Cass. civ. Sez. VI, Sent., 15-05-2012, n. 7608 Cassa integrazione guadagni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con ricorso al Giudice del lavoro di Torino, C.R. conveniva in giudizio il datore di lavoro FIAT Auto spa e, assumendo l’illegittimità della sua collocazione in cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS) per il periodo 14.4.2003-28.11.2003, ne chiedeva la condanna al pagamento della differenza tra quanto percepito a titolo di integrazione e quanto spettante a titolo di retribuzione.

2- Accolta la domanda e proposto appello da parte Fiat Group Automobiles s.p.a. (succeduta a Fiat Auto s.p.a.), la Corte d’appello di Torino confermava la sentenza impugnata.

La Corte di merito innanzitutto riteneva infondata l’eccezione preliminare di improponibilità della domanda per intervenuta transazione, rilevando che il verbale di conciliazione riguardava solo le possibili pretese relative al licenziamento con collocazione in mobilità successivamente intervenuto.

Nel merito, sulla base di un ampio esame circa il rapporto tra la disciplina posta dal D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, recante norme per la semplificazione del procedimento per la concessione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria e di integrazione salariale, e la precedente normativa in materia di cassa integrazione, la Corte riteneva che l’imprenditore fin dall’inizio della procedura avesse l’obbligo di indicare per iscritto i criteri di scelta e le ragioni dell’eventuale mancata previsione della rotazione tra i dipendenti, ai sensi delle tuttora operative prescrizioni in tal senso di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7.

Nel caso di specie i criteri indicati nella comunicazione di avvio della procedura erano generici in quanto non consentivano di verificare la coerenza tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, il che rendeva illegittima la sospensione in cigs dei dipendenti. La Corte osservava peraltro che informazioni specifiche ed adeguate circa i criteri di scelta non erano mai stati forniti dall’impresa, neanche nel corso del giudizio.

Doveva escludersi poi efficacia sanante agli accordi con le organizzazioni sindacali successivamente intervenuti, e specificamente a del 18.3.2003, sia perchè neanche gli stessi assolvevano in realtà gli obblighi di informativa, sia perchè il vizio originario della comunicazione si ripercuoteva sull’intera procedura. Non doveva quindi distinguersi tra le posizioni dei lavoratori a seconda che essi fossero stati sospesi dal lavoro prima o dopo l’intervento degli accordi con pretesa efficacia sanante.

3.- Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione FIAT Group Automobiles s.p.a. con sette motivi. La parte intimata resiste con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. Il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

4. Con i primi due motivi di ricorso si lamenta che la Corte d’appello abbia disatteso la riproposta eccezione di improponibilità della domanda derivante dal fatto che il lavoratore, accettando il licenziamento collettivo (collocamento in mobilità) assistito da un incentivo pecuniario e sottoscrivendo il relativo atto di conciliazione in sede sindacale, aveva riconosciuto la legittimità degli accordi sindacali che ne costituivano le premesse. Al riguardo si deduce con il primo motivo violazione dell’art. 411 c.p.c., comma 3, e degli artt. 1965 e 2113 c.c. e con il secondo motivo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Detti motivi sono qualificabili come manifestamente infondati.

Quanto al primo motivo deve ritenersi palesemente ingiustificata la relativa tesi, secondo cui la conciliazione contenente la rinuncia, in cambio di una somma di denaro, all’impugnativa del licenziamento conseguente ad una procedura di mobilità, conclusasi con accordo sindacale (richiamato nel verbale di conciliazione), comporti la preclusione anche di ogni azione del lavoratore diretta al riconoscimento di diritti connessi al pregresso rapporto di lavoro.

Tale tesi è in manifesto contrasto innanzitutto con i principi enunciati da questa Corte in materia di rinunce e transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro, secondo cui a fronte di formule di rinuncia generiche ed omnicomprensive occorre accertare se vi siano state la consapevolezza da parte del lavoratore della possibile esistenza di determinati diritti e la effettiva volontà di rinunciarvi. La stessa tesi collide anche con l’effettivo contenuto letterale della dichiarazione. Quest’ultima, secondo quanto riportato nello stesso ricorso, ha fatto riferimento a pretese, domande o azioni che "nel suddetto licenziamento e conseguente definitiva cessazione del rapporto di lavoro con FIAT AUTO s.p.a. e collocazione in mobilità" potessero "trovare origine e/o fondamento", e pertanto ha delimitato chiaramente il possibile ambito delle rinunce alle pretese inerenti alla fase del licenziamento, della cessazione del rapporto e del collocamento in mobilità, rimanendovi quindi estranei i diritti relativi alla fase anteriore della sospensione per collocamento in cassa integrazione.

