Cass. pen., sez. I 28-01-2009 (13-01-2009), n. 3861 Aggravante cosiddetta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
1. Pronunciandosi sulla istanza di riesame proposta da S.A. avverso l’ordinanza, in data 16.06.2008, del G.I.P. del Tribunale di Napoli, con la quale veniva disposta in suo danno la misura cautelare della custodia in carcere perchè gravemente indiziato, in concorso con I.L. e R.S., del delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 56 c.p., e art. 629 c.p., comma 2, con le aggravanti di cui all’artt. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, come convertito in L. n. 203 del 1991, il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, rigettava il gravame.
A sostegno della decisione impugnata il giudice territoriale richiamava, in primo luogo, le dichiarazioni della parte offesa ed il racconto reso dalla stessa circa il prestito usuraio di somme di denaro chiesto ed ottenuto da I.L., le vicende di chiaro segno persecutorio seguite a tale prestito e l’azione di recupero delle somme prestate realizzata da parte del R., il quale, dopo averlo preannunciato con l’ennesima telefonata minacciosa, si presentò insieme al ricorrente per pretendere indebiti pagamenti.
Il Tribunale inoltre valorizzava, ai fini della decisione, la testimonianza resa dalla madre della parte lesa, la quale aveva dichiarato che si erano a lei rivolte donne presentatesi a nome dei clan Mazzarella, chiedendole di convincere il figlio a ritrattare le denunce a carico del R. e del S., di poi deducendo, da tali premesse in fatto, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza richiesti dalla norma di riferimento e la ricorrenza nel caso di specie delle aggravanti contestate.
2. Ricorre per l’annullamento dell’impugnata ordinanza il S. denunciandone la illegittimità giacchè viziata, secondo prospettazione difensiva, da difetto di motivazione e violazione di legge.
Denuncia, in particolare, la difesa ricorrente:
che in ordine all’aggravante di cui all’art. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, il giudice a qua nulla avrebbe argomentato;
che con riferimento alla L. n. 203 del 1991, art. 7, non risulterebbe chiarito nella gravata motivazione se la relativa aggravante sia stata dedotta per i fatti successivi all’arresto del ricorrente ovvero a quelli antecedenti;
che in relazione alla prima ipotesi al S. non risulterebbe provato in alcun modo la riferibità di quei comportamenti alla sua volontà ovvero ad una sua iniziativa;
che, se fondata la seconda ipotesi, non risulterebbe comunque provato alcun collegamento al S. di una volontà intesa a favorire un’associazione di tipo mafioso ovvero di comportamenti riconducigli al c.d. metodo mafioso;
che il ricorrente non compare mai nelle precedenti attività riferite al R. e che la sua presenza nei pressi dell’abitazione del F. al momento dell’arresto non appare idonea a fornire alcuna logica conclusione di forte contenuto indiziario.
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Sui fatti di causa così come ricostruiti dai giudici del merito non sussistono apprezzabili censure di legittimità, dappoichè ad essi sono i medesimi pervenuti sulla base dei particolareggiati racconti della vittima dell’usura e delle conseguenti attività estorsive, racconti ritenuti, con giudizio di fatto adeguatamente motivato eppertanto incensurabile in questa sede, veritieri ed affidabili.
Ciò posto non può, conseguentemente, non riconoscersi rigore logico e compiutezza argomentativa all’ordinanza impugnata che, correttamente, ha dedotto i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente: a) dalla preannunciata "visita" in compagnia di "un suo compagno" per riscuotere il pagamento che ritardava ormai da troppo tempo; b) dalla considerazione che la compagnia serviva a rendere più "forte" la richiesta e ad "intimidire" la vittima, dappoichè non si comprenderebbe, in caso contrario, la ragione dell’annuncio; c) dall’intervento del clan Mazzarella nella vicenda a favore del principale attore dell’attività estorsiva, e, con pari intensità e senza differenza alcuna, in favore del ricorrente, al fine di "convincere" la p.o. a ritirare le accuse mosse agli imputati.
Giova qui ribadire, in conclusione sul punto, che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Secondo costante insegnamento di questa Corte, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorchè altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo).
3.2 Con particolare riferimento, infine, alle censure relative alle contestate aggravanti, osserva il Collegio che, quella di cui all’art. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, appare infondata dappoichè, sebbene non menzionata la norma di riferimento nel provvedimento in esame, ai fini della gravità indiziaria la motivazione risulta comunque adeguata attraverso il riferimento al clan Mazzarella ed alla carica intimidatoria percepita dal soggetto passivo dell’estorsione al momento dell’annuncio della visita di più persone, l’uno e l’altra comunque riferibili alla volontà concorrente del S., che prese parte alla "visita"preannunciata, ad essa partecipando, ed è del tutto logico affermarlo, consapevolmente.
Con riguardo, invece, alla disciplina portata dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, deve affermarsi il principio di diritto che la relativa aggravante ricorre anche se la minaccia ed il metodo in cui essa si risolve siano stati esercitati da un solo soggetto, in quanto non è necessaria la contestuale ed identica condotta di più correi, ma è sufficiente che il soggetto passivo percepisca che la minaccia e la intimidazione caratterizzante la norma in argomento provengano da più persone, avendo tale fatto, per se stesso, maggiore effetto intimidatorio (Cass., Sez. 1^, 24/10/2007, n. 46254, in ipotesi analoga; si vedano anche Cass., Sez. 2^, 31/03/2008, n. 16657; Cass., Sez. 1^, n. 25/09/2007, n. 40494; Cass. Sez. 1^, 03/11/2005, n. 5639).
4. Alla strega delle esposte argomentazioni il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
la Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. DISPONE trasmettersi a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Cassazione Civile, Sentenza n. 11316 del 2011 Titolo esecutivo per spese mediche e scolastiche di figli affidati a genitore separato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

