Cass. civ. Sez. V, Sent., 30-06-2011, n. 14337 Accertamento Imposta reddito persone fisiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 14 gennaio 2001 veniva notificato alla NEDA s.p.a. un avviso di accertamento relativo alla dichiarazione IRPEG – ILOR per l’anno di imposta 1995. L’accertamento basato su una verifica fiscale compiuta dalla Guardia di Finanza rilevava la omessa dichiarazione di redditi fondiari, la dichiarazione di elementi negativi riferibili a un terreno non strumentale all’attività di impresa, la presenza di altre componenti negative del reddito non deducibili e in particolare gli accantonamenti effettuati in misura eccessiva al fondo svalutazione crediti.

La C.T.P. di Milano accoglieva l’opposizione quanto ai primi due motivi di accertamento e la respingeva quanto ai crediti perchè ceduti in base a contratti di factoring stipulati dalla NEDA. Sia l’Agenzia delle Entrate che la NEDA proponevano appello ma la C.T.R. della Lombardia confermava la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione la s.p.a. NEDA in liquidazione affidandosi ad un unico motivo di ricorso.

Si difende con controricorso l’Agenzia delle Entrate che propone,, a sua volta, ricorso incidentale basato su due motivi di impugnazione.
Motivi della decisione

Preliminarmente i due ricorsi vanno riuniti.

Con l’unico motivo di ricorso principale si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 71 (ora art. 106 del T.U.I.R.) e vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia. La ricorrente rileva che erroneamente la C.T.R. non ha tenuto conto del carattere della cessione dei crediti (ancora iscritti all’attivo del bilancio) e cioè quello di una semplice cessione per l’incasso senza trasferimento del rischio, Il motivo è fondato. Non può condividersi infatti nè dal punto di vista dell’I’nterpretazione della normativa di cui al T.U.I.R., nè dal punto di vista in.otivazion.ale, con riferimento alla fattispecie concreta, la ragione per cui la C.T.R. ha escluso la legittimità dell’iscrizione a bilancio dei crediti ceduti prò solvendo e conseguentemente l’accantonamento al fondo svalutazione crediti della somma di lire 72.597.000. Secondo la C.T.R. i crediti ceduti in factoring debbono essere considerati usciti dalla sfera economica e patrimoniale del cedente atteso che la loro retrocessione dovuta a mancato pagamento, deve considerarsi solo eventuale. La giurisprudenza di questa Corte (a partire da Cass. Civ. sez. 5^ n. 2133 del 14 febbraio 2002) ha ripetutamente affermato, in tema di crediti ceduti prò solvendo che la deduzione degli accantonamenti iscritti nel fondo rischi su crediti, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 66, si applica ai crediti ceduti se, e nella misura in cui, essi, nonostante la cessione, determinino una situazione di rischio per il cedente. D’altra parte è fuori discussione, in base alla disciplina degli artt. 2423 bis e 2423 c.c., che del rischio di inadempimento relativo ai crediti ceduti prò solvendo deve tenersi conto nella redazione del bilancio, con la conseguenza che essi devono essere calcolati ed esposti separatamente da quelli derivanti dai crediti non ceduti e dei crediti ceduti prò soluto. La pretesa dell’amministrazione finanziaria di escludere la deducibilità dei crediti ceduti è fondata solo nei limiti in cui i crediti ceduti non comportino un rischio di inadempimento, secondo le regole aziendalistiche di calcolo della corrispondente svalutazione dei crediti. In particolare il calcolo dei rischi su crediti deve essere effettuato secondo le norme tecniche della scienza aziendalistica, applicando regole analoghe a quelle analitiche e/o sintetiche, che si applicano per le analisi e per le stime della svalutazione dei crediti.

Con il primo motivo di ricorso incidentale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 57 T.U.I.R. e la illogica, contraddittoria, insufficiente motivazione. L’Agenzia fa rilevare che le riprese contestate dalla contribuente si riferiscono all’acquisto di un terreno da ritenersi non strumentale e quindi produttivo di reddito fondiario soggetto a imposizione.

