Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-01-2012, n. 1389 Divisione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza non definitiva del 16 gennaio 2003, il Tribunale di Corno, Sezione distaccata di Cantù, accertò che Q.D., con scrittura privata del 29 dicembre 1972, aveva acquistato dal padre P., oltre la proprietà esclusiva di un appartamento sito al primo piano di un fabbricato composto da due appartamenti in Comune di (OMISSIS) e dell’appezzamento di terreno distinto con il mappale n. 3623/b, anche la proprietà condominiale, in misura corrispondente al valore dell’appartamento stesso, del terreno di cui al mappale originariamente denominato 3623/a, poi contrassegnato 3883, sui quali erano stati successivamente edificati alcuni manufatti; che con atti del 17 novembre 1994 e 1 febbraio 1996 Q.M. aveva acquistato dagli altri coeredi, ad eccezione di Q.D., i loro diritti sul compendio ereditario di Q.P., costituito dalla piena proprietà del piano terra del fabbricato di (OMISSIS) e delle corrispondenti quote sui relativi beni condominiali; dichiarò quindi che, per effetto di tale acquisto, Q.M. era divento titolare della quota ereditaria di 14/15 sui predetti beni, mentre Q.D. era rimasto titolare della quota di 1/15. Con successiva sentenza del 5 agosto 2006, il medesimo giudice dichiarò lo scioglimento della comunione sui beni dell’eredità di Q.P., riconoscendo a Q. M. la proprietà della quota di 14/15 sull’appartamento sito al piano terra e la quota di 13/30 sui beni condominali, tenuto conto della proprietà esclusiva di Q.D. sull’appartamento sito al primo piano e della sua quota di eredità sui restanti beni;

assegnò quindi a Q.D. e a Q.M. i singoli beni secondo il progetto divisionale redatto dal consulente tecnico d’ufficio.

Interposto appello principale da Q.M. e incidentale da Q.D., le relative decisioni vennero confermate dalla Corte di appello di Milano che, con sentenza n. 1313 del 29 aprile 2010, ribadì, per quanto qui interessa, che con l’atto del 1972 il de cuius Q.P. aveva trasferito al figlio D. non solo l’appartamento in proprietà esclusiva ma anche la quota di comproprietà del terreno di cui al mappale originariamente denominato 3623/a, asservito per volontà delle parti a bene comune in favore delle singole unità abitative.

Per la Cassazione di questa decisione, con atto notificato il 13 dicembre 2010, ricorre Q.M., sulla base di due motivi.

Q.D. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, censurando la sentenza impugnata per avere riconosciuto al ricorrente la quota di 13/30, oltre che sui beni comuni, anche sui beni oggetto di cessione da parte degli altri coeredi, in contrasto con l’affermazione che, in forza di tale acquisto, al suddetto ricorrente spettava la quota di 14/15 sul compendio ereditario, finendo così, al pari del primo giudice, col determinare la quota di spettanza di Q.M. in misura diversa se riferita all’appartamento sito al piano terra rispetto a quella relativa a agli altri beni. I giudici di merito hanno quindi anche errato nel non rilevare che con gli atti di cessione delle quote del 1994 e 1996 risultava esplicitamente escluso che i beni oggetto di cessione fossero da considerarsi comuni, limitandosi con motivazione insufficiente a rilevare che la volontà di destinare all’uso comune la porzione di terreno corrispondente era emersa dall’atto di vendita del 1972. Il mezzo appare infondato.

Quanto al vizio di contraddittorietà di motivazione, esso va escluso non ravvisandosi alcuna contraddizione tra la proposizione che ha riconosciuto al ricorrente, per effetto dell’acquisto dei diritti degli altri coeredi, la quota del 14/15 sul compendio ereditario e l’affermazione che, con riferimento ai beni destinati all’uso comune dell’edificio, gli ha riconosciuto invece una quota pari al 13/30.

Tale differenza, infatti, nella sentenza impugnata, trova la sua giustificazione nella considerazione che, al fine della determinazione della quota di proprietà condominiale, i diritti di Q.D. derivavano non solo dalla quota ereditaria di 1/15 a lui spettante, ma iure proprio, anche e soprattutto, dalla sua proprietà esclusiva dell’appartamento del primo piano dello stabile, avendo i giudici di merito correttamente rilevato che la determinazione di tali quote, cadendo su beni condominiali, doveva essere determinata tenendo conto del valore dei singoli appartamenti.

Priva di pregio è anche la critica di difetto di motivazione in ordine alla interpretazione degli atti del 1994 e 1996 di cessione delle quote ereditarie in favore di Q.M.. Sul punto la Corte territoriale è partita dalla premessa che in forza dell’atto di vendita intervenuto tra Q.P. ed il figlio D. nel 1972, il de cuius non aveva conservato la proprietà esclusiva del mappale 3623/a, avendolo asservito all’uso comune dell’edificio e, quindi, anche dell’appartamento acquistato dal figlio, giungendo per tale via alla conclusione, che costituisce anch’essa accertamento di fatto non censurabile in questa sede, che l’indicazione fatta da alcuni degli eredi nell’atto di cessione dei beni ereditar del 1994 e 1996 dell’intera proprietà del mappale 3623/a era frutto di un errore, avendo essi acquistato solo la quota di proprietà condominiale, sicchè i cedenti, iure successionis, non potevano disporre dell’intera proprietà del terreno, aggiungendo, tuttavia, che tale errata indicazione dei beni non aveva determinato la nullità dell’intero atto, ma soltanto delimitato la sua efficacia reale ai diritti effettivamente acquistati dai cedenti. Trattasi di motivazione sufficiente, non contraddittoria ma coerente nella relazione tra presupposti e conclusioni, nonchè adeguatamente argomentata in ragione dei richiami al contenuto degli atti negoziali intercorsi tra le parti. Per contro, deve rilevarsi che la censura con cui il ricorso lamenta un’errata lettura e valutazione da parte del giudice di merito sia degli atti di cessione delle quote, che dell’atto di vendita del 1972, non sembra superare il vaglio di ammissibilità costituito dal rispetto del requisito di autosufficienza, che impone al ricorrente per cassazione che deduca l’omessa considerazione o erronea valutazione da parte del giudice di merito di determinati atti, di riprodurne esattamente il contenuto, al fine di consentire alla Corte di valutare la sussistenza e decisività delle stesse (Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 18506 del 2006; Cass. n. 3004 del 2004). Costituisce diritto vivente di questa Corte il principio che il ricorso per cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007; Cass. n. 12362 del 2006). Nel caso di specie, in particolare, il ricorso non rispetta il suddetto principio di autosufficienza, in quanto omette completamente di riprodurre il testo degli atti negoziali sopra richiamati, che assume essere stati mal valutati dal giudice territoriale, mancanza che impedisce al Collegio qualsiasi valutazione sul punto. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 726, 727, 728, 1117 e 1118 cod. civ., assumendo che la mancata considerazione degli atti di cessione delle quote stipulati nel 1994 e 1996 ha comportato anche la violazione delle regole che sovraintendono, in sede di scioglimento della comunione, la formazione delle porzioni di beni da assegnare ai condividendi, secondo un criterio di proporzionalità con la quota posseduta. La Corte di merito ha altresì violato le norme che disciplinano le parti comuni dell’edificio, considerando parti comuni anche quei beni, indicati negli atti di cessione delle quote, che in realtà non lo erano.

Il motivo è infondato.

