Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 15-11-2011) 25-11-2011, n. 43810

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con ordinanza, deliberata il 28 febbraio 2011 e depositata il 9 maggio 2011, il Tribunale ordinario di Catania, in funzione di giudice distrettuale del riesame delle ordinanze che dispongono misure coercitive, ha confermato l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di quella stessa sede, 10 dicembre 2010, a carico di D.V.A., indagato per il concorso nel delitto di traffico continuato di stupefacenti, commesso in (OMISSIS).

Il Collegio – anche con richiamo e testuale riproduzione del provvedimento coercitivo – ha motivato: sussistono a carico dell’indagato gravi indizi di colpevolezza costituiti dalle intercettazioni delle conversazioni intercorse tra D.V. e il correo O.S.; i dialoghi recano dichiarazioni confessorie dell’indagato in ordine al proprio coinvolgimento nel traffico degli stupefacenti; precipuo rilievo assume l’intercettazione del 5 giugno 2006 collo specifico riferimento a una partita di droga in arrivo; la tesi difensiva, secondo la quale le conversazioni avevano lecito oggetto concernendo altre merci, quali scarpe o latticini, è resistita dai riferimenti alla unità ponderale di misura (grammo) e dalla menzione di termini quali "fumo" e "roba", oltre che dal tenore complessivo dei discorsi; quanto alle esigenze cautelari, il "rischio di recidivanza" è concreto e attuale, in considerazione della "stabile inserzione" dell’indagato nel mercato illecito della droga, rivendicata dallo stesso D.V., dei precedenti penali e del procedimento pendente per i delitti di associazione finalizzata al traffico degli stupefacenti e per i reati scopo, in relazione al quale D.V., al momento della esecuzione della ordinanza coercitiva, era sottoposto alla misura degli arresti domiciliari; la custodia intramuraria è proporzionata alla gravità del fatto ed è resa necessaria dall’accertato profilo della pericolosità, appalesandosi inadeguata ogni altra più blanda misura per la inidoneità dell’indagato a conformarsi alle prescrizioni e occorrendo creare una "cesura" coll’ambiente criminale.

2. – Ricorre per cassazione l’indagato, col ministero del difensore di fiducia, avvocato Puccio Forestiere, mediante atto del 27 maggio 2011, col quale sviluppa tre motivi, dichiarando promiscuamente di denunciare, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione all’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, e art. 192 c.p.p., comma 2, (primo motivo), in relazione all’art. 274 c.p.p. (secondo motivo) e in relazione all’art. 275 c.p.p. (terzo motivo), nonchè mancanza o manifesta illogicità della motivazione.

2.1 – Con il primo motivo il difensore contesta la ricorrenza dei gravi indizi di reità, opponendo: le conversazioni intercettate sono poche, saltuarie e inconcludenti; difettano "concreti riscontri probatori, quali il sequestro di strumenti utilizzabili per lo spaccio e le rilevazioni di collaboranti.

Col medesimo mezzo il difensore nega la pericolosità dell’indagato – tema ripreso nel successivo motivo – e deduce: i fatti sono risalenti nel tempo; il Collegio ha misconosciuto "l’effetto dissolvente del decorso del tempo"; i precedenti penali sono "datati"; la pericolosità non è attuale.

2.2 – Con il secondo motivo il difensore ribadisce le censure circa le esigenze cautelari, opponendo: il supposto reato è stato commesso in epoca non recente; la considerazione dei precedenti rappresenta "mera formula di stile"; difettano "l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterano criminis". 2.3 – Con il terzo motivo il difensore sostiene: la custodia in carcere è "eccessivamente afflittiva", non è proporzionata alla probabile sanzione; le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con misure "meno afflittive". 4. – Il ricorso è infondato.

4.1 – Non ricorre il vizio della violazione di legge:

– nè sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie);

– nè sotto il profilo della erronea applicazione, avendo il Tribunale esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, nè, oltretutto, opponendo il ricorrente alcuna alternativa interpretazione a quella correttamente seguita nel provvedimento impugnato.

4.2 – Neppure ricorre vizio alcuno della motivazione.