Il motivo è fondato. La C.T.R. ha contraddittoriamente affermato che il terreno non è stato destinato, nell’anno cui si riferisce l’accertamento, alla realizzazione e all’utilizzazione di uffici e magazzini strumentali all’attività di impresa ma, allo stesso tempo, ha escluso la legittimità della ripresa a tassazione del reddito fondiario rilevando che non risulta che il terreno sia stato utilizzato cosicchè il carattere agrario del terreno non può rilevare, secondo la C.T.R., in assenza di una prova dello sfruttamento della terra. Tali affermazioni sono in palese contrasto con gli artt. 40 e 57 del T.U.I.R. che escludono la tassabilità dei redditi fondiari degli immobili strumentali all’attività di impresa mentre escludono che la tassabilità dei redditi fondiari relativi ai beni non strumentali di proprietà dell’impresa sia condizionata allo sfruttamento a fini agrari.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale si deduce la omessa, insufficiente e illogica motivazione. Rileva l’Agenzia che gli interessi passivi non ammessi, ma ritenuti erroneamente dalla C.T.R. deducibili perchè relativi all’acquisto del terreno, non si riferiscono in realtà all’acquisto del terreno ma sono relativi in parte ad anticipazione su crediti e in parte a dilazioni su pagamenti dovuti.

Il motivo va accolto perchè si rende necessaria una riconsiderazione della deducibilità degli interessi, sia sotto il profilo della causale cui si riferiscono realmente sia sotto il profilo, eventuale, della consequenzialità della decisione sulla loro deducibilità rispetto a quella concernente il terreno, originariamente acquisito per realizzare magazzini e uffici strumentali all’attività di impresa ma successivamente non utilizzato a tal fine, secondo quanto rilevato dalla C.T.R., per un mutamento nelle strategie imprenditoriali.

I ricorsi vanno pertanto accolti con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia che deciderà anche in merito alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li accoglie, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della C.T.R. della Lombardia che deciderà anche sulle spese processuali del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 22-04-2011, n. 1040 Carenza di interesse sopravvenuta Procedimento

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Svolgimento del processo

Con l’odierno ricorso gli esponenti, tutti residenti o domiciliati nelle vicinanze del luogo di installazione dell’antenna oggetto del provvedimento impugnato, si dolgono dell’autorizzazione in questione, lamentandone la illegittimità sotto più profili.

Si è costituita la spa T.I.M. con controricorso.

Con decreto del 19 maggio 2005 è stata accolta la domanda di misura cautelare, fissando la discussione collegiale della domanda medesima al 24 maggio 2005.

A seguito di rinvio, alla Camera di Consiglio del 12 luglio 2005 i ricorrenti hanno rinunciato alla sospensiva facendo presente l’esistenza di trattative in corso con la società avversaria.

In effetti, in data 30.12.2010, è stato versato in atti dalla difesa ricorrente copia dell’accordo raggiunto tra le parti – ricorrenti e T.I.M. spa – nel senso che, la seconda si è impegnata a sospendere, sino al 15.10.2005, le operazioni di installazione dell’antenna e, in cambio, i primi si sono impegnati a rinunciare, a spese compensate, all’istanza di sospensiva e, in caso di positiva individuazione di un nuovo sito, a rinunciare al ricorso, con modalità da concordare in un secondo tempo.

In data 31.12.2010 T.I.M. spa ha depositato agli atti copia della "Comunicazione di fine lavori" datata 15.06.2007 con la quale, in relazione all’autorizzazione unica n. 105/2004, qui gravata, ha reso noto al Comune di Milano di avere interrotto, in data 20.05.2005, i lavori inerenti la predetta autorizzazione, rimuovendo quanto già realizzato e ripristinando l’area allo stato iniziale, con conseguente dichiarazione di ultimazione dei lavori e contestuale richiesta di "archiviazione della pratica, atteso che nel frattempo risulta decorso il termine di cui all’art. 87 comma 10 del d.lgs. n. 259/2003 per l’ultimazione delle opere sospese alla data del 20.05.2005".

Con memoria depositata il 10.01.2011 la difesa ricorrente, pur dando atto della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso, ha insistito per la condanna alle spese della soc. controinteressata costituita (che, a suo dire, avrebbe col suo comportamento processuale impedito che si potesse tempestivamente rinunciare al ricorso).

