Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-07-2012, n. 13690

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Svolgimento del processo

1. I coniugi M.S. e C.M.A., lamentando di essere stati tempestati da telefonate presso la loro abitazione, ma dirette all’Hotel Star, per via della presenza del loro numero telefonico in inserzioni pubblicitarie apparse in numerosi quotidiani, convenivano in giudizio (nel 1992) R. G., quale titolare del suddetto Hotel, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni non patrimoniali patiti. Il R. riconosceva la presenza dell’errore nelle inserzioni pubblicitarie e si difendeva affermando di aver comunicato il numero corretto alla concessionaria della pubblicità, compilando i relativi ordinativi.

Il Tribunale di Rimini, accoglieva la domanda e condannava il R. al pagamento di L. 5 milioni, oltre interessi, in favore dei coniugi.

In esito al gravame proposto dal titolare dell’hotel, la Corte di appello di Bologna rigettava la domanda e condannava i coniugi alla restituzione di quanto percepito (sentenza 6 aprile 2006).

2. Avverso la suddetta sentenza, i coniugi M. ricorrono per cassazione con tre motivi di ricorso, esplicati da memoria.

R. resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Il collegio ha disposto l’adozione di una motivazione semplificata.

E’ applicabile, ratione temporis, l’art. 366-bis cod. proc. civ..

1.1. Secondo la Corte di merito, risulta provato che l’errore non è ascrivibile a colpa dell’appaltante, che aveva prodotto, in primo grado, gli ordinativi delle inserzioni pubblicitarie, contenenti il numero corretto, presentati alla società concessionaria della pubblicità.

L’errore sarebbe riferibile alla condotta della società appaltatrice, senza che sia ipotizzabile nessuno dei casi nei quali – secondo la giurisprudenza, l’appaltante risponde insieme all’appaltatore del danno arrecato da questi a terzi.

In ogni caso, secondo il giudice di merito, non sussiste la prova in ordine al danno asseritamente patito. Da un lato, nessun valore avrebbero le dichiarazioni di tre testimoni (de relato actoris) che, comunque, hanno riferito solo di aver trovato occupata la linea telefonica in parte del periodo. Alle suddette non potrebbe attribuirsi neanche valore indiziario rispetto all’allegazione attorea di centinaia di telefonate al giorno, anche considerando il teste dipendente dell’agenzia, che riferisce una limitata diffusione degli annunci errati, subito rettificati, che fanno apparire inverosimile l’allegazione. Dall’altro, mancherebbe ogni prova del danno biologico, consistente nella lesione temporanea o permanente della integrità psicofisica della persona, che non può ridursi al disturbo della serenità familiare.

2. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 2043 cod. civ., degli artt. 106 e 342 cod. proc. civ. e si formula il seguente quesito di diritto:….se nella fattispecie vi è stata applicazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. e degli artt. 106 e 342 cod. proc. civ. e, pertanto accerti se sia ravvisabile una responsabilità del Sig. R. quale titolare dell’Hotel Star, quantomeno anche sotto il profilo della culpa in eligendo; accerti altresì se la controparte erroneamente ha omesso la chiamata in causa, a manleva e garanzia, del preteso responsabile dell’accaduto. Enunci la corte il corrispondente principio di diritto.

Il secondo motivo, pur deducendo vizi motivazionali, si conclude con il seguente quesito: … se sia determinante ai fini della decisione la circostanza che l’Hotel Star, pur avendo riconosciuto l’errore nell’inserzione pubblicitaria, ha erroneamente omesso di chiamare in garanzia il responsabile anche per provare in contraddittorio le proprie asserzioni. Enunci la corte il relativo principio di diritto.

2.1. Entrambi i motivi, collegati, sono inammissibili, sulla base della giurisprudenza consolidata della Corte di legittimità. Si è affermato che "il quesito non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della S.C. in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una "regula iuris" che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata…..la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamene compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione dei ricorrente, la regola da applicare (Sez. Un. 14 febbraio 2008, n. 3519). Ancora, si è chiarito che il quesito di diritto deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.". Con conseguente inadeguatezza del quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (Cass. 30 settembre 2008, n. 24339).

