Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-04-2012, n. 5582 Diritti e doveri del lavoratore Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 5 aprile 2006 il Tribunale di Crotone, in parziale accoglimento delle domande di C.G., Ca.La.

L., P.F. e S.R., impiegati addetti ai sevizi di back office in favore della Banca Popolare di Crotone, ha dichiarato l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato fra i predetti ricorrenti e la IRIT s.p.a., condannando quest’ultima al pagamento delle relative differenze retributive; ha rigettato le residue domande volte ad ottenere l’accertamento dell’illegittima interposizione della IRIT s.p.a. nel rapporto di lavoro instaurato sostanzialmente con la Banca popolare di Crotone e successivamente con la Proinform s.p.a. società succeduta nel contratto di appalto ed a cui erano stati trasferiti tutti i dipendenti ad esclusione dei ricorrenti che non avevano che non avevano voluto aderire ad un accordo sul punto, la condanna della Banca al pagamento delle differenze retributive, e la declaratoria della nullità o inefficacia del licenziamento collettivo intimato con missive del 21 dicembre 1998, con le conseguenze ripristinatone e risarcitorie di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. Con sentenza del 21 gennaio 2010 la Corte d’Appello di Catanzaro, in parziale riforma di detta sentenza, ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento collettivo intimato ai ricorrenti ordinando alla IRIT s.p.a. di reintegrarli nel posto di lavoro precedentemente occupato, e condannando la stessa società al risarcimento dei danni in favore dei medesimi lavoratori corrispondenti alle retribuzioni di fatto dalla data del licenziamento fino all’effettiva reintegra, ed ha confermato, nel resto, la sentenza impugnata. La Corte d’Appello ha motivata tale pronuncia disattendendo le censure relativamente alla sussistenza dell’interposizione illecita di manodopera, considerando, in particolare, sulla base dell’istruttoria svolta nel giudizio di primo grado, che l’apporto del committente, consistente nella cessione in comodato di parte delle attrezzature utilizzate, in relazione al contratto di appalto del 1989, e dei locali ove si svolgeva il servizio appaltato in relazione al contratto del 1996, si configura come accessorio rispetto al servizio appaltato e al valore dell’appalto, e per ciò stesso ininfluente sul rischio imprenditoriale dell’appaltatore e sulla relativa consistenza organizzativa. Riguardo alle riconosciute differenze retributive la Corte territoriale ha considerato che il riferimento alla L. n. 1369 del 1960, art. 3 implichi una qualificazione giuridica della domanda diversa rispetto a quella riferita all’art. 36 Cost., con la conseguente disapplicazione del trattamento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva del settore bancario applicato dall’appaltante ed i cui istituti non possono rientrare tutti nel concetto costituzionale di retribuzione. La Corte d’Appello di Catanzaro ha poi ritenuto che i licenziamenti per cui è causa sono stati intimati in violazione delle norme procedurali di cui alla L. n. 223 del 1991, in quanto la comunicazione di apertura della procedura non presenta un contenuto conforme alle prescrizioni di cui all’art. 4, comma 3 di detta legge, secondo cui devono essere indicati, non solo i motivi che determinano la situazione di eccedenza, ma anche i motivi tecnici, organizzativi e produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio a detta situazione ed evitare la dichiarazione di mobilità, il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali non solo del personale eccedente, ma anche del personale abitualmente impiegato, i tempi di attuazione del programma di mobilità, e le eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze, sul piano sociale, dell’attuazione del medesimo programma. La stessa Corte d’Appello ha considerato, in particolare, che la circostanza per cui successivamente è stato redatto un verbale di accordo sindacale, non assume rilievo ai fini della valutazione della completezza della comunicazione preventiva. Inoltre la Corte di Catanzaro ha considerato che la mancata prova che l’esito della procedura sia stato comunicato ritualmente ai sensi dell’art. 4, comma 9, comporta un ulteriore profilo di inefficacia dei licenziamenti. In ordine alla decorrenza dei rapporti di lavoro, la Corte d’appello ha considerato che le prove testimoniali hanno confermato quelle stabilite dal Tribunale nel giudizio di primo grado, mentre, con riferimento ai contratti di formazione, l’espletata istruttoria di cui la sentenza di primo grado da conto, ha dimostrato che i lavoratori in questione, pur assunti con contratti di formazione e lavoro, non hanno avuto una formazione in senso proprio, ma un mero addestramento pratico e per un periodo limitato, senza alcun insegnamento teorico.

Avverso tale sentenza la IRIT s.p.a. propone ricorso per cassazione articolato su otto motivi.

Resistono con controricorso i lavoratori originari ricorrenti che svolgono ricorso incidentale articolato su cinque motivi.

La IRIT s.p.a. e la Banca Popolare del Mezzogiorno s.p.a. resistono con controricorsi al ricorso incidentale dei lavoratori. La Proinform s.r.l. è rimasta intimata.

Motivi della decisione

I ricorsi vanno riuniti essendo stati proposti avverso la medesima sentenza.

Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. eccependosi il difetto di legittimazione attiva degli originari ricorrenti a proporre la domanda di illegittimità del licenziamento in quanto l’accordo sindacale era stato sottoscritto da C. G. quale rappresentante sindacale dei lavoratori i quali avevano comunque espressamente accettato il licenziamento con l’accordo sottoscritto individualmente in data 18 dicembre 1998.

Con secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in combinato disposto con la L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 eccependosi il difetto di legittimazione attiva dei lavoratori sotto l’ulteriore profilo secondo cui solo le organizzazioni sindacali sarebbero legittimate ad impugnare le procedure di mobilità.