1.1. C. M. si è opposto al precetto di pagamento di € 901,44 (oltre ulteriori interessi e spese), intimatogli addì 11.12.07 dalla moglie S. G. quale quota di contribuzione alle spese mediche e scolastiche dei figli a lei affidati e posta a carico del marito con il provvedimento di separazione consensuale, dolendosi: della mancata considerazione del pregresso pagamento di € 400 in acconto del dovuto; della mancata notifica del titolo esecutivo; della carenza di titolo esecutivo.

1.2. Oppostasi l’intimante, il giudice di pace di Taverna ha, con sentenza n. 23/08 pubbl. il 17.10.08, respinto l’opposizione, ritenendo sussistente il titolo esecutivo anche per il tipo di spese poste a base dell’opposto precetto e negando la prova dell’imputazione dell’acconto prospettata dall’opponente, con condanna di questi alle spese.

1.3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il M., affidandosi a tre motivi; ma non deposita controricorso l’intimata.

Motivi della decisione

2. Il ricorrente formula tre motivi ed in particolare:

2.1. con un primo motivo, di violazione dell’art. 474 cod. proc. civ. e vizio di motivazione, lamenta che le somme non corrisposte a titolo di rimborso spese, rese oggetto dell’atto di precetto, non costituiscono un diritto certo, liquido ed esigibile; e formula il prescritto quesito in ordine al profilo di violazione di legge;

2.2. con un secondo motivo, di violazione degli artt. 479 comma primo e 480 commi primo e secondo cod. proc. civ. e vizio di motivazione, censura la preterizione della questione sulla nullità derivante dalla mancata notificazione del titolo in forma esecutiva; e formula il prescritto quesito in ordine al profilo di violazione di legge;

2.3. con un terzo motivo, di vizio di motivazione, si duole in ordine al mancato scomputo dalla somma precettata di quanto pagato nelle more.

3. Ritiene il collegio che il ricorso non possa essere accolto.

4. In particolare, il primo motivo non è fondato, benché sia necessario correggere la motivazione della sentenza gravata, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ.; ed al riguardo:

4.1. per principio generale, il creditore che abbia ottenuto una pronuncia di condanna nei confronti del debitore ha esaurito il suo diritto di azione e non può, per difetto di interesse, richiedere ex novo un altro titolo (quale il decreto ingiuntivo) contro il medesimo debitore per lo stesso titolo e lo stesso oggetto, benché all’imprescindibile condizione che l’oggetto della condanna sia idoneamente delimitato e quantificato (tra le altre, in ordine agli obblighi idoneamente identificati in un simile provvedimento: Cass. 10 settembre 2004, n. 18248; Cass. 30 giugno 2006, n. 15084), o, a tutto concedere, delimitabile o quantificabile in forza di elementi idoneamente indicati nel titolo stesso ed all’esito di operazioni meramente materiali o aritmetiche (tra le molte: Cass. 8 luglio 1977, n. 3050; Cass. 1 giugno 2005, n. 11677; Cass. 2 aprile 2009, n. 8067; Cass. 30 novembre 2010, n. 24242; Cass. 5 febbraio 2011, n. 2816);

4.2. ed è poi vero che questa stessa Corte ha affermato che il provvedimento giudiziario con cui in sede di separazione personale si stabilisca, ai sensi dell’art. 155 secondo comma cod. civ., quale modo di contribuire al mantenimento dei figli, che il genitore affidatario paghi, sia pure pro quota, le spese straordinarie (senza altra specificazione) relative ai figli, richiede, nell’ipotesi di non spontanea attuazione da parte dell’obbligato ed al fine di legittimare l’esecuzione forzata, stante il disposto dell’art. 474, primo comma, cod. proc. civ., un ulteriore intervento del giudice, volto ad accertare l’avveramento dell’evento futuro e incerto cui è subordinata l’efficacia della condanna, ossia l’effettiva sopravvenienza degli specifici esborsi contemplati dal titolo e la relativa entità, non suscettibili di essere desunte sulla base degli elementi di fatto contenuti nella prima pronuncia (Cass. 28 gennaio 2008, n. 1758);