2.2. Nella specie, è evidente la non corrispondenza del quesito del primo motivo ai requisiti richiamati.

Quanto al secondo quesito, i fini della inammissibilità rileva, inoltre, la formulazione di un quesito giuridico – comunque astratto, generico e non conferente rispetto al decisum – all’esito di un motivo in cui si denuncia difetto di motivazione, che avrebbe dovuto concludersi con una sintesi rispetto al fatto controverso.

3. Il terzo motivo, con il quale si deduce la violazione di più norme processuali, censura la parte della sentenza che nega l’esistenza della prova in ordine al danno lamentato.

Resta assorbito dalla pronuncia di inammissibilità dei primi due motivi, concernenti l’an della responsabilità. Comunque, anche il relativo quesito è astratto e generico.

4. In conclusione, il ricorso è inammissibile. Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen., sez. I 11-02-2009 (04-02-2009), n. 6002 Istanza di riesame erroneamente dichiarata tardiva – Successiva cessazione della misura

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
1. Con ordinanza in data 02.10.2008 il Tribunale per i Minorenni di Roma dichiarava inammissibile, per essere stata proposta fuori termine, l’istanza di riesame proposta dal minore T.M. R. avverso il provvedimento 08.09.2008 impositivo nei suoi confronti di custodia cautelare in Istituto per minori.
2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto indagato che motivava il gravame deducendo violazione di legge per non aver il Tribunale considerato la sospensione dei termini in periodo feriale.
3. Con ordinanza 14.11.2008 il Gip presso il Tribunale per i Minorenni di Roma disponeva la revoca della misura custodiale nei confronti del predetto minore.
4. Il ricorso, fondato, deve essere accolto. Va invero rilevato come il Tribunale di competenza, dichiarando inammissibile – perchè proposta fuori termine – l’istanza di riesame del T., ha palesemente violato la norma che prevede la sospensione dei termini in periodo feriale, non risultando che l’anzidetto indagato abbia rinunciato a tale sospensione, nè risultando trattarsi di imputazione relativa a fatti di criminalità organizzata (cfr. art. 240 bis disp. att. c.p.p.). Ciò posto, si impone annullamento con rinvio per nuovo esame, e ciò anche se nel frattempo sia cessata la misura cautelare in forza dell’orientamento dettato da questa Corte di legittimità secondo cui, permanendo l’interesse dell’indagato – anche ad altri tutelabili fini – alla verifica del provvedimento restrittivo, si impone comunque giudizio nel merito (cfr., recentissima, SS.UU. 22.01.2009, Novi).
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al tribunale per i Minorenni di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n. 13780 del 23/06/2011 Esercizio del diritto di sciopero e condotta antisindacale del datore di lavoro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Fatto e diritto

1. L’Azienda ospedaliera [OMISSIS] chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Torino, pubblicata il 18 settembre 2006, che ha rigettato il suo appello contro la decisione di primo grado emessa nella controversia ex art. 28 della legge_300_1970 promossa dalla Federazione lavoratori Funzione pubblica CGIL di [OMISSIS].

2. Il sindacato chiese al giudice del lavoro di [OMISSIS] di dichiarare antisindacale il comportamento dell’Azienda consistente nel fatto che, in occasione dello sciopero generale indetto il 30 novembre 2004, in violazione del contratto collettivo di lavoro che regola la materia, aveva omesso di comunicare, entro il termine fissato dalla norma contrattuale, i nominativi dei lavoratori che avrebbero dovuto garantire le prestazioni indispensabili.

3. Il giudice accolse il ricorso ed emise il decreto. L’opposizione dell’azienda venne respinta. L’appello contro tale decisione è stato rigettato.