I precedenti rilievi sono assorbenti anche con riferimento al successivo motivo di vizio di motivazione, che non evidenzia alcuna illogicità o insufficienza di motivazione della statuizione sul punto del giudice di appello. In particolare, la circostanza storica della utilizzazione per la cassa integrazione di un criterio di scelta, quale il possesso da parte del lavoratore di una condizione contributiva e di età idonea a facilitare il suo pensionamento, analogo a quello poi utilizzato per il collocamento dei lavoratori in mobilità, è ben lungi da consentire un’interpretazione così estensiva della dichiarazione di rinuncia da attirarvi diritti relativi alla fase di cassa integrazione a cui in alcun modo viene fatto riferimento o allusione.

Quanto ai due precedenti di questa Corte richiamati nel ricorso a proposito dei due motivi in esame (Cass. n. 6391/1992 e 16283/2004), ne è evidente la inconferenza, in quanto in un caso il lavoratore, diversamente che nella specie, aveva dichiarato di rinunciare (anche) a ogni (altro) diritto derivante dal pregresso rapporto di lavoro e nell’altro caso aveva dato atto di aver ricevuto una somma a totale soddisfacimento delle sue spettanze e di non aver altro a pretendere (e la Cassazione aveva ribadito quindi l’esigenza di uno specifico accertamento circa l’effettiva configurabilità dei presupposti oggettivi e soggettivi della riferibilità della rinuncia o transazione al diritto oggetto del giudizio).

5.- I successivi cinque motivi di ricorso di Fiat Group Automobiles possono essere riassunti come segue.

5.1.- La questione fondamentale posta a base del ricorso è se il giudice abbia correttamente applicato la L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8 o se la norma in questione debba ritenersi abrogata per l’intervento del D.P.R. n. 218 del 2000. La Fiat sostiene che tale decreto, emanato in forza della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 20 avrebbe delegificato il procedimento amministrativo di autorizzazione e concessione della cigs e, quindi, relativo a tutti i suoi momenti od atti coordinati e collegati in serie (frase preparatoria, introduttiva, di istruzione e di decisione), con abrogazione implicita di tutte le disposizioni già vigenti.

5.2.- Ne deriverebbe che le modalità di rotazione, e l’indicazione delle ragioni che eventualmente l’escludono, potrebbero essere indicate non solo con la comunicazione di apertura della procedura inviata alle Oo.Ss., ma anche all’esito dell’esame congiunto tra imprenditore ed Oo.ss. sulla crisi aziendale e le conseguenti esigenze di organizzazione della produzione.

Nel caso di specie, le parti sindacali avevano raggiunto un accordo circa le modalità della rotazione il 18.3.03, all’esito dell’esame congiunto, dopo che la Fiat nel dicembre 2002 aveva aderito al più generale accordo di programma, il cui perfezionamento costituiva la base per l’assunzione di impegni amministrativi da parte del Governo a supporto del superamento della più generale crisi aziendale.

Avrebbe dunque errato il giudice di merito a ritenere preminente il presupposto formale della comunicazione e consultazione rispetto al contenuto dell’accordo raggiunto con le Oo.ss. il 18.3.03, che assumeva invece valore sanante; ne sarebbe, infatti, rimasta esclusa la possibilità per le parti stipulanti di elaborare in corso di trattativa diversi criteri di gestione della crisi.

5.3.- Conseguenza di tale erronea preminenza assegnata al dato formale sarebbe stata la disapplicazione del verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro del 5.12.02 (avente natura di atto pubblico a contenuto certificativo, costituente prova della procedura di consultazione svolta con la mediazione governativa).

