T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 03-08-2011, n. 6928 Concorso interno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 28 aprile 2005 e depositato il successivo 11 maggio 2005, il ricorrente impugna la graduatoria definitiva relativa alla procedura di selezione per la copertura di 92 posti nel profilo di collaboratore informatico area C1, pubblicata in data 20 aprile 2005 sul sito http://pers.mininterno.it, e atti alla stessa presupposti, chiedendone l’annullamento.

In particolare, il ricorrente – dipendente del Ministero dell’Interno – espone quanto segue:

– di essere transitato ex lege, a far data dal settembre 2001, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri all’Amministrazione civile dell’Interno;

– ancora prima di tale passaggio, partecipava ad una specifica procedura di qualificazione per l’accesso nella superiore qualifica B3;

– con nota del 15 maggio 2003, gli veniva comunicato il superamento di tale selezione interna e l’acquisizione della "posizione economica B3 con decorrenza giuridica 1° settembre 2002 ed economica 1° gennaio 2003";

– con decreto pubblicato nel supplemento straordinario n. 1/12 del 20 maggio 2004 del Bollettino Ufficiale del Personale, l’Amministrazione indiceva la procedura di selezione di cui sopra, in "attuazione dell’art. 10 del contratto collettivo nazionale integrativo del Ministero dell’Interno per il quadriennio 19982001 e dell’art. 8 del contratto collettivo nazionale integrativo del Ministero dell’Interno per il quadriennio 20022005";

– in particolare, l’art. 5, comma 6, del bando prevedeva che, "a parità di punteggio tra i candidati si terranno presenti nell’ordine i seguenti criteri: 1) posizione economica di provenienza; 2) anzianità di servizio nella posizione economica di provenienza……", rispecchiando l’art. 10 di cui sopra;

– in data 8 marzo 2005 veniva pubblicata la graduatoria provvisoria, nella quale – pur avendo ottenuto il punteggio massimo di 80/80 – veniva collocato al 366 posto, ossia come "ultimo degli appartenenti alla qualifica B3";

– nella graduatoria definitiva guadagnava alcune posizioni, collocandosi al 306° posto;

– tale sfavorevole posizione si spiegava con la decisione dell’Amministrazione di individuare, quale momento di determinazione dell’anzianità di servizio, la decorrenza non giuridica ma economica, in applicazione delle "note esplicative" alla circolare n. 39 del 7 maggio 2004, modificative illegittimamente dell’art. 5 del bando.

Avverso i provvedimenti di cui sopra il ricorrente insorge deducendo i seguenti motivi di impugnativa:

1. VIOLAZIONE DEL CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE INTEGRATIVO 1998 – 2001. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 97 COST.. ECCESSO DI POTERE RELATIVAMENTE ALLE SEGUENTI FIGURE SINTOMATICHE: PER OMESSA VALUTAZIONE DEI PRESUPPOSTI; PER MANIFESTA INGIUSTIZIA; PER CONTRADDITTORIETA" TRA PIU" ATTI; PER DISPARITA" DI TRATTAMENTO; PER MOTIVAZIONE INCONGRUA E APODITTICA; PER SVIAMENTO. Il contratto collettivo ed il bando indicano l’anzianità di servizio, senza ulteriori specificazioni. Ciò detto, il riferimento poi operato nelle note esplicative all’anzianità economica è chiaramente illegittimo perché introduttivo di un nuovo e diverso criterio (stante la netta differenza tra "anzianità di servizio" ed "anzianità economica").

Con atto depositato in data 25 maggio 2005 si è costituita l’Amministrazione intimata.

Con ordinanza n. 3208/2005 del 9 giugno 2005, la Sezione ha respinto la domanda incidentale di sospensione per carenza del periculum in mora.

In data 4 maggio 2010, l’Amministrazione ha prodotto documenti, tra cui una nota della Direzione Centrale per le Risorse Umane, il cui contenuto può essere così sintetizzato: – occorre procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti delle Organizzazioni sindacali, atteso che la controversia verte sulla legittimità delle norme pattizie che disciplinano i passaggi del personale in servizio presso l’Amministrazione; – la graduatoria impugnata è legittima, in quanto l’art. 2 del bando espressamente prevede che "ai fini del computo dell’anzianità di deve tener conto della decorrenza economica".