Il giudice a quo ha dato conto adeguatamente – come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte: Cass., Sez. 1, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. 4, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità; laddove le deduzioni, le doglianze e i rilievi residui espressi dal ricorrente, benchè inscenati sotto la prospettazione di vitia della motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito, sicchè, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili à termini dell’art. 606 c.p.p., comma 3. 4.3 – Conseguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Cancelleria provvedere agli adempimenti di rito ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 14-01-2011, n. 48

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Svolgimento del processo

Con il ricorso in esame, ritualmente notificato e depositato, il sig. O.V. espone di essere proprietario di un edificio adibito ad uso produttivo, con annesso locale, esistente da tempo immemorabile, utilizzato esclusivamente come depositomagazzino di materiali e prodotti dell’attività esercitata nell’edificio principale.

Tale manufatto accessorio ha formato oggetto di un intervento di recupero, volto, secondo il proprietario, a rinnovare e sostituire parti anche strutturali del predetto locale, senza alterarne volume, superficie e destinazione d’uso.

Ciononostante il Comune ha ordinato la demolizione e il ripristino, in quanto sarebbero state compiute "opere di demolizione totale e ricostruzione di porzione di fabbricato in travature reticolari e pannelli in poliuretano espanso da adibire ad opificio in assenza di titolo".

Ritenendo, pertanto, illegittimo il provvedimento, il destinatario lo ha impugnato deducendo:

1. violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90, per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento;

2. eccesso di potere per errore sui presupposti e violazione della vigente normativa, in quanto i lavori eseguiti non richiederebbero una concessione edilizia, bensì soltanto una denuncia di inizio attività o un’autorizzazione, dovendo essere qualificati come manutenzione straordinaria o, al più, ristrutturazione. In ogni caso l’assoggettamento al regime concessorio sarebbe escluso dalla qualificazione del manufatto come pertinenza al servizio di edificio già esistente.

Si è costituito in giudizio il Comune intimato, rappresentando come l’area in questione fosse sottoposta a vincolo ex art. 1, lett. c) della legge n. 431/85, nonché a servitù idraulica ex R.D. 25 luglio 1904, n. 523 e come, proprio in ragione di ciò, i lavori di demolizione totale e ricostruzione della porzione di fabbricato in questione siano stati sospesi con ordinanza n. 7/98 del 24 marzo 1998. A tale provvedimento ha fatto seguito l’ordinanza n. 23/98 del 9 luglio 1998 con cui al sig. O. è stata ordinata la demolizione di ben sette opere eseguite in assenza di titolo, tra cui quella oggetto del provvedimento impugnato con il ricorso in esame.

Tale provvedimento non è mai stato impugnato.

In data 9 aprile 1999 il Genio civile della Regione Lombardia, con nota prot. n. 5494/A264, segnalando la servitù idraulica insistente sull’area di proprietà del sig. O. ed in conseguenza dell’accertata occupazione di area demaniale ha richiesto al Comune di ordinare la demolizione dei manufatti non autorizzati.

Ne è scaturita l’ordinanza n. 45/99 con cui, in assenza di alcuna nuova ed ulteriore valutazione, è stata nuovamente ordinata la demolizione sulla sola scorta dell’accertata persistenza dei manufatti.

In ragione di ciò, secondo la difesa comunale, il ricorso sarebbe inammissibile, per effetto della mancata tempestiva impugnazione della precedente ordinanza n. 23/98, rispetto a cui l’ordinanza n. 45/99 si palesa come meramente confermativa.

In ogni caso il ricorso sarebbe infondato, considerato che in materia di abusi edilizi non è previsto l’obbligo della comunicazione di avvio del procedimento, attesa la natura vincolata dell’attività e che l’intervento in questione attiene ad un manufatto rispetto alla cui realizzazione non è mai stato acquisito un titolo legittimante (anche in sanatoria) e comunque non suscettibile di sanatoria in quanto ricadente in area soggetta a vincolo a tutela del preminente interesse ambientale (legge 431/85) e della fascia di servitù idraulica e comunque satura per esaurimento delle proprie potenzialità edificatorie.

Alla pubblica udienza del 16 dicembre 2010 la causa, su conforme richiesta dei procuratori della parti, è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso in esame deve essere dichiarato inammissibile, così come sostenuto dall’Amministrazione resistente.

