Cass. civ. Sez. VI, Sent., 26-07-2011, n. 16383

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Svolgimento del processo

p. 1. Il Notaio L.A. ha proposto ricorso per cassazione ai sensi della L. n. 89 del 1913, art. 158 ter avverso la sentenza del 3 giugno 2010, con la quale la Corte d’Appello di Venezia, decidendo sul reclamo proposto dal Ministero della Giustizia, dall’Amministrazione Autonoma Archivi Notarili e dall’Archivio Notarile di Verona avverso la decisione della Commissione Amministrativa regionale di Disciplina del Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Veneto che aveva assolto esso ricorrente da un illecito disciplinare, ha dichiarato, con l’intervento del Procuratore della Repubblica presso la stessa Corte, inammissibile il reclamo del Ministero e della detta Amministrazione ed ha, invece, accolto quello dell’Archivio, irrogando al ricorrente la sanzione di Euro mille. p. 2. Il ricorso è stato proposto contro il Procuratore della Repubblica presso la Corte d’Appello di Venezia, l’Archivio Notarile di Verona, il Ministero della Giustizia, l’Amministrazione Autonoma degli Archivi Notarili e il Consiglio Notarile di Verona.

Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva. p. 3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione con il procedimento ai sensi dell’art. 380 ter c.p.c., è stata richiesta al Pubblico Ministero presso la Corte la formulazione delle su conclusioni. Queste sono state proposte il 14 gennaio 2011 e sono state notificate all’avvocato della parte ricorrente.
Motivi della decisione

p. 1. Nelle sue conclusioni il Pubblico Ministero presso la Corte ha chiesto ordinarsi il rinnovo della notificazione del ricorso presso l’Avvocatura Generale dello Stato, nei confronti del Ministero, dell’Amministrazione Autonoma e dell’Archivio Notarile, essendo stata la notificazione invece presso l’Avvocatura Distrettuale. p. 2. Il Collegio reputa inutile (alla stregua del principio affermato da Cass. sez. un. n. 6826 del 2010 a proposito dell’integrazione del contraddittorio, che è a maggior ragione vale per il caso di nullità della notificazione) disporre la chiesta rinnovazione della notificazione, giacchè ritiene che il ricorso presenti una causa di inammissibilità originaria, rappresentata dall’inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

Invero, con il primo motivo si deduce la sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’art. 146 secondo il regime anteriore al D.Lgs. n. 249 del 2006 alla data dell’8 giugno 2010, essendo avvenuti gli illeciti cui si riferirebbe il giudizio disciplinare fra il 18 maggio e l’8 giugno 2006.

Con il secondo si lamenta omessa o comunque insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sulla domanda di ammissione al pagamento dell’oblazione proposta dal ricorrente.

Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione della L. n. 89 del 1913, art. 145 bis, comma 2, nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 35. p. 2.1. Tutti e tre i motivi si fondano sul contenuto della contestazione dell’illecito disciplinare che sarebbe stata effettuata nel corso di un’ispezione effettuata il 26 luglio 2007 dal Dirigente reggente dell’Archivio Notarile di Verona e dal Presidente del Consiglio Notarile di Verona sugli atti, repertori e registri del Notaio ricorrente.

Tale contestazione, per quello che si legge nel ricorso, avrebbe riguardato la L. n. 89 del 1913, artt. 64 e 138, n. 4, per non avere il Notaio "ottemperato all’obbligo di munirsi di un repertorio regolarmente tenuto nelle forme di legge".

Senonchè, in disparte l’omessa trascrizione della parte della contestazione individuatrice delle contestate infrazioni disciplinari, il ricorso omette di indicare se e dove in questa sede il relativo verbale sia stato prodotto e sia esaminabile (anche agli effetti dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4). E’, pertanto, inosservato, sia sotto l’uno che sotto l’altro aspetto, il requisito della cd. indicazione specifica di tale atto, la cui cognizione è, naturalmente, indispensabile sia per ricostruire il regime della prescrizione, sia per valutare la richiesta di oblazione, sia per valutare gli altri due motivi concernenti la richiesta di oblazione.