Con ordinanza n. 641/2011 del 21 gennaio 2011 la Sezione ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei candidati "utilmente collocati nella graduatoria definitiva".

A ciò il ricorrente ha prontamente provveduto, così come risulta dalla documentazione prodotta in data 10 marzo 2011.

Con memoria prodotta in data 25 giugno 2011 il ricorrente ha ribadito che l’anzianità di servizio – di cui si fa menzione nell’art. 5 del bando – deve essere intesa come "anzianità giuridica nel ruolo".

All’udienza pubblica del 23 giugno 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Premesso che, in relazione al ricorso in esame, il contraddittorio è stato correttamente integrato in virtù dell’intervenuta notificazione, mediante l’utilizzo della procedura per pubblici proclami, nei confronti di tutti i candidati utilmente collocati in graduatoria (e non anche – come, invece, preteso dall’Amministrazione – delle organizzazioni sindacali, atteso che la controversia si incentra sulla corretta applicazione delle previsioni del bando), il Collegio ritiene che lo stesso sia fondato e, pertanto, vada accolto.

2. Come esposto nella narrativa che precede, il ricorrente lamenta l’illegittimità della graduatoria definitiva stilata in esito alla procedura di selezione per la copertura di 92 posti nel profilo di collaboratore informatico (area C1), di cui al bando emanato dall’Amministrazione con D.M. 3 maggio 2004 (pubblicato nel Bollettino Ufficiale del Personale del 20 maggio 2004), e degli atti presupposti, in quanto denuncia, tra l’altro, che – a parità di punteggio – l’Amministrazione ha dato preferenza all’anzianità economica, in violazione del contratto collettivo nazionale integrativo e dell’art. 5 del bando.

Tale censura è meritevole di accoglimento.

3. Ai fini del decidere, riveste carattere dirimente l’interpretazione o, meglio, l’individuazione della portata dell’art. 5 del bando, laddove prevede che:

"A parità di punteggio tra candidati si terranno presenti nell’ordine i seguenti criteri:

……

b) anzianità di servizio nella posizione economica di provenienza….".

Il ricorrente afferma, infatti, che, con tale espressione debba intendersi "l’anzianità giuridica" e non "l’anzianità economica", come, invece, previsto nelle note esplicative alla circolare n. 39/2004.

Tale asserzione è da condividere.

Tenendo anche conto di principi fissati in giurisprudenza (cfr., tra le altre, C.d.S., n. 2909/2008), il Collegio osserva, infatti, che:

– l’"anzianità di servizio" – così come indicata nel richiamato art. 5, ossia senza ulteriori specificazioni – costituisce un concetto di per sé ancorato all’atto di "nomina" del dipendente e, dunque, impone di tenere necessariamente conto della c.d. "decorrenza giuridica";

– la limitazione applicativa introdotta dall’Amministrazione non è accettabile almeno per due ordini di motivi e precisamente: – non trova alcun riscontro nel bando, specie ove si consideri che l’art. 2 – invocato dall’Amministrazione – attiene esclusivamente ai "requisiti" per l’ammissione alla procedura e, dunque, è destinato ad operare soltanto in relazione alla valutazione di quest’ultimi; -contrasta con il principio relativo all’intangibilità della lex specialis, il quale riveste carattere assoluto.

In definitiva:

– l’Amministrazione – al fine di operare in conformità al bando, riproduttivo, tra l’altro, del contratto collettivo nazionale integrativo – avrebbe dovuto considerare la data di inquadramento del dipendente nella posizione economica di provenienza (B3), ossia la decorrenza "giuridica";

– atteso che l’Amministrazione ha mutato il criterio dell’anzianità c.d. giuridica previsto nel bando con l’anzianità c.d. economica, i provvedimenti impugnati sono illegittimi.

4. In conclusione, il ricorso – assorbiti gli ulteriori motivi di gravame – va accolto, con accessivo annullamento delle graduatorie impugnate nella parte in cui non collocano il ricorrente nella posizione allo stesso spettante in virtù dell’applicazione del criterio riguardante "l’anzianità di servizio nella posizione economica di provenienza", correttamente inteso.