La prima censura, che concerne la violazione del criterio di proporzionalità della quota rispetto ai beni assegnati, va invero considerata assorbita in ragione del rigetto del primo motivo. La conferma della decisione impugnata in ordine alla determinazione delle quote spettanti ai condividendi porta infatti ad escludere la violazione lamentata con la doglianza in esame, prospettata del resto dallo stesso ricorrente come mera conseguenza dell’errore denunziato con il primo motivo.

La secondo censura, che denunzia la violazione delle regole sull’appartenenza alla proprietà condominiale del terreno di cui si discute, è invece infondata, avendo la Corte distrettuale ritenuto che tale qualità del bene fosse stata impressa dall’atto di vendita del 1972, con cui il de cuius aveva venduto uno dei due appartamenti dell’edificio al figlio D., avendo in tale atto i contraenti manifestato la comune volontà di destinare il terreno de quo a bene comune a beneficio delle porzioni di proprietà individuale dell’edificio, conferendogli in tal modo i caratteri della condominialità. Tale conclusione non viola la disposizione di cui all’art. 1117 cod. civ., la quale indica i beni che debbono ritenersi oggetto di proprietà comune dei singoli condomini, atteso che tale elencazione, per giurisprudenza costante di questa Corte, non è tassativa (Cass. n. 17993 del 2010; Cass. n. 4787 del 2007), con l’effetto che non solo la qualità condominiale di un bene può essere esclusa da un titolo diverso, ma anche che i partecipanti al condominio possono liberamente stabilire, come avvenuto nel caso di specie al momento della sua costituzione, che un bene, di per sè non compreso nell’elenco, sia asservito all’uso comune, acquistando per l’effetto tale qualità.

Il ricorso va pertanto respinto.

Nulla si dispone sulle spese di giudizio, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 04-11-2011, n. 1523 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza n. 592 del 20 aprile 2011, questo Tribunale, ritenuto di qualificare l’azione esercitata come ricorso per ottemperanza, ammissibile ai sensi del codice del processo amministrativo, perché tempestivo e regolarmente notificato alla parte intimata e ravvisata la propria competenza territoriale, ha ordinato all’Agenzia del Territorio di Forlì di provvedere al deposito della relazione di stima redatta nel 2008, fornendo altresì taluni chiarimenti ritenuti necessari.

L’Agenzia del Territorio ha adempiuto al suddetto ordine, producendo copia della relazione di stima prot. 4521/164 del 15 settembre 2008, dalla quale si evince come il valore venale riconosciuto uniformemente a tutte le aree oggetto della convenzione stipulata nel 1981, con riferimento all’anno 1991 e distinto per specifica destinazione urbanistica sia stato il seguente:

– aree a destinazione "artigianale di espansione": valore stimato al mq = Lire 40.300;

– aree a destinazione "attrezzature comunali": valore stimato al mq = Lire 12.100;

– aree con altra destinazione:valore stimato al mq = Lire 8.100.

I chiarimenti che hanno accompagnato la produzione mettono in luce come tali valori siano stati determinati seguendo un iter estimativo, che, al fine di raggiungere un valore maggiormente attendibile seppur riferito a diciassette anni prima, ha visto operata una media tra il valore venale stimato con il metodo sinteticocomparativo (confrontando, all’uopo, una pluralità di atti di compravendita stipulati tra il 1997 e il 2001 per la cessione di aree artigianali nel Comune di Gatteo), individuato in un valore medio di 36.575 Lire/mq e quello ipotizzato con il criterio del valore di trasformazione, pari a 44.047 Lire/mq.

Così stabilito il valore medio del metro quadrato di terreno a destinazione artigianale (Lire/mq 40.300), il valore dei terreni aventi destinazione per attrezzature comunali è stato quantificato (in assenza di compravendite che potessero fungere da parametro di riferimento) in misura pari al 30 % di quello artigianale e quello delle aree aventi diversa destinazione è stato ritenuto corrispondere al 20 % di quello di terreni ricadenti in zona artigianale.

Dall’esame della stessa relazione di stima è possibile evincere, inoltre, che la quantificazione del valore venale, con riferimento a tutta l’area interessata dalla convenzione del 1981, (e non solo a quella appartenente alla ricorrente), non ha inciso sull’esatta valutazione del valore dei terreni di proprietà della sig.ra R.R..

Peraltro, prima di entrare nel merito degli aspetti tecniciestimativi della questione, è necessario precisare, in rito, come l’Agenzia del Territorio abbia provveduto a dare esecuzione alla sentenza di questo Tribunale senza il coinvolgimento delle parti, atteso che alla stessa non è stato conferito alcun incarico di consulenza tecnica d’ufficio, ma sono stati, invece, richiesti chiarimenti in ordine all’operato della stessa e alla fondatezza, sul piano tecnicoestimativo, delle affermazioni di parte ricorrente, utilizzando, a tal fine il diverso strumento della verificazione, disciplinato dall’art. 66 e non anche 67 del codice del processo amministrativo.

Deve, quindi, essere rigettata l’eccezione formulata dal Comune e tesa al rinnovo delle operazioni di valutazione dei terreni in contraddittorio con le parti.

Si può, infine, sempre in rito, prescindere dall’esaminare l’eccezione di tardività del deposito dei documenti da parte del Comune ricorrente, attesa l’irrilevanza degli stessi al fine della decisione.

Ciò precisato, per quanto attiene alla quantificazione dell’importo dovuto alla sig.ra R., in esecuzione della sentenza 374/2008, appare opportuno prendere le mosse dalla considerazione che, dalle conclusioni della relazione di chiarimenti, il Collegio ritiene di poter desumere, implicitamente, la conferma dei valori venali individuati nel 2008 e la valutazione di incongruità dei valori di stima stabiliti dal Comune di Gatteo, definiti come più assimilabili all’indennità di esproprio, che non al valore venale: il che esclude che meriti positivo apprezzamento l’eccezione di parte ricorrente, secondo cui l’Agenzia del Territorio avrebbe omesso di pronunciarsi sul terzo quesito postole.

Il Comune di Gatteo tenta, peraltro, nella memoria depositata in esito all’esecuzione della verificazione, di sostenere che gli unici valori concretamente comparabili con quelli dei terreni di proprietà della sig.ra R. sarebbero quelli attribuiti ai terreni limitrofi, ceduti al Comune contestualmente alla sua proprietà nel 1981, nonché quello stabilito dal Consiglio comunale, con deliberazione del 2526 marzo 1985, in lire 4.500 al mq per la cessione in convenzione delle aree ad un non meglio precisato Consorzio per l’attuazione del piano attuativo.

La tesi non appare condivisibile. Come correttamente affermato dall’Agenzia del territorio – e confermato dall’analisi della documentazione depositata -, i valori attribuiti ai terreni all’atto del loro acquisto nel 1981 non potevano, nonostante l’utilizzo dello strumento privatistico contrattuale per il trasferimento della proprietà, che essere commisurati alla potenziale indennità di espropriazione, pena la responsabilità erariale dell’ente locale che, nell’acquisto, avrebbe dovuto privilegiare il ricorso al procedimento ablatorio.

A nulla rileva il fatto che il Comune abbia inteso, successivamente, cedere le aree per la realizzazione del primo lotto ad un prezzo sostanzialmente pari al costo di acquisto delle aree, maggiorato del circa 20/30 %. A prescindere dalle ragioni sottese a tale scelta, appare inequivocabile che la cessione non è avvenuta al "valore venale", ma ad un prezzo pari al "prezzo realmente pagato", maggiorato di un quid non meglio precisato: il valore di 4500 Lire/mq ivi stabilito non può, quindi, ritenersi corrispondente al reale valore venale dei terreni.