La natura meramente confermativa del provvedimento impugnato con il ricorso appare di fatto dimostrata dalla circostanza per cui riferimenti e richiami sono gli stessi del precedente atto e dalla lettura del provvedimento non risulta possibile desumere alcuna ulteriore e rinnovata valutazione degli interessi ed esercizio del potere, tant’è che la nuova ordinanza si riferisce agli stessi lavori abusivi, poggia sui medesimi presupposti istruttori (il già richiamato verbale di accertamento del marzo 1998) e sulla medesima motivazione.

Ne discende che il ricorrente non può ritenersi avere alcun interesse concreto ed attuale ad impugnare il secondo provvedimento sanzionatorio, in quanto il suo annullamento non farebbe venire meno l’efficacia e la valenza del precedente, che esso si limita a reiterare.

Diversamente opinando il proprietario che ha posto in essere l’intervento abusivo si vedrebbe avvantaggiato – in violazione del principio della consolidazione degli effetti del provvedimento in ragione della sua mancata tempestiva impugnazione nel termine decadenziale fissato per la notificazione del ricorso – dalla semplice solerzia con cui il Comune ha dato riscontro alla richiesta del Genio civile di provvedere al ripristino, reiterando l’ordine, anziché limitandosi ad intimare l’adempimento dell’ordinanza già notificata, rappresentando la possibilità, in caso di uulteriore inerzia, dell’esecuzione in danno.

Ne discende l’inammissibilità del ricorso avverso l’atto con cui il provvedimento lesivo è stato meramente reiterato, senza determinare alcuna nuova ed autonoma lesività nei confronti del destinatario.

Le spese del giudizio seguono l’ordinaria regola della soccombenza.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida, a favore del Comune, in Euro 2.000,00 (duemila/00), oltre ad IVA, C.P.A. e rimborso forfetario delle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente

Stefano Tenca, Primo Referendario

Mara Bertagnolli, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-01-2013) 14-03-2013, n. 12012

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 1/3/2012, la Corte d’appello di Bologna, in funzione di giudice dell’esecuzione, revocava il beneficio dell’indulto concesso a M.E.M., sul presupposto che il condannato, nel termine di cinque anni dall’entrata in vigore della L. n. 241 del 2006, aveva commesso un delitto non colposo per il quale aveva riportato condanna alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione ed Euro 80.000 di multa.

2. Ricorre per cassazione il difensore di M.E.M., deducendo la violazione di legge, la carenza e l’illogicità della motivazione.

La condanna riportata dal ricorrente aveva ad oggetto plurime condotte di acquisto e cessione di sostanze stupefacenti, poste in essere dal (OMISSIS), ritenute riunite per continuazione: la Corte avrebbe dovuto scindere il reato continuato e valutare congruamente i reati commessi dopo l’entrata in vigore della L. n. 241 del 2006, così da valutare se la pena applicata in concreto per tali episodi superasse o meno il limite di legge ai fini della revoca dell’indulto.

Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

3. Il Procuratore generale, nella requisitoria scritta, conclude per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

La Corte territoriale ha valutato, ai fini della revoca dell’indulto, la condanna riportata dal ricorrente per una pena detentiva nettamente superiore al limite di due anni stabilito dalla L. 31 luglio 2006, n. 241, art. 1, comma 3; peraltro tale condanna è stata emessa in relazione a numerosi delitti, riuniti per continuazione, commessi in un periodo a cavallo del (OMISSIS), giorno di entrata in vigore della legge.

La Corte, pertanto, avrebbe dovuto avere riguardo alla pena inflitta relativamente a ciascuno di essi e non a quella complessiva (Sez. 1, n. 49986 del 24/11/2009 – dep. 30/12/2009, Agnello, Rv. 245967):

d’altro canto la lettera della norma è esplicita nell’indicare, come presupposto della revoca, la commissione di "un delitto" e nel collegare a quel singolo delitto la condanna alla pena detentiva non inferiore ad anni due.

