Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. I coniugi M.S. e C.M.A., lamentando di essere stati tempestati da telefonate presso la loro abitazione, ma dirette all’Hotel Star, per via della presenza del loro numero telefonico in inserzioni pubblicitarie apparse in numerosi quotidiani, convenivano in giudizio (nel 1992) R. G., quale titolare del suddetto Hotel, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni non patrimoniali patiti. Il R. riconosceva la presenza dell’errore nelle inserzioni pubblicitarie e si difendeva affermando di aver comunicato il numero corretto alla concessionaria della pubblicità, compilando i relativi ordinativi.
Il Tribunale di Rimini, accoglieva la domanda e condannava il R. al pagamento di L. 5 milioni, oltre interessi, in favore dei coniugi.
In esito al gravame proposto dal titolare dell’hotel, la Corte di appello di Bologna rigettava la domanda e condannava i coniugi alla restituzione di quanto percepito (sentenza 6 aprile 2006).
2. Avverso la suddetta sentenza, i coniugi M. ricorrono per cassazione con tre motivi di ricorso, esplicati da memoria.
R. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Il collegio ha disposto l’adozione di una motivazione semplificata.
E’ applicabile, ratione temporis, l’art. 366-bis cod. proc. civ..
1.1. Secondo la Corte di merito, risulta provato che l’errore non è ascrivibile a colpa dell’appaltante, che aveva prodotto, in primo grado, gli ordinativi delle inserzioni pubblicitarie, contenenti il numero corretto, presentati alla società concessionaria della pubblicità.
L’errore sarebbe riferibile alla condotta della società appaltatrice, senza che sia ipotizzabile nessuno dei casi nei quali – secondo la giurisprudenza, l’appaltante risponde insieme all’appaltatore del danno arrecato da questi a terzi.
In ogni caso, secondo il giudice di merito, non sussiste la prova in ordine al danno asseritamente patito. Da un lato, nessun valore avrebbero le dichiarazioni di tre testimoni (de relato actoris) che, comunque, hanno riferito solo di aver trovato occupata la linea telefonica in parte del periodo. Alle suddette non potrebbe attribuirsi neanche valore indiziario rispetto all’allegazione attorea di centinaia di telefonate al giorno, anche considerando il teste dipendente dell’agenzia, che riferisce una limitata diffusione degli annunci errati, subito rettificati, che fanno apparire inverosimile l’allegazione. Dall’altro, mancherebbe ogni prova del danno biologico, consistente nella lesione temporanea o permanente della integrità psicofisica della persona, che non può ridursi al disturbo della serenità familiare.
2. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 2043 cod. civ., degli artt. 106 e 342 cod. proc. civ. e si formula il seguente quesito di diritto:….se nella fattispecie vi è stata applicazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. e degli artt. 106 e 342 cod. proc. civ. e, pertanto accerti se sia ravvisabile una responsabilità del Sig. R. quale titolare dell’Hotel Star, quantomeno anche sotto il profilo della culpa in eligendo; accerti altresì se la controparte erroneamente ha omesso la chiamata in causa, a manleva e garanzia, del preteso responsabile dell’accaduto. Enunci la corte il corrispondente principio di diritto.
Il secondo motivo, pur deducendo vizi motivazionali, si conclude con il seguente quesito: … se sia determinante ai fini della decisione la circostanza che l’Hotel Star, pur avendo riconosciuto l’errore nell’inserzione pubblicitaria, ha erroneamente omesso di chiamare in garanzia il responsabile anche per provare in contraddittorio le proprie asserzioni. Enunci la corte il relativo principio di diritto.
2.1. Entrambi i motivi, collegati, sono inammissibili, sulla base della giurisprudenza consolidata della Corte di legittimità. Si è affermato che "il quesito non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della S.C. in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una "regula iuris" che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata…..la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamene compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione dei ricorrente, la regola da applicare (Sez. Un. 14 febbraio 2008, n. 3519). Ancora, si è chiarito che il quesito di diritto deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.". Con conseguente inadeguatezza del quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (Cass. 30 settembre 2008, n. 24339).
2.2. Nella specie, è evidente la non corrispondenza del quesito del primo motivo ai requisiti richiamati.
Quanto al secondo quesito, i fini della inammissibilità rileva, inoltre, la formulazione di un quesito giuridico – comunque astratto, generico e non conferente rispetto al decisum – all’esito di un motivo in cui si denuncia difetto di motivazione, che avrebbe dovuto concludersi con una sintesi rispetto al fatto controverso.
3. Il terzo motivo, con il quale si deduce la violazione di più norme processuali, censura la parte della sentenza che nega l’esistenza della prova in ordine al danno lamentato.
Resta assorbito dalla pronuncia di inammissibilità dei primi due motivi, concernenti l’an della responsabilità. Comunque, anche il relativo quesito è astratto e generico.
4. In conclusione, il ricorso è inammissibile. Le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012
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