Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-02-2011) 08-03-2011, n. 9046 Motivi di ricorso

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Svolgimento del processo

Con sentenza in data 10 aprile 2010, la Corte d’Appello di Campobasso, sezione penale, confermava la sentenza del Tribunale in sede appellata da S.V., con la quale questi era stato dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 635 c.p., comma 2, n. 5 perchè, avendo dissodato con un trattore una striscia di terreno appartenente a D.P.F.R., posta a confine con fondo di proprietà, aveva danneggiato sessanta piante di ulivo. La Corte territoriale, escluso che vi fosse stata violazione dell’art. 516 c.p.p. perchè la modifica della qualificazione giuridica rispetto all’originaria contestazione del reato di cui all’art. 392 c.p. era stata formulata dal P.M. ma fatta propria anche dal Giudice, riteneva fondata la prova della responsabilità sulla scorta dell’accertata aratura del fondo con escavazione profonda lungo la linea di confine fino ad incidere sulle radici delle piante.

La circostanza che nessuno avesse sorpreso l’imputato nel momento in cui stava effettuando tali lavori era irrilevante, posto che le modalità specifiche dell’aratura dimostravano che chi vi aveva provveduto intendeva affermare il proprio diritto dominicale, sicchè l’unico che poteva essere animato da simile movente era l’imputato, il quale aveva agito nella consapevolezza di deteriorare in modo irreversibile le radici degli ulivi della confinante.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per erronea applicazione della legge penale e manifesta insufficienza della motivazione, tenuto conto che anche il P.G. di udienza aveva rilevato che la modifica del capo di imputazione aveva violato le ragioni e diritti della difesa e che, comunque, anche a prescindere da tali considerazioni, la stessa Corte di appello ha dovuto dare atto che nessuno ha mai visto il ricorrente eseguire l’aratura e l’escavazione. Priva di rilievo è la circostanza che l’azione di reintegra del possesso in sede civile sia stata pronunciata anche nei suoi confronti. Con l’appello si era rilevato che non si era raggiunta la prova nè sotto il profilo oggettivo nè sotto quello soggettivo. Per tale ultimo profilo è indubbio che il reato contestato presuppone l’esistenza del dolo specifico. Ma anche ove si volesse ritenere sufficiente il solo dolo eventuale, si sarebbe dovuto offrire la prova che il soggetto agente (non individuato) si era prefigurato il rischio dell’evento di danno. La Corte di appello avrebbe dovuto, per le esposte ragioni assolvere l’imputato anche in considerazione degli elementi materiali rinvenibili dagli atti del processo: la contiguità dei fondi, l’inesistenza di termini visibili o dislivelli, l’insussistenza di prova in ordine alla volontarietà del fatto.
Motivi della decisione

Precisato che il ricorrente non formula alcuna critica specifica alla parte della motivazione con la quale la sentenza impugnata ha giustificato il convincimento di insussistenza della violazione degli artt. 516 e 521 c.p.p., a tanto non potendo valere il riferimento alle richiesta in tal senso formulate dal Procuratore Generale presso la Corte di appello, si osserva che ancora genericamente si addebita alla sentenza impugnata di non aver tenuto conto degli elementi di ordine fattuale e quindi di non essere pervenuta a pronuncia assolutoria, senza muovere alcuna critica all’articolata motivazione che ha proceduto al dettagliato esame degli elementi ritenuti idonei a dimostrare che unico soggetto autore materiale dei fatti non poteva che essere l’imputato e che questi aveva agito nella piena consapevolezza di arrecare danno agli alberi di ulivo che vegetavano sul terreno della confinante. Il delitto di danneggiamento è punito a titolo di dolo generico, non specifico, perchè l’elemento intenzionale è posto in relazione all’evento di danno che connota la condotta e non al perseguimento di una finalità ulteriore rispetto ad essa. La sentenza impugnata ha fornito giustificazione del convincimento che le modalità di escavazione (per la profondità e lunghezza del solco) davano conto dell’intenzionalità di danneggiare gli alberi piantati ed esistenti in prossimità. Tale parte della motivazione non è stata oggetto di specifica critica; la doglianza è quindi proposta in violazione dell’art. 581 c.p.p., lett. c), che impone che ogni richiesta sia giustificata dall’indicazione specifica delle ragioni di diritto (e degli elementi in fatto) a sostegno della richiesta stessa, violazione sanzionata con l’inammissibilità dall’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c).

2. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere in conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali e della somma, che in ragione dei motivi di inammissibilità, si stima equo liquidare in Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende e alla rifusione in favore della parte civile delle spese le grado, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione in favore della parte civile D.P.F.R. delle spese sostenute in questo grado di giudizio liquidate in complessivi Euro 2000,00 oltre IVA CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 21-03-2011, n. 1731 Giustizia amministrativa

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Svolgimento del processo

Con atto notificato il 26 ed il 27 febbraio 2001 e depositato il 15 marzo seguente la dott. M.A.F., dipendente della Regione Abruzzo in qualità di dirigente amministrativo di prima qualifica, ha appellato la sentenza 14 gennaio 2000 n. 2 del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con la quale è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il suo ricorso avverso le deliberazioni della Giunta regionale 3 luglio 1996 n. 2447, di affidamento nei suoi confronti della responsabilità dell’ufficio "istruttoria affari istituzionali e personale delle u.l.s.s." ricompreso nell’ambito del servizio "controllo atti delle u.l.s.s." del settore "sanità, igiene e sicurezza sociale" della Giunta regionale, e 11 settembre 1996 n. 3298, di affidamento, tra l’altro, al dott. E. M. dell’incarico di titolare dell’ufficio "affari istituzionali" del servizio "problemi organizzativi ed istituzionali" del predetto settore.

La dott. F. ha svolto ampie premesse circa le vicende occorsele dal 30 novembre 1994 (data di nomina in prova a seguito del superamento di corsoconcorso), anche successive al ricorso di primo grado, e circa la propria qualificazione professionale e culturale in base alla quale aveva richiesto espressamente l’assegnazione dell’incarico conferito, a suo avviso strumentalmente, al controinteressato.

Premesso ancora che con le predette deliberazioni erano pure impugnati gli atti connessi – in particolare la deliberazione n. 83/96 della stessa Giunta, recante criteri di conferimento degli incarichi dirigenziali, ed il parere negativo del settore "enti locali" all’affidamento a lei di incarico in quel settore – e che i motivi di gravame "che si richiamano integralmente" erano "così chiari, pertinenti e fondati che non mette conto di parlarne ancora", a sostegno dell’appello ha lamentato che il TAR non abbia tenuto conto come anche la seconda nomina sia stata formalmente contestata ed impugnata (con ricorso deciso con sentenza n. 42/2000 in pari data) e come, comunque, l’interesse al ricorso permanesse sempre, potendo la ricorrente legittimamente rivendicare, in ragione dell’effetto ripristinatorio dell’eventuale accoglimento del ricorso, la caducazione dell’atto rimasto in vita pregiudizievole alla propria posizione, anche considerato che nel pubblico impiego va tenuto conto degli effetti negativi eventualmente prodottisi nella sfera professionale e morale, come peraltro ritenuto dallo stesso TAR in analoga fattispecie riguardante la dirigente regionale corresponsabile dei buona parte delle accennate vicende. D’altra parte, la sopraggiunta carenza di interesse si potrebbe realizzare solo quando viene certamente a cadere, per espresso riconoscimento del ricorrente, dell’interesse a proseguire la causa avendo ottenuto integralmente giustizia sostanziale, cioè quando il suo interesse (diretto, attuale, concreto, materiale e morale ed anche strumentale) sia restato integralmente soddisfatto dalla p.a. anche per gli effetti futuri di proiezione funzionale. Analogamente sarebbe per l’altra deliberazione.

Ha perciò dedotto come la sentenza appellata sia "ictu oculi erronea, affetta da motivazione illogica, basata su presupposti erronei o inesistenti, contraddittoria, perplessa" e quindi da riformare "con conseguente integrale accoglimento del ricorso in sostanza non accolto, anche ai fini dell’evidente danno ingiusto subito e dimostrato".

Infine, ha contestato per illogicità ed erroneità il capo di sentenza relativo alla propria condanna al pagamento delle spese di causa, sostenendo che, anche ove la pronuncia in rito fosse corretta, tale condanna sarebbe possibile solo in caso di carenza di intesse iniziale e non sopraggiunta.

In data 30 marzo 2001 la Regione Abruzzo si è formalmente costituita in giudizio. Non si è invece costituito il dott. M..

In data 14 febbraio 2008 l’appellante si è costituita con altro difensore, in sostituzione dell’originario nel frattempo deceduto. Poi in data 6 agosto 2010 ha prodotto nuova istanza, sottoscritta anche personalmente, di fissazione d’udienza e documenti. Altri documenti ha depositato il 22 ottobre 2010. Infine, con memoria del 2 novembre seguente ha ampiamente insistito per l’accoglimento dell’appello anche alla luce della decisione 2390/2009 di questa Sezione, con cui, in parziale accoglimento di altro suo appello, è stato annullato il provvedimento di inserzione nel fascicolo personale della relazione negativa sul suo periodo di prova, invece da considerarsi tamquam non esset fin dalla data di perfezionamento automatico del detto periodo.