Tenuto conto delle peculiarità che connotano la vicenda in esame, sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 4397/2005, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla le graduatorie impugnate nella parte in cui non collocano il ricorrente nella posizione allo stesso spettante in virtù dell’applicazione del criterio riguardante "l’anzianità di servizio nella posizione economica di provenienza".

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 29-12-2011, n. 29883 Provvedimenti riguardo ai figli

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 23 gennaio 2008, B.A. ha chiesto la cassazione della sentenza di cui in epigrafe della Corte d’appello di Genova, che ha respinto il suo appello contro la sentenza del Tribunale di Chiavari che, su suo ricorso del 28 febbraio 2001, aveva pronunciato la separazione giudiziale di lui dalla moglie M.D., denegando l’addebito alla moglie e affidando in via esclusiva alla stessa la figlia nata il (OMISSIS), disponendo che gli incontri della minore con il padre avvenissero in forma protetta, in presenza di un terzo e con le modalità suggerite dal consulente di ufficio, assegnando la casa familiare alla donna e ponendo a carico dell’uomo un contributo di Euro 230,00 mensili per il mantenimento della figlia, rigettando l’istanza del B. di porre ad esclusivo carico della madre le spese per la c.t.u. e la psicoterapia della bambina, ponendo a carico dell’appellante le spese di causa. In primo grado si era escluso che la intollerabilità della prosecuzione della convivenza tra i coniugi fosse dipesa dal comportamento della M., che avrebbe indotto la figlia ad accusare il padre di abusi sessuali in suo danno, perchè era certo che la crisi coniugale era sorta nel 1999, prima che la minore potesse esternare alla madre o a terzi alcuna lamentela contro il B..

La M. aveva ottenuto in via urgente dal Tribunale per i minorenni che gli incontri tra il marito e la figlia avvenissero in forma protetta, facendo seguire la bimba da una psicoterapeuta dell’età evolutiva da quando, a suo dire, aveva appreso dalla minore degli abusi subiti dal padre. Nessuna prova vi era stata di una condotta dolosa della donna per demolire la figura paterna, avendo solo vigilato sull’integrità fisica e psichica della minore, ricorrendo a tutele adeguate della bimba con l’aiuto e il controllo del Tribunale per i minorenni.

Le conclusioni della relazione della c.t.u., più volte invitata a chiarire le sue proposte e le indicazioni dei servizi sociali avevano evidenziato, nella minore, problematiche comportamentali e condotte sessualizzate, che potevano far dubitare degli abusi del B. sulla figlia, per cui gli incontri tra i due dovevano avvenire in presenza di un operatore o un educatore, secondo quanto concordato con l’uomo dagli stessi servizi sociali.

La c.t.u. aveva confermato che la bimba aveva anche a lei raccontato fatti che potevano costituire abusi sessuali del padre, per i quali la bambina era stata sottoposta a un lungo periodo di psicoterapia con esito positivo, restando ancora presenti le difficoltà dei rapporti tra lei e il B., allorchè gli incontri dei due non avvenivano in forma protetta e in presenza di terzi.

Su parere conforme della c.t.u., della psicologa che assisteva la minore C. e dei consulenti di parte che avevano ritenuto necessario evitare ogni pressione per modificare l’atteggiamento di paura della minore nei confronti del padre, per la fragilità e instabilità della stessa e il rischio di regressione della minore, si era respinta in primo grado la richiesta del B. di modificare il regime dei suoi incontri con la bambina, che potevano avvenire in tempi limitati e con la presenza della madre o della nonna paterna.

Avverso tali statuizioni proponeva appello il B..

Nel suo gravame l’uomo deduceva che ogni accusa della M. nei suoi confronti si era rivelata infondata ma che nonostante l’assenza di ogni prova, la sentenza del tribunale aveva ritenuto fondata l’accusa infamante di abusi suoi in danno della figlia, che comunque rendevano difficili i rapporti del B. con la figlia.

Essendo le accuse frutto di un comportamento di pressione della M. sulla figlia, alla donna doveva attribuirsi la infondata accusa contro il padre della minore e la stessa doveva quindi condannarsi alle spese del giudizio.

Ha ritenuto la Corte d’appello nel rigettare il gravame, che nel caso era inapplicabile l’affidamento condiviso della figlia ai genitori, configurato nell’art. 155 c.c. novellato dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54 come la regola, dovendo preferirsi l’affidamento esclusivo di cui all’art. 155 bis c.c., introdotto dalla stessa L. n. 54 del 2006 come ipotesi eccezionale.

