T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 02-01-2012, n. 23

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Considerato che, con il ricorso introduttivo del giudizio, la parte ricorrente, nella sua qualità di primo acquirente nell’ambito del sistema nazionale delle c.d. "quote latte", ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti emessi da AIMA (ora AGEA) relativi alla procedura di compensazione del prelievo supplementare inerenti le consegne relative alle annate 1995/1996 e 1996/1997 ex art. 1 del D.L. n. 43 del 1999 nonché gli atti a questi consequenziali e connessi;

– che, con ordinanza n. 2694/1999, la Sezione ha accolto la domanda di sospensione cautelare;

– che AIMA (ora AGEA) e il Ministero del Tesoro si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso;

– che, alla pubblica udienza del 2 novembre 2011, il Collegio, dopo aver eccepito d’ufficio l’inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 73, comma 3, dell’allegato 1 del D.Lgs. n. 104 del 2010, per mancanza di legittimazione della ricorrente ed aver ascoltato le controdeduzioni in rito ed in merito della parte ricorrente, ha trattenuto la causa in decisione;

– che la questione relativa alla legittimazione del primo acquirente ad impugnare le richieste di prelievo supplementare è stata già affrontata dalla Sezione e dal Consiglio di Stato, tanto che sussistono i presupposti per l’adozione di una sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 74 del codice del processo amministrativo, attraverso il richiamo a precedenti giurisprudenziali conformi;

– che il Collegio, al riguardo, non ha motivi per discostarsi da quanto già espresso sul punto dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St., sez. VI, 19 gennaio 2010, n. 176; 19 giugno 2009, n. 4134; TAR Lazio, sez. II Ter, 22 gennaio 2004, n. 610 e, da ultimo, 7 luglio 2011 nn. 6027 e 6028), che ha ritenuto i soggetti primi acquirenti dei prodotti lattiero-caseari privi di legittimazione ed interesse ad impugnare gli atti applicativi del complesso meccanismo del prelievo supplementare, nell’ambito del mercato regolamentato di tale settore;

– che a nulla vale invocare l’art. 1, comma 15, del D.L. n. 43 del 1999 (convertito, con modificazioni, in L. n. 118 del 1999) in quanto la norma collega la responsabilità dell’acquirente (in proprio ed) in solido con il produttore nel solo caso in cui il primo abbia omesso di comunicare ad AGEA il mancato pagamento della quota di prelievo non versato da parte del secondo;

– che la questione relativa alla facoltà (e non obbligo) del primo acquirente di trattenere le somme a titolo di prelievo è stata allo stesso modo vagliata dalla giurisprudenza amministrativa (per tutte, Cons. St, sez. VI, 9 giugno 2009, n. 4125) ma ciò non ha comunque evitato la declaratoria di mancanza di legittimazione ad agire;

– che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile mentre le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti, anche in ragione dell’esito della fase cautelare;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Maddalena Filippi, Presidente, Estensore

Maria Cristina Quiligotti, Consigliere

Daniele Dongiovanni, Consigliere

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Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-07-2012, n. 11757 Assemblea dei condomini

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Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione notificato il 2 marzo 1999, F. D. in D. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari il Condominio di via (OMISSIS), in persona dell’amministratore pro tempore, impugnando la delibera assembleare dell’11 gennaio 1999, della quale chiedeva la declaratoria di nullità (o l’annullamento) nella parte in cui recava l’approvazione di nuove tabelle millesimali.

Il Condominio resistette alla domanda.

Il Tribunale di Bari, con sentenza n. 100 del 2002, dichiarò la nullità dell’impugnata delibera, condannando il Condominio alle spese.

2. – La Corte d’appello di Bari, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 12 luglio 2005, in riforma della impugnata pronuncia, ha dichiarato, rilevando d’ufficio il relativo vizio, che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri condomini e, per l’effetto, ha rimesso la causa al primo giudice, compensando per intero le spese processuali del doppio grado.

2.1. – La Corte territoriale ha rilevato che la domanda giudiziale volta ad incidere sulla tabella millesimale del condominio, sia per una determinazione ex uovo, sia per la dichiarazione di nullità di una deliberazione assembleare che l’abbia modificata a maggioranza, deve essere necessariamente proposta nei confronti di tutti i condomini, e non del solo amministratore del condominio.

