Cons. Stato Sez. V, Sent., 26-05-2011, n. 3176 Carenza di interesse sopravvenuta

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

le parti con istanza congiunta hanno rappresentato che, a seguito di intervenuto atto di transazione, è venuto meno l’interesse alla decisione;

Ritenuto che, di conseguenza, il ricorso in appello deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, sussistendo i presupposti per la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), dichiara improcedibile il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 13-10-2011, n. 21056 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte:

rilevato che la controricorrente in epigrafe indicata, già dipendente della Regione Siciliana, ha proposto ricorso straordinario al Presidente della Regione per ottenere che alcuni incrementi stipendiali venissero considerati nel calcolo degli aumenti periodici e, per l’effetto, le venissero corrisposte le relative differenze economiche;

che il Presidente della Regione Siciliana ha decretato in conformità e la D.M. ha promosso giudizio di ottemperanza davanti al Consiglio di Giustizia Amministrativa, che con la decisione sopra richiamata ha accolto il ricorso, nominando un commissario ad acta per lo svolgimento dei necessari incombenti;

che la Presidenza della Regione Siciliana, Presidenza della Regione Siciliana – Dipartimento Regionale del Personale dei Servizi Generali di quiescenza, previdenza ed assistenza del personale e Assessorati alla Presidenza, Agricoltura e Foreste, Beni Culturali, Ambientali e P.I., Lavori Pubblici, Lavoro, Sanità, Cooperazione, Commercio, Artigianato e Pesca, famiglia, Politiche Sociali ed Autonomie Locali, Bilancio e Finanze, Territorio e Ambiente, Industria, Turismo, Comunicazioni e Trasporti hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo con un unico motivo il difetto assoluto di giurisdizione stante l’inammissibilità del giudizio di ottemperanza per l’esecuzione di una decisione emanata su ricorso straordinario;

che la controricorrente ha contestato la fondatezza dell’impugnazione, di cui ha chiesto il rigetto con vittoria di spese ed onorari;

che così riassunte le rispettive posizioni delle parti, osserva il Collegio che con le recentissime sentenze nn. 2065 e 2818 -2939/2011, queste Sezioni Unite hanno già rimeditato il problema e discostandosi dall’orientamento seguito in precedenza, hanno innanzitutto riconosciuto, con ampia ed articolata motivazione, che l’evoluzione del sistema portava ormai a configurare la decisione sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica come un provvedimento che pur non essendo formalmente giurisdizionale, poteva tuttavia costituire la base per l’instaurazione di un giudizio di ottemperanza;

che una volta precisato quanto sopra, le Sezioni Unite hanno poi ulteriormente affermato che tale regula iuris doveva trovare applicazione anche per le analoghe decisioni rese dal Presidente della Regione Siciliana, trattandosi di provvedimenti adottati sulla base di una disciplina modellata su quella valevole per i ricorsi al Capo dello Stato;

che trattandosi di principi che il Collegio condivide e ribadisce l’impugnazione di cui si discute va, pertanto, rigettata;

che in considerazione della data di proposizione del ricorso e dell’epoca delle suindicate pronunce, stimasi equo compensare per intero le spese di lite fra le parti.
P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo, rigetta il ricorso e compensa per intero le spese di lite fra le parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-11-2011, n. 23523 Passaggio ad altra amministrazione

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Svolgimento del processo

1. L’odierna parte ricorrente, già dipendente di ente locale nell’ambito del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) dislocato presso istituti e scuole statali e transitato, a decorrere dal 1 gennaio 2000, nei ruoli del personale dello Stato, si rivolgeva al Tribunale di Sala Consilina, giudice del lavoro, per ottenere, nei confronti del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, nonchè dell’Istituto scolastico di nuova destinazione, il riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza. Il Tribunale respingeva la domanda e la decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Salerno, che, con la sentenza qui impugnata, faceva applicazione di una disposizione contenuta nella Legge finanziaria del 2006 (della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218), emanata nel corso del processo.

2. Di questa decisione parte ricorrente domanda la cassazione con due motivi, illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., sostenendo, in particolare, che la previsione della predetta norma sopravvenuta, applicata dalla Corte d’appello, non ha natura retroattiva e quindi non incide sui giudizi in corso al momento della sua emanazione; deduce, poi, che, qualora la si considerasse dotata di efficacia retroattiva, la norma sarebbe incostituzionale sotto molteplici profili. Il Ministero e l’Istituto scolastico non si sono costituiti in questa sede.

Motivi della decisione

1. Il ricorso viene accolto in base alla seguente motivazione, redatta in forma semplificata come disposto dal Collegio in esito alla odierna udienza di discussione.

