Cass. civ. Sez. III, Sent., 30-09-2011, n. 19984

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 22.2.1992 il Comune di Latina esponeva che il 14 gennaio 1991, a, seguito di un ribaltamento, nel territorio comunale, di un autocarro, di proprietà dell’Azienda Distribuzione Carburanti, condotto dallo Z. e coperto per la Rc dall’Uniass, si erano riversati sull’asfalto, sul fosso tombinato parallelo alla carreggiata e nell’acquedotto comunale circa 7.000 litri di olio da gas combustibile che l’autocarro stava trasportando per conto della Veneta Combustibili snc. Ciò premesso, considerato che il sinistro si era verificato per colpa esclusiva del conducente dell’autocarro, conveniva in giudizio Z. A., la Veneta Combustibili snc, l’Azienda Distribuzione Carburanti, la Uniass Assicurazioni per ottenere il risarcimento dei danni subiti. In esito al giudizio in cui si costituivano tutti i convenuti, con eccezione dell’Azienda Distribuzione Carburanti, il Tribunale di Latina dichiarava improponibile la domanda attrice.

Avverso tale decisione proponevano appello principale il Comune ed appello incidentale la Unione Assicurazioni Spa. In esito al giudizio, la Corte di Appello di Roma con sentenza depositata in data 22 settembre 2008 rigettava entrambe le impugnazioni proposte.

Avverso la detta sentenza il Comune di Latina ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo, illustrato da memoria. Resistono con controricorso la Veneta Combustibili snc e lo Z., i quali hanno altresì depositato memoria difensiva a norma dell’art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione

L’unica doglianza, svolta dal ricorrente Comune, articolata sotto il profilo della motivazione illogica e contraddittoria, si fonda sulla premessa che l’Amministrazione Comunale, come risulta ampiamente documentato agli atti del giudizio, inoltrò la formale richiesta di risarcimento, prevista dalla L. n. 990 del 1969, art. 22 con due distinte raccomandate, la prima indirizzata alla Uniass Assicurazioni – agenzia di (OMISSIS), oltre che alla società Veneta Combustibili, ricevuta il 24 ottobre 1991, la seconda diretta alla stessa Agenzia nonchè alla Uniass Direzione Generale, che l’ha ricevuta in data 28 gennaio 1992. Ciò premesso, la Corte di Appello, nel ritenere la mancata osservanza del termine di 60 giorni prima della proposizione della domanda giudiziale, notificata in data 22 febbraio 1992, avrebbe commesso un grave errore computando come termine iniziale di decorrenza quello del 28 gennaio 1992 e non quello del 24 ottobre 1991.

La censura è inammissibile per un duplice ordine di considerazioni.

Ed invero, in primo luogo, deve tenersi presente che, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006, ove sia denunciato un vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, così come è avvenuto nel caso dì specie, la censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008). Ciò premesso, deve evidenziarsi che il ricorso in esame è completamente sprovvisto del prescritto momento di sintesi. Ora, posto che la norma di cui all’art. 366 bis citato non può essere interpretata nel senso che il momento di sintesi possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo di ricorso, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione, il ricorso in esame, privo dei requisiti richiesti, deve essere dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

In secondo luogo, torna utile osservare che la Corte territoriale, dopo aver premesso di volersi uniformare all’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’onere dell’invio della raccomandata contenente la richiesta di risarcimento danni L. n. 990 del 1969, ex art. 22, deve ritenersi adempiuto con l’invio all’agenzia dell’impresa assicuratrice presso la quale è stato concluso il contratto e dopo aver rilevato che nella specie il Comune di Latina aveva correttamente inviato la raccomandata all’Agenzia di (OMISSIS) presso cui era stata stipulata la polizza assicurativa, ha concluso che l’appello doveva essere nondimeno rigettato perchè la richiesta era stata ricevuta in data 28 gennaio 1992, senza rilevare che una richiesta di risarcimento danni di analogo contenuto era stata già inviata dal Comune e ricevuta dall’Agenzia di (OMISSIS) il precedente 21 ottobre 1991.

Ciò premesso, deve considerarsi che il vizio di motivazione su un punto decisivo, dedotto dal ricorrente, postula che il giudice di merito, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo ovvero lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico.

Ma se invece l’omessa valutazione, così come è avvenuto nella specie, dipende da una falsa percezione della realtà, nel senso che il giudice ritiene per una svista, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, inesistente un fatto ovvero non si avvede di un documento, la cui esistenza risulti incontestabilmente accertata dagli stessi atti di causa, è configurabile allora un errore di fatto deducibile esclusivamente con l’impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, (cfr ex multis Cass. n. 15672/05, 3024/02, 10027/04, 21870/04, 11276/05, 14044/08). Ed invero, il c.d. travisamento dei fatti, come vizio revocatorio, consiste per l’appunto nell’inesatta percezione, da parte del giudice, di circostanze presupposte come base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, e quindi non può costituire motivo di ricorso per cassazione, non consistendo in vizi logici o giuridici, ma costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, (Cass. n. 213/07, n. 4056/09, n. 11373/06, n. 4310/97).