5.4.- La comunicazione 31.10.02 di avvio della procedura di cigs, che fissava il criterio di scelta nelle esigente tecniche, organizzative e produttive, in relazione alle esigente professionali e funzionali, era comunque idonea allo scopo di esternare le intenzioni del datore di lavoro in relazione alle ricadute del programma di superamento della crisi aziendale in relazione alla situazione dei singoli lavoratori, pur residuando la possibilità di procedere a specificazione in sede di esame congiunto, all’esito dell’acquisizione da parte delle oo.ss. di una completa informazione.

In ogni caso, avrebbe dovuto valutarsi in concreto la posizione soggettiva del dipendente, in quanto, ove pure per ragioni formali fosse dichiarata illegittima tutta la procedura, pur tuttavia avrebbe dovuto valutarsi se la risoluzione di collocare i lavoratori in cigs fosse coerente con i criteri di scelta concretamente indicati ab initio nella comunicazione di avvio della procedura sindacale.

6. Il ricorso può essere qualificato come manifestamente infondato in base alle seguenti considerazioni, che tengono conto delle ripetute decisioni della Corte intervenute sulle medesime o analoghe questioni.

7.- Per quel che riguarda la questione principale (v. 5.1-5.2) deve osservarsi che la L. 23 luglio 1991, n. 223 – che introduce una visione organica della cigs, ricollegandone la fruizione a particolari requisiti soggettivi dell’impresa e all’esistenza di uno stato di crisi aziendale, nonchè alla proposizione da parte dell’imprenditore di precisi programmi, limitati nel tempo – prevede che dopo l’accertamento dello stato di crisi e l’approvazione dei programmi di superamento della stessa e per tutta la loro durata, all’esito di una articolata procedura, il Ministero del Lavoro con proprio decreto conceda il trattamento straordinario di integrazione salariale (artt. 1-2).

Il datore di lavoro deve scegliere i lavoratori da collocare in cigs adottando meccanismi di rotazione tra i dipendenti che svolgono le stesse mansioni e sono occupati nell’unità produttiva interessata. I "criteri di individuazione dei lavoratori" e "le modalità della rotazione" sono oggetto di consultazione sindacale, in forza del dettato normativo, che impone la loro comunicazione alle Oo.ss. e l’esame congiunto di cui alla L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5.

Qualora il datore, per ragioni di carattere tecnico-organizzativo connesse al mantenimento dei normali livelli di efficienza, non intenda attuare meccanismi di rotazione dovrà indicarne i motivi nel programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale ( L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8).

Il Ministro del lavoro, pur approvando il programma e concedendo la cassa integrazione, può ritenere non giustificata la non adozione della rotazione e promuovere un incontro tra le parti sul punto. Ove non si pervenga ad un accordo entro tre mesi dalla data della concessione del trattamento di integrazione il Ministro stesso stabilisce l’adozione di meccanismi di rotazione sulla base delle proposte formulate dalle parti (comma 8, secondo periodo).

8.- Su tale assetto intervenne il D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, emanato per delega conferita dalla Legge di semplificazione amministrativa 15 marzo 1997, n. 59, art. 20 che inserì il procedimento per la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria – come regolato dalla L. n. 223 del 1991 – tra quelli sottoposti a delegificazione mediante regolamento emesso ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2 (art. 20, comma 8, in relazione al n. 90 dell’allegato 1 alla legge stessa).

9.- I rapporti tra le due fonti sono stati definiti dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che la disciplina del D.P.R. 218 non abroga la L. n. 223 del 1991 e lascia, quindi, intatti gli oneri di comunicazione fissati dall’art. 1 di quest’ultima. Il D.P.R. n. 218 non incide, infatti, sulle disposizioni del combinato disposto della L. n. 164 del 1975, art. 5 e della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7,- riguardanti l’obbligo datoriale di comunicare in avvio della procedura per l’integrazione salariale alle organizzazioni sindacali i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonchè le modalità di rotazione poste da tali disposizioni in capo dell’imprenditore – atteso che la disciplina da esso fissata attiene unicamente alla fase propriamente amministrativa del procedimento di concessione della integrazione salariale (Cass. 28.11.08 n. 28464).