All’odierna udienza pubblica anche il difensore dell’appellante è comparso, benché non avvisato, ed ha aderito al passaggio in decisione dell’appello, insistendo per il risarcimento del danno.
Motivi della decisione

Com’è esposto nella narrativa che precede, col ricorso di primo grado la dott. M.A.F., dipendente della Regione Abruzzo con qualifica di dirigente, impugnava le deliberazioni della Giunta regionale 3 luglio 1996 n. 2447, con la quale le veniva affidata la responsabilità dell’Ufficio "istruttoria affari istituzionali e personale delle U.L.S.S.", e 11 settembre 1996 n. 3298, con la quale, tra l’altro, è stata affidata al dott. E. M. la titolarità dell’Ufficio "affari istituzionali" del Servizio problemi organizzativi ed istituzionali del Settore sanità, igiene e sicurezza sociale.

Con la sentenza appellata il TAR ha ritenuto il ricorso improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse sostanziale e processuale in ordine alla prima deliberazione, stante la nomina della dott. F. ad altro incarico con conseguente venir meno della lesività di tale atto e, nel contempo, di utilità derivante dall’eventuale annullamento del medesimo atto, e processuale in ordine alla seconda deliberazione, giacché il posto da lei ambito è stato lasciato libero dal dott. M., passato ad altro incarico.

L’appellante contesta con vigore ed articolatamente siffatta pronuncia meramente processuale, ma omette del tutto di riproporre i motivi di primo grado.

Premesso che, com’è noto, l’erronea declaratoria di irricevibilità, inammissibilità o improcedibilità del ricorso di primo grado non comporta il rinvio della causa al primo giudice, giacché in tal caso spetta al Consiglio di Stato esaminare nel merito lo stesso ricorso, nella specie tale esame è precluso dalla predetta omissione, sicché, anche ove in ipotesi la contestata declaratoria dovesse restare superata, non sarebbe possibile pervenire ad una decisione sugli atti impugnati, con conseguente carenza di interesse dell’appellante ad ottenere una pronuncia di secondo grado limitata alla sola procedibilità del ricorso originario. Né può ritenersi idoneo a colmare la riscontrata carenza il rinvio agli atti di primo grado, occorrendo invece l’espressa riproposizione dei motivi non esaminati dal TAR, al chiaro fine di consentite al giudice d’appello una compiuta conoscenza delle specifiche questioni che l’appellante intenda devolvere alla sua cognizione ed alle controparti di contraddire consapevolmente sulle stesse. In assenza di tale riproposizione, il detto rinvio si traduce in una formula di stile, insufficiente a soddisfare l’onere di specificazione dei motivi d’appello (cfr. in tal senso, tra le tante, Cons. St., Sez. IV, 23 luglio 2009 n. 4662, 3 marzo 2009 n. 1219 e 18 dicembre 2008 n. 6369).

Dunque, per la parte che investe il capo in parola della gravata sentenza l’appello dev’essere dichiarato inammissibile.

Il medesimo appello è invece fondato con riguardo al parimenti gravato capo della sentenza riguardante la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di causa.

Invero, come dedotto, la pronuncia di improcedibilità, e non di originaria inammissibilità, non comporta l’automatica condanna alle spese del ricorrente, specie quando, come nella specie, non dipenda da eventi derivanti dalla sua volontà bensì dall’intervento di ulteriori atti dell’Amministrazione. Anzi proprio in tale causa di improcedibilità nel caso in esame andavano ravvisate giuste ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle dette spese di giudizio.

In conclusione, l’appello va accolto limitatamente alla statuizione di cui trattasi.

L’esito complessivo della controversia e la costituzione con atto meramente formale dell’appellata Regione consentono di pronunziare la compensazione delle spese anche per questo grado.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, dichiara in parte inammissibile ed in parte accoglie l’appello stesso e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata dispone la compensazione delle spese di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. III, Sent., 01-04-2011, n. 2913 Carenza di interesse sopravvenuta

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La professoressa V. ha proposto il presente ricorso avverso il decreto rettorale del 1022010, con il quale è stato disposto il suo collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, non essendo stata presentata una nuova istanza di prolungamento biennale del servizio ai sensi dell’art 72 comma 7 del d.l n° 112 del 2008 convertito nella legge n° 133 del 2008, sostenendo di avere invece presentato la domanda di trattenimento in servizio, di cui vi sarebbe stata prova nel verbale del Consiglio di Facoltà del 5112008.

