Cass. civ. Sez. II, Sent., 06-09-2011, n. 18255 Opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto del 2000, gli ingegneri Fr.An. e F. A. chiedevano ed ottenevano dal presidente del tribunale di Larino decreto ingiuntivo per L.. 167.114.423, oltre accessori, per prestazioni professionali rese nei confronti di Metalvuoto PAK due srl.

La Metalvuoto PACK Due srl proponeva opposizione lamentando sostanzialmente che l’ingiunzione de qua era stata emessa nei confronti di persona giuridica diversa, come risultava dalla diversità della ditta, e il vizio di notifica del decreto. Gli opposti evidenziavano che erano incorsi in mero errore materiale nel trascrivere la ditta della società ingiunta,avente peraltro sede e legale rappresentante coincidenti con l’opponente, mentre la notifica era regolare.

Con sentenza del 2002, l’adito Tribunale rigettava l’opposizione previa correzione della denominazione sociale della ingiunta; avverso tale decisione proponeva appello, la Metalvuoto spa, avente causa dall’ingiunta stessa,cui resistevano le controparti.

Con sentenza in data 24.9/21.10.2004, la Corte di appello di Campobasso rigettava l’impugnazione e regolava le spese.

Osservava la Corte molisana che l’opponente non avrebbe avuto titolo per opporsi ad una ingiunzione emessa nei confronti di altro soggetto; se era da condividersi il rilievo secondo cui non si sarebbe potuto provvedere alla correzione ex art. 287 c.p.c., come attuata dal primo giudice, pure il Tribunale ben avrebbe potuto, in esito al giudizio di opposizione, esaminare la fondatezza o meno, nel merito, della pretesa avanzata.

Non avevano pregio le ulteriori argomentazioni svolte per dimostrare la diversità delle denominazioni sociali, consistente nella omissione, per evidente lapsus calami, di una "K" nella ditta della ingiunta non risultando in definitiva possibile alcuna confusione, atteso che , a tacer d’altro, non esiste alcuna Pac Due srl. Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di quattro motivi, la Metalvuoto spa; resistono con controricorso le controparti, che hanno a loro volta proposto ricorso incidentale, basato su di un solo motivo.
Motivi della decisione

I due ricorsi, principale ed incidentale, sono rivolti avverso la stessa sentenza e vanno pertanto riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

Venendo all’esame del ricorso principale, con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 100 c.p.c., laddove la sentenza impugnata ha ritenuto insussistente l’interesse ad agire dell’opponente per chiedere la revoca di una ingiunzione emessa nei confronti di una diversa persone giuridica.

Il motivo è inammissibile, atteso che la Corte molisana ha ritenuto sussistere l’interesse all’opposizione in quanto l’opponente si identificava con la parte ingiunta e si è pronunciata sul merito dell’opposizione.

Con il secondo motivo, si lamenta violazione degli artt. 645 e 112 c.p.c. e vizio di motivazione, assumendosi che la sentenza impugnata, dichiarata non applicabile al decreto ingiuntivo la correzione dell’errore, avrebbe dovuto esaminare le domande, proposte con l’opposizione, di inefficacia, inesistenza e/o nullità nei confronti della Pack del decreto emesso contro la Pak.

Avrebbe dovuto inoltre rilevare che gli opposti non avevano proposto nel giudizio di merito la domanda di accertamento del credito e di condanna della società.

Il mezzo è infondato quanto alla prima questione, atteso che la sentenza ha affermato che il decreto doveva ritenersi emesso contro la Pack e che la notifica dello stesso al legale rappresentante della società era stata rituale.

E’ infondato altresì in relazione alla seconda, in quanto si era correttamente rilevato che la richiesta di condanna al pagamento era contenuta nella richiesta di decreto ingiuntivo e quindi non occorreva che venisse ribadita nel giudizio di opposizione.

Con il terzo motivo si lamenta violazione degli artt. 645, 145 e 149 c.p.c. e della L. n. 890 del 1982, art. 7 assumendosi incongruo il richiamo contenuto nella sentenza all’ipotesi della citazione in giudizio di una persona giuridica inesattamente identificata ed erronea la notifica del decreto stesso fatta al legale rappresentante della Pack e non della Pak, ritenendosi altresì la nullità della notifica fatta a mezzo posta.

Le doglianze sono inammissibili, in ragione del fatto che la Corte distrettuale non ha fatto applicazione estensiva del principio indicato, ma del criterio di carattere generale, di cui il detto principio è espressione, secondo cui non è rilevante l’errore di un atto laddove da esso non possa sorgere alcuna incertezza sul destinatario e sul suo contenuto e non ne derivi quindi alcuna violazione del diritto di difesa; in ogni caso, la proposizione dell’impugnazione aveva sanato qualsiasi nullità della notifica, in quanto l’atto aveva raggiunto il suo scopo.