4. L’azienda articola il ricorso per cassazione in due motivi, illustrati anche con una memoria. Il sindacato si difende con controricorso.

5. Il primo motivo è di natura processuale. Si denunzia la violazione dell’art. 24 Cost. e degli artt. 101, 414, 415, 420, 421, 429 cpc perché la Corte ha considerato legittimo il fatto che il giudice di primo grado abbia emesso il decreto utilizzando un documento che il sindacato ricorrente si riservò di produrre nel verbale d’udienza del 13 dicembre 2004 e poi produsse nell’ufficio del giudice il giorno dopo. Tale documento è l’atto interno del sindacato Funzione pubblica CGIL, in base al quale il giudice ha potuto verificare che la F.P. CGIL medici è una articolazione della Funzione pubblica CGIL e quindi va identificata con la CGIL sanità, firmataria dell’ accordo_sui_servizi_pubblici_essenziali del 20 settembre 2001.

6. La sequenza dei fatti processuali è così articolata: il ricorso venne proposto il 3 dicembre 2004. La comparizione delle parti fu fissata per il 14 dicembre. Nel corso dell’udienza il sindacato si dichiarò disponibile a produrre il documento per consentire la verifica delle sue affermazioni. Depositò il documento il giorno dopo in cancelleria. Il decreto venne emesso dal giudice il 18 dicembre, tenendo conto dell’atto depositato. Del documento si discusse nel giudizio di opposizione, nel corso del quale l’azienda eccepì la violazione del contraddittorio perché la produzione non era stata autorizzata.

7. Non può ritenersi che sia stata posta in essere una violazione di legge. L’art. 28 prevede che il giudice, una volta depositato il ricorso, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommane informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al precedente comma, ordina al datore di lavoro….”. L’istruttoria consiste, pertanto, nella convocazione delle patti e nella assunzione di sommarie informazioni. È una regolamentazione connotata dalla massima informalità, all’interno di un contesto di estrema rapidità.

8. Questa configurazione peculiare del potere istruttorio nella fase sommaria della procedura, consente al giudice di acquisire informazioni, anche dopo l’audizione delle parti, nel modo più informale. In un ambito così caratterizzato, il giudice può considerare, ai fini della emissione del decreto, un documento depositato in cancelleria dopo l’audizione delle parti al fine di comprovare la fondatezza di una affermazione fatta in tale sede. Il contraddittorio, sicuramente compresso nella prima fase, trova piena garanzia nella fase di opposizione, che completerà, se l’altra parte lo vorrà, il giudizio di primo grado.

9. Da ciò deve desumersi che la procedura prevista dall’art. 28 è stata rispettata e che, se anche vi fosse stata nullità del procedimento, la stessa è stata sanata per il raggiungimento dello scopo: con l’opposizione, l’attuale ricorrente ha avuto la possibilità di contestare l’acquisizione documentale e di svolgere, nell’ambito di un giudizio a cognizione piena, tutte le sue difese sul punto.

10. Il motivo è anche inammissibile perché, secondo l’insegnamento di Cass. ss.uu. 30 settembre 2009, n. 20935 (e della prevalente, se non unanime dottrina), la dichiarazione di nullità di atti o provvedimenti compiuti o emessi in violazione del contraddittorio presuppone l’indicazione dello specifico pregiudizio subito dalla parte che lamenta la violazione nonché delle attività che avrebbero potuto essere compiute se la violazione non fosse stata perpetrata.

11. In conclusione, la violazione non c’è stata; se vi fosse stata sarebbe stata sanata; e comunque non è stata ritualmente denunciata.

12. Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 1362 cc e 3 dell’accordo sui servizi pubblici essenziali 20 e 26 settembre 2001, che impone all’azienda di indicare i lavoratori che dovranno, in caso di sciopero, garantire le prestazioni indispensabili. La giustificazione dell’azienda è che non aveva provveduto ad effettuare tale comunicazione perché i lavoratori avevano organizzato i turni in modo da garantire il funzionamento dei reparti.