Con terzo motivo si lamenta ancora il difetto di legittimazione attiva dei lavoratori con riferimento alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 in combinato disposto con l’art. 100 cod. proc. civ., rilevandosi un contrasto giurisprudenziale anche in seno alla Corte di Cassazione, riguardo all’interesse dei singoli lavoratori ad impugnare le procedure di mobilità, considerando che le procedure stesse hanno quali destinatari le organizzazioni sindacali.

Con il quarto motivo si lamenta l’errata decisione sull’illegittimità della procedura di mobilità per carenza di informative. In particolare si deduce che erroneamente la Corte d’Appello non avrebbe dato rilievo all’accordo sindacale ai fini della valutazione della completezza della comunicazione preventiva.

Con il quinto motivo si deduce la mancata motivazione sull’errata pronuncia di illegittimità della procedura di mobilità per carenza di informative, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 in combinato disposto con l’art. 112 cod. proc. civ. In particolare si assume che la Corte d’Appello si sarebbe limitata a riportare massime giurisprudenziali e non avrebbe considerato che la procedura di mobilità in questione riguardava una sola filiale.

Con il sesto motivo si deduce la mancata motivazione sull’errata pronuncia di illegittimità della procedura di mobilità per carenza di informative ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 sotto il diverso profilo del mancato riconoscimento che i motivi tecnici organizzativi di cui si lamenta la mancata indicazione nella comunicazione di cui all’art. 4 citato, sarebbero stati comunque riconosciuti dalle parti sociali con l’accordo sindacale stipulato il 17 dicembre 1998.

Con il settimo motivo si censura la dichiarata violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 in combinato disposto con l’art. 5 della medesima legge; in particolare si deduce che erroneamente sarebbe stato affermato che la procedura di chiusura della procedura di mobilità non era stata inviata a tutte le organizzazioni sindacali interessate, in quanto, invece, la procedura riguardava la sola filiale di (OMISSIS).

Con ottavo motivo, articolato, a sua volta, in quattro punti, si lamenta il difetto di motivazione in relazione alla decorrenza dei rapporti di lavoro in questione, alla sussistenza dell’effettiva formazione dei lavoratori, al riconoscimento del trattamento retributivo spettante, ai conteggi applicati, non essendo stata data corretta lettura delle deposizioni testimoniali assunte, e delle categorie del personale previste dal contratto collettivo di categoria.

Con il primo motivo del ricorso incidentale, riguardante C. G., si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., dell’art. 1362 c.c. e segg. e della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e omessa o insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi. In particolare si assume che sarebbe stata immotivatamente esclusa l’esistenza dell’interposizione di manodopera.

Con il secondo motivo riguardante ancora C.G., si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., dell’art. 1362 c.c., e segg., degli artt. 2105, 2728 e 2729 cod. civ. e della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e omessa o insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio. In particolare si assume che sarebbe stata erroneamente affermato che l’assunzione del rischio d’impresa da parte della IRIT è confermata dalla previsione dei contratti di appalto dell’obbligo di specializzazione del personale addetto alle lavorazioni, di conservazione dei documenti, di riservatezza, di copertura assicurativa, elementi che non sarebbero rilevanti ai fini della presunzione indicata dalla L. n. 1360 del 1962, art. 1, comma 3.

Con il terzo motivo, riguardante ancora il solo C.G., si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dell’art. 1346 c.c. e segg., dell’art. 1362 c.c. e segg., degli artt. 2082, 2086 e 2099 cod. civ. e della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e omessa o insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi. In particolare si lamenta che la Corte territoriale avrebbe fondato la sua decisione relativamente all’utilizzo del C. nell’attività oggetto dell’appalto, dalle mansioni da questi svolte al di fuori del contratto d’appalto stesso ma che avrebbero avuto stretta inerenza con l’oggetto dell’appalto, e dai poteri esercitati dalla Banca nei confronti dello stesso lavoratore che non sarebbero stati espressione del potere di etero determinazione, senza indicare da quali elementi abbia tratto il proprio convincimento, e senza considerare le prove testimoniali dalle quali sarebbe emerso che le mansioni svolte sarebbero strettamente inerenti all’attività della banca, e non rientranti fra quelle appaltate.

Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norma di legge con riferimento all’art. 112 cod. proc. civ. con riferimento all’illegittima esclusione dal compenso riconosciuto, del lavoro straordinario prestato e dalla sua inclusione nel TFR. Con il quinto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norma di legge con riferimento all’art. 112 cod. proc. civ. con riferimento all’illegittima considerazione delle somme riconosciute al lordo delle trattenute previdenziali, come indicato nella motivazione della sentenza, e non anche di quelle fiscali. I primi tre motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente, riguardando tutti la legittimazione a proporre domanda di nullità del licenziamento collettivo. A tale riguardo va considerato che risulta superato dalla giurisprudenza di questa Corte l’indirizzo secondo il quale, poichè il lavoratore non è destinatario della comunicazione di avvio della procedura e non è abilitato a partecipare all’esame della situazione di crisi e a proporre soluzioni della stessa, non può far poi valere in giudizio, a propria tutela, in ogni caso, l’inadeguatezza della comunicazione dovendo, invece, a tal fine provare non solo l’incompletezza o insufficienza delle informazioni rese con la comunicazione, ma anche la rilevanza di esse, ossia la loro idoneità, in concreto, a fuorviare o eludere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti all’organizzazione sindacale (Cass. 4228/00). Questa Corte, infatti, con sentenza n. 13196/03 ribadita con sentenza n. 5034/2009, pienamente condivise dal Collegio, ha affermato che il lavoratore è legittimato a far valere la incompletezza della informazione perchè la comunicazione rituale, completa della mancanza di alternative ai licenziamenti, rappresenta, nell’ambito della procedura, una cadenza legale che se mancante è ontologicamente impeditiva di una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato. Nel caso in esame, quindi, non è possibile limitare il potere di impugnazione della procedura di licenziamento collettivo per difetto delle comunicazioni, al sindacato o al rappresentante sindacale dei lavoratori che ha materialmente partecipato alle trattative in materia.