Si deve, fra l’altro, ricordare che, come chiarito da questa Corte a Sezioni Unite, la pena rilevante ai fini della revoca dell’indulto va individuata, con riguardo ai reati-satellite, nell’aumento di pena in concreto inflitto a titolo di continuazione per ciascuno di essi, e non nella sanzione edittale minima prevista per la singola fattispecie astratta; a tal fine, ove la sentenza non abbia specificato la pena applicata per ciascun reato, spetta al giudice dell’esecuzione interpretare il giudicato. (Sez. U, n. 21501 del 23/04/2009 – dep. 22/05/2009, Astone, Rv. 243380).

L’ordinanza impugnata deve, quindi, essere annullata, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna che si atterrà ai predetti principi, verificando – nel caso il calcolo della pena non emerga dalla sentenza di merito – se la pena inflitta per uno dei delitti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della citata Legge, sia non inferiore ad anni due.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Bologna.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen., sez. IV 26-02-2009 (11-02-2009), n. 8805 Momento applicativo – Inapplicabilità in fase d’indagini preliminari.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO
1. Il 29 maggio 2008 il G.I.P. del Tribunale di Firenze – cui gli atti erano stati rimessi a seguito di richiesta, alla quale il P.M. aveva espresso parere favorevole, da parte dell’indagata di definizione del procedimento ex art. 162 c.p. – assolveva M. J.L. da imputazione di cui all’art. 186 C.d.S., perchè il fatto non sussiste.
Rilevava il giudice che:
– nella specie, era stato accertato un tasso di alcolemia di 0,8 mg./l., con "misurazione mediante etilometro sul posto, cioè sulla strada";
– "tale forma, che corrisponde a quella regolata dall’art. 186 C.d.S., comma 3 … non costituisce prova valida dell’esistenza del reato", giacchè il comma 6, della stessa disposizione di legge prescrive che, "qualora dall’accertamento di cui ai commi 4 e 5 (quindi non del comma 3) risulti un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 grammi per litro (g/l), l’interessato è considerato in stato di ebbrezza …";
– dopo la novella legislativa di cui al D.L. 3 agosto 2007, n. 117, convertito in L. 2 ottobre 2007, n. 160, "non ha più efficacia probatoria il ricorso ai c.d. elementi sintomatici esteriori dello stato di ebbrezza …";
– in tal senso indurrebbe anche il testo della Raccomandazione (OMISSIS), alla cui attuazione obbediva la normativa nazionale;
– "… quanto considerato trova applicazione ex art. 2 c.p., comma 2, in quanto l’accertamento mediante etilometro sul posto è avvenuto prima delle modifiche legislative" e "impone di assolvere ex art. 129 c.p.p., l’imputata perchè il fatto non sussiste, essendo mancata la prova dell’elemento costitutivo del tasso alcolemico". 2.0 Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, denunziando il vizio di violazione di legge.
Deduce che "il G.I.P. cade … nell’equivoco di considerare l’etilometro tra gli apparecchi di cui al comma 3 …". In realtà, "il comma 4 prevede la facoltà … di effettuare l’accertamento ‘con strumenti e procedure determinati dal regolamento, anche mediante accompagnamento del conducente del veicolo presso l’ufficio o comando più vicino: ciò ove ricorra una delle ipotesi alternativamente enunciate: a) gli accertamenti di cui al comma 3 abbiano dato esito positivo; b) in ogni caso di incidente; c) ‘quando si abbia altrimenti motivo di ritenere lo stato di ebbrezza", sicchè "gli accertamenti strumentali di cui al comma 3 sono utili ma non indispensabili per sottoporre il conducente a quelli previsti dal comma 4" e "questi ultimi possono essere eseguiti anche laddove lo stato di ebbrezza risulti altrimenti …"; inoltre, "gli stessi accertamenti di cui al comma 4 possono essere eseguiti sul posto, la conduzione nell’ufficio o comando essendo solo eventuale (anche accompagnandolo)" e "gli strumenti e le procedure per l’esecuzione di essi sono determinati dal Regolamento": quest’ultimo, all’art. 379, prevede, appunto, l’uso dell’etilometro, che "è cosa diversa dagli apparecchi portatili previsti dal comma 3 …". 