4.3. e tuttavia evidenti minimali esigenze di effettività della tutela del titolare del particolare credito alimentare di cui si discute impongono, ad avviso del collegio e se non altro con riferimento allo specifico caso in esame, di escludere l’applicazione di tale rigorosa conclusione alle spese mediche e scolastiche ordinarie, in sé sole considerate (quali quelle per cui pacificamente è causa nel caso di specie e con esclusione quindi di spese “straordinarie” intese in senso residuale ed onnicomprensivo) e se opportunamente documentate, perché il titolo esecutivo originario riguarda un credito comunque certo ab origine, oggettivamente determinabile e liquidabile sulla base di criteri oggettivi;

4.4. può infatti dirsi che la contribuzione alle (sole) spese mediche e scolastiche ordinarie non si riferisca a fatti meramente eventuali, né a fatti od eventi qualificabili come straordinari, vale a dire come imprevedibili ed ipotetici: poiché invero ai genitori incombe, quale dovere generalissimo, quello di mantenere, istruire ed educare la prole, ai sensi dell’art. 148 cod. civ., può al contrario qualificarsi normale, secondo nozioni di comune esperienza, la necessità di esborsi costanti per l’istruzione, atteso che anche quella pubblica li richiede in misura sempre più notevole in rapporto al grado della scuola od istituzione superiore od universitaria frequentata; e rientra nel novero degli eventi classificabili quali statisticamente ordinari o frequenti pure la necessità di esborsi, di cui è variabile effettivamente soltanto la misura e l’entità in rapporto alla perturbazione dello stato di piena salute, per prestazioni mediche, generiche o specialistiche, attesa la normalità del ricorso a queste ultime, anche solo per controlli periodici o di routine;

4.5. la contribuzione del genitore è quindi riferita, per le spese meramente mediche e scolastiche (e non anche per quelle genericamente indicate come straordinarie e comunque diverse ed ulteriori), ad eventi di probabilità tale da potersi definire sostanzialmente certi e ad esborsi da ritenersi indeterminati soltanto nel quando e nel quantum;

4.6. la determinazione del quantum di tali spese mediche e scolastiche è poi oggettivamente agevole, una volta conseguita la loro prova con documentazione di spesa rilasciata da strutture pubbliche – attesa la natura della funzione da esse esercitata e la particolare attendibilità da riconoscersi, in via di principio e impregiudicata la possibilità di una loro contestazione, ai documenti da esse rilasciati – o da altri soggetti che siano specificamente indicati nel titolo o concordati preventivamente tra i coniugi;

4.7. certamente, attesa la notorietà dell’evenienza di un’esasperata conflittualità tra i coniugi in fase di separazione, il provvedimento di affidamento bene ed opportunamente potrebbe prevedere già dalla sua formazione in modo espresso una tale modalità od altra equipollente, per soddisfare l’esigenza di prevenire quanto più possibile le occasioni future di scontro tra i coniugi in fase di separazione o divorzio e la moltiplicazione – non indispensabile – di disagi e dispendi di energie non solo processuali nelle fasi e nei tempi successivi;

4.8. nondimeno, poiché una tale modalità (determinazione del quantum sulla base di documentazione rilasciata da strutture pubbliche od altri soggetti specificamente indicati nel titolo o concordati tra i coniugi) corrisponde – anche in tal caso per nozioni di comune esperienza – a criteri di ordinaria frequenza statistica, la medesima può prendersi a base quale implicito elemento estrinseco al titolo, ma da esso evidentemente presupposto, idoneo a completarne il comando e ad evitare la necessità, il disagio ed il dispendio di nuovi reiterati preventivi ricorsi al giudice della cognizione, se non altro tutte le volte che si tratti di spese mediche o sanitarie o scolastiche ordinarie, come è pacifico trattarsi nel caso di specie;

4.9. beninteso, resta del tutto impregiudicato il diritto del genitore obbligato di contestare la riferibilità dell’esborso alla categoria delle spese alla cui contribuzione egli è assoggettato, vuoi perché si metta in dubbio la sussistenza del fatto costitutivo con la doglianza sulla sussistenza stessa dell’esborso, ovvero sulla qualificazione della spesa come medico-sanitaria o scolastica necessaria (ad es., spese meramente voluttuarie, quali un intervento meramente estetico o un corso non finalizzato ad esigenze di istruzione, ma di mero svago od intrattenimento), vuoi perché si lamenti la violazione delle modalità di decisione sulle attività cui le spese si riferiscono (dovendo comunque quelle di maggiore interesse, ai sensi del comma terzo dell’art. 155 cod. civ., spettare al comune accordo dei genitori, salva diversa disposizione del giudice: Cass. 28 gennaio 2009, n. 2182), o per altra ragione: ma tale diritto può bene estrinsecarsi quale contestazione del diritto del creditore ad agire in via esecutiva e quindi nelle forme dell’opposizione all’esecuzione, a precetto o a pignoramento;