Con il quarto mezzo si lamenta violazione degli artt. 132 e 118 c.p.c., in ragione del fatto che era stato confermato il decreto pur avendo la sentenza impugnata ravvisato in esso un errore nell’indicazione della ingiunta.

Il motivo è infondato in quanto la sentenza si è pronunciata sui motivi di opposizione e ne ha dichiarato l’infondatezza, ritenendo che, nonostante l’erronea indicazione della ragione sociale, il decreto era stato emesso nei confronti dell’opponente ed alla stessa era stato regolarmente notificato.

Il ricorso principale deve essere pertanto respinto.

L’unico motivo del ricorso incidentale lamenta che non si sia provveduto sulle spese del procedimento di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza; il mezzo è inammissibile per genericità, atteso che non è dato comprendere dalla sentenza qui impugnata se tali spese siano state liquidate o meno e il ricorso non fornisce alcun elemento utile a chiarire il punto.

Il ricorso incidentale va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese vengono liquidate, secondo il criterio della soccombenza, che va ascritta al ricorrente principale, attesa la ben diversa consistenza quantitativa dei due ricorsi, come da dispositivo.
P.Q.M.

riuniti i ricorsi, la Corte rigetta il principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. VI, Sent., 26-05-2011, n. 3160

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erbi, nonché l’avvocato dello Stato Varone;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La società M. P. A. s.p.a. – controinteressata in primo grado – in virtù di provvedimento n. 624 del 7 agosto 1992 del Consorzio Autonomo del Porto di Genova era titolare di concessione, con scadenza 23 maggio 2051, di aree demaniali marittime del porto antico di Genova in funzione della realizzazione di un approdo turistico e (accessoriamente) di volumi ricettivi, direzionali e residenziali a terra, oltre che di spazi pubblici nelle aree contigue e, in tale qualità, aveva realizzato le opere, seppur con modifiche rispetto alla progetto originario.

2. Le società F.lli C. s.p.a. e C. s.r.l. – ricorrenti in primo grado – si sono rese acquirenti, da parte della società M. P. A. s.p.a., della proprietà superficiaria di alcune unità immobiliari e di parcheggi, per la medesima durata della concessione rilasciata alla dante causa.

3. Con ricorso n. 467 del 2008 (notificato il 1415 maggio 2008) le due società da ultimo menzionate – le quali, secondo loro prospettazione, aspiravano a diventare, alla scadenza del 23 maggio 2051, dirette concessionarie dell’area demaniale per la porzione di immobili di cui avevano acquistato la proprietà superficiaria – impugnavano, dinnanzi al T.A.R. per la Liguria, l’atto suppletivo alla concessione demaniale 7 agosto 1992, adottato l’11 marzo 2004, con il quale l’Autorità portuale di Genova, in attuazione di un accordo transattivo intervenuto con la concessionaria, aveva prorogato la durata della concessione originaria a tutto il 23 maggio 2090, rideterminando il canone complessivo da euro 30.987.420,00 ad euro 27.349.240,90 e scorporando alcune aree (ambito terracqueo di Ponte Calvi).

Il ricorso era affidato ai seguenti quattro motivi:

a) col primo motivo – rubricato "Violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 37 del codice della navigazione approvato con R.D. 30.3.1942, n. 327 e degli artt. 19 e 24 del regolamento per la navigazione marittima approvato con D.P.R. 15.2.1952, n. 328. Difetto di presupposto, di istruttoria e di motivazione. Illogicità. Sviamento di potere." – le ricorrenti assumevano l’illegittimità del gravato provvedimento, in quanto sorretto dall’unica finalità di dare attuazione a una transazione intervenuta con la società concessionaria, senza un’adeguata ponderazione dell’interesse pubblico specifico da perseguire con il rilascio di concessioni demaniali marittime;

b) col secondo motivo – recante "Violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 37 del codice della navigazione approvato con R.D. 30.3.1942, n. 327 e degli artt. 5, 18 e seguenti del regolamento per la navigazione marittima approvato con D.P.R. 15.2.1952, n. 328. Violazione dei principi generali in tema di affidamento in concessione di beni demaniali. Difetto di presupposto, di istruttoria e di motivazione." – le ricorrenti sostenevano che l’atto suppletivo, comportando un prolungamento di 39 anni della durata della concessione e un sostanziale dimezzamento del canone, concretava una nuova concessione (o, al più, il rinnovo della stessa), sicché si sarebbe imposto il previo esperimento di una procedura di evidenza pubblica;

c) col terzo motivo – recante "Violazione e falsa applicazione sotto diverso profilo degli artt. 36 e seguenti del codice della navigazione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 25 del regolamento per la navigazione marittima. Violazione dei principi di buon andamento, di ragionevolezza e di economicità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Difetto di presupposto, di istruttoria e di motivazione. Illogicità." – le ricorrenti denunziavano l’illegittimità dell’atto gravato, perché carente di motivazione in ordine all’interesse pubblico (diverso da quello meramente economicotransattivo) connesso al più proficuo utilizzo dei beni demaniali, non potendo giustificarsi, in termini di attualità dell’interesse pubblico, una proroga del termine finale della concessione disposta con 47 anni di anticipo;

d) col quarto motivo – intitolato "Violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e seguenti del codice della navigazione. Violazione del principio di buon andamento della p.a. Difetto di presupposto. Illogicità. Travisamento." – le ricorrenti assumevano che, in vista del perseguimento dell’interesse pubblico al più proficuo utilizzo dei beni demaniali, non era ravvisabile alcuna ragionevole proporzione tra il vantaggio arrecato alla concessionaria e il vantaggio conseguito dall’amministrazione.

