel testo della procura, nondimeno il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in ragione della sua tardività. Il termine, dimidiato secondo il disposto dell’art. 99, L. Fall., nel testo ante riforma applicabile ratione temporis, riduce a trenta giorni quello previsto per proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di appello, decorrenti dalla notifica della sentenza di secondo grado (per tutte Cass. n. 10905/2010). Nel caso di specie, la sentenza di appello risulta notificata il 26.2.2010 mentre il ricorso è stato notificato il 27.4.2010, ben oltre, quindi, il termine di trenta giorni, scaduto il 28.3.2010. Il rilievo assorbe ogni altra statuizione.

Il ricorso principale va, pertanto, dichiarato inammissibile, e segue alla soccombenza la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 3.200,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.