Se, quindi, tale valore non può essere un reale termine di raffronto, per altro verso può, invece, essere condivisa la tesi del Comune secondo cui le aree artigianali di S. Arcangelo, per la loro particolare posizione vicina al casello autostradale, raggiungono valori venali più alti di quelle appartenenti alla sig.ra R. e, quindi, nemmeno essi possono costituire un corretto parametro di raffronto.

Quanto riportato nella perizia di parte, però, non appare idoneo a confutare la correttezza delle conclusioni della stima operata dall’Agenzia delle Entrate. Lo stesso tecnico comunale, infatti, richiama, nella propria stima, l’atto di compravendita riferito all’anno 2002, in cui il prezzo riconosciuto è stato, proprio per "terreni oggetto della presente perizia", pari a Lire/mq 54.096. Ancorchè si debba considerare che tale prezzo si riferisce ad aree urbanizzate (e che le stesse aree erano state acquistate ad un prezzo d’esproprio di 7.616 Lire/mq), il valore venale (e non l’indennità di espropriazione) stabilito in sede di verificazione applicando il solo metodo comparativo – e pari a 36.575 Lire/mq – appare, in effetti, equo, tenuto conto dello scorporo del costo di urbanizzazione.

Per addivenire a tale conclusione è, però, necessario sgomberare il campo dall’equivoco ingenerato dall’Agenzia del Territorio quando, nel 2008, ha determinato il valore delle aree mediando il valore del terreno risultante dall’applicazione del sistema comparativo con quello stabilito mediante il criterio del valore di trasformazione. Una tale operazione è frutto di un’autonoma scelta operata dall’Agenzia del Territorio stessa, che non trova alcun supporto nella sentenza 374/2008, la quale non dava alcuna indicazione in tal senso. A ciò si aggiunga il fatto che il tecnico si è limitato a fornire un valore che sarebbe derivato dall’applicazione del criterio, senza dare nessun conto né dei valori di partenza, né dei costi considerati, così rendendo impossibile ogni valutazione in merito all’attendibilità del risultato e, quindi, inutilizzabile il parametro.

Ne deriva che, a parere del Collegio, il controvalore del terreno dovuto alla sig.ra R. deve essere commisurato al solo valore determinato in base al criterio sinteticocomparativo e pari, in concreto, a 36.575 Lire/mq.

Attribuire ai terreni di proprietà della ricorrente, ricadenti in aerea artigianale, un tale valore venale, appare equo, quindi, anche considerato che sia la sig.ra R. Savina,, anch’essa parte del complesso contenzioso che ha portato alla condanna del Comune di cui si controverte, che il Comune stesso hanno ritenuto soddisfacente, nel 2002, abbandonare la controversia in ragione di un accordo transattivo nel quale è stato concordato un prezzo di Euro 30,99/mq, riferito ad aree con destinazione ad attrezzature sportive ricomprese nel medesimo piano attuativo e, quindi, di minor pregio rispetto a quelle a destinazione artigianale.

Anche l’utilizzo del criterio secondo cui il valore delle aree destinate ad attrezzature comunali (per loro natura prive di un vero mercato) e ad altri scopi può essere determinato in misura percentuale rispetto a quello delle aree artigianali appare ragionevole, razionale, in linea con i principi generali dell’estimo e proporzionato.

Ne consegue che il Comune di Gatteo, in esecuzione della sentenza di questo Tribunale n. 374/08, è tenuto a liquidare alla sig.ra R., entro novanta giorni dalla notificazione della presente sentenza, una somma pari al controvalore in Euro di Lire 1.230.697.500, da cui dovrà essere dedotta la somma di Lire 115.097,40, incontestamente già pagata e ogni altra somma già eventualmente liquidata alla suddetta. Sulla differenza così determinata dovranno essere corrisposti interessi e rivalutazione monetaria dal 1 febbraio 1991 al 3 marzo 2010, tenuto conto che, con sentenza dell’Adunanza Plenaria, 13 ottobre 2011, n. 18, il Consiglio di Stato ha chiarito che: "a) gli interessi legali sono dovuti sugli importi nominali dei singoli ratei, dalla data di maturazione di ciascun rateo e fino all’adempimento tardivo, e le somme da liquidare a tale titolo devono essere calcolate sugli importi nominali dei singoli ratei, secondo i vari tassi in vigore alle relative scadenze, senza che gli interessi possano, a loro volta, produrre ulteriori interessi; b) la rivalutazione deve essere calcolata sull’importo nominale dei singoli ratei e va computata con riferimento all’indice di rivalutazione monetaria vigente al momento della decisione; la somma dovuta a tale titolo, stante la sua natura accessoria, non deve essere a sua volta ulteriormente rivalutata.

Le spese del giudizio possono trovare integrale compensazione tra le parti in causa, atteso il limitato e del tutto parziale accoglimento del ricorso, che ha condotto ad una condanna al pagamento di una somma solo in minima parte diversa da quella originariamente stabilita nella stima dell’Agenzia delle Entrate censurata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione.

Dispone la compensazione delle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 21-11-2011, n. 9077

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Svolgimento del processo

I. La ditta F. è proprietaria nel territorio del Comune di Camerano di un’area di circa mq. 21.502 nella quale è localizzato – in conformità alle previsioni urbanistiche ed alla destinazione di zona – un distributore di carburante con relativo deposito.

Nell’area si svolgono svariate attività connesse all’esercizio del distributore e si trovano un bar, un tabaccheria con rivendita di giornali, un’officina meccanica, un autosalone, un deposito di olii minerali, due autolavaggi di cui uno per mezzi pesanti ed un piazzale destinato al parcheggio di camion e veicoli lunghi.

Trattasi di attività svolta da tempo risalente che comporta l’impiego di quindici dipendenti con turni anche notturni e che non può essere diversamente localizzata, non esistendo – allo stato – nel territorio del Comune di Camerano altre aree aventi analoghe dimensioni ed identica destinazione urbanistica.

Con nota del 27.1.2007 l’E. – Divisione Infrastrutture e reti, comunicava alla ditta F. l’avvio del procedimento amministrativo per la ricostruzione dell’elettrodotto AT 150 KW CandiaSirolo, precisando di aver presentato istanza alla Provincia di Ancona per ottenere la relativa autorizzazione.

Nella predetta missiva si rendeva noto che i proprietari e chiunque fosse interessato in forza di un titolo, avrebbe potuto presentare alla Provincia di Ancona (Settore IX – Tutela dell’Ambiente – Area Rischio Idraulico ed Acque Pubbliche) le proprie osservazioni ed opposizioni entro trenta giorni dalla data di pubblicazione dell’avviso nel BUR Marche dell’1.2.2007.

La ditta in questione presentava le proprie osservazioni, trasmettendole con RAR del 27.2.2007, indirizzata sia all’E. che alla Provincia ed allegando una relazione tecnica nella quale sono indicati i motivi dell’opposizione.

Nella relazione l’interessata rappresentava come fosse stato già previsto un tracciato alternativo a quello successivamente approvato con gli atti impugnati ed esattamente individuato nella tavola cartografica avente per titolo "Elettrodotto AT 150 KW SE Candia – CP Sirolo" e per oggetto "Ipotesi di ricostruzione".

Tale tavola cartografica, allegata alle osservazioni presentate, evidenzia un diverso tracciato (colorato in arancione) che varia il tratto finale del tracciato di progetto (colorato in azzurro) ed attraversa un’area interamente inedificata, tenendo lontano l’elettrodotto sia dalle abitazioni, sia dalle strutture destinate ad attività produttive che sarebbero altrimenti compromesse.

