Cass. civ. Sez. VI, Sent., 29-12-2011, n. 29959

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che, con il decreto impugnato la Corte di merito ha provveduto sulla domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 proposta da L.D. condannando il Ministero della giustizia al pagamento in favore di parte attrice della somma di Euro 2.800,00, con integrale compensazione delle spese processuali, in considerazione del ridimensionamento della domanda e del comportamento processuale del Ministero resistente che, sostanzialmente, non si era opposto all’accoglimento delle pretese avanzate sulla base dei criteri elaborati dalla giurisprudenza; che, con l’unico motivo parte ricorrente denuncia violazione di legge e un vizio di motivazione in punto statuizione di compensazione delle spese di lite;

che l’Amministrazione intimata resiste con controricorso ed eccepisce l’inammissibilità del ricorso per tardività essendo stato notificato il decreto, in forma esecutiva, presso l’Avvocatura distrettuale costituita dinanzi alla Corte di appello il 21.4.2010 mentre il ricorso è stato notificato il 18.4.2011.

Motivi della decisione

che la presente sentenza è redatta con motivazione semplificata così come disposto dal collegio in esito alla deliberazione in camera di consiglio;

che la notifica della sentenza in forma esecutiva alla parte presso il procuratore costituito è equivalente a quella eseguita al procuratore stesso ed è, pertanto, idonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione sia per il notificato che per il notificante, stante la comunanza del termine e a prescindere dalla posizione (di parte vincitrice o soccombente), rivestita con riferimento all’esito del precedente giudizio; nè assume rilievo la qualità di Amministrazione dello Stato del ricevente, cui il titolo esecutivo può essere notificato in persona del legale rappresentante, restando circoscritta all’attività giudiziaria la funzione di rappresentanza e domiciliazione legale delle Pubbliche Amministrazioni in capo all’Avvocatura dello Stato (Sez. L, Sentenza n. 8071 del 02/04/2009;

Sez. 3, Sentenza n. 20684 del 25/09/2009);

che tale principio è ancora più valido a seguito della modifica dell’art. 479 c.p.c., comma 2;

che, pertanto, è fondata l’eccezione di inammissibilità per tardività sollevata dall’Amministrazione resistente;

che le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 565,00 oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 11-10-2011, n. 7873 Provvedimenti di polizia

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

con l’atto introduttivo del presente giudizio, il ricorrente impugna il provvedimento di ammonimento meglio indicato in epigrafe, denunciando, tra l’altro, carenza di motivazione in ragione della genericità delle condotte contestate (meramente indicate in "ripetute telefonate e riferiti invii di email’ e a "controlli" in alcune occasioni "circa la presenza delle persone frequentate") e, comunque, della circostanza che "allo stato non si comprende come" le condotte in questione "potrebbero configurare un atteggiamento persecutorio nei confronti" della sig.ra Strano;

Ritenuto che tale censura sia meritevole di condivisione, atteso che:

– l’art. 8 del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con, modificazioni, nella legge 23 aprile 2009, n. 38, prevede che, fino a quando non è proposta querela per il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p., la persona offesa può avanzare richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore di condotte persecutorie. Ai sensi del citato art. 612 bis, sono considerate tali quelle reiterate con cui chiunque minaccia o molesta taluno "in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita";

– come ripetutamente affermato in precedenti giurisprudenziali, la finalità dell’ammonimento di cui trattasi è "di dissuadere il persecutore dal persistere nel suo atteggiamento in una fase prodromica in cui, pur non attingendo la sua condotta la soglia della rilevanza penale, tuttavia già si intravedono elementi di rischio di una possibile escalation criminale; ovvero,ancora, per dare alla vittima, familiare del persecutore o comunque ad egli legata da vincolo affettivo, restia ad una denuncia penale per motivi di solidarietà ed affetto, la possibilità di richiamare l’aggressore ad una condotta più prudente e non lesiva" (cfr., tra le altre, TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 6 maggio 2011, n. 1205);

– in ragione del diverso peso delle conseguenze dell’ammonimento rispetto a quelle determinate dalla sentenza del giudice penale, si giustifica il rilievo che, ai fini del primo, non sussiste la necessità che sia raggiunta la prova del reato: è comunque indispensabile che ricorrano elementi concreti, atti a rivelare un comportamento persecutorio o gravemente minaccioso, il quale – in quanto tale – deve aver ingenerato nella vittima un forte stato di ansia e di paura;