13. L’art. 3 dell’accordo si esprime così: “la Direzione generale dell’azienda…. individua, in occasione di ogni sciopero, di norma con criteri di rotazione, i nominativi del personale incluso nei contingenti….tenuto all’erogazione delle prestazioni necessarie e perciò esonerato dall’effettuazione dello sciopero. I nominativi sono comunicati alle organizzazioni sindacali locali ed ai singoli interessati entro il quinto giorno precedente alla data di effettuazione dello sciopero”.

14. La norma, pertanto, configura un diritto a sapere chi sono i lavoratori che dovranno garantire le prestazioni indispensabili e che, di conseguenza, sono esonerati dallo sciopero. Titolari di questo diritto sono, da un lato, i lavoratori interessati, dall’altro le organizzazioni sindacali.

15. Nel caso in esame, alcuni lavoratori si sono offerti di garantire tali prestazioni e l’azienda ha preso atto di tale scelta e non ha indicato soluzioni diverse, evidentemente ritenendola adeguata e facendola propria. Ha omesso di comunicare ai sindacati chi fossero tali lavoratori.

16. Dalla lettura della disposizione si desume però che il diritto delle organizzazioni sindacali a sapere almeno cinque giorni prima dello sciopero quali lavoratori dovranno garantire le prestazioni indispensabili, è autonomo e distinto rispetto a quello dei singoli lavoratori interessati. La mancata comunicazione alle organizzazioni sindacali lede questo diritto.

17. Al di là di questo insuperabile dato formale, sussiste un interesse del sindacato che organizza uno sciopero a sapere come verrà risolto il problema delle garanzia delle prestazioni indispensabili e a conoscere i nomi dei lavoratori tenuti a garantirle ed esonerati dalla partecipazione allo sciopero (né può presumersi che il sindacato venga tempestivamente informato direttamente dai lavoratori che hanno dato la loro disponibilità al datore di lavoro, specie qualora questi lavoratori siano iscritti ad altre associazioni sindacali o non siano affiliati ad alcun sindacato). Tale interesse del sindacato è riconosciuto e tutelato dal contratto collettivo.

18. Il ricorso dell’azienda ospedaliera, pertanto, deve essere rigettato. Le spese devono per legge essere poste a carico della parte che perde il giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’azienda ricorrente al rimborso, al sindacato controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 15,00 Euro, nonché 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Depositata in cancelleria il 23 giugno 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 17-01-2011, n. 213 Carenza di interesse sopravvenuta

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Svolgimento del processo

Gli attuali appellanti ed originari ricorrenti impugnavano la delib. G.p. Bolzano 17 giugno 1996 n. 2746, recante l’autorizzazione agli assessori alla sanità ed all’amministrazione del personale a firmare l’ipotesi di accordo provinciale, con prelievo dal fondo per la sua attuazione, nonché l’accordo stesso per il personale dell’area della dirigenza sanitaria, amministrativa, tecnica e professionale, limitatamente all’art. 5, comma 2. ove non estendeva agli psicologi l’art. 10 della delib. G.p. 21 ottobre 1991 n. 6183, in tema di plusorario e d’incentivazione della produttività.

Essi deducevano: violazione del principio di omogeneizzazione del trattamento economico dirigenziale (art. 46, d.lgs. n. 29/1993); eccesso di potere per disparità di trattamento; grave e manifesta ingiustizia; lesione dell’affidamento suscitato in sede di trattative.

La provincia intimata si costituiva in giudizio ed eccepiva l’inammissibilità del ricorso, non notificato a tutte le parti sottoscriventi l’accordo, nonché il difetto di giurisdizione amministrativa, tenuto anche conto dell’intervenuta privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, ad opera del d.lgs. n. 29/1993, che ha disciplinato con contratti collettivi (anche transattivi) i suoi vari settori, senza ulteriore necessità di trasfusione in provvedimenti amministrativi (salva l’autorizzazione preventiva).