Nella relazione è altresì specificato che il tracciato alternativo allontanerebbe l’elettrodotto anche da zone ad elevato rischio di esondazione.

A tali osservazioni l’Amministrazione non rispondeva e la ditta non riceveva più alcuna notizia in ordine al procedimento.

Trascorsi quattro anni, la ditta F. chiedeva alla Provincia di Ancona, ai sensi della L. n.241 del 1990, copia del provvedimento di autorizzazione, se ed in quanto esistente, alla realizzazione dell’elettrodotto in questione e degli atti amministrativi eventualmente adottati nell’arco di tempo nel frattempo trascorso.

Sicchè solamente in data 28.10.2010 prendeva conoscenza delle determinazioni indicate in epigrafe, mai ad essa notificate o comunicate.

II. Con il ricorso in esame la ditta F. le ha impugnate e ne chiede l’annullamento per le conseguenti statuizioni e con vittoria di spese.

A tal fine lamenta:

1) violazione e falsa applicazione dell’art.4 della L.R. 6.6.1988 n.19 e successive modificazioni; degli artt.52 bis, comma 6, 53 ter e 16 del DPR. n.327 del 2001; dell’art.10 della L. n.241 del 1990; degli artt.146 e 158 del D.Lgs. n.42 del 2004 e dell’art.1 della L. n.431 del 1985, e del DPCM 12.12.2005, deducendo che l’Amministrazione (sia la Provincia di Ancona che l’E.) avrebbe dovuto, mediante convocazione di apposita conferenza di servizi, esaminare e valutare le osservazioni ed opposizioni (da loro proposte) e pronunziarsi espressamente su esse;

2) violazione e falsa applicazione dell’art.121 del TU n.1775 del 1933, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, e per sviamento di potere (cattivo uso di discrezionalità tecnica), deducendo:

– che "il nuovo tracciato percorre (…) un’area a rischio frana classificata come rischio medio R2 per una lunghezza di 150 mt, fra i sostegni 6 e 7, un’area a rischio esondazione classificata come rischio medio R2 per una lunghezza di 3,5 Km ed un’rea a rischio esondazione classificata come rischio molto elevato R4 per una lunghezza di 600 mt", il che "significa che ben il 42% del nuovo tracciato affonda in aree esondabili", mentre il tracciato alternativo proposto in sede di osservazioni "non presenta alcun rischio idrogeologico" ed "attraversa un’area interamente inedificata tenendosi lontano dalle abitazioni esistenti con distanze superiori ai 100 mt, ciò che non si verifica sul tracciato di progetto" che prevede che l’elettrodotto venga a trovarsi, in un punto, a soli 29 mt dall’asse di un autosalone attiguo ad un distributore di benzina e che attraversi un’area a destinazione industriale;

b) che l’Amministrazione non ha spiegato la ragione per la quale la soluzione prescelta sarebbe meno pericolosa, più razionale e meno pregiudizievole per il fondo dei ricorrenti; e che tale lacuna costituisce un grave vizio istruttorio che si riflette negativamente sul provvedimento definitivo, inficiandone la validità;

c) che, in ogni caso, la soluzione migliore – la più razionale e la meno pericolosa e pregiudizievole per i fondi da asservire – è quella proposta dai ricorrenti, sicchè la decisione di disattenderla è comunque illegittima siccome manifestamente illogica, oltrecchè immotivata;

3) violazione e falsa applicazione dell’art.4 del DPCM 8.7.2003 n.11723 e dell’art.121 del TU 1775 del 1933, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, deducendo:

a) che il progetto prevede che l’elettrodotto attraversi l’area industriale della ricorrente, determinando il rischio di esposizione dei lavoratori impegnati nella stessa a radiazioni elettromagnetiche pericolose propagabili ben oltre la limitata fascia di rispetto (larga solamente 30 metri anzicchè – come previsto dalla normativa – 21,5 per lato, e dunque 43 metri) calcolata dall’Amministrazione;

b) che il calcolo effettuato dall’Amministrazione per stabilire la misura (estensione per larghezza) della fascia di rispetto da asservire all’elettrodotto, in modo da distanziarlo da siti nei quali è previsto lo stanziamento o la permanenza di persone, è viziato da errori tecnici e basato sull’errato presupposto che la superficie interessata (da asservire) sarebbe pari a soli mq 2.960;

c) che le osservazioni in questione non hanno costituito oggetto di alcuna espressa valutazione e che pertanto anche sotto questo profilo la decisione dell’Amministrazione di non tenerne conto, appare ingiustificatamente immotivata.

II. In pendenza del giudizio, il Dirigente del Servizio Progettazione OO.PP. VIA della Provincia di Ancona (OVVERO: della Regione Marche VERIFICARE) ha adottato il Decreto Dirigenziale n.87/POP del 4.10.2005, con cui ha rilasciato giudizio positivo di compatibilità ambientale in ordine alla realizzazione dell’opera pubblica.

Con ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha impugnato anche detto provvedimento sopravvenuto.

Nel chiederne l’annullamento lamenta violazione dell’art.3 della L. n241 del 1990 e dell’art.121, comma 2°, del RD n.1775 del 1933, e dell’art.4 del DPCM n.11723, nonché eccesso di potere per difetto di motivazione, sviamento di potere (cattivo uso della discrezionalità tecnica), difetto di istruttoria ed erronea valutazione dei presupposti di fatto, deducendo (rectius: ribadendo) quanto già osservato nel ricorso principale (al quale si rinvia).

III. Ritualmente costituitasi, la Provincia di Ancona ha eccepito l’infondatezza del ricorso chiedendone il rigetto con vittoria di spese.

E così pure il Ministero dello Sviluppo Economico, l’A. e l’E..

Si è costituita anche la società T. s.r.l. che, con vari atti difensivi, ha eccepito l’inammissibilità per tardività e, in subordine, l’infondatezza del ricorso ed anche dei motivi aggiunti; chiedendone il rigetto con vittoria di spese.

IV. Nel corso del giudizio le parti hanno presentato ulteriori atti difensivi con i quali hanno insistito nelle rispettive richieste ed eccezioni.

Infine, all’udienza dell’8.6.2011, il Collegio si è riservata la decisione, che è stata assunta nella camera di consiglio del 28.9.2011.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

1.1. Con il primo mezzo di gravame del ricorso principale, la ricorrente lamentano violazione e falsa applicazione dell’art.4 della L.R. 6.6.1988 n.19 e successive modificazioni; degli artt.52 bis, comma 6, 53 ter e 16 del DPR. n.327 del 2001; dell’art.10 della L. n.241 del 1990; degli artt.146 e 158 del D.Lgs. n.42 del 2004 e dell’art.1 della L. n.431 del 1985, e del DPCM 12.12.2005, deducendo che l’Amministrazione avrebbe dovuto, mediante convocazione di apposita conferenza di servizi, esaminare e valutare le osservazioni ed opposizioni (da loro proposte) e pronunziarsi espressamente su esse.

1.1.1. Va innanzitutto rilevato che non può essere condivisa l’eccezione preliminare sollevata dalla società T. s.r.l., secondo cui le censure relative al tracciato dell’elettrodotto sarebbero inammissibili per tardività in quanto rivolte a sindacare valutazioni provvedimentali ormai consolidatesi in quanto già assunte e manifestate nel Decreto dirigenziale n.87 del 2005 (approvativo della Valutazione di Impatto Ambientale), non tempestivamente impugnato dalla ricorrente non ostante fosse stato richiamato nel Decreto n.399 del 2008.