4. Si costituivano in giudizio l’Autorità portuale di Genova e la controinteressata M. P. A. s.p.a., preliminarmente eccependo l’irricevibilità del ricorso per tardività e la sua inammissibilità per carenza di legittimazione e d’interesse, chiedendone nel merito la reiezione.

5. L’adito T.A.R., con la sentenza qui impugnata (n. 1230/2010 del 26 marzo 2010), provvedeva come segue:

(i) disattendeva l’eccezione di irricevibilità, rilevando che non fosse rimasto provato che le società ricorrenti avessero avuto piena conoscenza dell’atto impugnato prima dell’assemblea condominiale svoltasi il 17 marzo 2008, in difetto di prova della data di ricezione degli avvisi di convocazione dell’assemblea (con allegate lettere accompagnatorie e bozze di contratti preliminari relativi alla proroga della durata dei diritti di superficie dal 24 maggio 2051 al 23 maggio 2090);

(ii) respingeva altresì l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione e d’interesse sollevata sotto il profilo che le società ricorrenti non potrebbero comunque aspirare a gestire l’intero complesso di beni oggetto di concessione, ritenendo la sussistenza della legittimazione e dell’interesse quantomeno rispetto agli immobili oggetto di proprietà superficiaria, stante la facoltà di subingresso ex art. 46, comma 2, cod. nav., espressamente richiamato dall’art. 8 della concessione, e il conseguente diritto di insistenza ex art. 37, comma 2, cod. nav.;

(iii) accoglieva il primo, terzo e quarto motivo di ricorso, qualificando l’impugnato atto suppletivo non già come mera proroga, bensì come vera e propria novazione oggettiva della concessione demaniale marittima – per diversità di oggetto (riduzione dell’area per effetto dello scorporo dell’ambito terracqueo di Ponte Calvi), durata (nuova scadenza fissata al 23 maggio 2090, a fronte di quella originaria del 23 maggio 2051) e canone (pari a euro 27.349.240,90, a fronte di originari euro 30.987.420,00) -, e ritenendo la carenza di motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico al più proficuo utilizzo dei beni demaniali sul rilievo che i contenuti della transazione apparivano "dismissivi dell’interesse pubblico e completamente satisfattivi dell’interesse privato del concessionario, che dal prolungamento della concessione si è ripromesso di ricavare un ulteriore profitto" (v. così, testualmente, a p. 10 dell’impugnata sentenza);

(iv) annullava dunque il gravato provvedimento "nei limiti di cui in motivazione" (ossia, limitatamente ai beni oggetto di proprietà superficiaria delle ricorrenti e in accoglimento del primo, terzo e quarto motivo di ricorso);

(v) condannava l’Autorità portuale di Genova a rifondere alle ricorrenti le spese di causa.

6. Avverso tale sentenza interponeva appello l’originaria controinteressata M. P. A. s.p.a., deducendo i seguenti motivi:

a) l’erroneo rigetto dell’eccezione di irricevibilità del ricorso in primo grado, essendo rimasto comprovato che la lettera di convocazione dell’assemblea condominiale era stata ricevuta dalle ricorrenti il 12 marzo 2008, mentre il ricorso introduttivo del giudizio era stato notificato solo il 14 maggio 2008, oltre il termine di 60 giorni;

b) l’erroneo rigetto dell’eccezione d’inammissibilità per difetto di legittimazione e d’interesse in capo alle ricorrenti in primo grado, in quanto le stesse (i) si erano rese acquirenti della proprietà superficiaria solo di limitatissime porzioni immobiliari (alcuni uffici e parcheggi), (ii) mai avevano dichiarato di essere interessate all’assunzione in concessione dell’intero compendio (peraltro esulante dalle loro attività sociali), (iii) erano titolari di una posizione meramente "derivata" da quella della concessionaria e (iv) non potevano vantare alcun diritto preferenziale sulla riassegnazione dell’intero compendio demaniale alla scadenza della concessione, dovendo questo, nel suo complesso, comunque formare oggetto di una procedura di evidenza pubblica;

c) "Travisamento dei documenti di causa. Difetto di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di una nuova concessione. Violazione dei principi e delle regole in tema di equilibrio economico nei rapporti concessori, in generale e demaniali, nonché dei principi e delle regole in tema di presupposizione e dell’art. 1467 cod. civ. Straripamento di potere nel merito delle valutazioni amministrative. Difetto di motivazione sotto diverso profilo. Ultrapetizione." (v. così, testualmente la rubrica del complesso motivo di gravame in esame) e conseguente erroneo accoglimento del ricorso nel merito.