Secondo la Corte di Bari, se un condomino, come nella specie la F., propone un’azione di accertamento della invalidità ed inefficacia della tabella millesimale deliberata dagli altri condomini, senza il suo consenso, la domanda – in quanto preordinata, innanzitutto, alla tutela del diritto di proprietà della porzione di edificio di cui si lamenta l’illegittima determinazione del valore – deve essere proposta nei confronti di coloro che hanno deliberato l’atto impugnato e cioè nei confronti di tutti gli altri condomini dell’edificio, principali legittimati a contraddire; la legittimazione passiva ad causava, oltre ad appartenere ai singoli condomini, spetta pure all’amministratore, essendo la domanda stessa preordinata anche alla tutela di cose ed interessi comuni, dato che la precisazione dei valori dei piani o porzioni di piano, ragguagliati in millesimi a quello dell’intero edificio, si riflette sulle cose comuni, costituendo essi il parametro su cui debbono commisurarsi il godimento delle cose stesse, dei servizi comuni, la ripartizione delle spese relative e l’entità della partecipazione e della espressione del voto dei condomini nella costituzione delle assemblee e nelle deliberazioni da prendere in esse.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la F. ha proposto ricorso, con atto notificato il 9 giugno 2006, sulla base di due motivi, illustrati con memoria.

L’intimato Condominio non ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1. – Il primo motivo denuncia nullità della sentenza per vizio di extrapetizione e per violazione degli artt. 350 e 183 cod. proc. civ., perchè la Corte d’appello avrebbe attribuito alla domanda avanzata dall’attrice una natura giuridica del tutto differente da quella effettiva. Si sostiene che l’attrice non ha chiesto l’accertamento dell’invalidità ed inefficacia della tabella millesimale approvata dal condominio, ma ha impugnato la deliberazione assembleare con cui i condomini, a maggioranza semplice e senza il suo consenso, hanno approvato una nuova tabella millesimale. La domanda giudiziale concernente l’impugnazione della tabella millesimale sarebbe azione diversa da quella diretta ad impugnare la delibera assembleare che modifica la tabella medesima.

Inoltre, la Corte territoriale avrebbe omesso di indicare alle parti la questione della eventuale necessità di integrare il contraddittorio prima di riservare la causa per la decisione, sollevando d’ufficio la questione solo con la sentenza oggetto di gravame e cosi incorrendo in un ulteriore error in procedendo. La sentenza sarebbe pertanto affetta da nullità per violazione del principio del contraddittorio, non essendo stata la F. posta in condizione di esporre le proprie ragioni difensive.

Con il secondo mezzo (nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 1131 cod. civ., artt. 112, 102 e 354 cod. proc. civ., nonchè erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione sui punti decisivi) si sostiene che avrebbe errato la Corte d’appello a non considerare che la legittimazione passiva sulle domande proposte contro il condominio spetta all’amministratore, anche fuori dei limiti delle attribuzioni che gli sono proprie a norma dell’art. 1130 cod. civ., la rappresentanza del condominio in qualità di convenuto riguardando ogni lite che abbia ad oggetto un interesse comune dei condomini. Nell’ambito del potere rappresentativo dell’amministratore rientrerebbe la legittimazione passiva in ordine alle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione delle delibere assembleari, quand’anche vertenti sulla modificazione delle tabelle millesimali.

2. – I due motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono fondati, nei termini di seguito precisati.

E’ bensì vero che la domanda giudiziale di un condomino volta all’accertamento della invalidità o della inefficacia della tabella millesimale deve essere necessariamente proposta nei confronti di tutti gli altri condomini, senza che possa ritenersi passivamente legittimato l’amministratore del condominio, la cui rappresentanza processuale passiva è sempre limitata alle azioni relative alle parti comuni dell’edificio, ossia ai rapporti giuridici scaturenti dall’esistenza di parti comuni, e non anche estensibile alle questioni che, in quanto attinenti all’accertamento dei valori millesimali delle quote di proprietà singola, incidono su obblighi esclusivi dei singoli condomini.

Ma l’impugnazione della tabella è cosa diversa dalla impugnazione della delibera che modifica la tabella. L’impugnazione della delibera, infatti, non trae fondamento dall’errore iniziale o dalla sopravvenuta sproporzione dei valori del prospetto, ma dai vizi concernenti l’atto e la sua formazione.

Precisato che la domanda giudiziale diretta ad impugnare la tabella millesimale configura una azione diversa rispetto alla domanda concernente l’impugnazione della delibera assembleare che modifica la tabella, diversa nelle due ipotesi è anche la legittimazione passiva.