Ha replicato con ulteriore memoria Telecom Italia spa, rilevando come – una volta scaduto il termine del 15.10.2005 concordato con i ricorrenti per la sospensione dei lavori – la società stessa avrebbe volontariamente prorogato la suddetta sospensione, senza rinvenire alcuna soluzione localizzativa alternativa, sino ad incorrere nella decadenza del titolo autorizzatorio, ai sensi dell’art. 87, comma 10, del d.lgs. n. 259/2003.

Alla pubblica udienza del 10.02.2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Motivi della decisione

Ritenuto che, nel processo amministrativo, la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse può essere pronunciata al verificarsi di una situazione di fatto o di diritto del tutto nuova e sostitutiva rispetto a quella esistente al momento della proposizione del ricorso, tale da rendere priva di qualsiasi residua utilità giuridica, ancorché meramente strumentale o morale, una pronuncia del giudice adito sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 9.9.2009, n. 5402; id., 11.10.2007, n. 5355; Cons. St., Sez. V, 6.7.2007, n. 3853; e, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 10 settembre 2010, n. 6549; id. 05.03.2010 n. 1280).

Ritenuto, altresì, con specifico riguardo al caso in esame, che la suddetta declaratoria ben si attagli all’ipotesi di un mutamento della situazione di fatto o di diritto presente al momento della presentazione del ricorso, che faccia venire meno l’effetto del provvedimento impugnato e sia tale, quindi, da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza (in ciò distinguendosi la ridetta declaratoria di improcedibilità dalla cessazione della materia del contendere, che si verifica allorquando l’Amministrazione, in pendenza del giudizio, annulli o comunque riformi in maniera satisfattoria per il ricorrente il provvedimento amministrativo contro cui è stato proposto il ricorso (cfr. sempre Consiglio Stato, sez. V, 05 marzo 2010, n. 1280).

Considerato che, nel caso in esame, è di tutta evidenza l’assenza, per i ricorrenti, di qualsiasi utilità ricavabile dalla definizione dell’odierno giudizio, poiché la sopravvenuta decadenza dal titolo autorizzatorio oggetto di impugnazione – espressamente sancita dall’art. 87, comma 10, del d.lgs. n. 259/2003 in caso di mancata realizzazione delle opere nel termine perentorio ivi assegnato – priva i ricorrenti di qualsiasi interesse ad una decisione dalla quale gli stessi, comunque, non potrebbero trarre alcuna utilità (cfr. in terminis, Consiglio di Stato, Sez. V, 10.09.2010 n. 6549).

Per le precedenti considerazioni, il Collegio dichiara la improcedibilità del ricorso in epigrafe specificato, per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.

Quanto alle spese di lite, il Collegio non ravvisa ostacoli ad una compensazione integrale delle stesse tra le parti costituite, atteso che, l’inutilità della pronuncia si collega ad un chiaro contegno collaborativo di parte controinteressata, i cui effetti non potevano non essere noti alla difesa ricorrente (cfr., a proposito dell’amplissima discrezionalità di cui è espressione la statuizione del Giudice sulle spese del giudizio, Consiglio di Stato, sez. V, 26 agosto 2010, n. 5961; Cons. di Stato, V, 22 giugno 2004, n. 4359; IV, 22 giugno 2004, n. 4471; VI, 17 febbraio 2004, n. 642; IV, 4 febbraio 2003, n. 569).
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 29-04-2011) 11-05-2011, n. 18591 Nullità e inesistenza

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza, deliberata il 17 giugno 2010 e depositata il 15 luglio 2010, la Corte di assise di appello di Catanzaro – per quanto qui rileva – ha confermato la sentenza del giudice della udienza preliminare del Tribunale di quella stessa sede, 7 dicembre 2007, nel capo relativo alla condanna dell’appellante N.G. pel concorso (morale) nel delitto di omicidio premeditato commesso in danno di C.G., in (OMISSIS), e – in dipendenza del contestuale proscioglimento dal giudicabile dal delitto di estorsione dichiarato prescritto, in riforma della sentenza appellata – ha rideterminato (fermo il concorso delle attenuanti generiche e della diminuente di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 8, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, già concesse in prime cure) la pena principale in anni cinque e mesi quattro di reclusione.