La specifica applicabilità dell’art. 366 c.p.c., n. 6 al giudizio di cassazione sul procedimento disciplinare notarile dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (che si inserisce nel solco dell’esegesi inaugurata da Cass. (ord.) n. 22303 del 2008 e da Cass. sez. sez. un. n. 28547 del 2008) è stata già ampiamente argomentata da Cass. n. 6937 del 2010 e, successivamente, ribadita da Cass. (ord.) n. 13927 del 2010.

E’ appena il caso di rilevare che il requisito di cui all’art. 366, n. 6, essendo previsto a pena di inammissibilità, è requisito che non può in alcun modo risultare assolto aliunde attraverso l’esame da parte della Corte di altri atti, cioè della sentenza (e dell’eventuale controricorso).

Essendo il requisito di ammissibilità dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (che costituisce il precipitato normativo del principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione) un requisito di ammissibilità originaria del ricorso per cassazione, la sua inosservanza impedisce il rilievo della prescrizione maturata, secondo il regime anteriore al D.Lgs. citato, nel corso del giudizio e particolarmente nella pendenza del termine per il ricorso per cassazione (si vedano, sia pure a proposito del requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c. Cass. n. 24350 del 2008 e Cass. (ord.) n. 5447 del 2010. 4. Il ricorso è, pertanto, dichiarato inammissibile.

Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 12-05-2011, n. 2833 Concessione per nuove costruzioni

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renzoni;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza n. 302/1999 il T.R.G.A. di Trento ha respinto il ricorso proposto da E. C. avverso gli atti con cui la provincia autonoma di Trento ha negato l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria in ordine alla realizzazione di una baita di montagna nel comune di Pelugo e ha ordinato la demolizione dell’opera.

E. C. ha proposto ricorso in appello per i motivi che saranno di seguito esaminati.

La provincia autonoma di Trento si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

Con ordinanza n. 1610/2010 questa Sezione ha respinto la richiesta di sospensione dell’efficacia dell’impugnata sentenza.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L’oggetto del giudizio è costituito dalla verifica della legittimità dei provvedimenti negativi, adottati dalla provincia autonoma di Trento con riferimento alla richiesta di rilascio di una autorizzazione paesaggistica in sanatoria relativa ad una baita di montagna realizzata dal signor E. C. nel comune di Pelugo.

Il giudice di primo grado, dopo aver ricordato analogo precedente conclusosi in senso sfavorevole per il ricorrente sempre relativo al tentativo di recupero di altro rudere come baita di montagna, ha evidenziato come lo stesso P.d.F. del comune di Pelago invocato dal ricorrente consenta il solo recupero del preesistente a condizione che si disponga di una adeguata documentazione anche di altezze e cubature e che comunque prevalgono i criteri di tutela ambientale contenuti nel P.U.P..

L’appellante deduce che in sede di tutela paesaggistica non si possono richiamare norme urbanistiche, che era consentita la ricostruzione di edifici di cui fosse documentata la preesistenza e che le caratteristiche della baita erano conformi a quelle tradizionali e alle altre edificazioni esistenti nella zona.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono privi di fondamento.

Va in primo luogo evidenziato che nel caso di specie si tratta di una autorizzazione paesaggistica in sanatoria, relativa quindi ad un intervento in zona vincolata realizzato abusivamente senza la preesistenza del titolo abilitativo.

In questi casi la giurisprudenza, pur avendo escluso i dubbi sulla stessa ammissibilità in astratto della autorizzazione paesaggistica in sanatoria, ha evidenziato che ogni valutazione di compatibilità paesaggistica di un intervento presuppone una comparazione tra la situazione antecedente all’intervento e l’impatto derivante dall’edificazione e che, in caso di autorizzazione postuma, l’amministrazione deve essere posta in grado di effettuare tale comparazione da parte dell’interessato, su cui grava l’onere di produrre la documentazione relativa alla condizione dei luoghi antecedente l’intervento; il giudizio dovrà essere conseguentemente negativo laddove detto raffronto non si riveli possibile stante il mancato assolvimento del descritto onere da parte del privato, così come nel caso in cui la realizzazione dell’opera abbia eliminato o cancellato il bene tutelato (v., fra tutte, Cons. Stato, VI, 22 dicembre 2004, n. 8188; 4 dicembre 2000, n. 6469; 9 ottobre 2000, n. 5373, relative al sistema previgente l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 42/2004, il cui contenuto, anche in relazione alle successive modifiche, non assume rilievo ratione temporis nel caso di specie).