4.10. si rende così meramente eventuale la fase di contestazione giudiziale e la si riserva alle effettive ipotesi di oggettiva controvertibilità, scongiurando l’ineluttabilità di un ricorso preventivo ed obbligatorio al giudice della cognizione per la formazione di altro titolo esecutivo; del resto, dal rischio di abuso da parte del genitore affidatario l’altro è adeguatamente tutelato, sia pure a prezzo di dispiegare l’opposizione, dalla responsabilità aggravata del creditore che abbia agito in via esecutiva senza la normale prudenza, già prevista dall’attuale formulazione dell’art. 96, comma secondo, cod. proc. civ. (e salva pure l’applicabilità del terzo comma di tale norma, come introdotto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69);

4.11. in definitiva, ritiene il collegio che, in adeguamento dei principi generali di cui al punto 4.1. alle peculiarità delle esecuzioni in materia di diritto di famiglia, la conclusione rigorosa di Cass., n. 1758 del 2008, della necessità di un indefinito reiterato ed ulteriore ricorso al giudice della cognizione per la formazione di una pluralità di nuovi titoli esecutivi, va allora temperata e mantenuta ferma con riferimento alle sole spese effettivamente straordinarie e diverse da quelle medico-sanitarie e scolastiche, siccome riguardanti eventi il cui accadimento sia oggettivamente incerto: al contrario, il provvedimento con cui in sede di separazione (non importa se consensuale o giudiziale, ovvero se provvisorio o definitivo, oppure se presidenziale o meno) si stabilisca, ai sensi dell’art. 155 secondo comma c.c., quale modo di contribuire al mantenimento dei figli, che il genitore non affidatario paghi, sia pure pro quota, le spese mediche e scolastiche ordinarie relative ai figli, costituisce esso stesso titolo esecutivo e non richiede, nell’ipotesi di non spontanea ottemperanza da parte dell’obbligato ed al fine di legittimare l’esecuzione forzata, un ulteriore intervento del giudice, qualora il genitore creditore possa allegare ed opportunamente documentare l’effettiva sopravvenienza degli specifici esborsi contemplati dal titolo e la relativa entità; ed impregiudicato beninteso il diritto dell’altro genitore di contestare – ex post ed in sede di opposizione all’esecuzione, dopo l’intimazione del precetto o l’inizio dell’espropriazione – la sussistenza del diritto di credito per la non riconducibilità degli esborsi a spese necessarie o per violazione delle modalità di individuazione dei bisogni del minore;

4.12. in tali sensi integrata o corretta la motivazione della gravata sentenza, può così rigettarsi il motivo di ricorso relativo alla carenza di valido titolo esecutivo, quest’ultimo effettivamente ravvisandosi nel provvedimento di determinazione delle modalità di contribuzione alle spese per i figli affidati ad uno solo dei genitori.

5. Sono invece inammissibili gli altri due motivi di ricorso:

5.1. quanto al secondo, non viene analiticamente riportata o trascritta, in violazione del principio di autosufficienza, la relata di notifica, nonostante i relativi passaggi fossero indispensabili per la concreta individuazione dell’atto notificato, come operata con la pubblica fede che normalmente assiste ogni atto pubblico; d’altra parte, non è neppure indicato o prodotto separatamente l’atto notificato, in violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., nel testo novellato dal decreto legislativo 40 del 2006, applicabile alla fattispecie ratione temporis: tanto non potendo evincersi dal generico riferimento al fascicolo di primo grado contenuto nell’indice in calce al ricorso introduttivo del presente giudizio di cassazione;

5.2. quanto al terzo, ai sensi del capoverso dell’art. 366-bis cod. proc. civ. – ancora applicabile (nonostante la sua successiva abrogazione) alla fattispecie in ragione della data di pubblicazione del provvedimento impugnato, stando alla disciplina transitoria dell’art. 58 della legge 18 giugno 2009, n. 69 – è necessario un momento di riepilogo o di sintesi per le doglianze di vizio di motivazione (Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002; Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; tra le ultime: Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680), occorrendo la formulazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso che indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (tra le altre, v. le citate Cass., ord. n. 16002 del 2007 e Cass., ord. n. 27680 del 2009); e, nel caso di specie, tale passaggio conclusivo sintetico manca del tutto.

6. In conclusione, sia pure con la correzione della motivazione in ordine al primo motivo di ricorso, la gravata sentenza non può essere cassata ed il ricorso va rigettato; e non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo parte intimata svolto attività difensiva.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, addì 21 aprile 2011.

Depositata in cancelleria il 23 maggio 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 09-02-2011, n. 3161 Costruzioni abusive Demolizione di costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza del 29.3.10 emessa ex art. 444 c.p.p. il Tribunale di Napoli applicava a C.A., con la diminuente del rito, la pena di mesi tre e giorni dieci di reclusione ed euro 200,00 di multa per i reati p. e p. ex artt. 633 e 639 bis c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 44, 83 e 95.