– nella specie, tale comportamento non è riscontrabile: – il provvedimento impugnato è motivato in ragione di "ripetute telefonate", "riferiti invii di email’ nonché dalla circostanza che "in alcune occasioni" il ricorrente avrebbe controllato "la presenza delle persone frequentate dall’ex moglie"; – in ragione del pensare comune, condotte di tal genere – riportate, tra l’altro, senza riferimento alcuno all’effettivo tenore delle comunicazioni inviate – si profilano inidonee a concretizzare un comportamento oggettivamente "minaccioso" o "molesto", tale da porre il contendente in una posizione di ingiustificata predominanza, da cui consegua uno specifico evento di danno (rectius: un perdurante stato di ansia o di paura ovvero, in alternativa, il fondato timore per la propria incolumità ovvero,sempre in alternativa, l’alterazione delle proprie abitudini di vita);

Ritenuto che, per le ragioni sopra indicate, il ricorso vada accolto, con assorbimento delle ulteriori censure formulate;

Ritenuto, peraltro, che le spese di giudizio debbano seguire la soccombenza ed essere liquidate a favore del ricorrente in Euro 1.000,00, oltre IVA e CPA nei termini di legge;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 7208/2011, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento di ammonimento indicato in epigrafe.

Condanna il Ministero dell’Interno al pagamento delle spese di giudizio, così come liquidate in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-06-2011) 05-10-2011, n. 36144 Risarcimento in forma specifica

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 23.4.2010, la corte di appello di Salerno ha confermato la sentenza 15.5.06 del tribunale di Salerno, sezione distaccata di Montecorvino Rovella, con la quale Z.A. e M.F. sono stati condannati, previo riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante ex art. 585 c.p., alla pena di due mesi e 10 giorni di reclusione, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore della parte civile, perchè ritenuti responsabili dei reati, unititi dal vincolo della continuazione, di lesioni aggravate e di ingiuria, in danno di P.A..

Gli imputati hanno presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità in ordine a entrambi i reati. La sentenza di secondo grado si è limitata a ripetere le argomentazioni contenute nella sentenza del tribunale, ignorando le censure formulate nei motivi di gravame. Non è stata così esaminata la contraddittorietà delle dichiarazioni dei testi di accusa e la loro intrinseca inaffidabilità. Nulla è stato rilevato in ordine agli elementi di prova nettamente contrastanti con la versione dei fatti offerta dalla persona offesa e non avallata da alcun riscontro In maniera ingiustificata è stata rigettata la richiesta di esaminare il maresciallo dei carabinieri, che avrebbe potuto riferire sulle condizioni della P..

2. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al concorso della M. nel reato di lesioni personali: imputata era rimasta al balcone e di lì avrebbe pronunciato le parole ingiuriose e quindi avrebbe dovuto rispondere solo del reato di ingiuria. Non esiste alcuna prova di un reale legame del suo comportamento con il reato di lesioni, nè e provato alcun profilo di determinazione, di istigazione o rafforzamento della volontà del marito.

I ricorsi non meritano accoglimento, in quanto propongono critiche dirette sulla ricostruzione dei fatti e sulla loro valutazione giuridica, compiute dalle sentenze dei giudici di merito con assoluta fedeltà alle risultanze processuali e alla loro razionale interpretazione.

Le dichiarazioni accusatorie della persona offesa e dei suoi familiari sono state confermate da testi assolutamente estranei ai protagonisti della vicenda e indifferenti rispetto al suo esito sul piano giudiziario. Le loro dichiarazioni sono state attentamente e razionalmente valutate dalla corte di merito, che ne ha tratto coerentemente elementi di prova a carico degli imputati, a conferma di quanto accertato dal primo giudice e a smentita delle infondate censure degli imputati .Va poi rilevato che le critiche dei ricorrenti alla credibilità dei testi A., G., V. sono del tutto generiche, consistendo in immotivate accuse di inattendibilità, falsità, compiacenza. La richiesta di integrazione probatoria, da effettuare con l’esame di un maresciallo dei carabinieri, è stata rigettata, con corretto richiamo all’avvenuto intervento degli operanti in un momento successivo allo svolgimento dei fatti in esame.

Pienamente condivisibile, in quanto conforme a logica valutazione e a consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di concorso morale, è l’affermazione di responsabilità, in ordine al reato di lesioni, della M., che, secondo i ricorrenti, si sarebbe limitata a seguire dal balcone gli avvenimenti. La corte di merito ha correttamente rilevato che il concorso di persone nel reato si realizza anche con un contributo di carattere morale, che si estrinsechi nel rafforzamento dell’altrui proposito lesivo e in una partecipazione morale dettata da una comunanza di intenti. La corte ha realisticamente individuato la conferma della manifestazione di tale comunanza nella congiunta offesa all’onore e al decoro della P., da parte di entrambi, nonchè nelle parole di consenso e di soddisfazione pronunciate dalla M., dopo aver visto la caduta della persona offesa, materialmente causata dal marito. I ricorsi vanno quindi rigettati con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-09-2011) 24-10-2011, n. 38224 Stranieri

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa il 9 aprile 2010 il Tribunale di Perugia, in composizione monocratica, applicava a A.E. la pena concordata fra le parti di un anno di reclusione in relazione al delitto previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 quater, a lui contestato, in quanto, pur dopo essere già stato destinatario di un precedente ordine di allontanamento dal territorio dello Stato non rispettato, si rendeva inottemperante al nuovo ordine di allontanamento emesso dal Questore di Perugia il 26 febbraio 2010. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione personalmente l’imputato, il quale lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in relazione a disposto di cui all’art. 129 c.p.p..