Premesso che nella fase delle indagini l’imputato ha reso confessione (ritrattata nel corso del giudizio), la Corte territoriale ha osservato in relazione ai motivi di gravame e per quanto rileva nella sede del presente scrutinio di legittimità: affatto correttamente – nel contrasto tra le dichiarazioni dell’appellante – il primo giudice ha ritenuto attendibile e veridica la confessione, valutando falsa la ritrattazione; il giudicabile, infatti, in plurimi interrogatori sostenuti tra il novembre 1995 e il dicembre 1997, ha rivelato il proprio coinvolgimento nella concorsuale deliberazione del fatto di sangue, "con dovizia di particolari" circa la "sita partecipazione al crimine"; la confessione è apprezzabile "per la precisione delle informazioni fornite .. per la logicità e la coerenza del narrato";

e prive di pregio sono le censure difensive in ordine alla veridicità della confessione, concernendo le relative deduzioni mere discrasie "marginali, fisiologiche e, comunque, del tutto ininfluenti"; mentre la ritrattazione del giudicabile appare finalizzata solo a "evitare la condanna" e si basa "su argomentazioni illogiche", quali quelle che la collaborazione sarebbe stata indotta dalle forze dell’ordine, le quali gli avrebbero prospettato che era in imminente pericolo di vita, e che le accuse sarebbero state motivate da sentimenti di astio e di vendetta; invero, come esattamente, rilevato dal giudice della udienza preliminare la ritrattazione è, oltretutto, tardiva, essendo intervenuta dopo dieci anni dalla propalazione; e, inoltre, risulta affatto intempestiva, anche rispetto alla decisione dell’imputato di interrompere la collaborazione e alla conseguente revoca del programma di protezione, disposta nell’agosto 2002. 2. – Ricorre per cassazione l’imputato, col ministero del difensore di fiducia, avvocato Luigi Fornari, mediante atto recante la data del 15 ottobre 2010, col quale sviluppa tre motivi, denunziando, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mancanza della motivazione in relazione all’omesso esame delle deduzioni critiche formulate con l’atto di appello.

2.1 – Con il primo motivo il difensore, investendo il punto della attendibilità della confessione, censura che Corte territoriale non ha considerato quanto appresso: i "riscontri" della "dichiarazione confessoria" sono "insignificanti", essendo costituiti dal furto dell’auto utilizzata per la commissione dell’omicidio e da un acquisto effettuato in una farmacia di (OMISSIS); il primo giudice non ha sottoposto le prime dichiarazioni del ricorrente "a vaglio critico profondo"; la "indicazione delle date e delle attività precedenti il delitto", contenuta nella confessione, non è compatibile con le risultanze processuali, secondo quanto esposto nell’atto di appello (alle pagine 5 e 6); le ulteriori emergenze, illustrate nei gravame (alle pagine 7 e 8) smentiscono l’attendibilità delle dichiarazioni confessorie.

2.2 – Con il secondo motivo il difensore censura l’omesso esame della "questione della scindibilità del racconto confessorio", atteso che il giudicabile è stato assolto dai delitti di associazione di tipo mafioso e di estorsione, assertivamente connessi al fatto di sangue.

2.3 – Con il terzo motivo il difensore argomenta che è "poco comprensibile sul piano logico" il rilievo della Corte territoriale circa la intempestività della ritrattazione; col gravame la difesa aveva segnalato che il giudicabile ritrattò "alla prima occasione processuale utile"; nè i giudici di merito hanno considerato che la collaborazione "non necessariamente è indotta da oggettivabili circostanze esterne", ma – come nella specie – è stata provocata dalla "preoccupazione per la propria incolumità", da sentimenti di "avversione" nei confronti degli accusati e da scelte "prettamente opportunistiche"; epperò – una volta scemati "di urgenza e di intensità" siffatti moventi – N. ha ripristinato la "realtà dei fatti". 3. – Il ricorso non è fondato.

Nel costrutto motivazionale che sorregge il provvedimento impugnato questa Corte non ravvisa il vizio della mancanza di motivazione, tipizzato dall’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e).