Tale eccezione non può essere accolta in quanto secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza, il termine decadenziale per l’impugnativa del provvedimento amministrativo non decorre dal momento della conoscenza degli estremi identificativi dello stesso, ma dal momento della effettiva conoscenza dei suoi elementi contenutistici essenziali; e ciò in quanto soltanto da tale conoscenza possono desumersi eventuali vizi sindacabili (C.S., V^, 8.3.2010 n.1339; C.S., VI^, 17.4.2009 n.2329).

1.1.2. Nel merito, la doglianza merita accoglimento.

1.1.2.1. La Legge Regionale 6.6.1988 n.19 (della Regione Marche), recante norme in materia di opere pubbliche per la realizzazione di impianti elettrici fino a 150.000 KW, prescrive – agli artt. 4 e seguenti – che prima di adottare atti esecutivi volti alla realizzazione di opere di tal genere, l’Amministrazione competente:

– disponga e curi la pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione di un avviso contenente per estratto il testo della domanda di autorizzazione, i dati tecnici dell’impianto progettato e l’indicazione del luogo ove gli interessati possano presentare eventuali osservazioni ed opposizioni;

– comunichi (rectius: trasmetta) le osservazioni e le opposizioni al soggetto richiedente l’autorizzazione (che nel caso dedotto in giudizio è l’E.) invitandolo a formulare, entro trenta giorni, le proprie controdeduzioni, o a comunicare l’accettazione (in tutto o in parte) dei rilievi in questione e delle proposte alternative;

– e convochi a tal fine un’apposita conferenza di servizi.

Gli artt. 16, 52 bis e 53 ter del DPR n.327 del 2001 prevedono, inoltre, che l’Amministrazione comunichi l’avvio del procedimento ai proprietari delle aree nelle quali è prevista la realizzazione dell’opera, affinchè possano esercitare il diritto di formulare le proprie osservazioni ed opposizioni.

La citata normativa stabilisce, infine, che l’Autorità espropriante valuti le osservazioni dei privati coinvolti e si pronunzi espressamente sulle stesse con atto motivato.

E’ evidente che quelli testè descritti costituiscono veri e propri obblighi incombenti sull’Amministrazione per la tutela dei diritti dei proprietari; obblighi posti dal Legislatore nell’esclusivo interesse di questi ultimi.

E che pertanto non sono derogabili dall’Amministrazione.

Senonchè, nella fattispecie per cui è causa:

– l’E. non ha formulato e trasmesso alla Provincia alcuna controdeduzione in ordine alle osservazioni, opposizioni e proposte dei ricorrenti;

– e la Provincia non le ha comunque valutate, né si è motivatamente pronunziata sulle stesse.

Ciò si evince, peraltro, dai provvedimenti impugnati, nei quali non v’è alcun richiamo ad attività procedimentali volte ad esperire la valutazione in questione.

La quale non è stata compiuta neanche nella conferenza di servizi chiamata ad esprimersi sull’approvazione del progetto.

1.1.2.2. L’eccezione di merito sollevata dalla T. s.r.l., secondo cui l’esame del tracciato alternativo (c.d. "tracciato arancione") era stato già effettuato precedentemente (con esito negativo) nel corso del procedimento, non ha pregio ed è irrilevante nei confronti (rectius: dal punto di vista) della ricorrente.

E ciò per due ragioni.

1.1.2.2.1. Innanzitutto in quanto l’esame cui la Difesa della T. s.r.l. fa riferimento è stato un esame meramente endoprocedimentale che, perciostesso, non ha contemplato la partecipazione della ricorrente, la quale non ha potuto interloquire sulla questione apportando – secondo la ratio della normativa invocata – un suo specifico contributo.

1.1.2.2.2. Ed in secondo luogo in quanto la proposta della ricorrente meritava comunque una risposta espressa (id est: "esternalizzata"), qualsiasi essa fosse (anche se formulata mediante un semplice rinvio alle ragioni precedentemente valutate), che rendesse "provvedimentale" (dunque sindacabile) la scelta amministrativa; e "pubblico" (dunque evidente e controllabile) il processo decisionale e motivazionale – e la correlata fase procedimentale – che ad essa aveva condotto.

1.1.2.2.3. Se a ciò si aggiunge che le osservazioni della ricorrente portavano all’attenzione delle Amministrazioni coinvolte taluni elementi di riflessione nuovi, non valutati precedentemente (nella specie: profili comparativi volti a valorizzare il progetto comportante minor sacrificio per le proprietà incise e minor rischio di disastri per esondazioni) ed atti a sollecitare un dibattito sulla sicurezza degli impianti e sulla soluzione maggiormente idonea a realizzare l’interesse pubblico (oltrecchè quello dei postulanti), il rifiuto dell’Amministrazione di colloquiare (rectius: di rispondere alle istanze partecipative) appare ancor più ingiustificato ed ingiustificabile.

1.2. Con il secondo mezzo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.121 del TU n.1775 del 1933, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, e per sviamento di potere (cattivo uso di discrezionalità tecnica), deducendo:

– che "il nuovo tracciato percorre (…) un’area a rischio frana classificata come rischio medio R2 per una lunghezza di 150 mt, fra i sostegni 6 e 7, un’area a rischio esondazione classificata come rischio medio R2 per una lunghezza di 3,5 Km ed un’rea a rischio esondazione classificata come rischio molto elevato R4 per una lunghezza di 600 mt", il che "significa che ben il 42% del nuovo tracciato affonda in aree esondabili", mentre il tracciato alternativo proposto in sede di osservazioni "non presenta alcun rischio idrogeologico" ed "attraversa un’area interamente inedificata tenendosi lontano dalle abitazioni esistenti con distanze superiori ai 100 mt, ciò che non si verifica sul tracciato di progetto" (tracciato, quest’ultimo, che prevede che l’elettrodotto venga a trovarsi, in un punto, a soli 29 mt dall’asse di un autosalone attiguo ad un distributore di benzina e che attraversi un’area a destinazione industriale);

b) che l’Amministrazione non ha spiegato la ragione per la quale la soluzione prescelta sarebbe meno pericolosa, più razionale e meno pregiudizievole per il fondo dei ricorrenti; e che tale lacuna costituisce un grave vizio istruttorio che si riflette negativamente sul provvedimento definitivo, inficiandone la validità;

c) che, in ogni caso, la soluzione migliore – la più razionale e la meno pericolosa e pregiudizievole per i fondi da asservire – è quella proposta dai ricorrenti, sicchè la decisione di disattenderla è comunque illegittima siccome manifestamente illogica, oltrecchè immotivata;

Anche tale doglianza si appalesa meritevole di accoglimento, almeno nella parte volta a censurare come vizio motivazionale il silenzio serbato dall’Amministrazione sulle osservazioni e sulle opposizioni avanzate dai ricorrenti.

Ed invero le preoccupanti e gravi affermazioni della ricorrente, supportate da osservazioni tecniche degne di attenzione, richiedevano una esplicita risposta fondata su accertamenti istruttori precisi e concordanti.

Mentre invece l’Amministrazione non ha spiegato la ragione per la quale la soluzione prescelta sarebbe meno pericolosa per gli impianti e per la stessa collettività; nonché più razionale e meno pregiudizievole per il fondo della ricorrente.

Sicchè la decisione di disattendere la "proposta" della ricorrente, a fronte degli inconvenienti denunciati, appare se non definitivamente illogica, certamente ingiustificatamente immotivata.