Il quarto ed il sesto motivo del medesimo ricorso principale possono pure essere trattati congiuntamente riguardando entrambi l’asserita sanatoria dell’eventuale difetto di comunicazione e vizio della procedura, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 3 e 9 per effetto del successivo accordo sindacale che avrebbe operato sostanzialmente il controllo sulla correttezza della procedura voluto dalla norma in questione.

Deve innanzi tutto ribadirsi – come questa Corte (Cass., sez. lav., 5 giugno 2003, n. 9015) ha già affermato – che la sufficienza ed adeguatezza della comunicazione di avvio della procedura vanno valutate in primis in relazione alla finalità di corretta informazione delle organizzazioni sindacali. Il fatto che questo fine in concreto sia stato raggiunto – nella specie, per essere stato stipulato tra le parti l’accordo del 17 ottobre 2001 – può essere certamente rilevante per valutare la "completezza" della previa comunicazione di cui all’art. 4, comma 3. Non si tratta di "sanatoria" dei vizi della procedura, bensì di rilevanza del successivo accordo al fine di apprezzare l’adeguatezza della precedente comunicazione di avvio della procedura e di evitare una valutazione astratta e sbilanciata della sufficienza del contenuto della stessa. Se la parte sindacale è stata in grado di negoziare l’accordo in questione, è perchè ha avuto la comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 4 cit; è lo stesso accordo raggiunto che getta luce – retrospettivamente – sul contenuto, e quindi sulla sufficienza, della iniziale comunicazione di avvio della procedura. Ciò non toglie però che, pur a fronte di tale raggiunta intesa tra le parti, il Giudice dell’impugnazione del licenziamento collettivo o del collocamento in mobilità debba comunque verificare – con valutazione di merito a lui devoluta – l’adeguatezza dell’originaria comunicazione di avvio della procedura, non potendo escludersi che questa possa risultare non di meno insufficiente ove il sindacato in realtà non sia stato posto in condizione di partecipare alla trattativa con piena consapevolezza di ogni rilevante dato fattuale per l’obiettiva insufficienza o reticenza di tale iniziale comunicazione e che quindi la trattativa sindacale, pur sfociata nell’accordo, abbia sofferto di un originario "deficit" informativo che ridonderebbe anche in lesione di quell’esigenza di oggettiva trasparenza del processo decisionale del datore di lavoro;

esigenza che – come si rilevava – è sottesa alla prescrizione del secondo e dell’art. 4 cit., comma 3, parimenti a quella di rendere il sindacato edotto di determinati dati di fatto. In altre parole un’iniziale comunicazione di avvio della procedura, che sia in ipotesi assolutamente generica e vuota di contenuto, non è, per così dire, "sanata" ex se dal successivo accordo sindacale perchè risulterebbe del tutto frustrata l’esigenza di trasparenza del processo decisionale datoriale alla quale sono interessati i lavoratori potenzialmente destinati ad essere estromessi dall’azienda; ma il raggiungimento dell’accordo sindacale all’esito del confronto prescritto dall’art. 4 cit., illumina la comunicazione iniziale e consente di norma una valutazione sostanziale della sua sufficienza ed adeguatezza, disancorata da un rigido ed astratto formalismo secondo un apprezzamento che è pur sempre riservato al Giudice di merito.

Questa Corte (Cass. 13 novembre 2000 n. 14679) ha infatti già affermato che le eventuali insufficienze della comunicazione di avvio della procedura di mobilità non perdono rilievo per il solo fatto che sia stato poi stipulato un accordo di mobilità, giacchè gli adempimenti imposti dal citato art. 4, sono intesi a garantire la trasparenza delle scelte aziendali e l’effettività del ruolo svolto dal sindacato attraverso una corretta e completa informazione preventiva (conf. Cass. 5 aprile 2000 n. 4228); cfr. anche Cass. 18 luglio 2001 n. 9743 che ha ribadito che l’inefficacia del licenziamento – che ricorre in caso di omissione della comunicazione per iscritto, alle rappresentanze sindacali aziendali e alle associazioni di categoria nonchè all’Ufficio provinciale del lavoro, contenente l’indicazione dei motivi dell’eccedenza e di tutti gli altri elementi prescritti dall’art. 4, comma 3, della citata legge – non è "sanata" dall’accordo sindacale comprensivo dell’individuazione dei lavoratori da licenziare (in tal senso anche Cass. 11 luglio 2007 n. 15479). Nel caso in esame la Corte territoriale ha di conseguenza esattamente escluso l’effetto sanante del successivo accordo sindacale intervenuto riguardo al licenziamento collettivo in questione. Anche il quinto motivo con il quale si contesta sostanzialmente la genericità della motivazione della sentenza impugnata che non avrebbe considerato la specificità della procedura di mobilità in questione che riguardava una particolare filiale dell’istituto bancario, è privo di fondamento in quanto la motivazione contestata, non solo fa espresso riferimento alla filiale di (OMISSIS) particolarmente interessata alla procedura riproducendo anche il testo della comunicazione fatta nell’ambito della procedura, ma ne ha puntualmente rilevato la sua carenza e non conformità alle prescrizioni di cui alla L. n. 223 citata, art. 4, comma 3.