3.1 – Sebbene la Relazione al testo definitivo del codice di procedura penale, nel dar conto della sostituzione della locuzione "omessa motivazione", adottata nel Progetto preliminare, colla formulazione cristallizzata nel vigente art. 606 della "mancanza .. della motivazione", sottolinei – sulla scorta del criterio sistematico del raccordo colle disposizioni dell’art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 546 c.p.p., comma 3, – che "la sanzione di nullità dell’atto concerne la motivazione in senso grafico o strutturale e non i vizi logici della stessa", esprimendo, quindi, "la preoccupazione che la formula del Progetto omessa motivazione si potesse prestare, in contrasto con la volontà del legislatore, a un ampliamento del sindacato sulla motivazione, spostando l’accento dal vizio dell’atto, scandito dalle parole mancanza .. della motivazione, al vizio (di latitudine difficilmente circoscrivibile) della attività del giudice, richiamata nell’aggettivo omessa;, il quale indica una condotta negativa più che le caratteristiche dell’atto" (v. Relazione, cit., Gazzetta Ufficiale, 24 ottobre 1988, n. 250, Suppl. n. 2, p. 200, colonna 1), la Giurisprudenza di questa Corte ha pacificamente ricondotto nell’ambito della previsione in parola i casi (a) della motivazione apparente e (b) della motivazione, che pur non consistendo in mere formule di stile, sia, tuttavia, sotto il profilo funzionale – in relazione ai "momenti esplicativi .. ineliminabili nel rapporto tra i temi sui quali si doveva esercitare il giudizio e i contenuto di questo", v. Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, Gazzetta Ufficiale, cit., p. 133, colonna 2 – assolutamente carente, cioè affatto "priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito", lasciando "oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento" (v. per tutte: Sez. Un., 28 gennaio 2004, n. 5876, Bevilacqua, massima n. 26710).

La novella del 20 febbraio 2006 colla sostituzione dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) ha, quindi, esteso la possibilità di sindacare il vizio della mancanza di motivazione, in precedenza rilevabile esclusivamente alla stregua dello "sviluppo logico del provvedimento e non della diversa prospettiva addotta dal ricorrente" (v. Relazione al progetto preliminare .., cit.), anche in rapporto ad "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", così superando il confine della testualità.

Ciò non di meno (nella osservanza dei limiti coessenziali allo scrutinio di legittimità) il vizio della mancanza di motivazione assume giuridico rilievo – e resta rigorosamente circoscritto – nell’ambito della pura e semplice verifica della ricorrenza di un plausibile apparato argomentativo (ancorchè minimo) che sia ragionevolmente correlabile alla decisione, sì da darne conto in relazione ai presupposti enunciati nello stesso provvedimento e a quelli rappresentati dal ricorrente ed emergenti dagli atti specificamente indicati.

Esula, pertanto, affatto dalla normativa previsione del motivo in parola del ricorso per cassazione ogni questione circa il grado di adeguatezza, persuasività, completezza e sufficienza della motivazione.

Nel giudizio penale, infatti, il vizio della insufficienza della motivazione non è deducibile con il ricorso per cassazione.

Inequivocabile è, in proposito, il tassativo tenore testuale dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

E l’argomento letterale trova ulteriore e significativa conferma in quello a silentio, sulla base della considerazione sistematica, alla stregua della comparazione con la corrispondente disposizione contenuta nell’art. 360 c.p.p., comma 1, n. 5 che – a differenza del codice di procedura penale – distintamente contempla, oltre il caso della motivazione omessa, anche quello della motivazione insufficiente (v. sul punto per tutte: Cass., Sez. 1^, 24 settembre 1990, n. 2933, Caponaccio, massima n. 185451; e, per quanto riguarda l’insindacabilità della "adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento", Sez. Un., 30 aprile 1997, n. 6402, Dessimone, massima n. 207944).

3.2 – Orbene, con riferimento al primo motivo di ricorso e in relazione alla denunzia della mancanza di motivazione circa la ritenuta incompatibilità della confessione colla "indicazione delle date e delle attività precedenti il delitto", la Corte territoriale, sia pur con scabra motivazione (v. p. 4, 1, e p. 7 della sentenza), dimostra di aver valutato come "marginali e ininfluenti" le discrasie dedotte dal ricorrente, dando così conto della decisione sul punto.