1.3. Con il terzo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.4 del DPCM 8.7.2003 n.11723 e dell’art.121 del TU 1775 del 1933, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, deducendo:

a) che il progetto prevede che l’elettrodotto attraversi l’area industriale della ricorrente, determinando il rischio di esposizione dei lavoratori impegnati nella stessa a radiazioni elettromagnetiche pericolose propagabili ben oltre la limitata fascia di rispetto (larga solamente 30 metri anzicchè – come previsto dalla normativa – 21,5 per lato, e dunque 43 metri) calcolata dall’Amministrazione;

b) che il calcolo effettuato dall’Amministrazione per stabilire la misura (estensione per larghezza) della fascia di rispetto da asservire all’elettrodotto, in modo da distanziarlo da siti nei quali è previsto lo stanziamento o la permanenza di persone, è viziato da errori tecnici e basato sull’errato presupposto che la superficie interessata (da asservire) sarebbe pari a soli mq 2.960;

c) che le osservazioni in questione non hanno costituito oggetto di alcuna espressa valutazione e che pertanto anche sotto questo profilo la decisione dell’Amministrazione di non tenerne conto, appare ingiustificatamente immotivata.

Anche tale doglianza è merita accoglimento, almeno sotto il profilo evidenziato sub c).

Ed invero di fronte alle gravi affermazioni della ditta ricorrente, concernenti rischi per la salute dei lavoratori impiegati nelle aree limitrofe all’elettrodotto, ed alle preoccupazioni al riguardo manifestate, si imponevano un supplemento istruttorio e un’adeguata motivazione in ordine alla scelta tecnica definitivamente adottata.

1.4. Con i motivi aggiunti la ricorrente lamenta l’illegittimità del Decreto Dirigenziale n.87/POP del 4.10.2005, con cui il Dirigente del Servizio Progettazione OO.PP. VIA ha rilasciato giudizio positivo di compatibilità ambientale in ordine alla realizzazione dell’opera pubblica.

Lamenta, al riguardo, violazione dell’art.3 della L. n241 del 1990 e dell’art.121, comma 2°, del RD n.1775 del 1933, nonché eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto di istruttoria, ed erronea valutazione dei presupposti di fatto, deducendo (rectius: ribadendo) quanto già osservato nel ricorso principale.

1.4.1. L’ulteriore eccezione preliminare al riguardo sollevata dalla T. s.r.l., secondo cui anche il ricorso per motivi aggiunti sarebbe inammissibile perché tardivo, in quanto notificato oltre il termine di sessanta giorni dalla conoscenza legale del provvedimento impugnato (derivante dalla pubblicazione dello stesso nel B.U.R.), non può essere condivisa.

Secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza (CS, VI^, 20.12.1999 n.2117; CS, IV^, 21.7.1997 n.737; CS, V^, 6.2.2001 n.475), per i soggetti "direttamente contemplati" dal provvedimento lesivo, il termine di impugnazione decorre dalla data di notifica o di comunicazione individuale dello stesso, ovvero dal momento in cui l’interessato ne acquisti la piena conoscenza, restando irrilevante ogni riferimento alla data di pubblicazione (in GURI o nel BUR).

E poiché non v’è dubbio che la ricorrente sia un soggetto direttamente contemplato dal provvedimento (in quanto direttamente leso dalle statuizioni in esso contenute, delle quali è oggettivamente destinatario, individuato ed individuabile ancorchè non indicato nominativamente), è evidente che il principio sopra enunciato trovi applicazione in loro favore.

1.4.2. Quanto al merito delle doglianze in esame, esse ricalcano quelle già avanzate avverso gli altri due provvedimenti impugnati; sicchè non resta che accoglierle per le medesime ragioni esposte ai capi 1.1., 1.2. ed 1.3., ai quali si rinvia.

2. In considerazione delle superiori osservazioni, il ricorso va accolto con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati, salvi gli ulteriori motivati provvedimenti dell’Amministrazione.

Si ravvisano giuste ragioni per compensare le spese processuali.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso, e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati, salvi gli ulteriori motivati provvedimenti dell’Amministrazione.

Compensa le spese fra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-10-2011) 10-11-2011, n. 40911 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Sull’appello proposto, tra gli altri, da C.S., G. A., P.A. e P.M. avverso la sentenza del GIP presso il Tribunale di Lecco in data 30-11-2009 che, all’esito di giudizio abbreviato, li aveva dichiarati colpevoli dei reati di detenzione illegale di armi da sparo e da taglio nonchè di concorso in illecito e continuato acquisto, trasporto e detenzione a fine di spaccio di cocaina, con l’aggravante della cessione e consegna dello stupefacente, a persona, all’epoca dei fatti, minorenne e della recidiva a ciascuno contestata, condannando i predetti alle pene rispettivamente ritenute di giustizia, concesse ai soli C. e P.M. le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti, la Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 22-11-2010, in parziale riforma della sentenza del GIP, riduceva la pena inflitta al P.A. per il reato di cui al capo R) (in esso compreso il capo I) ad anni otto di reclusione ed Euro 40.000 di multa, così determinando la pena complessiva in anni undici di reclusione ed Euro 40.500 di multa, confermando nel resto l’impugnata sentenza condannando C., G. e P.M. al pagamento delle spese processuali del grado.

Avverso tale sentenza gli anzidetti imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo a motivi del gravame, a mezzo dei rispettivi difensori:

C.;

Violazione di legge e motivazione illogica e contraddittoria circa la prova di responsabilità del ricorrente in ordine ai reati di cui ai capi M) e q) anche in relazione all’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, lett. a) di cessione di droga a minorenne, anche per l’equivocità e genericità del contenuta delle intercettazioni e difetto di riscontri oggettivi. Ci si duole, inoltre, del denegato riconoscimento dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, pur ricorrendone i presupposti oggettivi in relazione al dato ponderale della droga come tracciato dall’elaborato peritale e soggettivi, in relazione alla personalità travagliata del ricorrente in difficoltà esistenziali e familiari.

Si è, infine, censurato il bilanciamento delle concesse attenuanti generiche con le contestate aggravanti in relazione all’esigenza di adeguare la pena ad un "ambito più ragionevole più consono all’entità dei comportamenti posti in essere";

G.;

Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche, con elusione dei criteri permeanti la misura del trattamento sanzionatorio ex art. 133 c.p. segnatamente riferiti agli elementi soggettivi del ricorrente, in punto di giovane età, formale stato di incensuratezza e stabile condizione di vita anche familiare e di lavoro, tali da rendere ragionevolmente fondato un giudizi© prognostico di non recidività;

P.A.;

Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e) in relazione agli artt. 192 e 530 c.p.p., art. 546 c.p.p., lett. e) e L. n. 497 del 1974, artt. 10 e 14, art. 697 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e art. 81 c.p. per inosservanza o erronea applicazione di legge penale e processuale penale nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di:

1) Responsabilità del ricorrente in ordine al reato sub E), stante l1 inattendibilità delle dichiarazioni accusatorie di D. M., unico elemento, d’accusa, con trascurata valutazione del rilievi difensivi sul punto, ricorrendo a motivazione insufficiente ed illogica nel tentativo di dare consistenza alle predette dichiarazioni in relazione anche ad elementi che non hanno valenza giuridica di riscontri, a discapito dell’unico elemento oggettivo e concrete dell’esito negativo delle numerose perquisizioni;