2.1 Il P.G. in questa sede requirente, dopo aver ritenuto "corrette e condivisibili" le argomentazioni del ricorrente, ha dedotto che, "peraltro, l’annullamento deve essere disposto perchè la sentenza, pronunciata a norma dell’art. 129 c.p.p., nel corso delle indagini preliminari e precisamente del procedimento disciplinato dall’art. 141 disp. att. c.p.p., presenta indubbi profili di abnormità", avendo il giudice, in sostanza, fatto governo dell’art. 129 c.p.p., che "riguarda il vero e proprio processo", nel corso del procedimento, "durante le indagini preliminari, che appartengono alla fase anteriore" al processo stesso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3.0 Tale ultimo rilievo del P.G. requirente (che è d’uopo esaminare per primo, per l’evidente carattere di pregiudizialità che l’investe) è fondato.
Invero, il momento applicativo dell’obbligo di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità è fissato dall’art. 129 c.p.p. in "ogni stato e grado del processo", non del procedimento:
esso, quindi, si colloca nel vero e proprio processo, quale esercizio della giurisdizione, non anche nel corso delle indagini preliminari, che riguardano, invece, la fase anteriore al processo, nella quale trova applicazione il diverso istituto dell’archiviazione (così già Cass., Sez. 1^, 1.2.1991, n. 5755, in una fattispecie del tutto sovrapponibile a quella che qui occupa, cioè di richiesta al G.I.P. di accoglimento della domanda di oblazione proposta dall’imputato e di proscioglimento di quest’ultimo per uno dei motivi di merito di cui all’art. 129 c.p.p.; cfr. anche Cass., Sez. 5^, 12.1.2000, n. 111; id., Sez. 5^, 12.11.1996, n. 4903; id., Sez. 6^, 19.10.1990, n. 2702).
Deve, perciò, convenirsi che la sentenza impugnata "presenta indubbi profili di abonormità", che ne impongono l’annullamento, come deduce il requirente: è consolidato indirizzo di questa Suprema Corte, difatti, che è affetto da abnormità, tra l’altro, il provvedimento che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti dalla legge, al di là di ogni ragionevole limite.
3.1 Tanto rende assorbito l’esame del merito del ricorso, peraltro egualmente fondato. Può, invero, al riguardo, ancorchè ultroneamente, osservarsi che la voluntas legis appare certamente evincibile dal dettato della norma nel senso indicato dal ricorrente.
Infatti – come fondatamente quest’ultimo deduce -, dopo aver genericamente evocato all’art. 186 C.d.S., comma 3, la possibilità di sottoporre i conducenti "ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili", il comma 4 della stessa norma richiama espressamente la possibilità "di effettuare l’accertamento con strumenti e procedure determinati dal regolamento", "quando gli accertamenti qualitativi di cui al comma 3 hanno dato esito positivo" (nonchè "in ogni caso di incidente ovvero quando si abbia altrimenti motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi in stato di alterazione psicofisica derivante dall’influenza dell’alcool …"). Poichè, dunque, gli accertamenti di cui al comma 4, da eseguire "con strumenti e procedure determinati dal regolamento", possono intervenire "dopo gli accertamenti qualitativi di cui al comma 3", tra gli strumenti relativi ai distinti accertamenti non può esservi un rapporto di identificazione, ma solo di preliminarietà (dei primi rispetto ai secondi) e viceversa di successività, o di alternatività. In sostanza, una volta che si sia proceduto ad accertamenti qualitativi non invasivi anche "attraverso apparecchi portatili" (comma 3), è possibile, poi, il successivo accertamento quantitativo "con strumenti e procedure determinati dal regolamento" (comma 4): e dunque gli "apparecchi portatili" di certo non si identificano tout court con gli "strumenti e procedure determinati dal regolamento".
Sorregge tale divisamente anche la considerazione che il comma 3 della norma prevede solo "la facoltà" per gli organi di Polizia stradale di procedere a quei preliminari accertamenti qualitativi non invasivi; ed il comma 4 prevede "l’accertamento con strumenti e procedure determinati dal regolamento" non solo nel caso che gli accertamenti di cui al comma 3 abbiano dato esito positivo, ma, come s’è detto, direttamente e senz’altro anche "in ogni caso di incidente ovvero quando si abbia motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi in stato di alterazione psicofisica …".