La giurisprudenza ha, in sostanza, dato risposta all’obiezione secondo cui una volta modificato lo stato dei luoghi, diventa difficile, se non impossibile, ricostruire la situazione precedente all’intervento e, quindi, valutare la sua compatibilità con il vincolo paesaggistico.

La risposta positiva all’ammissibilità dell’autorizzazione postuma pone, tuttavia, come già detto, a carico del richiedente l’onere di dimostrare la situazione preesistente e la sussistenza dei presupposti per valutare la compatibilità paesaggistica.

Nel caso di specie, l’amministrazione ha correttamente ritenuto che l’intervento fosse assimilabile ad una costruzione ex novo, in quanto la documentazione allegata alla istanza non è idonea a dimostrare adeguatamente la preesistenza del fabbricato nella sua consistenza planovolumetrica e tipologica, essendo minime le tracce di un preesistente rudere.

Con la memoria del 16 febbraio 2011, la provincia richiama a tal fine le fotografie n. 2 e 3 del suo fascicolo di primo grado per sostenere come non vi fosse traccia significativa del preesistente edificio e in effetti tali fotografie, la cui riferibilità ai luoghi di causa non è stata contestata dall’appellante, non contengono evidenti tracce dell’edificio preesistente e soprattutto delle caratteristiche dello stesso.

In presenza di tali tracce (comunque minime, se non inesistenti) la realizzazione dell’intervento in assenza di valido titolo abilitativo ha posto a carico del privato l’onere di dimostrare la preesistenza del fabbricato e la sua compatibilità paesaggistica; tale onere non è stato assolto per le ragioni anzidette e ciò costituisce un elemento preclusivo per l’accoglimento della sua domanda, anche prescindendo dalle altre questioni sollevate, inerenti il rapporto con le previsioni urbanistiche

In una situazione al limite sotto il profilo della prova della preesistenza del fabbricato, era doveroso, come del resto lo è in ogni altra occasione, il rispetto delle previsioni di legge e l’acquisizione di un valido titolo abilitativo prima di modificare lo stato dei luoghi; l’appellante ha, invece, scelto la strada di intervenire sui luoghi senza autorizzazione, assumendosi il rischio di una valutazione negativa di incompatibilità dell’opera, fondata anche sulla difficoltà di ricostruire l’originario stato dei luoghi.

Si rileva, infine, che alcun rilievo assumono le successive istanze di condono presentate dal ricorrente e l’ulteriore contenzioso pendente, relativo ad atti successivi a quelli di causa.

3. In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto.

Alla soccombenza seguono le spese del presente grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Condanna l’appellante alla rifusione, in favore della amministrazione appellata, delle spese di giudizio, liquidate nella complessiva somma di Euro 5.000,00, oltre Iva e C.P.;

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-04-2011) 26-05-2011, n. 21011 Scriminanti

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Svolgimento del processo

Il Gup presso il Tribunale di Lecco giudicava con il rito abbreviato D.M.G., D.M.P., I. G. imputati di una serie considerevole di reati inerenti:

lesioni personali, nonchè multiple detenzioni e porto di armi, ricettazioni ed estorsioni;

fatti commessi sino al (OMISSIS);

Al termine del giudizio gli imputati venivano ritenuti responsabili di tutti i reati loro ascritti e condannati con sentenza del 04.06.2010 alla pena ritenuta di giustizia.

La corte di appello di Milano investita del gravame, pronunciava la sentenza del 21.06.2010, con la quale confermava la decisione impugnata quanto alla responsabilità ma provvedeva in ordine al trattamento sanzionatorio, concedendo le circostanze attenuanti generiche e riducendo per tutti la pena.