3.3 – Privo di pregio è, poi, il richiamo a emergenze addotte, al fine di confutare l’attendibilità della confessione, alle pagine 7 e 8 dell’atto di appello – e neppure illustrate – laddove il ricorrente, nel censurare la omessa considerazione da parte della Corte territoriale ha trascurato argomentare la cd. "decisività" (recte: risolutività) degli elementi pretermessi.

Sicchè la censura è inammissibile per carenza del requisito della specificità, prescritto dall’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e sanzionato, a pena di inammissibilità, dall’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c).

3.4 – Parimenti inammissibile (per il medesimo motivo) è l’ulteriore doglianza circa l’omesso esame della "questione della scindibilità" della confessione, agitata col gravame con riferimento alla asserita assoluzione dai pretesi reati connessi.

Il ricorrente, infatti, (a prescindere dalla omessa specifica rappresentazione del contenuto della riferite pronunce assolutorie) non ha curato di indicare i profili della interferenza tra il negativo accertamento di responsabilità per i supposti reati connessi e l’affermazione della colpevolezza per la compartecipazione nel delitto di sangue, oggetto del giudizio, e la ragione per la quale gli enunciati confessori in ordine all’omicidio sarebbero inscindibili da quelli concernenti gli altri delitti.

3.5 – Per il resto la Corte territoriale ha dato conto adeguatamente – come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte: Cass., Sez. 1^, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. 4^, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità; laddove le doglianze, le deduzioni e i rilievi residui, espressi dal ricorrente, benchè inscenati sotto la prospettazione di viti a della motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito, sicchè, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili à termini dell’art. 606 c.p.p., comma 3. 3.6 – Conseguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 30-09-2011, n. 20000 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 3 e l’11-7-2003 m.

c. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Termini Imerese il Comune di Valledolmo, B.R., O.V., Ba.Se., A.C., I.R., M.G., Ca.An., C.P. e Mi.Ni. e, premesso di essere stato assunto quale netturbino presso il Comune convenuto con Delib. 12 aprile 1988, n. 30 e che il rapporto era stato perfezionato con Delib. G.M. 20 luglio 1988, assumeva che peraltro con successiva Delib. 29 marzo 1999 era stato licenziato; l’attore deduceva l’illegittimità di tale licenziamento, ed aggiungeva di aver vinto nel 1988 un altro concorso per la copertura di un posto di netturbino presso il Comune di Capaci e di avervi rinunciato in quanto vincitore dei concorso indetto dal Comune di Valledolmo.

Il m. chiedeva pertanto la condanna del Comune convenuto al risarcimento del danno subito a causa dell’illegittimo esercizio della funzione pubblica per avere il suddetto ente pubblico constatato in ritardo la insussistenza dei requisiti per l’assunzione, impedendo all’esponente di accettare il summenzionato posto di lavoro presso il Comune di Capaci.

Costituendosi in giudizio il Comune di Valledolmo eccepiva il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. contestando anche nel merito la domanda attrice.

Il Tribunale adito con sentenza del 15-12-2004 dichiarava il proprio difetto di giurisdizione.

Proposto gravame da parte del m. cui resistevano tutte le parti convenute nel primo grado di giudizio tranne il Ca. la Corte di Appello di Palermo con sentenza del 17-9-2009, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato fa giurisdizione dell’A.G.O. ed ha rimesso le parti dinanzi al Tribunale di Trapani per la riassunzione della causa, osservando che il danno dedotto dall’appellante non poteva essere ritenuto una mera conseguenza dell’annullamento dell’atto amministrativo di assunzione, avendo il m. lamentato che tale danno sarebbe stato provocato dalla concorrente e perdurante inerzia del Comune nel controllo di regolarità dell’assunzione stessa, inerzia dalla quale assumeva essergli derivata una perdita di "chance" lavorativa.