Il settimo motivo è parimente infondato in quanto non può sostenersi che l’omesso invio della comunicazione a tutte le organizzazioni sindacali interessate alla procedura sarebbe ininfluente e costituirebbe una mera irregolarità formale in quanto la procedura stessa avrebbe interessato una sola particolare filiale della Banca, in quanto, la stessa possibilità di reimpiego dei lavoratori, e la scelta dei lavoratori da licenziare, ovviamente interessa l’intero istituto per cui l’omessa comunicazione a tutte le organizzazione sindacali costituisce una violazione sostanziale della procedura di mobilità da cui consegue la sua illegittimità come esattamente affermato dalla Corte territoriale richiamando anche la giurisprudenza di questa Corte che ha ricordato i motivi per cui la completezza e contestualità delle comunicazioni di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 deve essere intesa in termini di rigorosa sostanziale contemporaneità.

L’ottavo motivo è infondato in quanto viene censurato un presunto difetto di motivazione riguardo a varie circostanze di fatto quali la decorrenza dei rapporti di lavoro, l’inesistenza di formazione nei rapporti regolati da contratti di formazione e lavoro, l’erroneità dei conteggi. Trattasi di circostanze di fatto sulle quali la Corte territoriale si è pronunciata sulla base dell’espletata istruttoria richiamata in modo sommario ma logico, compiuto e sufficiente, per cui la motivazione contestata sfugge ogni censura di legittimità.

Riguardo al ricorso incidentale va premesso che il collegio condivide appieno l’osservazione contenuta nella memoria del controricorso avverso il ricorso incidentale, con la quale si censura il sistema adottato dal contro ricorrente che, all’evidente fine di evitare il rischio di incorrere in un vizio di mancata autosufficienza del ricorso, ha riportato integralmente gli atti della fase di merito trascrivendo numerosi documenti ed i verbali di causa. E’ evidente che la ratio dell’autosufficienza del ricorso è proprio quella di consentire al giudice della legittimità di conoscere del ricorso senza la necessità di ripercorrere il giudizio del merito cercando ed esaminando tutta la relativa documentazione, per cui riportare pressochè integralmente gran parte della documentazione nel corpo del ricorso costringe la Corte a quell’opera di cernita e di valutazione dei fatti documentati che trasformerebbe il sindacato di legittimità in giudizio di merito.

Il ricorso incidentale è comunque infondato. I primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente riguardando tutti l’esclusione della configurabilità dell’interposizione di mano d’opera. Tale configurabilità è stata esclusa dalla Corte di merito con motivazione compiuta e logica che sfugge ad ogni censura di legittimità. In particolare la stessa Corte, richiamando sinteticamente le risultanze istruttorie raccolte nel giudizio di primo grado ha preso in esame gli aspetti di fatto considerati dal ricorrente incidentale e relativi all’apporto dell’appaltante ed il relativo rischio di impresa, pervenendo ad un giudizio di esclusione della dedotta interposizione confermando l’analogo giudizio espresso dalla sentenza di primo grado. Tale giudizio, riservato al giudice del merito, non è censurabile in questa sede, ove sorretto da una motivazione logica che faccia espresso riferimento, come nel caso in esame, alle risultanze istruttorie non rivisitabili in questa sede di legittimità.

Il quarto motivo è infondato. L’art. 36 Cost. regola l’assetto complessivo della retribuzione, e non si può ritenere – in linea di principio – che la negazione di una singola componente della retribuzione comporti (nella specie ai fini del calcolo per il T.F.R.), possibilità prevista nell’art. 2120 c.c., comporti violazione del precetto costituzionale sull’adeguatezza della retribuzione e del principio di equità. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tale principio motivando correttamente la determinazione del trattamento retributivo considerato.

Anche il quinto motivo è infondato. Infatti in tema di processo del lavoro, il dispositivo letto in udienza e depositato in cancelleria ha una rilevanza autonoma poichè racchiude gli elementi del comando giudiziale che non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione; esso non è suscettibile di interpretazione per mezzo della motivazione medesima, sicchè le proposizioni contenute in quest’ultima e contrastanti col dispositivo devono considerarsi come non apposte e non sono suscettibili di passare in giudicato od arrecare un pregiudizio giuridicamente apprezzabile (da ultimo Cass. 26 ottobre 2010 n. 21885). Pertanto, nel caso in esame, in osservanza del corretto dispositivo della sentenza di merito, non può sorgere dubbio che le trattenute di legge a cui si riferisce la sentenza stessa, non possono riferirsi soltanto a quelle previdenziali ma a tutte le trattenute in dipendenza del rapporto di lavoro. La reciproca soccombenza indice alla compensazione fra le parti delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi e li rigetta; Compensa interamente fra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 29 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. III, Sent., 14-12-2011, n. 6566

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1. Con atto notificato il 29 novembre 2011, la C. (già Istituto di Vigilanza Privata L. N. L. s.r.l.) e L. L. s.p.a. hanno impugnato la sentenza n. 12674 del 24 marzo 2010 depositata il 7 giugno 2010, con cui il Tribunale amministrativo regionale della Campania – Sezione I ha respinto il ricorso, spese compensate, proposto avverso gli atti della gara indetta dall’A.O.R.N.A. Cardarelli di Napoli con bando pubblicato sulla G.U.C.E. S142 del 24 luglio 2008, per l’affidamento del servizio di vigilanza e piantonamento delle proprie strutture, di durata quinquennale, per un importo presunto annuo di Euro 3.244.696,84 oltre i.v.a. con aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa, fino all’aggiudicazione definitiva a favore della S. S. S. s.r.l.

1.2. In particolare L. N. L. s.r.l. deduceva l’illegittimità:del bando di gara e del relativo disciplinare nella parte in cui era stata richiesta la produzione, in allegato all’offerta di ciascun concorrente, di una dichiarazione ex D.P.R. n. 445/2000 " che attesti l’insussistenza delle cause di esclusione di cui all’articolo 38 D.lgs. n. 163/2006 e s.m.l."; dell’ammissione alla gara della S. Service, che non avrebbe dichiarato l’insussistenza delle cause di esclusione di cui al citato’articolo 38 per tutti gli amministratori cessati nell’ultimo triennio e la dichiarazione sarebbe comunque da ritenersi incompleta e falsa avendo omesso l’indicazione di decreto penale di condanna per reato "grave" a carico di amministratore cessato; della richiesta della Commissione, in violazione della par condicio, volta all’integrazione di tale dichiarazione.