Può, dunque, affermarsi con questa impostazione (successivamente ripresa da numerose altre sentenze, tra le quali v. Cass. 31.1.11 n. 2155, n. 2156, n. 2157, Cass. 21.2.11 n. 4151 e 4152) che per la scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione, la L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, prescrive che il datore di lavoro comunichi alle Organizzazioni sindacali i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in relazione a quanto previsto dalla L. n. 164 del 1975, art. 5. Tale disposizione tutela, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli lavoratori e le prerogative delle Organizzazioni sindacali, anche dopo l’entrata in vigore della disciplina del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, atteso che tale disciplina non incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni ma è volta unicamente a diversamente regolamentare il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di concessione di integrazione salariale.

Ad analoga conclusione questa Corte è pervenuta per quel che riguarda gli obblighi di rilevanza collettiva del datore di lavoro ( L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8), precisando, altresì, che la richiamata normativa regolamentare non ha spostato l’informazione circa i criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione di avvio della procedura a quello immediatamente successivo dell’esame congiunto, in quanto, altrimenti, il contenuto della norma di cui al D.P.R. n. 218, art. 2 cit. sarebbe estraneo all’esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo e avrebbe come conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con compressione dei diritti di informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato (Cass. 9.6.09 n. 13240 e 1.7.09 n. 15393, entrambe emanate a conclusione del procedimento per condotta antisindacale promosso dalle Oo.ss. nei confronti di Fiat con riferimento alla procedura di cigs ora in esame avviata con la comunicazione del 31.10.02).

10.- Sulla base di queste considerazioni, all’esito dell’esame delle questioni sub 5.1 e 5.2, può ritenersi corretto l’assunto del giudice di merito che – pur dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 218 del 2000 – la comunicazione che il datore, ai sensi della L. n. 164 del 1975, art. 5 è tenuto a dare alle rappresentanze sindacali aziendali debba contenere l’indicazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione, i quali solo successivamente dovranno costituire oggetto del successivo esame congiunto.

11.- Consegue l’irrilevanza della questione attinente il rilievo assegnato alla documentazione di provenienza ministeriale (n. 5.3).

Ove si ritenga che criteri di individuazione e modalità di rotazione debbono essere indicate ab initio nella comunicazione di avvio, è superfluo esaminare la tesi che assegna valore asseverativo ad un documento che attesta che quell’indicazione è avvenuta solo in un momento successivo, e cioè in sede di esame congiunto.

12.- Neppure può sostenersi che l’accordo 18.3.03 avrebbe sanato ogni eventuale vizio della procedura attivata con la lettera 31.10.02.

In proposito va precisato che la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente (Cass. 2.8.04 n. 14721, 21.8.03 n. 12307 ed altre) parte dal presupposto che l’accordo sia di per sè esaustivo delle esigenze conoscitive e di esternazione imposte dal combinato normativo della L. n. 164, art. 5 e della L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8, in quanto in tal caso sarebbe solo inutile formalismo imporre al datore di comunicare alle Oo.ss. quei criteri di selezione che proprio con esse ha elaborato (Cass. 3.5.04 n. 8353).

Nel caso di specie, tuttavia, l’accordo – intervenuto a procedura già iniziata e quando molte centinaia di lavoratori erano già stati posti in cassa integrazione – si limita a formulare un generale sistema di rotazione a partire dall’aprile 2003, senza indicare il procedimento di individuazione dei soggetti interessati, il che esclude quel carattere esaustivo sopra rilevato.

Inoltre, per il fatto di essere intervenute a procedura già iniziata, le modalità concordate in sede di accordo non possono soddisfare all’essenziale esigenza cui la preventiva comunicazione è preposta, e cioè quella di consentire (non solo alle Oo.ss. di confrontarsi sul punto, ma anche) ai lavoratori coinvolti nella procedura – tanto prima che dopo il raggiungimento dell’accordo – di verificare se l’utilizzo della cassa integrazione da parte del datore di lavoro sia coerente al programma di superamento della crisi adottato e, quindi, di consentire la tutela della loro posizione individuale, nella sostanza controllando il potere del datore di collocarli in cassa integrazione (v. anche Cass. 10.5.10 n. 11254).