Il T.r.g.a. di Bolzano disattendeva le due eccezioni preliminari e respingeva il ricorso nel merito, considerando il compenso incentivante ex legge provinciale n. 50/1978 alla stregua di elemento non essenziale ma accessorio (ex art. 49, d.lgs. n. 29/1993, in rapporto alle esigenze di una vita libera e dignitosa e, rispettivamente, alla quantità e qualità del lavoro, secondo indici di produttività individuale e collettiva e tipologie di attività disagiate o pericolose: cfr. art. 36, Cost.) del trattamento retributivo del dirigente sanitario e, dunque, differenziabile tra le varie categorie di personale (psicologi, farmacisti, biologi), salvi i casi di manifesta irragionevolezza (cfr. Corte cost., sentenza n. 1089/1988), mentre dell’asserito stralcio dal testo contrattuale della disposizione estensiva del discusso beneficio agli psicologi non vi era traccia in atti.

Detta pronuncia veniva, quindi, impugnata dai soccombenti in prime cure, che riproponevano le censure già rigettate in prima istanza, insistendo nell’esigenza di omogeneizzare (in sede sostanziale e normativa) i profili retributivi di settori operativi contigui, mediante contratti collettivi pur sempre autorizzabili solo con previ atti amministrativi (donde la loro impugnabilità, in sede giurisdizionale amministrativa, per i tradizionali tre vizi di legittimità, ivi compreso l’eccesso di potere), mentre la proposta di accordo 17 novembre 1995 (in atti) conterrebbe la discussa estensione esplicita del beneficio agli psicologi, previsione poi inopinatamente ed unilateralmente stralciata.

La provincia appellata si costituiva in giudizio ed eccepiva il corretto operato dei primi giudici, evidenziando come non fosse stato ritenuto possibile consentire agli psicologi un’attività libero professionale da svolgere dentro all’ospedale (come per i medici, biologi, chimici e fisici), fermo restando il dissenso sindacale circa l’avvenuto stralcio della previsione del beneficio di cui sopra.

All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione, dopo che: a) – gli appellanti avevano depositato una propria memoria riassuntiva, in cui richiamavano tutti gli argomenti difensivi già esposti in precedenza e ponevano in luce come nei successivi accordi collettivi del 2003 e del 2009 fosse stata finalmente sancita la piena equiparazione retributiva, anche quanto al compenso incentivante, con esplicita estensione pure agli psicologi, considerati come appartenenti di pieno diritto alla dirigenza sanitaria; b) – la provincia di Bolzano, con sua memoria, aveva evidenziato l’intervenuta cessazione della materia del contendere, essendo sopraggiunti i due nuovi contratti collettivi appena citati, e la sopravvenuta carenza d’interesse a coltivare l’appello in esame, in rapporto ad una situazione esauritasi da sette anni, a nulla rilevando, comunque, il lamentato stralcio dell’auspicata estensione di quest’ultimo, in sede di conclusione del più volte richiamato accordo collettivo del 1996, sottoscritto pure dall’A.u.p.i., malgrado il dissenso separatamente manifestato.

All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione

Motivi della decisione

Il collegio non deve far altro che prendere atto della richiesta della Provincia autonoma di Bolzano di declaratoria d’improcedibilità per sopravvenuto difetto d’interesse in capo agli appellanti interessati, a spese ed onorari interamente compensati, per giusti motivi, tra le parti costituite in giudizio, essendo sopraggiunti i due nuovi contratti collettivi del 2003 e del 2009, con la sopravvenuta carenza d’interesse a coltivare l’appello in esame, in rapporto ad una situazione esauritasi da sette anni, tanto più che gli interessati non potrebbero di certo svolgere la loro attività intramurale ora per allora, presupposto indefettibile per poter vantare una pretesa in relazione al discusso compenso incentivante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione V, definitivamente pronunciando sull’appello, lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Spese ed onorari di questo grado del giudizio interamente compensati fra le parti ivi costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.