Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con atto 16 aprile 2007 M.A. ha convenuto in giudizio innanzi al tribunale di Pinerolo R.B. e M. P..
L’attore ha esposto che con scrittura privata 16 dicembre 2006 aveva promesso di vendere al R. (che aveva promesso di acquistare per sè o per altra persona da nominare in sede di rogito) un appezzamento di terreno in comune di San Secondo di Pinerolo al foglio 24, mapp. 62 per il prezzo di Euro 40 mila.
Ha riferito, ancora, l’attore che al fine di evitare che terzi confinanti potessero esercitare il diritto di prelazione loro spettante, contemporaneamente a tale contratto preliminare il R. aveva predisposto un contratto di affitto in favore della propria suocera Ma.Pi., con decorrenza dall’11 novembre 2006 e scadenza all’11 novembre 2021.
La Ma. – ha esposto ancora l’attore – non era presente presso la sede della Coltivatori diretti di Pinerolo ove il contratto era stato firmato unicamente da esso M..
Successivamente, peraltro, esso concludente aveva ricevuto, via fax, dal R. copia di tale contratto con la sottoscrizione della Ma. e correzione del canone annuale da Euro 600 a Euro 300.
Tutto ciò premesso, l’attore, evidenziato che i due contratti erano collegati e che siccome il contratto di affitto era simulato e privo di effetti perchè illecito, entrambi i contratti erano nulli.
Ha chiesto, pertanto, il M. che l’adito tribunale pronunciasse la nullità e inefficacia sia del contratto preliminare di vendita del terreno che di quello di affitto perchè illecitamente simulati e stipulati in frode alla legge.
Costituitisi in giudizio la Ma. ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva perchè evocata in giudizio in proprio e non quale rappresentante della società agraria Giorgia e Maddalena, società semplice, contraente del contratto di affitto del terreno (di cui l’attore aveva chiesto fosse dichiarata la nullità) e entrambi i convenuti hanno fatto presente che i due contratti non erano collegati essendo autonomi nei documenti e stipulati da soggetti distinti per cui nessuna rilevanza aveva la circostanza che la Ma. fosse suocera del R..
Hanno concluso i convenuti, pertanto, chiedendo che, disposta la estromissione dal giudizio della Ma., in via principale ogni domanda attrice fosse rigettata, in via riconvenzionale perchè fosse disposto il trasferimento, ex art. 2932 cod. civ. del terreno promesso in vendita in favore della società Giorgia e Maddalena s.s., previo saldo del dovuto, con ordine di trascrizione della sentenza e condanna dell’attore alla restituzione dell’assegno di Euro 20 mila.
Svoltasi la istruttoria del caso l’adito tribunale, dichiarata la carenza di legittimazione passiva della Ma., ha rigettato sia le domande attrici che quella riconvenzionale, dato atto che nel corso del giudizio la prestazione era divenuta impossibile, essendo stato il terreno oggetto di controversia donato dall’attore alla figlia e non essendo stato trascritto il preliminare di compravendita, mentre la trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c. era successiva alla donazione.
Gravata tale pronunzia dal M., nel contraddittorio dei convenuti R. e Ma. che, costituitisi in giudizio, hanno chiesto il rigetto della avversa impugnazione, la Corte di appello di Torino, con sentenza 25 maggio – 16 agosto 2010, ha rigettato l’appello, con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite.
Per la cassazione di tale sentenza, notificata il 4 ottobre 2010, ha proposto ricorso con atto 2 dicembre 2010 e date successive M.A. affidato a 4 motivi e illustrato da memoria.
Resistono, con controricorso notificato il 17 dicembre 2010 R. B. e Ma.Pi..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando violazione degli artt. 1417, 1571, 1615 e 1617 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Si assume, in particolare, che la Corte di appello avrebbe omesso di motivare – o comunque ha motivato in modo erroneo e insufficiente – sulla tesi svolta dall’appellante in base alla quale dagli stessi atti e documenti di causa risulta che il contratto di affitto è simulato, vale a dire che – indipendentemente dalla controdichiarazione – era manifesto che trattavasi di un contratto simulato.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia, ancora, erronea interpretazione dell’art. 1417 cod. civ., in relazione agli artt. 1343, 1344 e 1345 cod. civ., ed art. 2697 cod. civ.. Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – Mancanza ed erroneità della motivazione.