13.- Escludendo il carattere sanante dell’accordo 18.3.03 ed assegnando natura ostativa alla omissioni della comunicazione, il giudice di merito si è attenuto ad una lettura della norma basata su un principio pacifico, affermato da Cass., S.u., 11.5.00 n. 302, secondo cui in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle Oo.Ss., ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che debbono essere sospesi (in base al combinato disposto del L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, e L. n. 164 del 1975, art. 5, commi 4 e 5). Ove l’illegittimità può essere fatta valere dai lavoratori interessati davanti al giudice ordinario, in via incidentale, per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non integrata.

14.- Quanto all’incidenza della comunicazione 31.10.2002 sulla posizione del ricorrente (n. 5.4). deve rilevarsi che la giurisprudenza della Corte di cassazione ha precisato che "i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere …", di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 1, debbono essere connotati dal requisito della specificità, ovvero, dalla "idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri", precisandosi che l’aggettivazione "non individua una specie nell’ambito del genere criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione", atteso che "un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta" (v. Cass. 1.7.09 n. 15393, che richiama Cass. 23.4.04 n. 7720, e fa chiaro riferimento a S.u. n. 302 del 2000, citata).

Tale specificità non è stata riscontrata dal giudice di merito, il quale ha ravvisato nella comunicazione una mera clausola di stile da cui non può evincersi il percorso aziendale che ha portato all’individuazione dei singoli lavoratori da sospendere in cassa integrazione.

Trattasi di valutazione di merito che, in quanto congruamente motivata, non è suscettibile di censura in sede di legittimità. 15.- In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio vengono regolate in base al criterio della soccombenza. Ne è stata ritualmente chiesta la distrazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del giudizio in Euro trenta/00 per esborsi ed Euro mille/00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA secondo legge, con distrazione agli avvocati Giuseppe Pellerito, Benedetto Pellerito e Silvio Chiodo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-11-2011) 25-11-2011, n. 43795

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma dichiarava inammissibile l’istanza avanzata da S.V. di concessione della misura dell’affidamento in prova in quanto mera riproposizione di quella già rigettata il 26/11/2010, cioè soli tre mesi prima. Avverso la decisione presentava ricorso il condannato osservando che la nuova richiesta, presentata dopo ben tre mesi dalla precedente, conteneva una specificazione dei notevoli progressi ottenuti per il suo reinserimento sociale alla luce del programma concordato con gli operatori, quindi conteneva elementi nuovi;

inoltre l’affidamento in prova era una misura alternativa alla detenzione favorita dall’ordinamento e doveva prevalere al carcere ogni volta che questo fosse possibile e cioè ogni volta che fosse provato l’inizio di un programma di recupero.

La corte ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile in quanto si fonda su un inizio di reinserimento sociale non suscettibile di alcuna valutazione riguardando l’esiguo periodo di soli tre mesi e pertanto inidonea a riconsiderare un rigetto della medesima istanza pronunciato soli tre mesi prima, tanto più che non vengono nemmeno specificati gli asseriti ulteriori progressi.

Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 14-01-2011, n. 64

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

il relatore dott. XX nell’udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2010 e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Con il presente ricorso, la sig.ra D.G. ha impugnato il provvedimento del Comune di Milano – Servizio Assegnazione alloggi e Controlli, datato 9 marzo 2009, con il quale è stato respinto il ricorso proposto il 16 febbraio 2009 avverso il precedente provvedimento, adottato dal medesimo Ufficio in data 9 gennaio 2009, che disponeva la cancellazione della sua domanda dalla graduatoria per l’assegnazione degli alloggi per difetto del requisito di cui all’art. 8, lett. g) del R.R. n. 1/2004.
La ricorrente, infatti, all’esito dei controlli di cui all’art. 13, comma 5, del R.R. n. 1/2004 tesi alla verifica della permanenza dei prescritti requisiti per l’accesso all’ERP, è risultata proprietaria di un alloggio sito nel Comune di Sarzana, di superficie adeguata al proprio nucleo familiare.
L’Amministrazione, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’improcedibilità del ricorso in quanto la ricorrente in data 11 settembre 2009 ha trasferito la propria residenza in Sarzana nell’immobile di sua proprietà, nonché, l’inammissibilità, sotto altro profilo, per mancata notifica del ricorso ad almeno uno dei controinteressati inseriti in graduatoria.
Nella camera di consiglio del 17 giugno 2009 veniva respinta l’istanza di sospensione ed all’esito della pubblica udienza del 17 dicembre 2010, la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è inammissibile per difetto di notifica ad almeno uno dei controinteressati precedono la ricorrente in graduatoria.
Come questo Tribunale ha già avuto modo di affermare, "per giurisprudenza consolidata, impugnandosi la modifica di una graduatoria, è evidente come l’eventuale accoglimento del gravame comporterebbe effetti negativi nei confronti dei concorrenti che attualmente precedono il ricorrente, essendo quindi gli stessi titolari di un interesse, speculare ed opposto, alla conservazione del provvedimento e come tali legittimati a contraddire nel presente giudizio" (TAR Lombardia, Sez. I, 10 giugno 2010, n. 1769).
Deve inoltre evidenziarsi che il ricorso sarebbe in ogni caso improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse atteso che la ricorrente, nelle more del giudizio, ha trasferito la propria residenza in Sarzana, presso l’unità immobiliare di sua proprietà.
Per quanto precede il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Sussistono, tuttavia, in virtù della peculiarità della materia trattata, giuste ragioni per compensare le spese.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Spese compensate.
Così deciso in Milano dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Sezione I) nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Mariuzzo, Presidente
Elena Quadri, Consigliere
XX, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-07-2012, n. 13685