Il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, a favore delle contro ricorrenti, liquidate come in dispositivo, senza che occorra provvedere sulle spese in favore delle altre parti, in quanto, non essendosi costituite, non ne hanno sopportate.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore delle controricorrenti, delle spese processuali che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-10-2011, n. 21033 Indennità o rendita

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Pa.St. conveniva in giudizio, dinanzi al giudice del lavoro, le Ferrovie dello Stato, alle cui dipendenze aveva lavorato dal 18 agosto 1968 al 1 gennaio 1990 per il riconoscimento di una rendita per malattia professionale. La parte convenuta si costituiva e, nel resistere all’avversa pretesa, deduceva il proprio difetto di legittimazione passiva sul presupposto che la gestione dell’assicurazione obbligatoria dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato etra stata trasferita all’INAIL. L’adito giudice rigettava la domanda, ritenendo prescritto il diritto. La decisione veniva confermata, anche nella motivazione, dalla Corte d’Appello di Bari.

Questa Corte con sentenza n. 18202 del 2006, accogliendo il primo motivo del ricorso proposto dallo St. in relazione alla decorrenza del termine di prescrizione, annullava la sentenza della Corte di Bari e rinviava alla Corte di appello di Lecce in base al principio secondo il quale, ai fini della individuazione della decorrenza della prescrizione, occorreva tener conto anche che l’assicurato avesse coscienza del fatto che la lesione permanente residuata avrebbe potuto dargli diritto all’attribuzione di una rendita.

La Corte di appello di Lecce, adita in sede di rinvio dallo St., rigettava l’appello di quest’ultimo ritenendo il difetto di legittimazione della Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. Avverso questa sentenza gli eredi St. ricorrono in cassazione sulla base di un’unica censura.

Resiste con controricorso la società intimata che deposita memoria illustrativa.
Motivi della decisione

Con l’unico motivo i ricorrenti, deducendo violazione degli artt. 324, 394 e 436 c.p.c., formulano, dopo aver precisato la ratio decidendi posta a base della sentenza di appello emessa in sede di rinvio, il seguente quesito: "la mancata proposizione nel giudizio di Cassazione di una vicenda per la quale la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi non può consentire di richiedere nel giudizio di rinvio un rimedio a tale omissione; ossia se le domande rigettate o non delibate nelle fasi di merito o non oggetto di gravame in via incidentale, debbono considerarsi coperte da giudicato e, quindi, non più riproponibili, con riferimento agli artt. 324, 394 e 436 c.p.c.".

Preliminarmente va disattesa l’eccezione, sollevata da parte resistente, d’inammissibilità della censura per violazione dell’art. 366 bis c.p.c..

Invero il quesito risulta formulato secondo le prescrizioni del richiamato art. 366 bis c.p.c. così come interpretato da questa Corte.

Vi è, infatti, indicazione, e dell’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio – 2C08 n. 18759), e del diverso principio al quale il giudice di appello si sarebbe dovuto attenere (Cass. S.U. 28 settembre 2007 n. 20360).

Nel merito la censura è fondata.

Occorre precisare che come, si evince anche dalla stessa sentenza della Corte di Appello di Lecce, il giudice di primo grado non emise alcuna statuizione in ordine alla allora sollevata eccezione di difetto di legittimazione passiva, limitandosi a ritenere prescritto il diritto azionato dello St..

La Corte di Appello di Bari, su impugnazione dello St. e resistenza della controparte che non ripropose l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, confermò la sentenza di primo grado in punto di prescrizione.

Questa Corte, su ricorso dello St. e controricorso della società, che nulla dedusse in ordine al proprio difetto di legittimazione passiva, cassò la sentenza della Corte di appello di Bari e rinviò alla Corte di Appello di Lecce perchè, tenendo conto che, ai fini della decorrenza della prescrizione, occorreva far riferimento anche alla circostanza che l’assicurato avesse coscienza del fatto che la lesione permanente residuata avrebbe potuto dargli diritto all’attribuzione di una rendita, accertasse il relativo dias a quo.

Riassunta dallo St. la causa dinanzi alla Corte di appello di Lecce, questa, con la sentenza oggi all’esame di questa Corte, ha rigettato l’appello dell’attuale ricorrente ritenendo fondata l’eccezione di legittimazione passiva riproposta, in sede di rinvio, dalla società appellata.

Da questo breve excursus dello svolgersi del processo emerge con evidenza che a fronte della decisione nel merito del giudice di primo grado, il quale implicitamente aveva, quindi, respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla società convenuta,tale eccezione non è stata riproposta dalla società nel giudizio di appello instaurato dinanzi alla Corte territoriale di Bari con conseguente formarsi del giudicato sulla questione pregiudiziale relativa alla legittimazione passiva.