1.1. La questione oggetto della controversia concerne il trattamento giuridico ed economico del personale ATA trasferito dagli enti locali allo Stato ai sensi della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 8. Tale norma prevede, fra l’altro, che a detto personale venga riconosciuta ai fini giuridici ed economici l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza. Con accordo stipulato tra l’ARAN e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000 è stato stabilito, in proposito, che ai dipendenti trasferiti viene attribuita la posizione stipendiale, tra quelle indicate nell’allegata tabella B, d’importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito da stipendio e retribuzione individuale di anzianità. Successivamente, la L. 23 dicembre 2005, n. 266 (finanziaria 2006), all’art. 1, comma 218, ha recepito i contenuti dell’accordo, stabilendo che la L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 2 si interpreta nel senso che il personale ATA degli enti locali trasferito nei ruoli dello Stato è inquadrato, nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento, con l’attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo stipendio, dalla, retribuzione individuale di anzianità nonchè da eventuali indennità, ove spettanti, previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto degli enti locali, vigenti alla data dell’inquadramento. Da ultimo, le Sezioni unite di questa Corte hanno qualificato la disposizione tra le "norme di sanatoria con efficacia retroattiva" perchè il legislatore, emanandola, ha elevato a dato normativo primario il contenuto di un atto regolamentare o amministrativo a carattere generale (il decreto ministeriale che aveva a sua volta recepito l’accordo collettivo ARAN – Sindacati del 2000) giudicato dalla giurisprudenza inidoneo a derogare una norma di legge (Cass., sez. un., S.U. 8 agosto 2011, n. 17076).

1.2. Sono intervenute, sul tema proposto nella controversia in esame, la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte di giustizia dell’Unione europea. La prima si è espressa con una decisione (sentenza 7 giugno 2011, Agrati ed altri c. Italia) non ancora definitiva, perchè è oggetto di richiesta di rinvio della causa alla Grande Camera, presentata dallo Stato italiano, ai sensi dell’art. 43 della CEDU. La Corte di giustizia (Grande Sezione) si è espressa con la sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C-108/10), sulla domanda di pronuncia pregiudiziale – proposta ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Venezia, nella controversia instaurata nei confronti del Ministero dalla signora S. I. – in merito all’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti. In particolare, la Corte di giustizia ha affermato che: a) la riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro; b) quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo; ed è compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo.

1.3. In base alla decisione della Corte di giustizia, quindi, nella definizione delle singole controversie, è necessario stabilire se si è in presenza di condizioni meno favorevoli. A tal fine, il giudice nazionale (nella attuale controversia: il giudice del rinvio) deve osservare i seguenti criteri. 1) Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito (così il n. 75. e al 77 si precisa "posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano prima del trasferimento". Idem nn. 82 e 83).

Al contrario, non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario (n. 77). 2) Quanto alle modalità, si deve trattare di "peggioramento retributivo sostanziale" (così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve essere "globale" (n. 76: "condizioni globalmente meno favorevoli"; n. 82: "posizione globalmente sfavorevole"), quindi non limitato allo specifico istituto, ma considerando anche eventuali trattamenti più favorevoli su altri profili, nonchè eventuali effetti negativi sul trattamento di fine rapporto e sulla posizione previdenziale. Ili) Quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto "all’atto del trasferimento" (n. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: "all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza").

1.4. Come questa Corte ha già rilevato in analoghe controversie (cfr. Cass. 12 ottobre 2011 n. 20980, ed altre conformi), la sentenza della Corte di giustizia incide sul presente giudizio atteso che in base all’art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme della UE provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona. Il caso in esame deve quindi essere deciso in consonanza con la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e ciò comporta che il ricorso deve essere accolto perchè la violazione del complesso normativo costituito dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 e della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, denunziata dal ricorrente, deve essere verificata sulla base dei principi enunciati dalla Corte di giustizia europea.

2. La decisione impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio ad altro giudice, designato come in dispositivo, che, applicando i suindicati criteri di comparazione, dovrà decidere la controversia nel merito, verificando la sussistenza, o meno, di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di legittimità, alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16-06-2011) 12-07-2011, n. 27105 Misure cautelari

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza 9.12.2010, il tribunale di Bologna, investito ex art. 309 c.p.p., rigettava la richiesta di riesame avanzata da G.G., sottoposto a misura di custodia cautelare in carcere per i reato di incendio, violazione di domicilio e minaccia grave, in danno della ex convivente O.A., nonchè per resistenza a p.u..