Chiedeva dunque, in riforma dell’impugnata sentenza, la reiezione, in rito e nel merito, del ricorso in primo grado.

7. Costituendosi, le società Fratelli C. s.p.a. e C. s.r.l. contestavano la fondatezza dell’appello e ne chiedevano il rigetto con vittoria di spese. Proponevano appello incidentale, censurando l’impugnata sentenza nella parte in cui aveva disposto l’annullamento solo parziale del gravato provvedimento limitatamente ai beni oggetto di proprietà superficiaria di esse impugnanti, attesa, sul piano sostanziale, la violazione del principio dell’inscindibilità del titolo concessorio e, sul piano processuale, la violazione dell’art. 112 c.p.c., mai avendo esse chiesto un annullamento solo parziale dell’atto suppletivo alla concessione. Chiedevano dunque, in parziale riforma della sentenza del T.A.R., l’annullamento integrale del gravato provvedimento.

8. Si costituiva altresì l’appellata Amministrazione, aderendo all’appello principale e chiedendone l’accoglimento.

9. All’udienza pubblica del 29 marzo 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.

10. L’appello principale proposto da M. P. A. s.p.a. è fondato e merita accoglimento.

11. I primi giudici correttamente hanno disatteso l’eccezione di irricevibilità del ricorso in primo grado per tardività, non potendosi il termine d’impugnativa giudiziale far decorrere dalla comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale (pervenuto alle ricorrenti il 12 marzo 2008) "in merito all’allungamento del termine finale dei diritti reali nel Complesso M. P. A." (v. così, testualmente, l’avviso di convocazione), in quanto né dalla lettera accompagnatoria né dalla bozza di contratto allegate all’avviso è dato evincere l’esatto e completo contenuto dell’ivi richiamato atto concessorio suppletivo dell’11 marzo 2004 e percepire la sua eventuale valenza lesiva, sicché a ragione il dies a quo è stato individuato al 17 marzo 2008, data di svolgimento dell’assemblea con possibilità di conoscenza integrale dell’atto gravato, con la conseguenza che il ricorso, notificato il 1415 maggio 2008, deve ritenersi tempestivo.

Ne deriva l’infondatezza del primo motivo d’appello principale, di cui sopra sub 6.a).

12. E’, invece, fondato il secondo motivo d’appello principale, di cui sopra sub 6.b), col quale l’appellante si duole dell’erroneo rigetto dell’eccezione d’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione e d’interesse.

La concessione originaria del 7 agosto 1992, con scadenza fissata al 23 maggio 2051, aveva ad oggetto un compendio di 41.822,41 mq di specchi acquei e di 15.388,33 mq di aree a terra, ed era finalizzata alla realizzazione, nell’ambito del porto storico di Genova, di un approdo turistico e di un complesso polifunzionale a destinazione ricettivaresidenziale, commerciale, turistica, portuale, direzionale, per servizi e parcheggi, mentre la proprietà superficiaria costituita in favore delle odierne appellate in subconcessione (per la durata della concessione principale) aveva ad oggetto solo alcuni appartamenti e alcune unità immobiliari ad uso ufficio, nonché alcuni postimacchina (v. i relativi contratti stipulati tra M. P. A. s.p.a. in qualità di cedente e Fratelli C. s.p.a., rispettivamente C. s.r.l., quali cessionarie).

Le odierne appellate Fratelli C. s.p.a. e C. s.r.l. erano dunque titolari di rapporti giuridici dipendenti dalla concessione principale facente capo a M. P. A. s.p.a. e, in quanto tali, non potevano ritenersi pregiudicati dall’atto suppletivo, avente ad oggetto il prolungamento della concessione principale fino al 23 maggio 2090, non risultandone intaccato il contenuto del loro diritto fino alla scadenza originaria del 23 maggio 2051 (infatti, la proposta contrattuale ventilata da M. P. A. s.p.a. nella lettera e nella bozza di contratto allegate all’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale riguardava il periodo successivo a tale scadenza), sicché già sotto il profilo in esame deve negarsi l’interesse delle due subconcessionarie a ricorrere avverso l’atto suppletivo, priva di efficacia lesiva attuale e concreta del diritto di proprietà superficiaria di cui le stesse attualmente sono titolari, minimamente inciso dall’atto impugnato.