Tutti gli imputati propongono ricorso per cassazione a mezzo dei difensori, deducendo:

M.P.:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

1) – il ricorrente censura la decisione impugnata per avere omesso ogni motivazione riguardo al motivo di appello con il quale si chiedeva il riconoscimento dell’ipotesi di cui al comma 5 relativamente all’incolpazione di spaccio di stupefacenti, ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ipotesi attenuata che andava riconosciuta in considerazione del rilievo minimo delle dosi cedute dall’imputato;

2)- con il secondo motivo si censura la sentenza per non avere derubricato il fatto estorsivo contestato al ricorrente nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ipotesi ricorrente perchè dalle intercettazioni emergeva che la parte offesa era debitore di D.M.P.;

– si lamenta, inoltre, l’omessa motivazione riguardo alla configurabilità del tentativo nello stesso fatto estorsivo, ipotesi che andava ritenuta atteso che il ricorrente non era riuscito ad ottenere il denaro che erroneamente era convinto gli spettasse;

3)- Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’omessa motivazione riguardo alla mancata esclusione dell’aggravante dell’uso delle armi nel reato estorsivo, aggravante che andava esclusa atteso che nella vicenda non era ravvisabile il concorso, neppure morale, del D. M.P. nella detenzione dell’arma, tanto più che la contestazione della detenzione era mossa al solo I.;

D.M.G.:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) d) e).

1-b)-Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per illogicità della motivazione laddove ha ritenuto provata la sua penale responsabilità in ordine al reato di spaccio ascritto al capo m), sulla scorta delle dichiarazioni rese dai tossicodipendenti:

C., B. ed A. che, però, non sarebbero credibili nè attendibili per avere reso dichiarazioni in contrasto tra loro e prive di riscontri; al riguardo il ricorrente lamenta che la Corte di appello avrebbe illogicamente trascurato di considerare che, nonostante le perquisizioni effettuate, il D.M.G. non era mai stato trovato in possesso di sostanza stupefacente;

– in ogni caso, anche a volere ritenere provata la penale responsabilità del ricorrente, la sentenza sarebbe ugualmente da censurare per avere negato il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i fatti in esame e quelli già giudicati con la sentenza n. 547/2007 del 13.02.2007, nonostante che i fatti di entrambi i processi erano relativi al medesimo reato di spaccio di stupefacenti ed erano stati commessi nel medesimo Comune di (OMISSIS), con evidente identità di tempo e di luogo nonchè di tipologia dell’azione;

2 – b) – con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione di legge per mancata applicazione dell’esimente della legittima difesa, ex art. 52 c.p., quanto meno in riferimento all’art. 55 c.p., ovvero all’art. 59 c.p., in relazione all’imputazione di lesioni in danno di P. ascritta al capo d), atteso che egli si era recato armato all’incontro solo perchè prevedeva che il medesimo fosse munito di armi, come in effetti era avvenuto; 3-4-b)- la sentenza era da censurare per mancata assunzione di una serie di prove decisive, quali:

– la deposizione dell’agente S. che, nella qualità di redattore dell’annotazione di servizio sulla vicenda, avrebbe potuto consentire "una più corretta e realistica ricostruzione dei fatti";

-l’esame della parte offesa O.L. per il capo n) e – l’esame della parte offesa A.L. per il capo e), al fine di dimostrare la ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 393 c.p.;

I.G.:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

1-c)- Il ricorrente censura la motivazione impugnata per avere omesso di considerare che dai tabulati telefonici emergeva come nel periodo in esame era stato O.L. a chiamare, per ben diciassette volte, l’utenza dell’ I.;

– il che, a parere del ricorrente, contraddiceva l’ipotesi della partecipazione di quest’ultimo all’estorsione ed accreditava, invece, l’ipotesi difensiva del ruolo di "mediatore" assunto dall’ I.;

– la sentenza avrebbe altresì omesso di considerare che dalle telefonate intercettate emergeva che solo dopo il 03.06.2008 il D. M. aveva cominciato a manifestare ira nei confronti dell’ O., sicchè quest’ultimo doveva ritenersi inattendibile allorchè aveva attribuito all’ I. un ruolo nella vicenda estorsiva anche nel periodo antecedente a tale data;