Per la cassazione di tale sentenza il Comune di Valledolmo ha proposto un ricorso basato su di un unico motivo; il m. non ha svolto attività difensiva in questa sede; il B., l’ O., l’ A., l’ I., il M., il C., il Mi. ed il Ba., tutti componenti del Consiglio Comunale di Valledolmo, hanno aderito al ricorso con "comparsa di costituzione e di intervento" notificata alle altre parti chiedendo dichiararsi la giurisdizione del giudice amministrativo.
Motivi della decisione

Deve preliminarmente osservarsi che il ricorso suddetto non è stato notificato al B., all’ O., all’ A., all’ I., al M., al C., al Mi. ed al Ba., e che quindi costoro non sono stati evocati nel presente giudizio di legittimità, con la conseguenza che essi devono essere configurati degli interventori; ciò comporta l’inammissibilità della loro partecipazione a tale giudizio, considerato che nel giudizio di legittimità non è consentito l’intervento volontario del terzo, mancando al riguardo una espressa previsione normativa, indispensabile nella disciplina di una fase processuale autonoma, e riferendosi l’art. 105 c.p.c. esclusivamente al giudizio di primo grado (Cass. 26-5-1999 n. 5126).

Inoltre è opportuno aggiungere che i suddetti interventori, sebbene fossero stati parti nel giudizio di merito, non rivestivano la qualità di litisconsorti necessari rispetto alla domanda già proposta nei loro confronti, ma non più coltivata nel presente giudizio di legittimità.

Tanto premesso, si rileva che con l’unico articolato motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver affermato la giurisdizione del giudice ordinario senza addurre ragioni sufficienti e logiche a fondamento di tale convincimento.

Premesso che la Corte territoriale ha riferito che il m. aveva affermato che il danno subito sarebbe stato provocato dalla "concorrente e perdurante inerzia" del Comune di Valledolmo, il ricorrente sostiene che in realtà il m. non aveva mai lamentato tale asserita inerzia, ma aveva fatto riferimento originariamente alla illegittimità della sua assunzione o alla illegittimità del suo licenziamento, insistendo in grado di appello soltanto sulla prima di tali ipotesi, dopo che la seconda era stata esclusa dal giudice di primo grado.

Il Comune di Valledolmo rileva poi che secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato il legislatore della novella del 2000 ha inteso concentrare presso il giudice amministrativo anche la giurisdizione sulla domanda di risarcimento danni in conseguenza della dedotta illegittimità dell’atto amministrativo.

Il ricorrente inoltre contesta la sussistenza di qualsiasi danno risarcibile subito dal m. da perdita di chance causalmente riconducibile all’Amministrazione esponente.

La censura è infondata.

E’ decisivo rilevare che nella fattispecie il rapporto di pubblico impiego instauratosi tra il Comune di Valledolmo ed il m. è cessato – a seguito della Delibera comunale di licenziamento del suddetto lavoratore del 29-3-1999 – in epoca successiva al 30 giugno 1998, e che con la domanda proposta il m. ha inteso tutelare una sua posizione giuridica afferente il rapporto di lavoro suddetto asseritamente violata dalla inerzia da parte del Comune convenuto in ordine al controllo sui titoli legittimanti la sua partecipazione al concorso, e quindi dal tardivo annullamento del provvedimento di assunzione con la conseguente perdita di "chance" lavorativa.

Orbene sulla base di tali premesse deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, considerato che la riconduzione della presente controversia nell’ambito di tale giurisdizione è giustificata dalla sussistenza di un segmento del rapporto di pubblico impiego intercorso tra le parti temporalmente collocabile dopo il 30-6-1998 (vedi in tal senso Cass. S.U. 8-4-2010 n. 8316;

Cass. S.U. 4-8-2010 n. 18049), e che quindi, in riferimento a questioni successive al 30-6-1998, in presenza della domanda di un dipendente pubblico che agisca in giudizio per la condanna della P.A. al risarcimento dei danni per la lesione di posizioni giuridiche soggettive che si sostenga siano state lese da atti illegittimi da parte di quest’ultima, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario (Cass. S.U. 27-11-2007 n. 24625; Cass. S.U. 13-3-2009 n. 6058).

Il ricorso deve quindi essere rigettato; non occorre procedere ad alcuna statuizione in ordine alle spese di giudizio non avendo la parte intimata svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

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