In tal senso sono anche le indicazioni esplicative e pragmatiche di cui alla Circolare (OMISSIS) del Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, che, ai punti 2.1 e 2.2, a proposito degli "accertamenti preliminari" e delle "caratteristiche degli strumenti utilizzabili per gli accertamenti preliminari", giustamente reca: "Al solo scopo di acquisire elementi utili per motivare l’obbligo di un controllo con l’etilometro, la nuova disposizione … stabilisce che gli organi di polizia stradale possano sottoporre tutti i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili…; la norma ha l’evidente scopo di fornire strumenti di screening veloci per incrementare in modo significativo il numero delle persone controllate … Garantendo il carattere non invasivo dell’esame e la riservatezza personale, la gamma dei metodi utilizzabili è molto ampia. E’ infatti consentito effettuare test comportamentali o di utilizzare apparecchi portatili in grado di rilevare la presenza di alcool senza che ciò si accompagni alla quantificazione del valore. Occorre precisare che per tali strumenti, diversamente dagli etilometri, non è richiesta omologazione secondo le procedure previste dall’art. 379 reg. C.d.S.. … L’esito positivo degli accertamenti con apparecchi portatili non costituisce fonte di prova per l’accertamento del reato in stato di ebbrezza alcolica, ma rende solo legittimo il successivo accertamento tecnico mediante etilometro (strumentazione omologata), in grado di certificare, a fini legali, il valore del tasso alcolemico nel sangue".
Nè a diversa conclusione sul punto può indurre il rilievo che l’accertamento di cui al comma 4, "con strumenti e procedure determinati dal regolamento", avvenga "sul posto, cioè sulla strada", come, nella specie, riporta il provvedimento impugnato:
l’accompagnamento "presso il più vicino ufficio o comando" (indicato nello stesso comma 4) non ha connotazioni di necessità ed indispensabilità, come è dimostrato dalla espressione "anche" ivi contenuta, sicchè, in definitiva nulla osta a che anche l’accertamento "con strumenti e procedure determinati dal regolamento" possa avvenire "sul posto, cioè sulla strada", ed anche senza procedere ad accertamenti preliminari "qualitativi" (non quantitativi) non invasivi.
Se, dunque, il discrimine tra i due tipi di accertamento e procedure (contemplati rispettivamente dal comma 3 e 4) è, piuttosto, come deve ritenersi, la sussumibilità o meno di essi in previsioni e determinazioni regolamentari e nel conseguente valore dei risultati rispettivamente acquisibili (solo preliminari e qualitativi i primi, definitivamente legali e quantitativi i secondi), è dirimente considerare che, com’è ben noto, l’accertamento mediante l’apparecchio etilometro è espressamente previsto e disciplinato dall’art. 379 reg. C.d.S., di cui al D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495:
tale accertamento, quindi, rifluisce nella previsione del comma 4 della norma incriminatrice, richiamato dal comma 6 a comprova dello stato di ebbrezza.
Può soggiungersi, infine, che, sotto altro profilo, non è condivisibile l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui dopo la novella legislativa di cui al D.L. 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, in L. 2 ottobre 2007, n. 160 (e prima ancora al D.L. 27 giugno 2003, n. 151, convertito, con modificazioni, in L. 1 agosto 2003, n. 214), "non ha più efficacia probatoria il ricorso ai c.d. elementi sintomatici esteriori dello stato di ebbrezza …"; al riguardo ha già avuto occasione questa Suprema Corte di rilevare che anche dopo le intervenute modifiche legislative l’accertamento dello stato di ebbrezza può esser tratto da circostanze sintomatiche a tanto inducenti, che comportano, in mancanza di altri decisivi elementi e per il principio del favor rei, la riconducibilità del reato alla previsione dell’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. a), (cfr. ex ceteris Cass. Sez. 4^, 3.6.2008, n. 26132).
4. Il provvedimento impugnato va, dunque, annullato senza rinvio e gli atti vanno trasmessi al Tribunale di Firenze per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi gli atti di Tribunale di Firenze.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.