2-c)-la motivazione sarebbe omessa anche riguardo alla richiesta di concessione delle attenuanti generiche, da considerasi prevalenti sulle aggravanti, in uno all’attenuante ex art. 62 c.p., n. 6 già riconosciuta;

CHIEDONO l’annullamento della decisione impugnata.
Motivi della decisione

D.M.P.:

1-a) Con il primo motivo di lamenta la mancata motivazione riguardo al rigetto della richiesta di applicazione dell’ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 per l’accusa di spaccio di stupefacenti ma si tratta di un motivo del tutto generico e quindi privo di fondamento; invero il ricorrente si limita a dedurre il vizio di omessa motivazione ma non indica le ragioni per le quali tale motivo avrebbe meritato accoglimento in sede di appello.

Nel giudizio di cassazione non comporta automatica nullità della sentenza di appello l’omessa motivazione in ordine ai motivi ritualmente depositati dall’appellante, dovendo il giudice di legittimità valutare se non si tratti di motivi manifestamente infondati o non concernenti un punto decisivo, oppure se la motivazione della sentenza impugnata non contenga argomentazioni e accertamenti che risultino incompatibili con tali motivi o siano tali da consentire alla Corte stessa di procedere ad una integrazione della motivazione sulla base degli argomenti posti a fondamento delle sentenze di primo e di secondo grado. (Cassazione penale, sez. 3, 01/02/2002, n. 10156).

2-a)-Con il secondo motivo (relativo all’imputazione di estorsione in danno di O.L.) si lamenta la mancata derubricazione nell’ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, nonchè l’omessa motivazione riguardo all’ipotesi del tentativo, motivi che però sono infondati atteso che non tengono conto della motivazione espressa dal Corte di appello ove, richiamata per D.M. P. la motivazione già espressa riguardo a D.M. G., osserva che doveva ritenersi corretta la formulazione ex art. 629 c.p. nella forma consumata perchè la pretesa fatta valere dagli imputati era "del tutto esorbitante, non dovuta dal debitore e svincolata dal credito preesistente……… ponendo in essere gli autori del fatto…… una condotta che…..assume connotati tali da elidere qualsiasi nesso con il pretesi diritto al recupero del denaro prestato…" (pag.22-26 motivaz. appello).

Si tratta di una motivazione del tutto congrua in punto di fatto, perchè indicativa degli elementi probatori acquisiti da cui emergono, sia la consumazione del reato per tutti gli imputati – stante il concorso dei medesimi nel fatto estorsivo- e, sia la conformità alla Giurisprudenza di legittimità, anche di questa sezione, che ha espresso il principio per il quale ai fini della sussistenza del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (in luogo di quello di estorsione) occorre:

– che l’agente sia soggettivamente – pur se erroneamente – convinto dell’esistenza del proprio diritto, e che detto diritto sia riconducile alla reale situazione giuridica esistente tra le parti, (Cass. Pen. Sez. 2, 22.04.2009 n. 25613) e:

– che la richiesta di adempimento di un preteso debito non sia realizzata con modalità caratterizzate da pervicacia e particolare efficacia intimidatoria, tali da mostrarsi del tutto eccedenti e sproporzionate rispetto all’esercizio del preteso diritto.(Cass. Pen. sez. 2, 02/12/2009, n. 49564).

3-a) – con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’omessa motivazione riguardo alla mancata esclusione dell’aggravante dell’uso delle armi, atteso che la detenzione dell’arma era stata contestata solo all’ I.; si tratta anche in questo caso di un motivo infondato perchè non tiene conto della motivazione espressa nella decisione impugnata ove la Corte di appello riconosce la sussistenza dell’aggravante dell’uso dell’arma, anche a carico di D.M. P., atteso il concorso di quest’ultimo nel reato di estorsione commesso in danno di O. – mediante l’uso di pistole portate da D.M.G. e – mediante un coltello portato da I. e mostrato con intenti di intimidazione alla vittima;

(pag. 23 motivaz. relativa a D.M.G., richiamata anche per D.M.P. a pag.26); deve perciò ritenersi corretta l’osservazione della Corte territoriale (censurata in questa sede) che ai fini della succitata aggravante "non rileva che il possesso del coltello sia stato posto a carico del solo I." in quanto quest’ultima circostanza non incide ai fini del concorso del ricorrente nel fatto estorsivo oggettivamente aggravato dall’uso delle armi.