2) responsabilità del ricorrente in relazione al reato sub P), stante la inattendibilità delle dichiarazioni accusatorie del R., soggetto mosso da risentimento verso il ricorrente per accertate ragioni familiari e personali, cui va aggiunto il dato del mancato rinvenimento dell’arma, elemento a discarica del tutto trascurato in sentenza;

3) Errata qualificazione giuridica del reato sub G), essendo illogico e "contra ius" sostenere che l’asserita minaccia al R. avrebbe comportato la dispersione della prova e dunque generato una condotta di favoreggiamento verso il R., le cui dichiarazioni, invece, erano da ritenersi inattendibili in punto di ricostruzione dei fatti, con trascurata risposta ai rilievi difensivi secondo cui la deposizione del L., lungi del costituire riscontro alle dichiarazioni del predetto R., ne comprovavano l’inattendibilità;

4) In relazione al capo H), la gravata sentenza risulta emessa in violazione dell’art. 697 c.p., trattandosi di arma c.d. impropria, in dotazione a corpi militari per ragioni di mera rappresentanza, durante le cerimonie ufficiali di guisa che, essendo stata trovata appesa al muro come mero "orpello ornamentale" difettava l’elemento costitutivo del reato anzidetto e, pertanto, l’affermazione di penale resonsabilità del ricorrente al riguardo risultava emessa in violazione dell’art. 697 c.p.;

5) Illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione di legge in ordine al reato di cui al capo R), la cui responsabilità per il ricorrente era stata fondata sulle dichiarazioni di tali D., peraltro solo de relato e G. e S., del tutto inattendibili, per i rilievi difensivi a cui non era stata data alcuna risposta, ricorrendo ad assertive smentite in punto di rapporti anche di conoscenza tra il ricorrente ed i dichiaranti, avuto riguardo anche alla sentenza del Tribunale di Lecco, emessa all’esito di rito ordinario, nei confronti del coimputato Ru., concorrente in ordine a detto reato sub R);

6) Omessa motivazione in ordine all’invocata attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, in difetto di risposta alle controdeduzioni difensive sul punto, nonchè alle oggettive risultanze istruttorie; 7) Erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione in ordine al diniego dell’invocata continuazione tra i reati di cui ai capi E), P), G) ed H) con il reato sub capo R) (in esso assorbito il capo I) trattandosi di una decisione emessa "contra ius" in relazione ai contenuti, finalità e funzioni dell’istituto della continuazione ex art. 81 c.p., segnatamente riferiti all’unicità del disegno criminoso che, con gratuita asserzione motivazionale, viene condizionato alla presunta necessità di una confessione da parte dell’imputato;

Motivo del tutto comune a quello del ricorso a firma del difensore Avv. TOCCI;

P.M.:

Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e) in relazione agli artt. 192 e 530 c.p.p., art. 546 c.p.p., lett. e) e art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per violazione ed erronea applicazione di legge penale e processuale penale ed illogicità e contrad-dittorietà della motivazione in punto di:

1) responsabilità del ricorrente per i reati contestati ai capi M) e Q), affermata con motivazione illogica e contraddittoria, con richiamo alle risultanze di intercettazioni telefoniche, lette con trascurata valutazione delle controdeduzioni difensive in punto di consapevole e volontario concorso con terzi (peraltro anche congiunti) nella perpetrazione di detti reati, nonostante la carenza di elementi caratterizzanti la condotta del reato di spaccio, profilandosi, al più, quello di favoreggiamento reale ex art. 379 c.p.;

2) Violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1 per illogicità della motivazione in merito all’asserita sussistenza dell’aggravante, nonostante non risultasse giammai comprovato il rapporto tra il ricorrente ed il minore Co., che, a suo stesso dire, aveva invece avuto rapporti con altra persona per la cessione di droga, di guisa che non era dato affatto ritenere provata la conoscenza da parte del ricorrente della minore età del ragazzo, apodittica e contraddittoria apparendo l’affermazione dell’asserita "non occasionalità" del coinvolgimento del P.M. nel contesto criminoso a giustificazione di tale asserita conoscenza;

3) Manifesta illogicità della motivazione in ordine al diniego, quanto al reato sub L), dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, nonostante, dalle analisi versate in atti,il quantitativo dello stupefacente (principio attivo pari a gr. 19,65 dei gr.60 di cocaina) giustificasse, in punto di assorbente dato ponderale, il riconoscimento di tale attenuante. Con motivi nuovi la difesa di P.A. e P.M., in persona dell’Avv. Antonio Lucio Abbondanza, ha ribadito la manifesta illogicità della motivazione, contraddittorietà della stessa, violazione ed erronea applicazione degli artt. 192 e 530 c.p.p., art. 546 c.p.p., lett. e) e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 avuto riguardo all’esito del giudizio nei confronti dell’imputato di reato connesso Ru.

M. con specifico riferimento ai reati su capi i) ed R), giusta sentenza n. 91/011 in data 8-02-2011, del Tribunale di Lecco di assoluzione per non aver commesso il fatto, sostanzialmente irrevocabile per tali punti ed ex art. 238 bis c.p.p., acquisibile agli atti ai fini della prova del fatto in essa accertato,con richiesta a questa Corte di prendere atto di tanto, i ricorsi vanno dichiarati inammissibili per manifesta infondatezza dei motivi addetti,peraltro e talora non immuni da altrettanto inammissibili riferimenti al punto di mero fatto.

Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma equitativamente determinata in Euro mille alla cassa delle ammende.

In via preliminare, infatti, non va trascurata la comune matrice di inammissibilità in relazione alla censura di difetto di motivazione anche in punte di asserita manifesta illogicità e contraddittorietà della stessa solo attraverso una "diversa" lettura delle acquisite risultanze processuali, analiticamente esaminate dai giudici di merito e valutate attraverso l’esercizio del loro potere discrezionale, come tale insindacabile in questa sede di legittimita, se, come nella specie, sufficientemente motivato. Ciò posto, quanto al ricorso del C., trattasi di motivi manifestamente infondati e che non lesinano generalizzazioni di "facciata" ai criteri permeanti la valutazione della prova nel giudizio di merito, trascurando che eventuali rilievi, apprezzabili in questa sede di legittimità, non possono essere aprioristicamente valutati in una "diversa" ed asseritamente più consona "luce" di correttezza interpretativa di tale prova. Trattasi di un principio di diritto che varrà richiamare anche in ordine al ricorsi degli altri coimputati e segnatamente di quelli del P., come meglio innanzi si avrà modo di segnalare.

Inconsistenti le censure attinenti l’asserito difetto di motivazione e valutazione in ordine agli elementi accusatori supportanti la condanna per i reati sub capi M) (cfr. foll. 29-30), Q) (cfr. foll.

31-32), L) (cfr. fol. 32), denegata concessione attenuante D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 (cfr. fol. 32) e trattamento sanzionatorio (cfr. fol.33).

L’impugnata sentenza, infatti, si data carico di puntualmente segnalare i molteplici, convergenti e metodologicamente consequenziali elementi di accusa con richiamo alla prova specifica ed a quella generica, senza affatto trascurare un debito confronto, anche logico, tra tali dati probatori. Ne deriva la gratuità delle censure difensive sul punto, come è agevole rilevare anche quanto alla denegata concessione dell’invocata attenuante del fatto di lieve entità (che, com’è noto, non va ricondotto alla sola circostanza ponderale dello stupefacente ma anche ai mezzi, modalità e circostanze del fatto) ad alla misura del trattamento sanzionatorio, riservato, come già innanzi ricordato, al potere discrezionale del giudice di merito come tale insindacabile in questa sede se, come nella specie, adeguatamente e correttamente motivata, segnatamente riferito alla negativa personalità del ricorrente, gravato di allarmante recidiva e considerata l’altrettanto allarmante pluralità dei fatti contestati.