13. Né il loro interesse al ricorso può essere ricollegato a un’eventuale lesione del c.d. diritto di insistenza, conferito dall’art. 37 cod. nav. (nella versione risultante dalla modifica apportata dall’art. 2, comma1, d.l. 5 ottobre 1993, n. 400, convertito in l. 4 dicembre 1993, n. 400, in vigore al momento della notifica del ricorso introduttivo di primo grado) al titolare della concessione marittima in scadenza, in occasione del suo rinnovo allo spirare dell’originario termine di scadenza del rapporto concessorio (nella specie, 23 maggio 2051).

In primo luogo, siffatto diritto di preferenza giammai sarebbe configurabile in capo alle ricorrenti in primo grado con riguardo all’intero compendio oggetto della concessione principale, essendone unico titolare, con riguardo all’oggetto intero della concessione, M. P. A. s.p.a..

In secondo luogo, siffatto diritto di preferenza deve escludersi anche limitatamente alle unità immobiliari oggetto di proprietà superficiaria costituita in loro favore dalla concessionaria principale (a ciò autorizzata dalla concedente amministrazione ai sensi degli artt. 45bis e 46 cod. nav.; v. art. 8 della concessione principale). Infatti, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui non v’è motivo di discostarsi (v., per tutte, Cons. St., sez. VI, 25 settembre 2009, n. 5765; Cons. St., sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168), il c.d. diritto di insistenza conferito dall’art. 37 cod. nav. in favore del titolare della concessione demaniale marittima in scadenza, in occasione del suo rinnovo, non può considerarsi tale da determinare sempre e comunque la prevalenza dell’insistente rispetto agli altri eventuali concorrenti, che abbiano prodotto regolare istanza di concessione in relazione agli stessi spazi demaniali, non potendo tale previsione normativa, secondo un’interpretazione conforme ai principi di concorrenzialità di derivazione comunitaria, essere intesa come un meccanismo capace di elidere ogni confronto concorrenziale tra più istanze in competizione (orientamento, sostanzialmente recepito sul piano legislativo dall’1, comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito in l. 26 febbraio 2010, n. 25, che, modificando l’art. 37 cod. nav., ha eliminato ogni diritto di preferenza, in sede di rinnovo, in favore del precedente concessionario). Ne consegue che in capo alle ricorrenti in primo grado poteva, tutt’al più, configurarsi un’aspettativa di mero fatto – né differenziata da quella di qualsiasi altro operatore economico del settore, né qualificata da una norma di diritto sostanziale – a partecipare alla procedura di evidenza pubblica in sede di rinnovo della concessione all’originaria scadenza, a prescindere dal rilievo che, a fronte dell’attuale unitarietà del compendio oggetto della concessione principale, in capo alle originarie ricorrenti, in sede rinnovo della concessione, non è enucleabile alcun diritto al frazionamento (dell’oggetto della gara in rinnovo alla scadenza) con riguardo alle unità immobiliari oggetto di proprietà superficiaria, essendo ogni relativa decisione rimesso alle future determinazioni discrezionali dell’amministrazione concedente (in occasione della scadenza del 23 maggio 2051).

14. Per le esposte ragioni deve escludersi la sussistenza, in capo alle ricorrenti in primo grado, di una posizione legittimante e di un interesse personale, diretto, attuale e concreto a ricorrere avverso l’impugnato atto suppletivo, sicché, in accoglimento dell’appello principale e in riforma dell’impugnata sentenza, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso in primo grado.

15. Ne deriva, poi, per necessità logica, l’improcedibilità dell’appello incidentale, incompatibile con la sopra rilevata carenza di legittimazione e d’interesse al ricorso proposto avverso l’atto suppletivo.

16. Resta assorbita ogni altra questione versata in giudizio, irrilevante ai fini decisori.

17. Considerata ogni circostanza connotante la presente vertenza, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del doppio grado interamente compensate fra le parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso in appello (Ricorso n. 4433 del 2010), come in epigrafe proposto".

accoglie l’appello principale e, per l’effetto, dichiara inammissibile il ricorso proposto in primo grado (Ricorso n. 467 del 2008 T.A.R.Liguria);

dichiara improcedibile l’appello incidentale;

dichiara le spese del doppio grado interamente compensate fra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 10-06-2011, n. 1511 lavoro subordinato

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Prefettura di Milano ha annullato il contratto di soggiorno stipulato dal ricorrente con la cittadina straniera D.M. in quanto risultano a carico di questa quattro segnalazioni di inammissibilità Shengen.

Contro il suddetto atto il ricorrente solleva i seguenti motivi di ricorso.

I) Violazione dell’art. 21 nonies della L. 241/90 perché non sarebbero state evidenziate le ragioni di interesse pubblico all’annullamento.

II) Violazione degli artt. 92 e 96 della convezione di applicazione dell’Accordo Shengen e difetto di motivazione in quanto il provvedimento non indica le ragioni sulle quali sono fondate le dichiarazioni di inammissibilità Shengen.

III) Eccesso di potere in quanto la segnalazione potrebbe essere scaduta e l’amministrazione non ha effettuato la relativa verifica.

IV) Difetto di comunicazione di avvio del procedimento.