D.M.G.:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) d) e).

1-b)- Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per illogicità della motivazione laddove ha ritenuto provata la sua penale responsabilità in ordine al reato di spaccio ascritto al capo m), nonostante che i tossicodipendenti: C., B. ed A. fossero privi di riscontri e nonostante che il D.M. G. non era mai stato trovato in possesso di sostanza stupefacente;

si tratta di motivi infondati, atteso che la sentenza impugnata, richiamando la motivazione del primo giudice, sottolinea quanto al reato di spaccio ascritto al capo m) come la prova emergeva dalle dichiarazioni di numerosi testi: – B. – C. – S. – A.; dichiarazioni credibili – perchè scevre da intenti calunniatori ed attendibili – perchè convergenti riguardo all’attività di spaccio del D.M. e – perchè riscontrate dal rinvenimento, nel possesso dell’imputato, di un bilancino e di sostanza da taglio; si tratta di motivazione congrua perchè fondata su circostanze di fatto precise, immuni da illogicità evidenti e conformi alle massime di comune esperienza, così da risultare incensurabile in questa sede ove la Corte di cassazione non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione di merito, nè può stabilire se questa propone la migliore ricostruzione delle vicende che hanno originato il giudizio, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione della scelta adottata in dispositivo sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. Cassazione penale, sez. 4, 16 gennaio 2006, n. 11395.

I principi ora richiamati evidenziano l’infondatezza anche del motivo relativo alla negata continuazione con i fatti giudicati con la sentenza n. 547/2007 del 13.02.2007, atteso che si verte in tema di motivi che ignorano la motivazione impugnata laddove ha congruamente osservato che la semplice vicinanza di tempo e di luogo dei fatti risultava frutto "non già di unicità del disegno criminoso, bensì di una scelta delinquenziale da parte di D.M.G.".

(pag. 17 motivaz.).

Il ricorrente censura tale motivazione con motivi generici, inammissibili in questa sede anche perchè non indicativi dei parametri della continuazione tra reati ove, secondo la costante giurisprudenza, occorre dimostrare l’esistenza di un’anticipata e unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del reo nella loro specificità, almeno a grandi linee, che è situazione ben diversa da una mera inclinazione a reiterare violazioni della stessa specie, anche se dovuta a un bisogno persistente nel tempo, a una scelta di vita o a un programma generico di attività delittuosa da sviluppare in futuro secondo contingenti opportunità. (Cassazione penale. sez. 1, 16 aprile 2007. n. 24750).

2 – b) – Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione di legge per mancata applicazione dell’esimente della legittima difesa, ex art. 52, quanto meno in riferimento all’art. 55 c.p., ovvero all’art. 59 c.p., in relazione all’imputazione di lesioni, ma al riguardo la motivazione della Corte di appello è assolutamente ineccepibile, avendo osservato che l’esimente non ricorreva perchè l’imputato "ben avrebbe potuto tutelarsi, chiedendo l’intervento delle Forze dell’Ordine" ovvero semplicemente avrebbe potuto "non aderire all’invito del P. di vedersi nei pressi del cimitero" (pag.14 motivaz.).

E’ noto, infatti, che non è invocabile la legittima difesa da parte di colui che accetti una sfida ovvero si ponga volontariamente in una situazione di pericolo dalla quale è prevedibile o ragionevole attendersi che derivi la necessità di difendersi dall’altrui aggressione-Cassazione penale, sez. 1, 18/06/2009, n. 33863 anche la legittima difesa putativa postula i medesimi presupposti di quella reale, (Cassazione penale, sez. 1, 24/11/2009, n. 3464) e la motivazione della sentenza impugnata ne ha correttamente esclusa la ricorrenza, stante la volontaria accettazione del pericolo da parte del ricorrente.