Ricorre contro la sentenza il PG presso la Corte d’Appello di Napoli, per essere stato omesso l’ordine di demolizione del manufatto abusivo realizzato dalla C., ordine conseguente per legge alla condanna per reati edilizi.

Il ricorso è fondato.

Per costante insegnamento di questa S.C., cui va data continuità, la demolizione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9 costituisce sanzione che, malgrado la natura dell’organo cui se ne demanda l’irrogazione, resta pur sempre sostanzialmente amministrativa di tipo ablatorio, che il giudice deve disporre anche nella sentenza applicativa di pena concordata tra le parti.

A tale pronuncia, infatti, sono ricollegabili tutti gli effetti di una sentenza di condanna, ad eccezione di quelli espressamente indicati dall’art. 445 c.p.p., comma 1, fra i quali non è compresa la sanzione in oggetto (non trattandosi di pena accessoria nè di misura di sicurezza).

Nè in contrario rileva che l’ordine de quo non abbia formato oggetto dell’accordo intercorso tra le parti, in quanto esso costituisce atto dovuto per il giudice, non suscettibile di valutazioni discrezionali e sottratto alla disponibilità delle parti stesse, di cui l’imputato deve tenere comunque conto nell’operare la scelta del patteggiamento (cfr. Cass. Sez. 3^ n. 7617 del 3.7.2000, Pusateri; Cass. Sez. 3^ n. 64 del 18.2.1998, P.M. in proc. Corrado; Cass. Sez. 3^ n. 3107 del 25.10.1997, P.M. in proc. Di Maro).

Ne deriva che, nel caso di specie, il non aver il Tribunale emesso l’ordine di demolizione delle opere abusive comporta l’annullamento senza rinvio, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., dell’impugnata pronuncia limitatamente a tale omissione, potendo questa S.C. adottare direttamente il provvedimento dovuto in quanto obbligatorio ex lege ed estraneo alla discrezionalità del giudice di merito (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3^ n. 16390 del 17.2.10, PG in proc. Costi).

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’omesso ordine di demolizione delle opere abusive, demolizione che dispone.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-01-2011) 04-02-2011, n. 4181 Farmaci e prodotti galenici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 4/3/2010, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pisa, in data 8/5/2008, dichiarati prescritti i reati di cui alla L. n. 1127 del 1939, art. 88, per il residuo reato di ricettazione, riduceva la pena inflitta a C.C. a mesi otto di reclusione ed Euro 200,00 di multa e la pena inflitta a Ce.Lu. e C. B. a mesi quattro di reclusione ed Euro 200,00 di multa.

I fatti si riferivano all’acquisto da parte degli imputati, esercenti la professione di farmacisti, di differenti quantitativi del principio attivo "Sildenafil citrato" (sostanza utilizzata dalla casa farmaceutica titolare del brevetto per la produzione del "Viagra"), dai medesimi utilizzato per preparazioni galeniche.

Avverso tale sentenza propone ricorso tutti e tre gli imputati per mezzo dei rispettivi difensori di fiducia.

C.C. solleva tre motivi di ricorso.

Con il primo motivo deduce errata applicazione dell’art. 648 c.p. in relazione alla possibilità di qualificare in termini di ricettazione l’acquisto del principio attivo "Sildenafil citrato" e contraddittorietà della motivazione sul punto.

Al riguardo si duole che la Corte territoriale, nel respingere l’analoga questione sollevata con i motivi d’appello, ha reso una motivazione inconferente e contraddittoria. In diritto ribadisce che la condotta di acquisto del principio attivo da parte dell’imputato era in concorso necessario, anche se improprio, con quella di vendita, di cui al R.D. n. 1127 del 1939, art. 88, considerato dai giudici di merito il reato presupposto del delitto di ricettazione.

Di conseguenza la condotta ascritta all’imputato, comportando il concorso nel reato presupposto, non poteva integrare gli estremi della ricettazione. La motivazione adoperata dalla Corte per respingere l’eccezione di concorso nel reato presupposto – obietta il ricorrente – è illogica in quanto richiama il rapporto fra furto (delitto tipicamente monosoggettivo) e ricettazione che non si attaglia alla fattispecie in esame. Osserva, inoltre, che nella precedente formulazione della norma di cui alla L. n. 1127 del 1939, art. 88, applicabile ratione temporis alla fattispecie, era contemplata non la mera vendita, bensì lo "spaccio", termine più pregnante, che allude a condotte di intermediazione nella circolazione di beni la cui commercializzazione è vietata dalla legge, nelle quali non è possibile separare concettualmente l’approvvigionamento dalla vendita.

Con il secondo motivo deduce mancanza o manifesta contraddittorietà della motivazione in punto di sussistenza dell’elemento psicologico del reato di ricettazione. Al riguardo deduce che proprio il riferimento alle circolari emesse dalla Federfarma con le quali si avvertivano i farmacisti della necessità di rispettare i brevetti nelle produzioni galeniche è indicativo della confusione che vigeva sull’argomento fra i farmacisti, mentre il comportamento del C. al momento del sequestro dimostrava la sua buona fede.