Infatti la mancata impugnazione del capo della sentenza che ha implicitamente deciso sulla questione pregiudiziale della legittimazione passiva, come ribadito di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. 26 novembre 2011 n. 1764) costituisce sintomo di un comportamento incompatibile con la volontà di far valere in sede di impugnazione la questione pregiudiziale (che da luogo ad un capo autonomo della sentenza e non costituisce un mero passaggio interno della decisione di merito, come si desume dall’art. 279 c.p.c., comma 2, nn. 2 e 4), in tal modo verificandosi il fenomeno dell’acquiescenza per incompatibilità, con le conseguenti preclusioni sancite dall’art. 324 c.p.c. e dell’art. 329 c.p.c., comma 2, in coerenza con i principi dell’economia processuale e della durata ragionevole del processo, di cui all’art. 111 Cost.

Non è pertanto corretta in diritto la sentenza impugnata che, in sede di rinvio, ha deciso la causa in relazione alla questione pregiudiziale della legittimazione passiva non tenendo conto che su tale questione si era formato il giudicato implicito a seguito della mancata impugnazione della parte interessata del relativo capo.

In accoglimento del ricorso, pertanto,la sentenza della Corte di appello di Lecce va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte designata in dispositivo, che si adeguerà al principio sopra enunciato.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di leqittimità, alla Corte di Appello di Lecce in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 28-04-2011) 23-06-2011, n. 25267 Procedimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 21.10.2010, il Gip del Tribunale di Bologna respingeva l’opposizione presentata H.K. e B. A. avverso il decreto con il quale il pubblico ministero aveva rigettato la richiesta di restituzione di cose sequestrate, ai sensi dell’art. 263 c.p.p..

2. Hanno proposto ricorso per cassazione personalmente con atti separati, H.K. e B.A. denunciando:

a) violazione di norma processuale con riferimento all’art. 263 c.p.p., comma 5, avendo il Gip deciso sull’opposizione senza il contraddittorio tra le parti nelle forme di cui all’art. 127 c.p.p.;

b) vizio di motivazione in ordine alla mancata restituzione di quanto in sequestro.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso in ordine alla questione processuale, preliminare ed assorbente, è fondato.

Il procedimento per la restituzione delle cose sequestrate è regolato dall’art. 263 c.p.p., che attribuisce la competenza a provvedere, nel corso delle indagini preliminari, al pubblico ministero, che decide con decreto motivato. L’eventuale decisione negativa può essere impugnata con la procedura dell’opposizione, prevista dall’art. 263 c.p.p., comma 5, davanti al giudice per le indagini preliminari, che provvede nelle forme dell’art. 127 c.p.p., nel contraddittorio delle parti, con procedimento camerale; il mancato rispetto delle forme e del contraddittorio, stabiliti a pena di nullità dall’art. 127 c.p.p., comportano l’annullamento del provvedimento.

Come si rileva dagli atti, nella specie il giudice ha deciso sull’opposizione proposta dai ricorrenti de plano; pertanto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Gip del tribunale di Bologna.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Gip del tribunale di Bologna.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. III, Sent., 15-07-2011, n. 4341

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’appello può essere deciso nel merito.

La sentenza impugnata ha respinto il ricorso proposto dagli appellanti, per l’annullamento del provvedimento di diniego dell’istanza di regolarizzazione dell’interessato, cittadino extracomunitario.

Il provvedimento si basa sulla circostanza che l’interessato risulta condannato per il reato di cui all’articolo 14, comma 5, del decreto legislativo n. 286/1998.

Nel caso di specie devono trovare applicazione i principi espressi dall’Adunanza Plenaria 10 maggio 2011 n. 8 e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza 28 aprile 2011 in causa C61/11 PPU.

Secondo la decisione della Plenaria, "deve concludersi che l’entrata in vigore della normativa comunitaria ha prodotto l’abolizione del reato previsto dalla disposizione sopra citata, e ciò, a norma dell’art. 2 del codice penale, ha effetto retroattivo, facendo cessare l’esecuzione della condanna e i relativi effetti penali.

Tale retroattività non può non riverberare i propri effetti sui provvedimenti amministrativi negativi dell’emersione del lavoro irregolare, adottati sul presupposto della condanna per un fatto che non è più previsto come reato."

Pertanto, in accoglimento dell’appello, il provvedimento impugnato in primo grado deve essere annullato.

Le spese possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

Accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza del TAR, annulla il provvedimento impugnato in primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Pier Luigi Lodi, Presidente

Lanfranco Balucani, Consigliere

Marco Lipari, Consigliere, Estensore

Roberto Capuzzi, Consigliere

Dante D’Alessio, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.