3-b) – Con il terzo e quarto motivo il ricorrente lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva in relazione a tale vicenda attraverso la deposizione dell’agente S. che, nella qualità di redattore dell’annotazione di servizio avrebbe potuto consentire "una più corretta e realistica ricostruzione dei fatti";

invero, il ricorrente propone il motivo di ricorso in maniera aspecifica mentre avrebbe dovuto indicare in maniera concreta in qual modo la deposizione in oggetto avrebbe potuto determinare un esito diverso del giudizio, consistendo proprio in questo il concetto di prova decisiva. Cassazione penale, sez. 6, 02 aprile 2008, n. 18747. 4-5-b)- Con ulteriori motivi il D.M.G. propone, in relazione al reato di estorsione in danno di O.L. e di A.L., le medesime censure di illogicità (mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 393 c.p.) proposte anche da D.M.P. e per le quali si rinvia, sia in punto di fatto che in punto di diritto, a quanto già esposto al capo 2-a) atteso che la Corte di appello espone in maniera chiara l’iter logico motivazionale con il quale ritiene attendibili le dichiarazioni delle parti offese ed evidenzia la totale eccentricità delle condotte minacciose rispetto al "preteso" diritto vantato;

– del pari, per la mancata assunzione dell’esame delle parti offese O.L. ed A.L., nonchè dei testi P., D. e Pi., si rinvia a quanto già esposto al capo 3- b) stante l’aspecificità del motivo che si limita ad indicare delle prove, asseritamente decisive, senza indicare in qual modo le stesse avrebbero potuto determinare un esito diverso del giudizio; in generale, e in specie riguardo all’estorsione in danno della A., il ricorrente propone piuttosto interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi che risultano vagliate dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

I.G.:

1-c)-Riguardo all’imputazione di concorso nell’estorsione in danno di O.L., il ricorrente propone interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi che risultano vagliate dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito. La sentenza impugnata risulta congruamente motivata in ordine alla penale responsabilità dell’imputato, osservando:

– che la tesi dell’intervento dell’ I. nella veste di mediatore era da escludere per il chiaro tenore delle dichiarazioni della parte offesa O. laddove aveva riferito di essere stato minacciato con un coltello dallo stesso I. in data 26.07.2008, (pag.23 motivaz.), dichiarazioni che la Corte territoriale ritiene attendibili: – perchè riscontrate dalle ammissioni di responsabilità degli altri coimputati: B. e V., e:

perchè riscontrate dal contenuto del memoriale di D.M., il quale aveva riferito di essere stato presente all’incontro tenutosi il (OMISSIS) tra l’ O. ed il D.M., con la partecipazione anche dell’ I.; (pag. 22 motivaz.).

Si tratta di una motivazione del tutto congrua, aderente ai fatti di causa ed immune da illogicità evidenti;

per converso, le deduzioni difensive si risolvono in valutazioni – in fatto – fondate su interpretazioni alternative delle prove, inammissibili in questa sede, ove in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Cassazione penale, sez. 4, 29 gennaio 2007, n. 12255. 2-c)- Parimenti infondati appaiono i motivi proposti dall’ I. riguardo al trattamento sanzionatolo, atteso che la sentenza impugnata ha fatto uso dei criteri di cui all’art. 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena e di concessione delle attenuanti generiche ritenendo che, in considerazione delle modalità non particolarmente gravi della condotta, la pena andava ridotta ed operando tale riduzione attraverso il giudizio di equivalenza dell’attenuante ex art. 62 c.p., n. 6 già concessa in primo grado (ma ritenuta sub-valente) ed implicitamente ritenendo assorbita la richiesta delle attenuanti generiche alla luce della già disposta equivalenza dell’attenuante suddetta.

Va ricordato che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Ciò vale, "a fortiori", anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non è tenuto a un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione. (Cassazione penale. sez. 4, 04 luglio 2006, n. 32290).