Soggiungeva che le dichiarazioni sostitutive rese dalla S. mancavano sia dell’espresso riferimento alla consapevolezza delle sanzioni penali di cui all’articolo 76 del D.P.R. n. 445/2000 sia dell’assicurazione che il personale già impiegato sarebbe stato assunto alle stesse condizioni e posizioni economiche e normative.

1.3. Parte appellante, ribadendo la richiesta di subentro nell’aggiudicazione definitiva, con il conseguente risarcimento dei danni, ripropone in questa sede sostanzialmente i motivi già addotti in primo grado, illustrando ampiamente gli stessi e addebitando al T.A.R. vari errores in iudicando.

Con memoria depositata il 12 ottobre 2011 la C. ha replicato ai rilievi svolti dalle controparti rinnovando la richiesta di accoglimento dell’appello.

2. La controinteressata S. S. S. si è costituita con memoria depositata il 21 dicembre 2010 e con successive memorie depositate il 28 gennaio e il 12 ottobre 2011 ha contrastato puntualmente i motivi dell’appello,di cui ha chiesto il rigetto.

3. L’A.S.L., costituitasi con atto in data 12 gennaio 2011, con memoria depositata il 20 gennaio 2011 ha ribadito la legittimità dell’operato dell’Amministrazione.

4. La Sezione V, nella camera del consiglio dell’1 febbraio 2011, relatore il consigliere Scola, ha rinviato all’esame di merito la causa che, all’udienza pubblica del 28 ottobre 2011 di questa Sezione, relatore il consigliere Stelo, presenti i legali di parte appellante e della contro interessata, è stata trattenuta in decisione ai sensi dell’art.60 c.p.a..

5. Ciò premesso il fatto, l’appello è infondato, condividendo le estese e puntuali argomentazioni già svolte dal T.A.R., alle quali si fa richiamo.

Infatti la sentenza del T.A.R., nel dichiarare inammissibile per carenza di interesse la censura di illegittimità del bando e del disciplinare in quanto atti non effettivamente lesivi, ha esaminato approfonditamente e puntualmente e quindi confutato i singoli motivi del ricorso in primo grado, improntati in particolare sulla natura e sui contenuti, sulla completezza e verità nonché sulla interpretazione delle varie dichiarazioni fornite anche in momento successivo dalla S. Service.

La Commissione invero ha ritenuto sufficienti ed idonee, con riguardo alla gara in questione, la documentazione e le dichiarazioni presentate nonché le chiarificazioni prodotte fornendo anche l’interpretazione delle norme via via richiamate anche alla luce del principio della tassatività delle cause di esclusione.

Non ricorrono quindi i lamentati errores in iudicando, posto che le argomentazioni svolte dai giudici di primo grado risultano esaustive ed adeguatamente motivate e quindi non abbisognano di alcuna integrazione.

6. Ne consegue che l’appello è infondato e va respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza come in dispositivo, non essendovi ragione per disporre diversamente, visto che le censure della parte appellante avevano già ricevuto adeguate risposte dalla sentenza di primo grado..

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna parte appellante al pagamento delle spese legali del presente grado, liquidate in Euro 2000,00 (duemila), oltre agli accessori di legge, a favore di ognuna delle controparti costituite (Azienda Ospedaliera Cardarelli – S. S. S. s.r.l.)

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 11-06-2012, n. 9453

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. Co.Vi. e C.M. si opposero, con ricorso dep. il 22.2.03, all’espropriazione immobiliare in loro danno intentata presso il tribunale di Lagonegro dalla Banca Commerciale Italiana spa e fondata su contratto di mutuo con garanzia ipotecaria del 24.11.86 e successivo precetto del 28.7.94, deducendo, per quel che ancora qui interessa, tra l’altro che l’importo richiesto dalla creditrice era derivato dall’applicazione di interessi usurari.

1.2. Fu ribattuto da Intesa BCI Gestione Crediti spa, nella dedotta qualità di succeditrice della creditrice, che le somme dovute erano state calcolate tenendo conto dei cc.dd. tassi soglia ai sensi della L. n. 108 del 1996: sicchè, all’esito dell’istruzione, l’adito tribunale ha rigettato l’opposizione, ad ogni buon conto determinando l’entità del debito degli opponenti in Euro 61.773,36, oltre interessi al tasso contrattuale del 13,75% o, se inferiore, a quello soglia, dal 1.4.07 al soddisfo, con loro condanna alle spese del giudizio.

1.3. Per la cassazione di tale sentenza, pronunziata il 16.1.08 con il n. 18 e notificata il 22.5.08, ricorrono, affidandosi a sette motivi illustrati pure da memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., i Co. – C.; e, resistendo con controricorso la Italfondiarxo spa nella qualità di mandataria tanto di Intesa SanPaolo spa (quale succeditrice di Intesa BCI spa) che di Castello Finance srl (quale cessionaria del credito azionato), solo il difensore di quest’ultima prende parte alla discussione orale alla successiva pubblica udienza del 3.5.12.