Alla camera di consiglio del 17 gennaio 2011 e del 27 aprile 2011 sono stati disposti incombenti istruttori volti all’acquisizione delle segnalazioni Shengen. L’amministrazione ha provveduto a rispondere con nota pervenuta il 26.05.2011 dalla quale risulta che sussiste un’unica segnalazione proveniente dalla Germania e che scadrà nel 2015.

Alla camera di consiglio del 7 giugno 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

2. Il ricorso è infondato.

Il primo motivo è infondato in quanto secondo l’art. art. 1ter c.13 della Legge 3 agosto 2009, n. 102 "Non possono essere ammessi alla procedura di emersione prevista dal presente articolo i lavoratori extracomunitari: b) che risultino segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore per l’Italia, ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato.

Qualora risulti dopo la stipulazione del contratto di soggiorno che manchino i requisiti per la sua stipulazione il permesso di soggiorno eventualmente rilasciato è revocato ai sensi dell’articolo 5, comma 5, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni".

La revoca del contratto di emersione è quindi atto vincolato in mancanza dei requisiti stabiliti dalla legge per il soggiorno, salvo le eccezioni previste dalla norma.

La revoca in questione costituisce un’ipotesi di autotutela doverosa per i casi in cui vengano a mancare i requisiti previsti dalla legge per la stipula e non è quindi assimilabile all’annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo previsto dall’art. 21nonies della L. 241/90.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono infondati in quanto la legge attribuisce al provvedimento di inammissibilità Shengen l’effetto automatico di escludere l’emersione. A ciò si aggiunge che dai successivi accertamenti risultano sia le motivazioni del provvedimento di inammissibilità sia la sua perdurante efficacia.

L’ultimo motivo di ricorso è inammissibile in quanto ai sensi dell’art. 21 octies della L. 241/90 non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

In questo caso l’accoglimento del vizio di procedura porterebbe alla mera reiterazione dell’atto con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile per carenza di interesse il relativo motivo di ricorso.

In definitiva il ricorso va respinto.

Sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-11-2011, n. 23496 Albi professionali

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Svolgimento del processo

Nel 1995, B.A.L., sulla base della sentenza del G.O, passata in giudicato l’11.04.1994, inerente al suo diritto all’iscrizione nell’albo degli psicologi, già negata in sede amministrativa, adiva il Tribunale di Firenze per chiedere il risarcimento del danno subito per il periodo di mancata iscrizione e quantificato in L. 500.000.000. Con sentenza del 4.07.2001, il Tribunale accoglieva la domanda, ma limitava il risarcimento a L. 54.000.000.

Con sentenza del 17.12.2004-14.03.2005, la Corte di appello di Firenze, decidendo sui contrapposti e riuniti appelli delle parti, rigettava la domanda proposta dalla B.. La Corte territoriale osservava e riteneva tra l’altro:

che il tema del contendere riproponeva la nota questione del rapporto fra illegittimità ed illiceità del provvedimento amministrativo, ai fini della domanda di risarcimento del danno proposta ai sensi dell’art. 2043 c.c.;

che l’illegittimo rifiuto d’iscrivere all’albo il professionista dotato dei requisiti prescritti, comportava violazione di un diritto soggettivo e non di un semplice interesse legittimo;

che l’illegittimità dell’atto amministrativo, benchè implicante una violazione di legge, non concretava per questo, nè per di più presuntivamente, un comportamento illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., e ciò tanto se si fosse voluto intendere l’imputazione della colpa impersonalmente, ossia come colpa dell’ente per il fatto di non avere saputo operare correttamente, quanto personalmente, ossia come colpa (perciò anche di ordine psicologico) del funzionario che pertanto, il giudice del risarcimento, sebbene non potesse certamente rimettere in discussione il giudizio sul diritto all’iscrizione o perfino quello, non espressamente pronunciato, sulla illegittimità – lesiva della posizione soggettiva protetta – dell’operato della pubblica amministrazione, non poteva dispensarsi, ed anzi, aveva l’onere di riconsiderare i medesimi fatti al fine di accertarne la possibile illiceità, pure verificando se l’illegittimità del provvedimento amministrativo non fosse stata riconducibile ad errore scusabile che il Tribunale aveva inteso procedere non ad un riesame della condotta dell’amministrazione, ma ad un esame ex imis, dell’esistenza, in astratto, del diritto dell’interessata ad essere iscritta, e cioè formulato un giudizio sul diritto sostanziale dell’attrice all’iscrizione, ossia un giudizio sul possesso dei requisiti per l’iscrizione, e non sulla correttezza formale della domanda d’iscrizione che l’efficacia del giudicato del 1994 non toccava la questione del se nel rifiuto d’iscrizione espresso dal competente Commissario fosse anche i riconoscibile una colpa dell’amministrazione, rilevante come causa di responsabilità aquiliana, dal momento che tale giudicato non involgeva un giudizio sulla colpa dell’amministrazione e sulla illegittimità del diniego, ed era frutto non del solo esame della documentazione che era stata già presentata a corredo della domanda d’iscrizione ma di una complessa attività istruttoria, includente perfino l’audizione di testimoni sul possesso dei requisiti per l’iscrizione che limitando l’esame alla documentazione allegata alla domanda d’iscrizione, la sola sulla quale il Commissario avrebbe potuto decretare l’iscrizione o meno all’albo, e sulla quale il giudice del risarcimento avrebbe potuto formarsi un convincimento di colpevolezza (illiceità) o meno del diniego d’iscrizione, non soltanto non si rilevava alcuna colpa (personale) del funzionario, ma non si vedeva neppure come egli avrebbe potuto agire diversamente, senza rendersi colpevole di violare la par condicio degli eventuali altri candidati alla iscrizione che in particolare, nel presentare la sua domanda d’iscrizione, l’interessata aveva dichiarato di allegare i seguenti documenti: certificato di nascita; certificato del casellario giudiziale; certificato di capacità civile; certificato di laurea; codice fiscale e documentazione relativa alla professione – costituita da un’autocertificazione dell’attività di collaborazione resa con il gruppo incontro Aldebaran della Fondazione Centostelle per il recupero dei tossicodipendenti nel periodo dal dicembre 1978 al luglio 1983 e da un attestato del dott. S., titolare di studio medico privato, di espletata attività collaborativa dal 5.3.1986 al 12.5.1989;