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Svolgimento del processo

Con sentenza in data 11 luglio 2006, il Tribunale di Lucca – decidendo sull’opposizione proposta ex art. 615 cod. proc. civ. da P.I.M.G. avverso l’esecuzione immobiliare intrapresa ai suoi danni dal Condominio (OMISSIS) in forza di tre decreti ingiuntivi del Pretore di Viareggio n. 231/1989, n. 186/1990 e n. 371/1990 – ha dichiarato l’inesistenza del diritto della parte opposta a procedere esecutivamente in base ai suddetti decreti ingiuntivi, affermandone l’intervenuta caducazione ex art. 653 cod. proc. civ.; ha quindi disposto la cancellazione della trascrizione del pignoramento immobiliare e la restituzione della somma versata dall’opponente a seguito della conversione del pignoramento; ha dichiarato inammissibili le ulteriori domande e condannato parte opposta al pagamento delle spese processuali.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Condominio (OMISSIS) svolgendo un unico motivo.

Ha resistito la P., depositando controricorso con cui ha eccepito l’inammissibilità dell’impugnazione; ha, altresì, depositato memoria.

Il Collegio ha raccomandato una motivazione particolarmente sintetica.

Motivi della decisione

1. Va premesso che – contrariamente a quanto eccepito da parte resistente – la sentenza all’esame non è appellabile e che, pure avendo riguardo all’inapplicabilità alla specie della sospensione per il periodo all’esame, il ricorso è tempestivo. Infatti deve farsi applicazione dell’art. 616 cod. proc. civ., nel testo modificato dalla L. n. 52 del 2006, art. 14 e antecedente alla L. n. 69 del 2009, art. 58 (che ha reso nuovamente appellabili le sentenze emesse ex art. 616 cod. proc. civ.), per cui, trattandosi di sentenza ratione temporis non impugnabile, è ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. in relazione a tutti i motivi di cui all’art. 360 cod. proc. civ. (art. 360 c.p.c., u.c.). Inoltre il ricorso risulta notificato il 28.09.2006 entro il termine di giorni sessanta dalla notificazione della sentenza in data 2 agosto 2006.

2. E’, invece, fondata l’altra eccezione di inammissibilità per inosservanza del disposto dell’art. 366 bis cod. proc. civ., attesa l’univoca volontà del legislatore di assicurare l’ultra-attività della norma (per tutte, v. espressamente Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194), la quale resta applicabile in virtù del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2 ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze (come quella in oggetto) e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che rilevi la sua abrogazione, a far tempo dal 4 luglio 2009, ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), in forza della disciplina transitoria dell’art. 58 di quest’ultima.

2.1. L’unico motivo di ricorso denunciante errata interpretazione del disposto dell’art. 63 disp. att. e dell’art. 653 cod. proc. civ. non si conclude e neppure contiene la formulazione di un quesito di diritto,- necessario sia se si riconduca il motivo al n. 3, sia se lo si riconduca all’art. 360 c.p.c., n. 4.

In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012
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