Motivi della decisione

2. Va in via preliminare ricordato che alla fattispecie si applica l’art. 366 bis cod. proc. civ. ; al riguardo:

2.1. tale norma è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, e resta applicabile – in virtù dell’art. 27, comma 2 del medesimo decreto – ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione – a far tempo dal 4 luglio 2009 – ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58, comma 5, di quest’ultima (con ultra-attività ritenuta conforme a Costituzione, tra le altre, da Cass., ord. 14 novembre 2011, n. 23800);

2.2. i criteri elaborati per la valutazione della rilevanza dei quesiti vanno applicati anche dopo la formale abrogazione, nonostante i motivi che l’avrebbero determinata, attesa l’univoca volontà del legislatore di assicurare ultra-attività alla norma (per tutte, v.

espressamente Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194);

2.3. quanto ai quesiti previsti dal comma 1 di tale norma, in linea generale:

– essi non devono risolversi nè in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420), nè in un’enunciazione tautologica, priva di qualunque indicazione sulla questione di diritto oggetto della controversia (Cass. Sez. Un., 8 maggio 2008, n. 11210);

– in altri termini (tra le molte e per limitarsi alle più recenti, v.: Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704), essi devono compendiare (e tanto che la carenza di uno solo di tali elementi comporta l’inammissibilità del ricorso: Cass. 30 settembre 2008, n. 24339): a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola dì diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie;

2.4. quanto poi al capoverso dell’art. 366-bis cod. proc. civ., va rilevato che; per le doglianze di vizio di motivazione, occorre la formulazione – con articolazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso – di un momento di sintesi o di riepilogo (come puntualizza già Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002, con indirizzo ormai consolidato, a partire da Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603: v., tra le ultime, Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680) il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure – se non soprattutto – le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002; da ultimo, v. Cass., ord. n. 27680 del 2009); tale requisito non può ritenersi rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002).

3. Tutto ciò posto, degli otto motivi di doglianza effettivamente dispiegati dai ricorrenti vanno preliminarmente considerati quelli – primo, secondo, terzo, quarto, parte del quinto ed ottavo – che riguardano la clausola contrattuale di variazione unilaterale del tasso per i periodi successivi a quello iniziale, essendo comunque prevista almeno la misura iniziale in ragione del 13,75%; al riguardo:

3.1. i ricorrenti:

3.1.1. con il primo di essi – rubricato "art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio" (pagine da 3 a 20 del ricorso) – si dolgono dell’omessa valutazione della facoltà di modifica unilaterale del tasso, riconosciuta alla banca mutuante, ma in misura non predeterminata nè predeterminabile;

3.1.2. con il secondo di essi – rubricato "art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio" (pagine da 20 a 26 del ricorso) – deducono l’erroneità del computo del tasso nella misura iniziale (del 13,75%), senza tener conto della variabilità successiva;

3.1.3. con il terzo di essi – rubricato "art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1284 comma 3A c.c." (pagine da 26 a 32 del ricorso) – concludono con il seguente quesito di diritto: "dica la Corte se, ai sensi dell’art. 1284, comma 3, in un contratto di mutuo ove, per convenzione scritta, l’interesse ultralegale venga determinato per una parte della durata del rapporto e per l’altra per relationena ad elementi estrinseci al documento negoziale, l’indicazione del tasso d’interesse in cifra esatta debba essere considerata la sola applicabile al rapporto";

3.1.4. con il quarto di essi – rubricato "art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1363 c.c." (pagine da 33 a 35 del ricorso) – concludono con il seguente quesito di diritto:

"dica la Corte se, ai sensi dell’art. 1363 c.c., in un contratto di mutuo in cui la misura degli interessi venga regolata da una clausola articolata testualmente in due frammenti, in uno dei quali si esprime la determinazione del tasso d’interessi ultralegale in cifra esatta, in un altro la determinazione del tasso d’interessi per relationem ad elementi estrinseci al documento negoziale, la volontà delle parti in ordine alla determinazione del tasso d’interesse regolatore del rapporto possa essere ricostruita riducendo il significato di uno dei frammenti a quello primariamente attribuito all’altro, in modo da espungere una delle due modalità di determinazione del tasso d’interesse dal significato della clausola";

3.1.5. con il quinto di essi – indicato come ulteriore "4" e rubricato l’art. 360 c.p.c., n. 5, per insufficiente motivazione su un fatto decisivo per la controversia" (pagine da 35 a 39 del ricorso) – lamentano la mancata considerazione dell’applicazione di un tasso di interessi in misura superiore al 13,75%, accertato quale tasso di interesse convenzionale, poi dolendosi, ma solo nel corpo del motivo, anche dell’omessa considerazione dei pagamenti intercorsi;

3.1.6. con l’ottavo di essi – indicato come "7" e rubricato "violazione e falsa applicazione dell’art. 1284 c.c., comma 3 e art. 1419 c.c." (pagine da 49 a 50) – concludono con il seguente quesito di diritto: "è nulla la clausola di un contratto di mutuo stipulato antecedentemente alla L. n. 108 del 1996 ed al Testo Unico Bancario qualora si stabilisce un tasso di interesse numericamente determinato solo per il primo o per alcuni anni della durata del contratto e per gli altri anni successivi la determinazione viene affidata soltanto all’istituto di credito con riferimento alle variazioni che possono verificarsi nel mercato monetario e creditizio per violazione dell’art. 1284 c.c., comma 3, e art. 1346 c.c.";

3.2. la controricorrente deduce la novità della doglianza di nullità del contratto per indeterminatezza degli interessi fin dal primo grado, perchè dedotta per la prima volta nella comparsa conclusionale dep. il 16.8.07;

3.3. sul punto, il tribunale, nella qui impugnata sentenza:

3.3.1. prende in considerazione la doglianza di indeterminatezza del tasso dì interesse, rilevando che "detto tasso d’interesse viene determinato nel contratto sottoscritto dalle parti nella misura del 13,75%" (pag. 6, terz’ultimo capoverso) ed evidentemente non prendendo in alcuna considerazione lo ius variandi contrattualmente previsto, secondo quanto dedotto dagli odierni ricorrenti;