Si censura, in particolare, la sentenza nella parte in cui, dopo avere ritenuto non illecito nè in frode alla legge il contratto di affitto agrario in discussione, non ha dato ingresso alle prove testimoniali dedotte da esso concludente.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia illegittimità (della sentenza gravata per violazione degli artt. 1321 e 1322 cod. civ. Erroneità e contraddite torietà della motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
Si assume, infatti, che erroneamente i giudici a quibus hanno ritenuto i due contratti non collegati, con ciò violando un principio ancora di recente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice (enunciato, in particolare, da Cass. 17 maggio 2010, n. 11974).
4. Con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto non fondata la tesi (prospettata da esso concludente della legittimazione passiva della Ma.Pi. citata in giudizio in proprio e non quale legale rappresentante della società semplice Giorgia e Maddalena, pur essendo stata riconosciuta la sua legittimazione attiva in riconvenzione.
Il motivo, a sua volta, si articola in quattro punti:
– violazione dell’art. 100 cod. proc. civ., in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Erroneità della motivazione;
– violazione dell’art. 100 cod. proc. civ., in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 ed all’art. 2266 cod. civ., artt. 2267 e 2257 cod. civ.;
– violazione dell’art. 100 cod. proc. civ., in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
– violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dell’art. 100 cod. proc. civ., in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Omessa motivazione.
5. A conclusione di ogni motivo – come di ogni profilo del quarto, complesso motivo – il ricorrente ha formulato un quesito di diritto, in applicazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ..
Osserva, al riguardo, il collegio che la L. 18 giugno 2009, n. 69 (Gazz. Uff. n. 140 del 19 giugno 2009, s.o. n. 95/L) mentre all’art. 47 ha abrogato l’art. 366-bis cod. proc. civ. al successivo art. 58, comma 5, ha previsto che le disposizioni di cui all’art. 47 si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato … successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, cioè dopo il 4 luglio 2009.
La pacifica giurisprudenza di questa Corte regolatrice interpreta le sopra ricordate norme nel senso che ove sia oggetto di ricorso per cassazione un provvedimento pubblicato – come la sentenza ora investita di ricorso dal M., pubblicata il 16 agosto 2010 – successivamente al 4 luglio 2009 i vari motivi del ricorso stesso, soggetto alla nuova disciplina introdotta dalla L. n. 69 del 2009, non devono concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (in caso di ricorso proposto ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 1, 2, 3 e 4), nè con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero che le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (in caso di ricorso ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5).
E’ palese, di conseguenza, che i quesiti, sopra ricordati devono ritenersi tamquam non essent e nell’esame dei vari motivi si prescinderà totalmente dagli stessi.
6. Sempre in termini generali e con riguardo a tutti i motivi sopra riassunti si osserva che gli stessi sono inammissibili sotto i seguenti, concorrenti, profili.
6.1. In primis e in via assorbente, si osserva che in tema di ricorso per cassazione, a seguito della novella introdotta dal decreto legislativo 2 febbraio a 2006, n. 40 (Gazz. Uff., n. 38 del 15 febbraio 2006, s.o. n. 40), il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere a pena di inammissibilità … 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda per essere assolto, postula che nel detto ricorso sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato dal ricorso stesso, risulta prodotto, in quanto indicare un documento significa, necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove è rintracciabile nel processo.
Pertanto:
– qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dal ricorrente, è necessaria la produzione del fascicolo di parte e l’indicazione dell’avvenuta produzione in ricorso con la specificazione che il documento è all’interno di esso;
– qualora sia stato prodotto dalla controparte, è necessaria l’indicazione della sua collocazione nel fascicolo di tale parte o la produzione in copia (Cass. 12 dicembre 2008, n. 29279; Cass. 4 settembre 2008, n. 22303).