Si è fatta applicazione dell’art. 155 bis c.c., che ha sostituito la previgente disciplina che imponeva l’affido ad uno dei genitori, da disporre tenendo conto dell’interesse morale e materiale della prole senza presumere che il mancato affidamento condiviso sia comunque contrario all’interesse del figlio (in tal senso sembra invece l’art. 155 bis c.c., come inserito dalla L. n. 54 del 2006). In tale contesto e tenuto conto della diffidenza della unica figlia dei coniugi, nei confronti del padre, ad avviso della corte di merito il tribunale aveva correttamente ritenuto opportuno l’affidamento esclusivo alla madre, anche a considerare non veritieri gli abusi dedotti, comunque sussistendo nella minore una fragilità e instabilità nei suoi rapporti con il padre, che potevano escludere fosse interesse di lei l’affidamento condiviso chiesto dal B., dovendo invece proseguirsi negli incontri protetti e alla presenza di terzi, nei quali la bambina si rapportava agevolmente con il padre, essendo contrario all’interesse di C. l’affidamento a questo in via esclusiva, anche a prescindere da ogni colpa di lui verso la figlia.

La Corte d’appello ha condiviso la scelta del Tribunale pur non escludendo che il rapporto peculiare del B. con la figlia fosse dipeso dal fatto che egli in una prima fase della separazione aveva vissuto con lei e provveduto ad ogni attività di cura, così potendo ingenerare equivoci anche da lui non voluti, per cui si imponeva l’affidamento esclusivo alla madre di C., con la prosecuzione della psicoterapia della bambina, cui il padre era tenuto a contribuire, trattandosi di spesa straordinaria per la salute della minore, dovendosi inoltre porre a carico del B. le spese del secondo grado, come deciso per quelle della causa dinanzi al tribunale.

Per la cassazione di tale pronuncia, il B. propone tempestivo ricorso di cinque motivi, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui replica nei termini di legge la M. con controricorso.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso del B. censura la sentenza della Corte d’appello di Genova, per carenze motivazionali sul punto decisivo della scelta di affidare la minore in via esclusiva alla madre, confermando sul punto la immotivata decisione del tribunale.

In sostanza si è riaffermata la negazione dell’affido condiviso, senza alcuna motivazione e negando pure la chiesta modifica del regime protetto degli incontri del B. con la figlia, che incide sull’esercizio del diritto di visita alla minore del padre ma si è ritenuto non consenta l’affido condiviso ai genitori, che il codice presume essere corrispondente all’interesse morale e materiale dei figli. Manca la sintesi finale in ordine alla immotivata ragione per la quale la sentenza giustifica la scelta dell’affidamento esclusivo della minore alla madre, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., ultimo inciso.

1.2. In secondo luogo, si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e dell’art. 155 c.c. come sostituito dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 1 essendosi rifiutato l’affidamento condiviso che, per legge, è quello da preferire nell’interesse dei figli minori.

La censura insiste nel ritenere omessa ogni motivazione per tale rifiuto così come per la scelta dell’affido esclusivo alla madre, opposta a quella per legge preferibile. Affermare, come la Corte, che l’esigenza di rapporti protetti tra padre e figlia comporta la necessità di negare l’affido condiviso è nel caso irrilevante, per essersi esclusa qualsiasi condotta scorretta del B. verso la figlia. Il quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., afferma di non potersi negare l’affido condiviso, se la necessità di protezione degli incontri tra padre e figlia dipenda da comportamenti della madre che ha indotto la figlia ad accusare il padre di abusi mai subiti.

Con il secondo quesito si chiede di rilevare se l’esigenza di adottare misure per consentire la ripresa dei rapporti tra padre e figlia possa determinare il rigetto del chiesto affido condiviso e in terzo luogo si chiede alla Corte di cassazione se l’accertamento del comportamento della madre di induzione della figlia ad accusare il padre di abusi in realtà inesistenti consenta di ritenere la donna idonea all’affidamento esclusivo.