Il compendio probatorio veniva ritenuto integrato da: 1) dichiarazioni della persona offesa di essere stata seriamente minacciata dal prevenuto nella notte tra il (OMISSIS), con la frase "prima o poi ti rovino"; 2) testimonianza dell’amica della O., B.A., che nell’occasione venne presa per un braccio dall’imputato; 3) accertato incendio presso la casa della O. nelle ore successive a detto episodio, ad opera di soggetto che si era introdotto clandestinamente all’interno dell’alloggio, arrampicandosi su per il pluviale; 4) rinvenimento dell’imputato poche ore dopo, presso la sua abitazione nell’atto di dormire vestito su un divano; 5) rilevamento di tracce di ossido di rame sia sui pantaloni che sulle giacca indossati dal medesimo la sera del fatto; 6) accertamento di un vistoso arrossamento riportato su entrambe le braccia dal prevenuto; 7) sequestro di materiale incendiario preso l’imputato quale diavolina, accendino e tanica di benzina; 8) accertato tentativo esperito dall’imputato, nella notte in questione di mettersi in contatto con la donna, alle ore 5,27.

Venivano ritenute insussistenti cause di giustificazione, neppure putative, in relazione al reato di resistenza opposta dall’indagato, al momento dei rilievi fotografici, poichè secondo il Tribunale non aveva alcun diritto in detta sede il prevenuto di farsi assistere da un difensore, nè potrebbe essere giustificata l’ignoranza di norme processuali integrative del precetto penale.

Venivano ritenute sussistenti ragioni di ordine cautelare, sotto il profilo della prevenzione sociale, avendo rappresentato la parte offesa ripetuti atti di minaccia e violazioni di domicilio subiti nel tempo; non solo, ma l’azione incendiaria veniva ritenuta ad alto tasso di pericolosità, la tendenza all’abuso di alcool e l’incapacità di autocontrollo davano ragione di un giudizio negativo sulla personalità dell’indagato, già gravato da precedenti penali e che registrava numerose pendenze. Unica misura adeguata veniva ritenuta quella più rigorosa, considerata la assoluta insufficienza, sotto il profilo preventivo della misura della custodia domestica.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell’indagato, che ha dedotto e sviluppato quattro motivi di ricorso.

2.1 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in relazione ai reati di incendio e di violazione di domicilio. Secondo la difesa sarebbe stato omesso di trattare i rilievi critici evidenziati sul giudizio di credibilità intrinseca della persona offesa, posto che la stessa avrebbe offerto indicazioni rivelatesi non compatibili con altre emergenze, con il che il vaglio di credibilità non sarebbe stato serrato come si impone. Inoltre la difesa obietta che è impossibile rilevare e classificare la presenza di macchie sui pantaloni dell’indagato, in base a rilievi fotografici che non consentono detta percezione ed in assenza di perizia sul punto. Le tracce biancastre rinvenute sulla giacca sarebbero incompatibili con la dinamica dello sfregamento, in ragione delle caratteristiche morfologiche del pluviale, ma sul punto il tribunale ha concluso sull’infondatezza del rilievo, atteso che le immagini in atti non sono policromatiche. Vien quindi messa in discussione l’attitudine dimostrativa degli indizi e contestata la mancanza di motivazione specifica, avendo il tribunale fatto ricorso a postulati fallaci, in base a dettami di regole di comune conoscenza empirica, contrastanti con la logica. Tanto più a fronte della differente tipologia cromatica delle macchie rinvenute sugli indumenti sequestrati (rosse sui pantaloni, bianche sulla giacca), il che denota tutta l’incongruenza del dato empirico con l’ipotesi accusatoria di produzione delle macchie in un’azione di ascesa singola ed unitaria e del mancato deterioramento della giacca nell’azione di arrampicamento lungo il pluviale.

2.2 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, quanto al reato di cui all’art. 337 c.p.: l’ipotesi delittuosa non sussisterebbe, in primis perchè manca l’elemento psicologico ed in secundis perchè sarebbe configurabile la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di difesa. Il tribunale avrebbe omesso di valutare la peculiare condizione soggettiva in cui si trovava il prevenuto che non era compatibile con i requisiti costitutivi di consapevolezza e volontà della condotta antigiuridica richiesti dall’art. 337 c.p..

2.3 violazione dell’art. 291 c.p.p., atteso che la richiesta di misura cautelare avanzata dal pm non contemplava tra i reati giustificativi della cattura anche quello in oggetto, con il che la misura sarebbe stata emessa senza domanda.