3.3.2. di tale ius variandi non tiene però alcun conto nello sviluppo della decisione, rendendolo di fatto assolutamente irrilevante ai fini di quest’ultima;

3.3.3. esso infatti ricostruisce il dovuto con un primo addendo corrispondente – pag. 8, secondo periodo, sub 1) – alle rate scadute ed impagate sulla base del piano di ammortamento originario, calcolato al medesimo tasso contrattuale del 13,75%, poi applicando gli interessi di mora al medesimo tasso convenzionale, ma ridotto entro i limiti del tasso soglia – pag. 8, secondo periodo, sub 2) – ed infine il capitale residuo pure in ragione del medesimo piano originario – sub 3) – con i relativi interessi di mora su questo solo ultimo e pur sempre in ragione dell’identico tasso originario;

3.3.4. corregge poi le risultanze della c.t.u. applicando i tassi definiti come "non contestati" e pari a quello ancora una volta a quello iniziale ed espressamente individuato del 13,75% fino al primo trimestre 1997 ed ai tassi soglia via via succedutisi;

3.3.5. di conseguenza, decide la controversia applicando esclusivamente l’unico tasso incontestatamente in origine pattuito nel suo esatto e specifico ammontare, pari al più volte ricordato saggio del 13,75%;

3.4. alla stregua di tale ricostruzione, a prescindere da pure evidenti vizi nella formulazione dei quesitì o dei momenti di sintesi, i motivi relativi alla mancata considerazione dello ius variandi del tasso – cioè il primo, il secondo, il terzo, il quarto, gran parte del quinto e l’ottavo – non sono pertinenti alla ratio deciderteli concretamente applicata, visto che il giudice del merito fonda ogni sua decisione sull’operatività esclusivamente del tasso originariamente pattuito, senza alcuna sua variazione successiva; e, del resto, a ben guardare in nessun passaggio specifico gli odierni ricorrenti sostengono che la previsione dello ius variandi possa comportare la nullità dell’intera pattuizione sui tassi e quindi anche nella parte in cui questa ha riferimento al ben preciso valore numerico del 13,75%.

4. Il secondo profilo del quinto motivo, relativo alla mancata considerazione dei pagamenti intercorsi, è inammissibile, perchè, pur introducendo un ulteriore profilo di vizio motivazionale, non è assistito da autonomo momento di sintesi coi rigorosi requisiti ricostruiti sopra al punto 2.4.

5. Quanto al sesto motivo:

5.1. esso è indicato come "5" e rubricato: "art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 108 del 1996, artt. 1 e 2, in relazione all’art. 1339 c.c.";

5.2. esso, contenuto nelle pagine da 39 a 47 del ricorso, è concluso con il seguente quesito di diritto: "dica la Corte se la clausola contenuta in un contratto di mutuo bancario, stipulato anteriormente all’entrata in vigore della disciplina sull’usura (L. n. n. 108 del 1996) e con la quale sono stati pattuiti interessi in misura superiore ai limiti successivamente introdotti dai DD.MM. ex lege 108/96, deve essere sostituita ex lege, quanto alla misura degli interessi convenuti, con i tassi soglia previsti dai suddetti DD.MM.";

5.3. ad esso ribatte la controricorrente, la quale aderisce alla ricostruzione della gravata sentenza in ordine all’applicazione del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1 (conv. con mod. in L. 28 febbraio 2001, n. 24), in conformità sia alla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 25 febbraio 2002, n. 29) che di legittimità (Cass. 25 marzo 2003, n. 4380), trattandosi di contratto di mutuo anteriore all’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996 e non potendosi qualificare il tasso come usurario alla stregua della normativa previgente;

5.4. è però inammissibile, perchè il quesito è formulato senza quegli elementi di specificità indispensabili per la sua pertinenza alla fattispecie (sull’indispensabilità della quale, per tutte, v.:

Cass. Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27347; Cass., ord. 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass. 4 gennaio 2011, n. 80; Cass. 28 settembre 2011, n. 19792; Cass. 21 dicembre 2011, n. 27901): infatti, effettivamente il giudice del merito ha proprio applicato il minore tra il tasso contrattualmente in origine pattuito e quello soglia, così operando secondo quanto gli stessi ricorrenti hanno ritenuto giusto e doveroso fare; la peculiarità sta in ciò, che l’applicazione del tasso soglia come parametro comparativo ha avuto luogo a far tempo dal 1.1.97, ma nel quesito i ricorrenti, appunto non specificando, non possono dirsi avere chiaramente sostenuto la tesi dell’applicabilità retroattiva (del resto, di impossibile configurabilità, non potendo trovare applicazione ciò che è ancora estraneo al mondo del diritto, in difetto di una specifica norma che a tanto autorizzi).

6. Quanto al settimo motivo:

6.1. esso è indicato come "6" e rubricato "art. 360, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1283 c.c.", poi concluso con il seguente quesito di diritto: "dica la Corte se, in caso di risoluzione di un contratto di mutuo per il quale sia previsto un piano di restituzione differita nel tempo, operata con atto di precetto con cui viene intimata la restituzione delle rate scadute nonchè del capitale residuo, sia legittimo, in difetto di previsione contrattuale, applicare gli interessi di mora sulla somma complessiva del capitale residuo e delle rate scadute comprensive di quota interessi";

6.2. ad esso la controricorrente ribatte ripercorrendo e condividendo i calcoli operati nella gravata sentenza, pure rilevando che il tribunale ha calcolato l’importo residuo dovuto in riferimento ai tassi soglia di cui alla normativa antiusura;