Segue il rigetto del ricorso atteso che i motivi proposti, pur se non manifestamente inammissibili, risultano infondati per le ragioni sin qui esposte;

ai sensi dell’art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p. i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 10-06-2011, n. 893 Assegnazione di alloggi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

– che ai sensi dell’art. 18 comma 1 del regolamento regionale 1/2004 "Il comune competente per territorio dispone con motivato provvedimento, anche su proposta dell’ente gestore, la decadenza dall’assegnazione nei confronti di chi:

a) abbia ceduto a terzi, in tutto o in parte, l’alloggio assegnatogli o sue pertinenze;

b) nel corso dell’anno lasci inutilizzato l’alloggio assegnatogli assentandosi per un periodo superiore a sei mesi continuativi, a meno che non sia espressamente autorizzato dall’ente gestore per gravi motivi familiari o di salute o di lavoro";

– che la decadenza dall’assegnazione di un alloggio di edilizia popolare per mancata stabile abitazione del medesimo presuppone – anche in assenza di un abbandono formale e definitivo – un comportamento comunque indicativo di un disinteresse o di un non prevalente interesse del soggetto ad un’occupazione stabile e continua (cfr. T.A.R. Veneto, sez. II – 23/4/2007 n. 1284);

– che l’abbandono dell’alloggio non deve interpretarsi come derelizione assoluta del medesimo, dato che anche l’utilizzazione di un appartamento di edilizia economica e popolare sostanzialmente come abitazione supplementare confligge con le finalità della disciplina pubblicistica, intesa ad assicurare una casa a chi effettivamente ne ha bisogno (Consiglio di Stato, sez. IV – 21/6/2009 n. 4998);

Atteso:

– che l’istruttoria deve evidenziare elementi probatori tali da consentire di affermare – con ragionevole certezza – che l’assegnatario dell’appartamento non vi dimori effettivamente ed abitualmente;

– che nella specie si registrano plurimi indizi – chiari, precisi e concordanti – i quali attestano che parte ricorrente ha abbandonato da tempo l’appartamento assegnatole, permettendo l’occupazione al nipote;

– che la prima segnalazione di mancata occupazione dell’alloggio risale al 15/10/2001, mentre la nota della Polizia Municipale del 2/11/2001 attesta che la Sig.ra Zambelli era già ospite presso la figlia;

– che, in esito agli accertamenti compiuti anche a distanza di tempo – e precisamente in data 11/4/2007, 16/9/2008 e 2/3/2010 (cfr. doc. 5, 7 e 10 Comune) – l’assegnataria non è stata mai reperita nell’appartamento;

– che nella seconda e nella terza ispezione è risultato presente il solo nipote;

– che anche nel corso della verifica effettuata il 27/1/2011 l’Agente incaricato non ha segnalato cambiamenti della situazione di fatto già descritta dopo i sopralluoghi precedenti;

Dato atto:

– che in definitiva è emerso che parte ricorrente non utilizza l’appartamento da diversi anni, mentre non risulta richiesta alcuna autorizzazione all’assenza ex art. 18 comma 1 della L.r. 1/2004 ed anzi le istanze di ospitalità del nipote sono motivate dalla necessità di assistere la nonna proprio in Via Cerasoli n. 9;

– che i ricoveri presso strutture sanitarie pubbliche – per i quali non sono indicati con precisione i periodi – ed i problemi acustici non costituiscono ragioni sufficienti a giustificare la perdurante assenza dall’alloggio assegnato;

Tenuto conto:

– che la decadenza per mancata stabile occupazione non è un provvedimento a carattere sanzionatorio, ma un atto di autotutela a garanzia del perseguimento del pubblico interesse all’effettiva destinazione di un certo patrimonio immobiliare alle esigenze dei bisognosi (Consiglio di Stato, sez. IV – 21/6/2009 n. 4998);

– che nella specie sussiste, in definitiva, il requisito oggettivo della mancata stabile occupazione, desumibile dalle risultanze di ripetuti accertamenti, i quali in un ampio arco temporale non hanno mai permesso di rintracciare la persona titolare dell’appartamento;

– che, in presenza di un quadro probatorio esauriente ed univoco, non è necessario disporre ulteriori integrazioni istruttorie;

Evidenziato:

– che pertanto il ricorso è infondato e deve essere respinto;

– che le spese di giudizio possono essere compensate, in ragione della natura giuridica della posizione soggettiva coinvolta;
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.