L’Università con nota del 2672010 comunicava di ritenere un eventuale errore nella presentazione della domanda scusabile e che la domanda della professoressa ricorrente sarebbe stata comunque valutata ai sensi dell’art 72 del d.l n° 112 del 2008.

Alla camera di consiglio del 13102010 è stata accolta la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato non risultando ancora emesso alcun provvedimento sulla domanda di prolungamento della Prof. V..

Con decreto rettorale n° 9369 del 10112010 la domanda di prolungamento biennale del servizio è stata respinta, non risultando la professoressa ricorrente in possesso dei requisiti indicati dall’Università per il trattenimento in servizio.

Avverso tale decreto è stato proposto il ricorso n° 151 del 2011.

All’udienza pubblica del 232011 il presente ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il presente ricorso deve essere dichiarato improcedibile.

L’Università infatti nella nota del 2672010 ha espressamente dichiarato di ritenere la eventuale errore nella presentazione della domanda da parte della V. (presentazione alla propria Facoltà) scusabile e comunque di prendere in esame la sua domanda di trattenimento in servizio.

Infatti, tale domanda è stata successivamente respinta con decreto rettorale del 10112010 avverso il quale è stata proposta una diversa impugnazione (rg n° 915 del 2011).

Pertanto la ricorrente non ha più alcun interesse concreto ad attuale alla decisione, non potendo più trarre alcuna utilità dalla presente impugnazione con la quale chiedeva l’esame della propria domanda di prolungamento del servizio.

L’attività posta in essere dall’Università non deve poi ritenersi meramente esecutiva di alcun provvedimento di questo giudice, avendo la stessa Amministrazione, nella nota del 2672010. dichiarato di essere disponibile ad esaminare la domanda della ricorrente, prima dell’ordinanza sospensiva pronunciata dal Tribunale in data 13102010.

Il ricorso, quindi, deve essere dichiarato improcedibile.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 11-03-2011) 26-04-2011, n. 16309 Imputato detenuto o internato

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revisto dalla legge come resto.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.M. ricorre in cassazione avverso l’ordinanza, in data 6.04.2010, del GIP presso il Tribunale di Monza con cui è stata dichiarata inammissibile la sua opposizione avverso il decreto penale di condanna n. 2505/2009 in ordine al reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2.

Si denuncia violazione di legge ed, in particolare, delle disposizioni di cui agli artt. 157, 161 e 171 c.p.p.. Si premette che la dichiarazione di inammissibilità dell’opposizione al decreto penale indicato è basata sulla decorrenza del termine, avendo il GIP ritenuto che il decreto penale era stato notificato in data 4.02.2010 mentre l’opposizione è stata presentata il successivo 4.06.2010. Si eccepisce che tale notifica è nulla per violazione dell’art. 171 c.p.p., lett. d) e/o lettera g) c.p.p..

Il decreto sarebbe stato notificato dall’Ufficiale Giudiziario mediante consegna di copia a mani di M.M.L. indicata nella relata quale "persona convivente". Dai certificati dello stato civile del ricorrenti e della M. emerge chiaramente che quest’ultima non appartenga allo stato di famiglia dell’imputato e non ne è pertanto convivente. Le due persone risiedono allo stesso indirizzo, nello stesso stabile ma in due appartamenti distinti.

Consegue che la consegna della copia ex art. 157 c.p.p., a persona non familiare e non convivente è nulla. Nè la M. può essere equiparata al portiere dello stabile, poichè in tale caso come disposto dall’art. 157 c.p.p., comma 3 la M. avrebbe dovuto sottoscrivere l’originale dell’atto notificato e l’Uff. Giud. avrebbe dovuto dare notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione a mezzo lettera raccomandata.

Vanno annullati l’ordinanza impugnata ed il decreto penale di condanna, in premessa indicato, senza rinvio per essere il reato contestato non più previsto dalla legge.

Invero, all’esito dell’entrata in vigore della L. 20 luglio 2010, n. 120 (successiva alla proposizione del ricorso) il fatto contestato all’imputato previsto e punito originariamente dall’art. 186, comma 2 lett. a) è stato depenalizzato, di conseguenza va applicata la disposizione di cui all’art. 2 c.p., comma 2.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato ed il decreto penale di condanna perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

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