Con il terzo motivo si duole della mancanza di motivazione in punto di quantificazione della pena.

Ce.Lu. solleva tre motivi di ricorso.

Con il primo motivo deduce mancanza o manifesta illogicità della motivazione per violazione ed erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p. Al riguardo eccepisce che la Corte territoriale ha fatto malgoverno dei principi che riguardano la formazione della prova indiziaria, facendo discendere la responsabilità dell’imputato, il quale lavorava come dipendente nella farmacia della madre, Ca.

B., dalla circostanza che "altrimenti le fatture del Sildenafil non sarebbero intestate anche a suo nome".

Tale indizio, che si riferisce ad una sola fattura per un totale di 5 grammi, difetterebbe dei requisiti della gravità e della precisione, in quanto la titolare della farmacia è conosciuta come dr.ssa Ca. – Ce., in quanto coniugata Ce..

Con il secondo motivo deduce violazione e/o erronea applicazione del disposto del R.D. n. 1127 del 1939, art. 1 eccependo che la Corte territoriale avrebbe errato nell’interpretare la cd. "eccezione galenica", non tenendo conto che soltanto nel 2005, con l’art. 68 codice della proprietà industriale, il legislatore ha posto un espresso divieto di utilizzazione dei principi attivi realizzati industrialmente per la preparazione estemporanea di medicinali nelle farmacie. Pertanto la norma del 2005, vietando ciò che prima era consentito, ha implicitamente confermato che, nel vigore della normativa precedente, l’esenzione galenica era da intendersi in senso proprio, cioè come esenzione, quantomeno del farmacista, dal rispetto della tutela brevettuale in caso di fabbricazione di galenici magistrali.

Con il terzo motivo deduce il vizio della motivazione, con riferimento all’accertamento dell’elemento soggettivo nel delitto di ricettazione, sotto molteplici profili. In particolare si duole della errata applicazione di norma di legge extrapenale, con riferimento all’art. 7, comma 2 del Decreto del Ministero della salute 18/11/2003, non vigente all’epoca dei fatti. Si duole inoltre del richiamo della Corte ad alcune circolari della Federfarma che mettevano in guardia i farmacisti dall’utilizzo nella preparazioni galeniche di principi attivi tutelati da brevetto, facendo rilevare che la circolare della Federfarma, che si riferisce proprio alla questione della preparazione galenica con Sildenafil citrato, reca la data dell’8 novembre 2001, successiva a quella dell’acquisto del principio attivo, oggetto di imputazione. Infine si duole che la Corte territoriale non abbia risposto alle ulteriori argomentazioni difensive circa l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato.

Ca.Ba. solleva due motivi di ricorso analoghi ai motivi due e tre dedotti da Ce.Lu..
Motivi della decisione

Il ricorso di Ce.Lu. è fondato nei limiti di cui si dirà.

Sono infondati i ricorsi di C.C. e Ca.Ba..

C.C..

Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso il Collegio non condivide la, pur pregevole, tesi avanzata dalla difesa dell’imputato in ordine alla non configurabilità degli estremi della condotta punibile per il reato di ricettazione in virtù del concorso improprio dell’agente nella commissione del reato presupposto di vendita (o spaccio), di cui al R.D. n. 1127 del 1939, art. 88, del principio attivo protetto dalla tutela brevettuale. La norma di cui all’art. 648 c.p. contiene una clausola di riserva che esclude il reato di ricettazione nei casi in cui chi acquista o riceve la cosa abbia concorso nella commissione del reato da cui la cosa proviene.

Il tenore letterale della norma non lascia adito a dubbi che si riferisca all’istituto del concorso di persone nel reato ai sensi dell’art. 110 c.p. Deve trattarsi, pertanto, di concorso in senso proprio.

Occorre che il compartecipante al quale non può essere ascritto il compimento della condotta legale tipica abbia posto in essere un qualsiasi concreto apporto causale all’attività criminosa dell’autore materiale, in guisa da consentire e agevolarne l’azione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6684/1985, Rv. 170009, Vio). Qualora l’atto illecito consista nella vendita (o nello spaccio), il semplice atto di acquisto della sostanza illecitamente posta in vendita non integra gli estremi del concorso, a meno che non risulti una istigazione, ovvero un previo concerto, che abbia determinato l’agente all’azione. Di conseguenza non è censurabile, sotto questo profilo, la sentenza impugnata in quanto la Corte territoriale legittimamente ha escluso il concorso non avendo riscontrato – attraverso un accertamento di fatto – che il C. abbia posto in essere un apporto causale che abbia determinato il fornitore alla vendita.

E’ infondato anche il secondo motivo in punto di eccezione galenica.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha chiaramente escluso che la portata della cd. eccezione galenica renda lecito una sorta di circuito parallelo delle sostanze brevettate. In proposito può essere richiamata una recente pronunzia di questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 2422 del 06/11/2008 Ud. (dep. 21/01/2009) Rv. 242012) che ha statuito quanto segue.