2.4 mancanza di motivazione sui criteri che condussero alla scelta della misura cautelare più rigorosa: sarebbe stato omesso il vaglio sui rilievi difensivi a supporto della richiesta di sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari. Non sarebbe stata data adeguata risposta alla eccepita inosservanza del principio del minore sacrificio necessario per la libertà personale.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile, a causa della genericità dei motivi che riformulano censure già avanzate in sede di riesame, su cui è intervenuta corretta ed esauriente motivazione. Il tessuto motivazionale conta, come è stato detto, su una solida trama costituita dalla testimonianza della persona offesa, confortata dal contributo rappresentativo di B.A. – quanto ad un’attività di persecuzione ad opera del G. a danno della O. e di pesanti minacce a suo danno- , nonchè da taluni dati oggettivi, quali le tracce di arrossamento sulle braccia del prevenuto che lo stesso cercò di nascondere, tracce di sfregamento sui suoi indumenti e dall’accertata disponibilità di materiale incendiario. Elementi questi che fungono da solida base inferenziale che ha consentito di ritenere con alto grado di probabilità il G. quale autore dell’azione incendiaria. Detta azione del resto rappresentava l’epilogo di una serie di interventi vessatori a danno della donna e la concreta attuazione di pesanti minacce profferite poche ore prima ed udite dalla testimone. Non poteva portare ad opinare diversamente il fatto che allo stato siano carenti gli accertamenti di natura tecnico-scientifica sulle tracce rinvenute e sulla loro cromaticità, la cui attuazione è in corso. Neppure le sbavature nel racconto della vittima potevano essere in detta sede più di tanto valorizzate come vorrebbe la difesa, considerato che trattasi di elementi correttamente valutati dal giudice a quo come non dotati di incidenza valutativa in grado di scompensare il quadro indiziario suddetto, tanto più che è certo che l’indagato cercò di mettersi in contatto con la donna per via telefonica alle ore 5,27, dato questo che comprova l’impulso ossessivo che spingeva l’indagato verso la sua vittima. Ancora del tutto plausibilmente sono stati ritenuti non decisivi i contributi testimoniali dei familiari dell’indagato, connotati da imprecisione sui tempi e di per sè non idonei ad escludere la partecipazione al fatto a lui contestato, poichè diversamente opinando si dovrebbe ipotizzare – come correttamente rilevato dal tribunale – che dopo le pesanti minacce lanciate dal G. alla donna, sia intervenuto un terzo soggetto animato a sua volta da acredine nei confronti della stessa che agì a suo danno senza soluzione di continuità. Pertanto la motivazione dell’ordinanza impugnata si sottrae alle pesanti critiche di carenza ed illogicità, che sono state avanzate.

Anche i motivi sub 2 e 3 sono del tutto inconsistenti e ripetitivi di doglianze già affrontate con lucidità dal tribunale, atteso che la misura cautelare venne emessa anche per il reato di resistenza, poichè in tale senso fu l’istanza formulata dal pm, con il che nessuna violazione del principio della domanda ebbe a verificarsi.

Inoltre, è stato correttamente messo in evidenza che la resistenza venne opposta dall’indagato del tutto consapevolmente e strumentalmente, onde evitare che venisse rilevata traccia sensibile dell’arrossamento sulle braccia, traccia con attitudine dimostrativa dell’intervenuta arrampicata lungo il pluviale, ragione per cui il tribunale ha ritenuto non aderente alle emergenze disponibili la rappresentazione della difesa, secondo cui l’indagato era convinto di aver diritto di farsi assistere da un difensore per le attività di cui all’art. 354 c.p.p..

Quanto infine al motivo sub 4, relativo alle esigenze cautelari, il tribunale ha fornito adeguata motivazione facendo espresso richiamo alla gravità della condotta collocantesi a conclusione di una sequenza di atti vessatori a danno della vittima, alla difficoltà manifestata dal prevenuto all’autocontrollo, alla spregiudicatezza manifestata, alla conclamata tendenza di abusare di sostanze alcooliche, alla riottosità manifestata nei confronti dei tutori dell’ordine. Quadro che ha condotto i giudice della cautela a ritenere con fondatezza che ogni altra misura di minore rigore non si profila adeguata a fronteggiare le stringenti esigenze di prevenzione sociale, alla luce del crescendo di azioni poste in essere dal prevenuto. E’ stato dato atto che per quanto la misura sia greve, si profila allo stato come l’unica in grado di impedire la reiterazione di condotte delittuose a danno della persona offesa, le cui ragioni allo stato debbono esser fatte prevalere sulle esigenze dell’indagato. Nessun deficit motivazionale è dunque apprezzabile neppure sotto questo profilo.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle Ammende.

Dispone trasmettersi a cura della Cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto Penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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