Come già affermato da questa Corte (Sez. 2, 15 aprile 1994, n. 3542), l’impugnazione della delibera che modifica la tabella va infatti proposta contro l’amministratore del condominio, perchè questi è sempre legittimato a resistere contro l’impugnazione delle deliberazioni assunte dall’assemblea.

Alla stregua di questo principio, la decisione della Corte d’appello non si sottrae alle censure della ricorrente. Essendo oggetto della specifica impugnazione proposta dalla condomina F. non la tabella millesimale, ma la delibera di approvazione della nuova tabella, la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i partecipanti non sussiste: legittimato passivo nell’azione di impugnazione della delibera è l’amministratore del condominio.

Resta assorbito l’ulteriore profilo di doglianza.

3. – La sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Bari, che deciderà attenendosi al seguente principio di diritto: "quando oggetto dell’impugnazione non è la tabella millesimale, ma la delibera che modifica la tabella medesima, non sussiste la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i partecipanti, essendo l’amministratore del condominio legittimato a resistere contro l’impugnazione delle delibere assembleari".

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Bari.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2012
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Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 30-01-2013) 27-02-2013, n. 9386

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione Z.D. avverso l’ordinanza del Tribunale di Pescara in data 25 maggio 2012 con la quale è stata disposta la convalida dell’arresto in ordine al reato di lesioni personali aggravate dall’uso di un’arma.

Deduce:

1) la violazione di legge dovuta alla assenza dei presupposti per la configurazione della flagranza o della quasi flagranza.

In particolare, sostiene la difesa, sulla base anche del tenore della relazione della polizia giudiziaria, che non ricorre nel caso di specie la ipotesi evocata dal Tribunale e cioè quella dell’inseguimento, da parte della polizia giudiziaria, del responsabile del reato.

In realtà i Carabinieri si erano dapprima recati sul luogo dei fatti dal quale l’indagato si era allontanato e soltanto un’ora dopo avevano rintracciato il ricorrente nella questura di (OMISSIS) ove lo stesso si era recato per denunciare a sua volta quanto accadutogli;

2) il vizio di motivazione in ordine alla dichiarata legittima difesa.

L’indagato aveva prodotto al riguardo le certificazioni mediche riguardanti le lesioni riportate sia da esso ricorrente che dalla presunta persona offesa, tutte compatibili con la descrizione di un’aggressione che quest’ultima aveva portato ai danni del primo con una sbarra metallica.

Il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.

Il ricorso è fondato.

La giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte di legittimità è nel senso evocato nel ricorso essendo stato più volte enunciato il principio secondo cui non sussiste lo stato di quasi flagranza che rende legittimo l’arresto, se l’inseguimento da parte della polizia giudiziaria, che poi culmina con l’arresto, trova causa non già nella diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria ma nella denuncia della persona offesa (Sez. 2, Sentenza n. 7161 del 18/01/2006 Cc. (dep. 24/02/2006) Rv. 233345;

conformi: N. 3414 del 1991 Rv. 186332, N. 2105 del 1992 Rv. 189544, N. 798 del 1993 Rv. 194136, N. 1646 del 1994 Rv. 198882, N. 2738 del 1999 Rv. 214469, N. 2879 del 1999 Rv. 212711, N. 5508 del 1999 Rv.

211654, N. 3980 del 2000 Rv. 215441, N. 4348 del 2003 Rv. 226984, N. 10392 del 2004 Rv. 228466; n. 19078 del 2010; n. 34918 del 2011 Rv.

247248).

Deve al riguardo ritenersi che l’inseguimento operato dalla polizia giudiziaria o dal privato si salda con lo stato di flagranza descritto dall’art. 382 c.p.p. e consente dunque l’arresto dell’inseguito quando vi è continuità tra commissione de reato e lo stesso inseguimento, sicchè l’arresto sia il frutto e l’effetto della diretta percezione dei fatti di rilievo penale ad opera della polizia giudiziaria o del privato che è ugualmente facoltizzato a procedere all’arresto dall’art. 383 c.p.p..

L’inseguimento che invece sia posto in essere dalla PG sulla base degli elementi informativi raccolti sul luogo del fatto e nell’immediatezze di questo legittima l’arresto in flagranza soltanto con riferimento alla seconda ipotesi prevista dall’art. 382 c.p.p. e cioè a quella del sorprendere l’inseguito con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima:

una situazione che, al pari di quella precedentemente descritta, contiene in sè l’analogo presupposto dell’apprezzamento da parte della polizia giudiziaria, se non della commissione dell’evento da parte dell’indagato, tuttavia di tracce connesse alla persona dell’inseguito e rilevate immediatamente dopo la commissione del fatto (analogamente v. Sez. 6, Sentenza n. 19002 del 03/04/2012 Cc. (dep. 17/05/2012) Rv. 252872).