1.3. In ordine alla pretesa carenza motivazionale della decisione sulla ritenuta esistenza di "atteggiamenti equivoci se non veri e propri comportamenti abusanti" del B. in danno della figlia, si lamenta che non risultano provati tali condotte, che possano giustificare il rigetto dell’affidamento anche al padre, avendo la Corte d’appello giustificato l’affidamento alla madre, perchè i terapisti della bimba, così come il c.t.u. e i consulenti di parte, avevano concordemente ritenuto dannoso per la bambina il superamento delle visite protette del padre. Si è omesso di valutare il contesto familiare in cui la minore vive, gravemente disturbante, incoerente e confusivo della famiglia di origine della M., per il quale C. ha assunto un atteggiamento negativo verso il padre, pur non essendovi stati comportamenti del B. inadeguati o dannosi per la minore.

La sintesi conclusiva di tale motivo richiama fatti decisivi su cui si è omessa la valutazione nel merito, facendo però riferimento per tali circostanze, alla relazione del c.t.u che ha escluso vi siano stati comportamenti del B. "inadeguati o dannosi" per la figlia, in tal modo riassumendo il motivo, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

1.4. Il quarto motivo di ricorso deduce ancora omessa o insufficiente motivazione in ordine alla negata esistenza di un atteggiamento della madre e della famiglia materna pregiudizievole per la minore e contraria all’interesse di questa di mantenere i rapporti con il padre.

Nessun riferimento vi è nella motivazione al comportamento della M. (che doveva invece esaminarsi anche per decidere sull’idoneità della donna all’affidamento esclusivo. In base alla sintesi di chiusura del motivo, ad avviso del ricorrente, dalla relazione del c.t.u. emerge chiaro che alla bimba è stato insegnato che non deve stare mai sola con il padre, inducendola a ritenere che questa sia un cattivo soggetto nell’ambito della famiglia materna e un uomo buono nella famiglia paterna, e di conseguenza facendo percepire la madre come nemica del padre, circostanze di cui nessun conto si è tenuto dalla Corte di merito.

1.5. Infine si denuncia violazione dell’art. 2043 c.c., per aver negato la condanna della M. a pagare le spese relative alla c.t.u. e alla terapia psicologica necessaria per la minore per disturbi causati dal comportamento della madre, considerando tale terapia come spesa straordinaria per la cura della figlia, cui devono contribuire entrambi i genitori.

Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si chiede di rilevare se possano le spese mediche dovute al comportamento di un genitore addebitarsi al genitore incolpevole.

Su tale motivo di ricorso la controparte afferma che, per la prima volta in sede di legittimità, si è fatto ricorso all’art. 2043 c.p.c. dalla controparte.

2. I cinque motivi di ricorso sono tutti inammissibili.

2.1. I due motivi di ricorso che denunciano violazioni di legge (secondo e quinto) sono conclusi con richieste che nessun riferimento hanno alle norme di cui denunciano la violazione, esponendo solo fatti non certi secondo la sentenza impugnata.

I predetti motivi sono quindi inammissibili ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., norma processuale applicabile ratione temporis, anche dopo che è stata abrogata e per i ricorsi proposti fino alla data dell’abrogazione di essa, per il principio tempus regit actum (Cass. 4 gennaio 2011 n. 80 e ord. 24 marzo 2010 n. 7119).

In nessuno dei due detti motivi di ricorso, in ordine alle violazioni di legge che denunciano, si chiarisce l’errore di diritto della decisione impugnata e si formula il principio di legge applicabile in luogo di quello erroneamente adottato dai giudici di merito (Cass. 21 febbraio 2011 n. 4146, ord. 19 febbraio 2009 n. 4044 e S.U. 9 luglio 2008 n. 18759), con conseguente loro inammissibilità.

In rapporto alle omissioni e carenze motivazionali denunciate nel primo motivo di ricorso manca la sintesi conclusiva con la chiara indicazione dei fatti rilevanti che rendono contraddittoria la sentenza impugnata e non vi sono le ragioni per le quali la motivazione è inidonea a giustificare la decisione, per cui la stessa si assume omessa e/o insufficiente in ordine al rigetto della domanda di affidamento condiviso (S.U. 14 ottobre 2008 n. 25117, Cass. 26 febbraio 2009 n. 4589, S.U. 12 maggio 2008 n. 11652).