che se si teneva conto che la L. 18 febbraio 1989, n. 56, art. 32 istitutiva dell’albo degli psicologi, prevedeva, in sede di prima applicazione, fra l’altro, il diritto all’iscrizione dei laureati che da almeno sette anni avessero svolto effettivamente in maniera continuativa attività di collaborazione o di consulenza attinenti alla psicologia con enti o istituzioni pubbliche o private, appariva evidente come la documentazione allegata alla domanda non fosse idonea ad attestare il possesso dei requisiti, mancando sia il requisito della continuità settennale, sia il requisito della prestazione dell’attività stessa per l’intero periodo presso enti o istituzioni, tale non potendo essere considerato, almeno sulla sola base del certificato rilasciato dal dott. S., lo studio medico politerapico di cui egli era titolare;

che alla luce di tale documentazione, pertanto, ed a prescindere dal valore che potesse darsi all’autocertificazione, nessuna colpa poteva attribuirsi al Commissario nell’avere rifiutato l’iscrizione; ed anche ove si fosse voluto dare peso al convincimento del Tribunale, secondo cui la continuità dell’attività di collaborazione non avesse dovuto considerarsi interrotta dalla parentesi di tre anni intercorrente fra il primo ed il secondo periodo, e che tanto il gruppo incontro Aldebaran, quanto, in particolare, lo studio del dott. S., fossero da considerare alla stregua di istituzioni, non c’era modo di qualificare come illecito colpevole l’essersi il commissario convinto del contrario. Nè, in questo giudizio, era stato minimamente spiegato perchè mai l’avere creduto tanto fosse stato non solo sbagliato, ma sbagliato colpevolmente.

Avverso questa sentenza la B. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo, illustrato da memoria e notificato il 18.11.2005 al Ministero della Giustizia ed al Commissario per la formazione dell’albo professionale degli psicologi per la Toscana, che non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

A sostegno del ricorso la B. denunzia "violazione e/o falsa applicazione di legge sub specie dell’art. 2043 c.c. Omessa ed insufficiente motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia.".

La ricorrente censura anche per vizi motivazionali il diniego del chiesto ristoro, dolendosi:

che la Corte distrettuale, asserendo che la sentenza passata in giudicato avrebbe coperto solo il diritto all’iscrizione, ma non anche l’illegittimità della mancata iscrizione, abbia potuto ritenere "il diritto dell’attrice all’iscrizione indipendentemente dalla illegittimità amministrativa del provvedimento di diniego da parte del commissario", ossia concludere che in quella sentenza un giudizio sulla illegittimità di tale diniego sarebbe mancato, quando, invece, da detta pronuncia si ricavava inoppugnabilmente che l’iscrizione era stata negata illegittimamente e poi rilasciata ex imperio che si sia affermato contrariamente al vero, che per accertare il diritto all’iscrizione il giudice del diniego di iscrizione dovette andare al di là della documentazione acclusa alla domanda di iscrizione, ossia integrarla attraverso l’audizione di testimoni e compiere una nuova istruttoria amministrativa e dedurre il possesso dei requisiti aliunde, da testimonianze o altro, acquisendo surrettiziamente documentazione non presentata entro i termini prescritti, quando invece dovette solo rivalutare la congruità e validità dell’attestato, già esaustivo anche alla luce della circolare ministeriale del 4.05.1989;