"occorre definire la portata della cd. eccezione galenica, introdotta dopo che la Corte costituzionale con sentenza n. 20 del 20.3.1978 aveva rimosso dall’ordinamento il divieto di brevetti per i medicamenti, previsto dall’ari. 14 della Legge – Invenzioni. Dopo questa sentenza costituzionale il D.P.R. 22 giugno 1979, n. 338, art. 1, ha riformulato l’art. 1 Legge – Invenzioni, ridefinendo il contenuto del diritto di brevetto e introducendo come limiti al medesimo, e quindi escludendo dalla esclusiva brevettale, l’attività privata non commerciale, l’attività sperimentale e la preparazione galenica.

In relazione alla cd. eccezione galenica, il nuovo testo stabilisce esattamente che "la facoltà esclusiva attribuita al diritto di brevetto non si estende, quale che sia l’oggetto (…) alla preparazione estemporanea, e per unità, di medicinali nelle farmacie su ricetta medica, e ai medicinali così preparati (art. 1, comma 3, lett. b) della suddetta Legge – Invenzioni). Scopo evidente della eccezione è di consentire al farmacista di preparare e vendere al paziente un medicinale brevettato con diverso dosaggio o con diverso eccipiente rispetto a quello del medicinale posto in vendita dal titolare del brevetto, per ogni caso in cui il paziente necessita appunto di un diverso dosaggio o è allergico all’eccipiente utilizzato per il medicinale commercializzato dal titolare del brevetto o dai suoi licenziatari. In questi casi, il diritto patrimoniale alla privativa a favore dell’inventore è sacrificato dal legislatore alla esigenza di tutelare il diritto alla salute del paziente.

Si comprende in tal modo perchè il legislatore ha posto condizioni e limiti precisi per l’integrazione della fattispecie derogatoria, richiedendo: a) la estemporaneità, nel senso che il medicinale galenico deve essere preparato dal farmacista per la specifica occasione; b) un limite quantitativo, nel senso che la preparazione deve essere fatta "per unità"; c) una garanzia sanitaria, nel senso che la preparazione galenica deve essere fatta nella farmacia dietro presentazione di ricetta medica (si parla perciò di prodotto galenico magistrale, per distinguerlo dal prodotto galenico officinale, che può essere confezionato in farmacia con o senza ricetta medica). In assenza di questi condizioni non si da eccezione galenica e conserva tutto il suo vigore la esclusiva brevettuale (v. anche Cass. Sez. 3A, n. 46859 del 10.10.2007, P.G e P.C. in proc. Marron, rv. 238683).

In conclusione, si deve osservare da una parte che la eccezione galenica magistrale, in forza dei requisiti richiesti (di estemporaneità, di quantità e di garanzia sanitaria), è confinata nell’ambito artigianale ed è esclusa dall’ambito industriale; e dall’altra parte che, proprio per la sua natura derogatoria, deve essere interpretata restrittivamente. La giurisprudenza di legittimità non presenta oscillazioni al riguardo.

II difensore sostiene che: a) la eccezione galenica può ritenersi esclusa nel caso concreto solo in forza della nuova formulazione datane dal D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 68, (Codice della proprietà industriale), secondo la quale la esclusiva brevettuale "non si estende alla preparazione estemporanea, e per unità, di medicinali nelle farmacie su ricetta medica e ai medicinali così preparati, purchè non si utilizzino principi attivi realizzati industrialmente"; b) peraltro l’aggiunta dell’inciso "purchè non si utilizzino principi attivi realizzati industrialmente" configura una innovazione legislativa, che non poteva essere applicata ai fatti commessi prima della entrata in vigore del codice anzidetto. Sul punto, questa Corte ha già avuto modo di osservare che "l’aggiunta è stata introdotta allo scopo di meglio tutelare il diritto di brevetto, considerato il proliferare dell’illegale commercio di principi attivi prodotti industrialmente" (Sez. 3A, Marton, già citata), e che "la nuova disciplina si limita sostanzialmente a confermare quanto già ricavabile dal dato testuale della norma precedente" (Sez. 3A, n. 25242 dell’8.5.2008, dep. 20.6.2008, Poli).