Del pari manifestamente infondato il ricorso del G., posto che, contrariamente alla doglianza attinente l’asserito difetto di motivazione in relazione alla denegata concessione delle attenuanti generiche, l’impugnata sentenza ha fatto buon governo di una valutazione logica, pregnante e corretta dei criteri tracciati ex art. 133 c.p., sottolineando l’ostatività alla concessione dell’invocate attenuanti e relativa riduzione della misura del trattamento sanzionatorio per la negativa personalità del ricorrente, evincibile da un negativo comportamento processuale e da uno stabile suo inserimento nel mondo dello spaccio di droga, come puntualmente segnalato in sentenza (cfr.foll.27 – 28).

Quanto al ricorso del P.A., trattasi di censure non solo manifestamente infondate ma, talora, anche invadenti inammissibili sfere in punto di fatto e, tal’altra, ripetitive di una asserita necessità di "rilettura" delle risultanze processuali, con trascurata osservanza del principio di diritto innanzi tracciato da questa Corte di legittimità al riguardo (cfr. argomentazioni in merito per il ricorso C.).

A smentita delle censure attinenti la colpevolezza del ricorrente in ordine al reato sub E) va richiamata l’argomentata risposta offerta dall’impugnata sentenza (cfr.fol. 46)anche quanto ai criteri di attendibilità della prova specifica, con risposta alle controdeduzioni difensive al riguardo. Del pari vi è corretta, motivata risposta in ordine al reato sub P) (cfr. fol. 46 e 47), a prescindere da ripetuto argomentare difensivo in punto di mero fatto, non senza che i giudici di merito si siano fatti carico puntuale e logico della verifica di attendibilità anche "oggettiva delle dichiarazioni accusatorie del R.M., supportate, peraltro, dall’esito della perquisizione.

Altrettanto e a dirsi quanto alle censure attinenti la decisione sul capo G), posto che nell’impugnata sentenza si è data corretta, logica e puntuale risposta alla controdeduzioni difensive al riguardo (cfr. foll. 48-49), con particolare riferimento all’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie del R., senza affatto trascurarne la conferma attraverso il richiamo alle dichiarazioni del L. A., a prescindere dall’ammissione dello stesso ricorrente quanto alla "tensione" caratterizzante l’incontro con il R..

Manifestamente infondate le censure attinenti la responsabilità del ricorrente con riguardo al capo H),stante la logica risposta offerta in sentenza circa la permanente potenzialità offensiva dell’arma, come, del resto, ripetutamente affermato da questo giudice di legittimità in punto di rilevanza penale della detenzione di siffatta arma, in termini di sostanziale "potenzialità offensiva" della stessa che" la ratio legis" mira a neutralizzare con il disposto dell’art. 697 c.p. trattandosi di fattispecie ben diversa quella attinente conclamate riproduzioni meramente "artistiche" di tali armi e finalizzate alla mera resposizione ornamentale e museale, in costanza di circostanze oggettive che ne impediscano, anche indirettamente, l’uso in funzione di offensività della cosa.

La doglianza attinente l’asserito difetto di motivazione in ordine al reato sub capo R) (in esso assorbito il capo I), trova una corretta,logica ed esauriente risposta in sentenza (cfr. foll. 49- 50), con attento vaglio della prova specifica, relazione all’assunto del G., del S. e del D., tra loro convergenti ed oggettivamente riscontrantesi tra loro.

Del pari manifestamente infondata la doglianza attinente il vizio motivazionale circa il diniego dell’invocata attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

Con aderenza logica e motivata alla stessa giurisprudenza di questa Corte di legittimità, anche a S.U., l’impugnata sentenza ha offerto motivata risposta alle ragioni del diniego di tale attenuante, in difetto dei presupposti della minima offensività del fatto (cfr. foll.50-51).

Quanto alla censura attinente il diniego del vincolo della continuazione tra il reato sub R) e gli altri capi relativi alla detenzione di armi da fuoco, trattasi di doglianza del tutto priva di fondamento, posto che l’impugnata sentenza, in corretta chiave di lettura dell’unicità del disegno criminoso, in senso sostanziale in rapporto ai reati contestati, ha escluso il vincolo dell’invocata continuazione, stante la palese eterogeneità, oltre che formale, anche sostanziale tra i reati attinenti le armi e quelli attinenti i fatti di droga (capo R in esso assorbito capo I), fermo restando il principio di diritto, ripetutamente ribadito da questa Corte di legittimità, secondo cui la valutazione dell’identità del medesimo disegno criminoso in punto di sussistenza anche ontologica di tale unità, è compito del giudice di merito,la cui decisione sul punto se, come nella specie, sufficientemente motivata (cfr. foll. 51-52) è insindacabile in sede di legittimità.

Tanto vale a fornire analoga risposta di inammissibilità per le doglianze proposte sullo stesso tema dall’Avv. TOCCI con il ricorso a sua firma nello interesse del P.A..

Va, infine, dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse di P.M., posto che, con esplicito richiamo ai principi di diritte innanzi segnalati sui criteri di valutazione del decisum rispetto al vaglio del "probatum", come cennati in ardine alle posizioni dei coimputati ricorrenti C. e P. A., anche le censure del predetto ricorrente P.M. trovano corretta, logica e motivata risposta nell’impugnata sentenza.

Ed invero,quanto alla dichiarata responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi M) e Q), vi è una puntuale risposta motivazionale in sentenza impugnata (cfr. foll. 40-41) per il capo M), senza affatto trascurare una corretta e motivata risposta anche in ordine all’aggravante ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, ed all’inconcedibilità dell’indicata attenuante di cui al cit. D.P.R., art. 73, comma 5. (cfr. foll. 41-42). Del pari incensurabile la risposta motivazione in ordine al reato sub Q) (cfr. foll. 42,43,44), con analitica verifica della prova specifica, anche in punto di logica rispetto agli interesse dell’imputato nell’acquisto e commercializzazione della droga.

Del pari corretta e motivata è la risposta in ordine al reato sub L) (cfr. fol.44),in uno a quella sulla inconcedibllità dell’attenuante del fatta di lieve entità, in aderenza ai principi di diritto tracciati da questa Corte di legittimità sui presupposti – anche oggettivi – legittimanti detta attenuante e,nella specie,non riconoscibile in un quadro di omincomprensiva valutazione della vicenda,agli effetti della sua minima offensività penale.

Resta da aggiungere che l’invocato richiamo alla sentenza assolutoria del coimputato Ru. (giudicato separatamente e non ricorrente nel procedimento in esame in ordine ai reati sub I) ed R), con decisione documentalmente passata in giudicato, è del tutto ininfluente perchè, come, del resto, risulta dal testo stesso della decisione del Tribunale di Lecco (n. 19/03 dell’8-02-2011 diligentemente allegata dalla difesa), la decisione assolutoria relativa al Ru. non esclude affatto la comprovata responsabilità dei fratelli P., attuali ricorrenti in questa sede, in ordine ai reati anzidetti, anzi appare evidente la posizione del tutto autonoma dei predetti rispetto a quella del coimputato Ru., come si evince incontestabilmente dai rilievi dedotti in tale sentenza ai foll. 8-9, segnatamente relativi alla posizione del P.A., dichiarato concorrente, del predetto Ru. quanto ai reati sub I) ed R), come risulta dall’epigrafe di tale sentenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

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