Facendo applicazione del principio in questione al caso di specie è agevole osservare che tutti i motivi sostanzialmente censurano la interpretazione data dai giudici del merito vuoi del contratto preliminare di vendita inter partes, vuoi, del contratto di affitto agrario che si assume stipulato contemporaneamente a questo, ma non è dato rinvenire in ricorso nè alcuna indicazione dell’occasione in cui tali documenti sono stati prodotti in sede di merito, e della loro collocazione nel fascicolo della parte che li ha prodotti, ma – soprattutto – non sono stati trascritti i punti essenziali di essi e, in particolare, quanto al contratto di affitto, neppure le sue premesse e le parti di esso.
Non è dato – quindi – comprendere, allorchè il ricorrente invoca la legittimazione al presente giudizio della Ma., se tale contratto, certamente sottoscritto da parte della Ma., è stato stipulato da questa in proprio o, piuttosto, dalla società semplice Giorgia e Maddalena.
6. 2. Sempre con riferimento a tutti i motivi di ricorso si osserva – ancora – che quando nel ricorso per cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il motivo è inammissibile, poichè non consente alla Corte di cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 29 novembre 2005, n. 26048;
Cass. 8 novembre 2005, n. 21659; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145;
Cass. 2 agosto 2005, n. 16132, recentemente, Cass. 12 ottobre 2011, n. 20951).
Il vizio di violazione di legge – infatti – consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge, assegnata dalla Corte di cassazione).
Viceversa, la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Recentemente, in questo senso Cass. 27 settembre 2011, n. 19748; Cass. 9 agosto 2010, n. 18375;
Cass. 26 aprile 2010, n. 9908; Cass. 13 aprile 2010, n. 8730, tra le tantissime).
Non controverso quanto precede è agevole osservare che parte ricorrente ancorchè – almeno nella rubrica dei vari motivi e sub motivi (in cui si articola il complesso quarto motivo) – lamenti, sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di numerose norme di diritto (artt. 1417, 1571, 1615 e 1617 cod. civ., con il primo motivo; artt. 1417, 1343, 1344, 1345 e 2697 cod. civ., con il secondo; artt. 1321 e 1322 cod. civ., con il terzo; art. 100 cod. proc. civ., nonchè artt. 2266, 2667 e 2257 cod. civ., con il quadro motivo) nella parte espositiva dei singoli motivi si astiene, totalmente, sia dall’indicare quale sia stata la (erronea interpretazione di quelle norme di legge data dai giudici del merito, sia dal precisare quale sia la (corretta lettura che deve darsi a quelle norme, alla luce della giurisprudenza di questa Corte regolatrice o, della dottrina più autorevole o, almeno, a soggettivo parere della difesa del ricorrente.
Esaurendosi, in realtà, tutti i motivi – ancorchè asseritamente proposti al fine di denunciare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto – nella denunzia dell’apprezzamento espresso dai giudici del merito, in margine alle risultanze di causa, cioè nella prospettazione di (presunti vizi della motivazione della sentenza impugnata, è palese la loro palese inammissibilità sotto il profilo in questione (di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
6. 3. Oltre che sotto i profili sinora evidenziati i vari motivi di ricorso sono inammissibili, altresì, tenuto presente che giusta la stessa giurisprudenza di questa Corte regolatrice, richiamata dalla difesa del ricorrente, accertare la natura, l’entità, le modalità e le conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. 17 aprile 2010, n. 11974).
Certo quanto sopra, si osserva che – contrariamente a quanto suppone la difesa del ricorrente – il motivo di ricorso per cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere inteso a far valere – a pena di inammissibilità in difetto di loro specifica indicazione – carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nella attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi.
Non può, invece, essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti.
Tali aspetti del giudizio, infatti, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, rilevanti ai sensi della norma in esame.
Diversamente il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di legittimità (cfr, Cass. 2 novembre 2010, n. 2512 7; Cass. 13 ottobre 2010, n. 22298; Cass. 26 aprile 2010, n. 9908; Cass. 30 marzo 2010, n. 7626; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394, tra le tantissime).