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

1. Il Collegio rileva che, a seguito della sentenza del 28 aprile 2011 della Corte di giustizia Europea, secondo cui gli artt. 15 e 16 della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa del 16 dicembre 2008/115/CE devono essere interpreti nel senso che essi ostano ad una normativa dello Stato membro, come quella oggetto del presente procedimento, che prevede l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un Paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio dello Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare le norme incriminatrici di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, commi 5-ter e 5 quater e successive modifiche (Sez. 1, 28 aprile 2011, sentenze nn. 1590, 1594, 1606 del 2011), tenendo altresì nel debito conto il principio "dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri". 2. La pronunzia richiamata è stata assunta, come detto, in relazione all’ipotesi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5- ter.

Ritiene tuttavia il Collegio che le conclusioni ivi raggiunte valgano, a fortiori, per il reato previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-quater, cui si riferisce la sentenza oggetto di ricorso, per le ragioni di seguito indicate.

3. A ragione della decisione, la Corte di giustizia ha osservato:

– che la successione delle fasi della procedura di rimpatrio stabilita dalla direttiva 2008/115 risponde a una esigenza di "gradazione delle misure da prendere per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, gradazione che va dalla misura meno restrittiva per la libertà dell’interessato – la concessione di un termine per la sua partenza volontaria – alla misura che maggiormente limita la sua libertà";

– che in tutte le fasi di detta procedura sussiste l’obbligo di osservare il "principio di proporzionalità";

– che persino il trattenimento, che rappresenta la misura più restrittiva della libertà consentita dalla direttiva, è strettamente regolamentato, quanto a durata e modalità, "allo scopo di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini interessati dei paesi terzi" e di "limitare la privazione della libertà dei cittadini di paesi terzi in situazione di allontanamento coattivo" entro termini ragionevoli e i più brevi possibili (in conformità all’ammonizione già impartita dall’ottavo dei "Venti orientamenti sul rimpatrio forzato" adottati il 4 maggio 2005 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa;

– che gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere al rimpatrio coattivo conformemente all’art. 8, n. 4 della direttiva, una pena detentiva quale quella prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-ter, "solo perchè un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale", dovendo "essi Stati invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti";

– che una regolamentazione nazionale quale quella oggetto d’esame finisce per ostacolare la stessa applicazione delle misure di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva medesima (in base alla quale "Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell’art. 7, paragrafo 4, o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell’art. 7") e ritardare l’esecuzione della decisione di rimpatrio.

4. Avuto riguardo alla condotta incriminata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-quater, alla sua struttura – che presuppone l’esistenza anche di una precedente contestazione ai sensi dell’art. 14, comma 5-ter e, mediante il richiamato art. 14, comma 5-bis, risulta inaccettabilmente sostituita dal mero reiterato riferimento alla obiettiva impossibilità di dar corso alla espulsione coattiva o di trattenere lo straniero presso un centro di identificazione ed espulsione, in ipotesi anche a causa dell’inutile decorso dei tempi di permanenza in tale struttura – è indubbio che la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma quater, deve considerarsi non più applicabile nell’ordinamento interno (Sez. 1, 28 aprile 2011, n. 24009). La decisione della Corte di Giustizia, interpretando in maniera autoritativa il diritto dell’Unione con effetto diretto per tutti gli Stati membri e le rispettive giurisdizioni, incide sul sistema normativo impedendo la configurabilità del reato.

5. La nuova formulazione dell’art. 14, comma 5, introdotta con il D.L. 23 giugno 2011, n. 89, non realizza una continuità normativa con la precedente disposizione sia per lo iato temporale intercorrente dalla scadenza del termine di recepimento al momento di entrata in vigore delle nuove disposizioni sia per la diversità dei presupposti sia, infine, per la differente tipologia delle condotte integranti l’illecito delineato.

6. Poichè, in virtù del principio di diritto fissato da questa Corte di legittimità, l’inammissibilità del ricorso per cassazione non impedisce di rilevare, a norma dell’art. 129 c.p.p., la mancata previsione del fatto come reato in conseguenza dell’inapplicabilità delle norme nazionali incompatibili con la normativa comunitaria (Sez. 7, 6 marzo 2008, n. 21579), deve farsi luogo all’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2011

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