Quest’ultimo assunto giurisprudenziale deve essere condiviso e ribadito, giacchè, se è vero che la relazione governativa al D.Lgs. n. 30 del 2005 configura il predetto art. 68, come "una controlimitazione alla limitazione della preparazione galenica", è altrettanto vero che la stessa relazione sottolinea come le norme del capo 2 (in cui è contenuto l’ari. 68) siano state redatte secondo il criterio di "non mutare le disciplina in vigore se non negli strettissimi limiti consentiti dal legislatore delegante per ottenere il coordinamento delle disposizioni e la coerenza giuridica, logica e sistematica della intera disciplina"; e precisa che "quelle rarissime volte nelle quali si è ritenuto di modificare la disciplina vigente, lo si è fatto unicamente per ottenere l’effetto di una maggiore certezza dei rapporti giuridici senza mai perseguire un obiettivo d’innovazione che sarebbe stato incompatibile con i limiti della delega". Infatti, la L. 12 dicembre 2002, n. 273, art. 15, ha delegato il Governo a emanare uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di proprietà industriale non a scopo innovativo (salvo che per alcuni aspetti istituzionali e amministrativi), bensì al fine di realizzare un "coordinamento, formale e sostanziale, delle disposizioni vigenti per garantire coerenza giuridica, logica e sistematica" e di ottenere un "adeguamento della normativa alla disciplina internazionale e comunitaria intervenuta". Poichè in materia di eccezione galenica (ovvero di limitazione del diritto di brevetto, per riprendere la terminologia adottata nella rubrica del menzionato art. 68) non sono intervenute nuove discipline internazionali o comunitarie, si deve concludere che l’inciso di cui si discute non ha innovato la normativa esistente, ma si è limitato a esplicitare il carattere artigianale della eccezione galenica che l’interpretazione giurisprudenziale dell’abrogato art. 1, comma 3, Legge – Invenzioni aveva già messo in luce".

La pronunzia impugnata è coerente con l’insegnamento di questa Corte in materia di eccezione galenica e quindi sfugge ad ogni censura.

Per quanto riguarda le censure di vizio della motivazione in punto di accertamento dell’elemento soggettivo del reato, sollevate con il terzo motivo di ricorso, si ricorda che le S.U. della Corte (S.U. 24.9.03, Petrella) hanno confermato che l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. In conclusione il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6A 6 giugno 2002, Ragusa). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone).

Nella fattispecie il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale per accertare la sussistenza dell’elemento soggettivo non presenta profili di illogicità manifesta. La Corte ha preso in considerazione gli argomenti sollevati dagli appellanti e li ha respinti sulla base di considerazioni che – per quanto opinabili – non appaiono palesemente illogiche o contraddittorie.

Infine è infondato anche il quarto motivo di ricorso in punto di quantificazione della pena, in quanto la Corte ha dato atto, sia pure con motivazione essenziale, delle ragioni di gravità del fatto che giustificano la conferma della pena inflitta in primo grado.

Ce.Lu..

E’ fondato il primo motivo di ricorso in punto di violazione dei principi che regolano la formazione della prova, ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 2.

Secondo l’insegnamento di questa Corte: "la valutazione della prova indiziaria comporta innanzitutto l’esame dei singoli elementi indiziari per apprezzarne la certezza e l’intrinseca valenza indicativa, quindi l’esame globale degli elementi ritenuti certi per verificare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi così da consentire l’attribuzione del fatto illecito all’imputato" (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 30448 del 09/06/2010 Ud. (dep. 30/07/2010) Rv. 248384).

Nella fattispecie la responsabilità dell’imputato, che non è titolare, nè responsabile della farmacia, di cui risulta dipendente, è stata affermata sulla base di una prova indiziaria dalla quale emergerebbe – come rilevato dal giudice di prime cure – che il Ce. non era "un mero collaboratore ma svolgeva un ruolo gestionale vero e proprio" (fol. 12). Gli indizi identificati dal primo giudice sono tre: – il rapporto parentale (la dr.ssa Ca. è madre del dr. Ce.); – la padronanza dei temi e delle problematiche trattate nel processo, come dimostrato nell’esame; – la stessa intestazione della fattura di acuiste che reca la dicitura Ca. – Ce..

La Corte territoriale ha respinto le contestazioni sollevate dall’imputato con l’appello con questa osservazione: "se il Ce. fosse stato estraneo alla gestione della farmacia, le fatture del Sidenalfil non sarebbero intestate anche a suo nome".

Di conseguenza l’intestazione delle fatture (rectius della fattura) sarebbe l’elemento (indiziano) determinante per la prova della responsabilità dell’imputato. Senonchè tale elemento indiziario presenta una notevole ambiguità dal momento che il fatto che la fattura riporti la dicitura "Farmacia Ca. – Ce." non equivale ad una intestazione personale della fattura.

Nella sentenza impugnata è omessa ogni valutazione sulla gravità e concludenza dell’elemento indiziano identificato.

Di conseguenza la sentenza impugnata, relativamente alla posizione del Ce., deve essere annullata con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte d’appello di Firenze che si atterrà al principio di diritto sopra indicato.

Ca.Ba..

Le censure sollevate dalla ricorrente in punto di eccezione galenica e di difetto dell’elemento soggettivo devono essere respinte per le ragioni compiutamente argomentate con riferimento al ricorso di Co.Ce..

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Annulla con rinvio la sentenza impugnata relativamente a Ce.

L. e dispone trasmettersi gli atti ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto.

Rigetta i ricorsi di C.C. e Ca.Ba., che condanna al pagamento delle spese processuali.

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