Pacifico quanto sopra, non controverso che nella specie i giudici del merito hanno escluso un collegamento negoziale tra i due contratti in discussione (preliminare di vendita e affitto) è palese – come anticipato – la inammissibilità delle censure sopra riassunte, atteso che con le stesse il ricorrenti lungi dal denunziare vizi, della motivazione della sentenza impugnata, rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si limita a contrapporre alla in-terpretazione dei vari negozi data dalla corte di appello, la propria soggettiva lettura degli stessi (a prescindere dal considerare, comunque, che non risultano in alcun modo censurate le affermazioni, in diritto, della corte di appello quanto alla impossibilità di ritenere in frode alla legge il contratto di affitto agrario posto in essere al fine di evitare l’esercizio della prelazione agraria da parte di terzi).
7. Quanto, da ultimo, al quarto motivo di ricorso, lo stesso non può trovare accoglimento sotto nessuno dei molteplici profili in cui si articola oltre che per i già rilevati profili di inammissibilità, tenuto presente che:
– contrariamente a quanto del tutto apoditticamente si assume con il primo e il terzo profilo del quarto motivo del ricorso la Corte di appello di Torino ben lungi dal negare la legittimazione passiva della Ma. quanto alla domanda principale e a riconoscerle la legittimazione attiva, quanto alla riconvenzionale, ha chiaramente evidenziato, da un lato, che, la Ma., come assolutamente pacifico in causa, era stata chiamata in giudizio esclusivamente in proprio e pertanto ben poteva eccepire la propria carenza di legittimazione passiva (recte di non essere titolare del rapporto dedotto in causa) e sollecitare la propria estromissione dal giudizio, dall’altro, che nessuna domanda riconvenzionale era stata da lei mai proposta, atteso che essendo il preliminare di vendita stipulato esclusivamente dal promittente acquirente R. solo quest’ultimo aveva la facoltà di fare l’electio amici nella specie in persona della società semplice G. e M. (senza che ciò implicasse la costituzione in giudizio della Ma. nella qualità di legale rappresentante di tale società, specie tenuto presente che non risulta in alcun modo nè che la stessa sia stata evocata in giudizio in tale veste, nè che in tale veste la stessa si sia costituita in giudizio). E’ di palmare evidenza, pertanto, contrariamente a quanto si assume nel prima e nella terza parte del quarto motivo, da un lato, che non sussiste alcuna erroneità della motivazione della sentenza impugnata, per avere escluso che la legittimazione passiva della Ma. al presente giudizio, dall’altro, che la Ma. non ha mai svolto alcuna domanda riconvenzionale (nè in proprio nè quale legale rappresentante della Società Agricola Giorgia e Maddalena);
– quanto al secondo profilo della doglianza di cui al quarto motivo lo stesso è palesemente inammissibile. atteso – da un lato – che pur censurandosi la sentenza impugnata per non avere risposto a quanto a quanto invocato nell’atto di appello in margine all’art. 2266 cod. civ., in ispregio del principio della autosufficienza del ricorso per cassazione non solo è riportato, nei suoi esatti termini, il motivo di appello che si assume non esaminato, ma non si fa alcun riferimento alle modalità e alle circostanze con cui la Ma. ha svolto le proprie difese nel giudizio di primo grado e da cui dedurre che l’attività è stata espletata nella qualità di socio amministratore della predetta società e non in proprio (cfr. Cass. 12 novembre 2004, n. 21520);
– quanto al quarto e ultimo profilo la censura deve essere dichiarata inammissibile atteso che si prospetta come vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3 o n. 5 una (presunta omessa pronunzia su un motivo di appello che può essere denunziata solo sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, cioè quale nullità della, sentenza o del procedimento (cfr. in termini, ad esempio, Cass. 21 marzo 2011, n. 6468. Tra le tantissime, nel senso che la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato è prospettabile, in sede di legittimità, a pena di inammissibilità, esclusivamente sotto l’aspetto della nullità della sentenza o del procedimento, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, Cass., 9 giugno 2011, n. 12968).
8. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 4.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.
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