Nel caso di specie, la motivazione esibita dal giudice della convalida è assolutamente inadeguata e non in linea con i principi di diritto sopra enunciati, essendo limitata all’attestazione dell’inseguimento del soggetto poi arrestato, in un caso in cui risulta che tale inseguimento, ad opera della PG, iniziò a seguito delle informazioni rese sul posto dalla presunte persone offese e senza che l’indagato fosse poi stato trovato con tracce del reato.

P.Q.M.

annulla senza rinvio il provvedimento impugnato.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2013

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Cass. pen., sez. III 27-01-2009 (09-01-2009), n. 3580 Revoca del consenso prestato prima della ratifica dell’accordo – Ammissibilità

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FATTO E DIRITTO
Con sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona applicava la pena di quattro anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa ad A. S., imputato del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 1 bis perchè, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori dalle ipotesi di cui all’art. 75 deteneva, per cederli a terzi verso un corrispettivo, 46 ovuli contenenti grammi 658,70 di cocaina (avente un principio attivo corrispondente a 331, 75 grammi così modificata l’originaria imputazione, (per fatto accertato in (OMISSIS)).
Con la stessa sentenza il G.I.P. applicava all’imputato la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque e la confisca della sostanza stupefacente in sequestro.
Ha proposto ricorso per cassazione l’A..
Tanto premesso il Collegio rileva che, con un unico motivo, il ricorrente deduce la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E) con riferimento agli artt. 444 e 458 c.p.p..
Deduce l’imputato che in seguito all’emissione del decreto di giudizio immediato la difesa aveva chiesto il rito alternativo ai sensi dell’art. 458 c.p.p. ed il GIP, acquisito il consenso del PM, aveva fissato l’udienza del 10 luglio 2008.
In tale udienza il PM aveva revocato il consenso ed aveva riformulato il capo di imputazione contestando una maggiore quantità di principio attivo presente nello stupefacente.
Alla luce della nuova contestazione esso imputato aveva proposto una nuova ipotesi di applicazione della pena che aveva trovato il consenso del pubblico ministero e, sulla base di tale accordo, il GIP aveva deliberato ai sensi dell’art. 444 c.p.p..
Deduce il ricorrente che vi era stata violazione dell’art. 444 c.p.p. e art. 458 c.p.p. in quanto una volta che il pubblico ministero aveva dato il primo consenso ad un rito alternativo sulla base della prima ipotesi accusatoria non avrebbe potuto revocarlo.
Il GIP avrebbe quindi dovuto limitarsi a valutare la congruità e la correttezza dell’accordo ma non consentire la ritrattazione del consenso da parte del Pubblico Ministero e la riformulazione del capo di imputazione con un nuovo patteggiamento.
Il motivo è infondato.
Soltanto quando il Giudice per le indagini preliminari ha ratificato l’accordo delle parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p. non è infatti più consentito alle stesse modificare i termini dell’accordo.
Nel caso in esame prima di tale ratifica del GIP il pubblico ministero ha rilevato che l’originaria contestazione era inesatta con riferimento alla quantità di sostanza stupefacente rinvenuta in possesso dell’imputato ed ha riformulato una nuova contestazione.
L’imputato ha aderito a tale nuova contestazione e sulla base di essa ha prospettato un’ipotesi di applicazione della pena, sulla quale il pubblico ministero ha prestato consenso e che è stata ratificata dal GIP con la sentenza.
Tale ratifica impedisce all’imputato di mettere in discussione l’accordo con riferimento alla pregressa situazione, ormai superata dall’intervenuto patteggiamento.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce che la sentenza impugnata era carente di motivazione in ordine alla mancata determinazione della sanzione con riferimento all’ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
Rileva il Collegio che il motivo è palesemente infondato, atteso che la richiesta di concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 73 c.p.p., comma 5 non è stata ricompresa nella richiesta di patteggiamento, sicchè la sua esclusione non avrebbe dovuto essere oggetto di specifica motivazione.
E’ comunque assorbente il rilievo che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, (v. per tutte Cass. pen. sez. 5^ sent. 28 ottobre 1999, n. 5210) "in tema di patteggiamento, una volta che l’accordo sia stato ratificato dal giudice, non è più consentito alle parti prospettare questioni e sollevare censure con riferimento alla applicazione delle circostanze ed alla entità e conversione della pena che non siano illegali".
Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.