2.2. Le sintesi conclusive dei motivi terzo e quarto non sono adeguate, risolvendosi nella mera trascrizione di emergenze istruttorie e, rispettivamente, di alcuni brani della relazione del c.t.u..

2.3. Il quinto motivo di ricorso anche se dotato di un quesito in astratto ammissibile, denuncia la violazione dell’art. 2043 c.c. dalla sentenza impugnata, mentre non risulta che nel merito si sia mai proposta un’azione di risarcimento del danno, con conseguente inammissibilità, per tale profilo di novità, del motivo di ricorso.

3. In conclusione, essendo preclusi tutti i motivi del ricorso, l’impugnazione è inammissibile e il ricorrente, per la soccombenza, dovrà corrispondere alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 1.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. III, Sent., 11-10-2011, n. 7892 Professori universitari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto del Rettore del 342008, l’Università degli studi di Roma Tre ha indetto una procedura di valutazione comparativa per cinque posti di professore universitario di prima fascia, tra cui un posto per il settore scientifico disciplinare ICAR 14 della Facoltà di Architettura, Composizione architettonica e urbana. Il bando, per tale settore scientifico disciplinare, prevedeva la produzione di un numero massimo di pubblicazioni pari a sette.

Partecipava alla procedura anche l’odierno ricorrente, già professore associato nel medesimo settore scientifico disciplinare Icar 14, presso l’Università La Sapienza.

A seguito della valutazione delle pubblicazioni e della prova didattica dei candidati non già professori associati (Franciosini, Furnari, Marone), sono risultati vincitori i candidati F.C. e L.F.. Con decreto rettorale del 2992010 sono stati approvati gli atti della procedura di valutazione comparativa.

Avverso tale provvedimento e avverso tutti gli atti e i verbali di tale procedura, nonché avverso il bando di concorso, nella parte in cui limitava a sette il numero di pubblicazioni da esaminare, ha proposto ricorso il prof. R.L. formulando i seguenti motivi di ricorso:

violazione degli artt. 2 e 4 del d.p.r. n° 117 del 2000;

eccesso di potere per difetto di motivazione;

violazione dell’art 8 del bando e dei criteri di valutazione delle pubblicazioni;

violazione dell’obbligo di astensione;

manifesto difetto di istruttoria e travisamento dei fatti;

violazione del principio di continuità delle operazioni concorsuali.

Si sono costituiti l’Università Roma Tre e i controinteressati, contestando la fondatezza del ricorso.

All’udienza pubblica del 172011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Nell’ordine logico delle questioni proposte dal ricorrente devono essere esaminate per prime quelle relative alla impugnazione del bando e alla mancata astensione dei componenti della Commissione.

Sostiene, infatti, la difesa ricorrente la illegittimità del bando di gara, in quanto avrebbe previsto, senza alcuna motivazione al riguardo, la limitazione a sette delle pubblicazioni oggetto di valutazione.

L’Università ha eccepito la tardività di tale censura, in quanto avrebbe dovuto essere rivolta avverso il bando di concorso nei sessanta giorni dalla pubblicazione.

Tale eccezione non è suscettibile di accoglimento.

Come è noto, la giurisprudenza ritiene che la necessità della immediata impugnazione dei bandi di gara e di concorso sussista solo quando contengano prescrizioni che impediscano chiaramente la partecipazione o rendano impossibile formulare la domanda di partecipazione, quando siano quindi immediatamente lesive della posizione del candidati.

Nel caso di specie, la limitazione a sette delle pubblicazioni poteva rivelarsi lesiva della posizione del ricorrente solo a seguito dell’esito della procedura di valutazione comparativa.

La censura è, peraltro, infondata.

Infatti, ai sensi dell’art 2 comma 6 del d.p.r. n° 117 del 2000, ora abrogato dalla legge n° 183 del 4112010, il bando poteva prevedere limitazioni al numero di pubblicazioni scientifiche da presentare, a scelta del candidato, per la partecipazione a ciascuna procedura. L’inosservanza del limite comporta l’esclusione del candidato dalla procedura. La limitazione non deve comunque impedire l’adeguata valutazione dei candidati.

In primo luogo, tale limitazione non doveva essere oggetto di espressa motivazione nel bando, trattandosi di atto generale, per il quale, ai sensi dell’art 13 della legge n° 241 del 1990, non sussiste l’obbligo di motivazione.