6.3. in disparte i profili di erronea formulazione del quesito (questo, da un lato, non facendosi carico di considerare che l’impugnata sentenza non ha mai applicato il tasso eventualmente variato e, dall’altro, mancando della sommaria indicazione della fattispecie concreta e della regola applicata dal giudice del merito), non danno i ricorrenti la prova della disciplina applicabile al rapporto in essere, omettendo – in violazione del principio di autosufficienza del ricorso – la trascrizione del contratto: in tal modo essi non consentono a questa Corte di verificare se al medesimo rapporto, garantito da ipoteca e sorto nel 1986, si applichi la disciplina del credito fondiario (in virtù della quale sugli importi corrispondenti alla quota interessi delle rate scadute si producono ulteriori interessi: per tutte, v. Cass. 3 maggio 2011, n. 9695 e, prima, Cass. Sez. Un., 19 maggio 2008, n. 12639), oppure quella sui mutui non fondiari (fin da Cass. 20 febbraio 2003, n. 2593, essendosi statuito che anche in tema di mutuo bancario non fondiario, con riferimento al calcolo degli interessi, vanno senz’altro applicate le limitazioni previste dall’art. 1283 cod. civ.).

7. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile ed i ricorrenti, soccombenti su questioni non relative alla tecnica di formulazione dei quesiti del ricorso, vanno tra loro in solido, per l’identità della posizione processuale, condannati alle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna Co.

V. e C.M., tra loro in solido, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di Italfondiario spa, quale mandataria di Intesa Sanpaolo spa e di Castello Finance srl, in pers. del leg. rappr.nte p.t., liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre maggiorazione per spese generali, CPA ed IVA nella misura di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-02-2013) 18-02-2013, n. 7938

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 25 settembre 2010 il Tribunale di Genova ha applicato, su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen., la pena di mesi sei di reclusione a E.S. per il reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 236, art. 14, comma 5 ter (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, abbreviato in T.U. imm.).

Al prevenuto era stato contestato di essersi trattenuto, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato dove fu sorpreso, in (OMISSIS), in violazione dell’ordine di allontanamento impartitogli, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, cit., art. 14, comma 5 bis, dal Questore di Savona, notificatogli il 24 maggio 2010.

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso a questa Corte l’imputato personalmente, il quale, con unico motivo, deduce la nullità della sentenza per mancanza di motivazione.
Motivi della decisione

1. La sentenza impugnata va annullata ai sensi dell’art. 2 cod. pen..

Le fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter e comma 5 quater, che puniscono la condotta di ingiustificata inosservanza, rispettivamente, del primo e del reiterato ordine di allontanamento del questore, ancorchè poste in essere prima della scadenza del termine del 24 dicembre 2010, previsto per il recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, devono considerarsi non più applicabili nell’ordinamento interno a seguito della pronuncia della Corte di giustizia U.E. 28.4.2011 (nell’ambito del processo El Dridi, C-61/11PPU), che ha affermato l’incompatibilità della norma incriminatrice suddetta con la disciplina comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla "abolitio criminis", con la conseguente necessità di dichiarare, nei giudizi di cognizione, che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e fare ricorso in sede di esecuzione – per via di interpretazione estensiva- alla previsione dell’art. 673 cod. proc. pen. (c.f.r. le conformi sentenze di questa Sez. 1, in data 28/04/2011, n. 22105 e in data 29/04/2011, n. 20130).

2. Il D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito con modificazioni in L. 2 agosto 2011, n. 129 – recante "Disposizioni urgenti (…) per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari", ha novato le fattispecie, sostanzialmente confermando l’intervenuta abolitio criminis. La nuova formulazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter e comma 5 quater, introdotta con l’Intervento normativo suindicato, non realizza infatti una continuità normativa con le precedenti disposizioni, non soltanto per lo iato temporale intercorrente con l’effetto della direttiva, ma anche per la diversità strutturale dei presupposti e la differente tipologia delle condotte necessarie ad integrare gli illeciti delineati e delle corrispondenti sanzioni. Sul punto è sufficiente ricordare che, oggi, alla intimazione di allontanamento si può pervenire solo all’esito infruttuoso dei meccanismi agevolatori della partenza volontaria ed allo spirare del periodo di trattenimento presso un centro a ciò deputato (Centro di identificazione ed espulsione, abbreviato in CIE). Il decreto legge citato ha istituito, dunque, nuove incriminazioni applicabili solo ai fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della novella.

L’Intervenuta abolitio criminis impone di risolvere il problema che si pone nella presente fattispecie, connotata dalla particolarità della inammissibilità del ricorso (avendosi riguardo a sentenza di applicazione della pena richiesta dalla stesso imputato, con motivazione che, ancorchè succinta, sarebbe in astratto adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni), nel senso che l’incompatibilità normativa è destinata a prevalere anche sulla causa di inammissibilità del ricorso, in quanto alla impossibilità di rilevare cause di non punibilità in costanza di ricorso inammissibile, resistono le ipotesi di successione di leggi, riconducigli all’art. 2 cod. pen.. La nozione di condanna, ricavabile da tale norma in combinato con l’art. 673 cod. proc. pen., deve essere ricondotta al giudicato formale e ciò comporta che, fin tanto che esso non si è formato, spetta al giudice della cognizione prendere atto, in particolare, della intervenuta abolitio criminis e annullare la condanna per fatto divenuto privo di rilievo penale (conformi: Sez. S, n. 39767 del 27/09/2002, dep. 26/11/2002, Buscemi, Rv. 225702, relativa proprio ad una sentenza di applicazione della pena su richiesta; Sez. U, n. 25887 del 26/03/2003, dep. 16/06/2003, Giordano, Rv. 224606, con riguardo ad un più complesso caso di successione di leggi con effetto parzialmente abrogativo del reato oggetto di condanna).

3. Segue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.