che si sia rimessa in discussione la legittimità del diniego per sopperire, evidentemente, alla ritenuta (ed innegabile) impossibilità di dimostrare l’assenza di colpa dell’amministrazione così come richiesta dalla giurisprudenza;

che non si sia ritenuto che la colpa in discussione era quella dell’amministrazione e non del funzionario, di tal che a fini risarcitori non era necessario il dolo o che la colpa fosse stata grave;

che non si sia ritenuto che la colpa, consistendo in violazione di norme o circolari era in re ipsa, coincideva cioè con l’illegittimità, ed era "di per sè ravvisabile nella violazione della norma, senza che l’amministrazione potesse giovarsi dell’errore scusabile dei suoi funzionavi" e col solo temperamento (suggerito nella controversia dal Ministero) dell’errore scusabile incidente sull’interpretazione della legge, da considerarsi tuttavia soltanto "se riconducibile ad oggettiva oscurità (attestata eventualmente da persistenti contrasti ermeneutica) della norma violata o altrimenti inevitabile";

che si sia erroneamente affermato che il Commissario "non avrebbe potuto agire diversamente, mancando sia il requisito della continuità settennale, sia il requisito della prestazione dell’attività stessa per l’intero periodo presso enti o istituzioni", quando invece era sufficiente oltre alla dichiarata illegittimità dell’atto amministrativo la dimostrazione della lesione di un interesse della vita, circostanza ampiamente provata dalla d.ssa B. e comunque non contestata dalla pubblica amministrazione. Il motivo non merita favorevole apprezzamento.

Al Commissario straordinario regionale, nominato ai sensi della L. 18 febbraio 1989, n. 56, art. 31 spettava accertare la ricorrenza delle condizioni tassativamente prescritte dall’art. 32 (nella specie lett. c) della medesima legge per far luogo, in regime transitorio, all’iscrizione all’Albo degli psicologi. Tale accertamento non implicava valutazioni di carattere amministrativo, ossia scelte del comportamento più rispondenti all’interesse pubblico, ma solo il riscontro di requisiti predeterminati, con margini di discrezionalità meramente tecnica (tra le numerose altre, cass. SU n. 5802 del 1995; n. 12267 del 2004), Come ineccepibilmente ritenuto dalla Corte distrettuale, l’accertamento con efficacia di giudicato, compiuto dal giudice ordinario circa la sussistenza, negata in sede amministrativa, del diritto soggettivo della professionista all’iscrizione all’Albo, pur se correlato all’accertamento incidentale (art. 34 c.p.c.) e prodromico alla disapplicazione del provvedimento sfavorevole, dell’illegittimità del diniego, non poteva comportare di per sè solo (in tema, cfr, tra le numerose altre, cass. n. 20358 del 2005; n. 20454 del 2005; n. 15259 del 2006; n. 6005 del 2007; n. 13061 del 2007; n. 4326 del 2010; n. 5561 del 2010) l’accoglimento della successiva domanda giudiziaria svolta dalla medesima professionista, di risarcimento ex art. 2043 c.c., del danno conseguito al diniego di iscrizione espresso dal competente Commissario. In tale ulteriore giudizio civile, infatti, come irreprensibilmente ritenuto dai giudici d’appello, occorreva procedere con riferimento alle specificità del caso, all’autonoma verifica della ricorrenza degli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria azionata e segnatamente all’accertamento in concreto ed ex ante della colpa della PA, accertamento incensurabile in sede di legittimità se sorretto, come nella specie, da adeguata motivazione.

In espresso, doveroso rapporto con le regole legali d’imputazione all’Amministrazione della responsabilità da fatto illecito, la Corte di merito ha assoggettato il provvedimento amministrativo di rigetto dell’iscrizione, al necessario controllo del rispetto dei principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione. All’esito di tale corretta verifica ha escluso, con motivazione non illogica e plausibile, l’illiceità del diniego amministrativo d’iscrizione, sostanzialmente considerando l’argomentata valutazione negativa resa dal Commissario, non incongrua ed ingiustificabile alla luce del dettato normativo di cui alla citata Legge, art. 32, lett c) ed in rapporto alla provenienza ed al contenuto della documentazione – in precedenza menzionata – prodotta dalla B. a sostegno della sua domanda d’iscrizione all’Albo. D’altra parte, su tale conclusione circa l’assenza di manifesto errore di apprezzamento tecnico dell’allegata documentazione, condizionante l’operato dell’amministrazione, alcuna influenza appaiono esplicare il mero richiamo alla circolare ministeriale del 4.05.1989, della quale non si è trascritto il contenuto, prima che chiarita l’anteriorità rispetto all’adozione del provvedimento di rigetto, di cui non emerge la data, nè la nuova allegazione in fatto involgente l’addebito d’incompletezza dell’istruttoria amministrativa, implicante accertamenti e valutazioni precluse in questa sede.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto. Non deve pronunciarsi sulle spese, atteso l’esito del giudizio di legittimità ed il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso.

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