L’unico requisito fondamentale posto dalla norma riguarda l’adeguata valutazione dei candidati.

Il numero delle pubblicazioni non deve essere così esiguo da rendere impossibile la valutazione dell’attività scientifica dei candidati.

La limitazione delle pubblicazioni da presentare non deve essere, quindi, tale da rendere inutile la valutazione dell’attività scientifica dei candidati.

Il numero di sette, per quanto particolarmente basso, tenuto conto che si tratta di un concorso a professore di prima fascia, non si può ritenere impedisca una adeguata valutazione, considerato anche che la scelta delle pubblicazioni da produrre appartiene ai singoli candidati.

Neppure si può ritenere tale numero assolutamente irragionevole, in relazione alla circostanza che per tale settore scientifico disciplinare anche altre Università hanno fissato un numero massimo di pubblicazioni piuttosto basso, tra le cinque e le otto.

Con ulteriore motivo di ricorso, si lamenta la mancata astensione dei componenti della Commissione prof. Cellini e prof Rossi Prodi considerati dalla difesa ricorrente commensali abituali rispettivamente del candidato Franciosini e del candidato Capanni.

E’ stata eccepita la tardività di tale censura, in quanto avrebbe dovuto essere proposta entro il termine di trenta giorni dalla pubblicazione del decreto di nomina, come previsto dal regolamento di ateneo e dall’art 3 comma 16 del d.p.r. n° 117 del 2000.

Tale eccezione di tardività non può essere accolta.

Come affermato già dalla sezione (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 19 gennaio 2009, n. 277) i vizi di nomina della Commissione di concorso possono essere fatti valere nel momento dell’impugnazione dei risultati della procedura concorsuale; il provvedimento di nomina dei componenti di una Commissione giudicatrice può essere impugnato dal partecipante alla selezione che si ritenga leso nel momento in cui, con l’approvazione delle operazioni concorsuali, si esaurisca il relativo procedimento amministrativo e divenga compiutamente riscontrabile la lesione della sfera giuridica dell’interessato (Consiglio Stato, sez. V, 28 ottobre 2008, n. 5378; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 14 aprile 2008, n. 3122). Infatti, il termine per l’impugnazione degli atti di concorso, diversi dall’esclusione dalla partecipazione o dai giudizi negativi formulati dalla Commissione sulle prove, decorre dalla data di conoscenza del relativo esito, coincidente con il provvedimento di approvazione della graduatoria, in quanto solo da tale atto può scaturire la lesione attuale della posizione degli interessati (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 06 dicembre 2010, n. 35389; Consiglio Stato, sez. V, 09 dicembre 2009, n. 7683).

La censura proposta dalla difesa del ricorrente relativa alla mancata astensione è infondata.

Si sostiene, infatti, la sussistenza di una causa di astensione ex art 51 cpc, in relazione alle circostanze di aver scritto opere in collaborazione e di prestare servizio nella medesima Università.

Tale censura non è suscettibile di accoglimento.

La giurisprudenza è costante nel ritenere che la circostanza che il commissario ed uno dei candidati abbiano pubblicato insieme una o più opere non comporti l’obbligo di astensione del commissario, considerato che si tratta di ipotesi ricorrente nella comunità scientifica, che risponde alle esigenze dell’approfondimento dei temi di ricerca; non costituisce, quindi, ragione di incompatibilità la sussistenza di rapporti di collaborazione meramente intellettuale; l’obbligo di astensione sussiste solo quando l’attività di collaborazione si esplichi in una comunanza d’interessi economici (cfr Consiglio Stato, sez. V, 16 agosto 2011, n. 4782).

È irrilevante, ai fini dell’obbligo di astensione nei pubblici concorsi, la circostanza che il commissario e uno dei candidati abbiano pubblicato insieme una o più opere, tenuto conto che la circostanza stessa deve ormai ritenersi, nella comunità scientifica, consueta e, addirittura, fisiologica, rispondendo alle esigenze dell’approfondimento dei temi di ricerca sempre più articolati e complessi, sì da rendere, in alcuni settori disciplinari, estremamente difficile, se non addirittura impossibile, la formazione di Commissioni esaminatrici in cui tali collaborazioni non siano presenti. La sussistenza di rapporti di collaborazione meramente intellettuale, cui siano estranei interessi patrimoniali, non appare elemento tale da inficiare in maniera giuridicamente apprezzabile il principio di imparzialità, tenuto conto della composizione collegiale della Commissione e delle equipollenti esperienze e competenze dei membri, che introducono un controllo intrinseco, idoneo a pervenire alla scelta dei più meritevoli (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 01 aprile 2011, n. 2881; Consiglio Stato, sez. VI, 18 agosto 2010, n. 5885).

Quanto ai rapporti di colleganza all’interno della medesima universitaria, questi di per sé non possono dare luogo alla abituale commensalità che, ex art 51 c.p.c., comporterebbe l’obbligo di astensione, né è stata fornita la specifica prova di alcun ulteriore rapporto che possa rientrare nella fattispecie dell’art 51 c.p.c..

A prescindere dalla valutazione dell’interesse del ricorrente alle censure relative alla erroneità della propria valutazione in confronto a quella dei candidati vincitori, avendo lo stesso riportato un giudizio complessivo identico a quello degli altri candidati, suscettibile di accoglimento e idoneo ad assorbire tutte le altre censure è il motivo di ricorso relativo alla genericità del giudizio espresso dalla Commissione esaminatrice e alla carenza di motivazione.

Ad avviso della difesa ricorrente i giudizi dati ai candidati, sia singoli che collegiali, sono "così vaghi da risultare inutili ad assolvere la funzione comparativa".

Tale censura è fondata.

L’orientamento costante della sezione afferma, secondo quanto sostenuto dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, che i giudizi espressi dalle Commissioni, in particolare nelle procedure di valutazione comparativa, sono espressione di discrezionalità tecnica e sindacabili solo nei limiti del travisamento dei presupposti di fatto, illogicità e irragionevolezza.

I giudizi delle commissioni di concorso sono, infatti, giudizi tecnico discrezionali sindacabili dal giudice amministrativo nei limiti della illogicità e irragionevolezza o del travisamento dei fatti, ovvero della non congruenza delle valutazioni operate dalla Commissione con le risultanze di fatto.

In particolare, nei concorsi per professore universitario la valutazione dei candidati comporta una ampia area di insindacabilità del giudizio da parte del giudice amministrativo. Il giudizio della Commissione è inteso a verificare e a misurare il livello di maturità scientifica raggiunto dai singoli candidati. Pertanto, costituisce espressione di una ampia discrezionalità tecnica riservata dalla legge al suddetto organo collegiale le cui valutazioni, riflettendo specifiche competenze solo da esso possedute, non possono essere sindacate nel merito dal giudice della legittimità, ma solo sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità, illogicità, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 19 gennaio 2009, n. 277; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 06 maggio 2008, n. 3706, T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 01 aprile 2011, n. 2914)

Nel caso di specie, peraltro, come affermato dalla difesa ricorrente, i giudizi della Commissione appaiono talmente vaghi e generici, tali da non avere alcun carattere valutativo.

Risulta, infatti, dai verbali della procedura che i giudizi complessivi finali espressi dalla Commissione (allegato D) sono esattamente identici per i candidati C., C., C., F., F., L.: "confrontati e comparati i giudizi collegiali, la Commissione concorda nel valutare di ottimo livello il curriculum, l’attività e la produzione scientifica,didattica e progettuale presentata dal candidato e di ritenerli pienamente adeguati alle richieste del bando e ai criteri di massima allegati al verbale 1)".

Mancando, dunque, altri riferimenti di carattere valutativo, la prevalenza dei candidati vincitori, deriva solo dalla votazione dei Commissari, a cui fa riferimento il verbale n° 5.

Neppure, infatti, si può ritenere integrato il giudizio complessivo dai giudizi espressi dai singoli commissari. Tali giudizi analizzano l’attività scientifica dei candidati, rispetto ai cinque che hanno ottenuto una ottima valutazione complessiva, in termini molto positivi, ma in relazione all’attività di ognuno candidati senza mai esprimersi in termini che possano avere rilevanza omogenea ai fini di una successiva attività di carattere valutativo.

In particolare, la valutazione dei candidati è avvenuta senza far alcun riferimento ai criteri di cui all’art 4 del d.p.r. n° 117 del 2000, fatti propri dal bando di concorso, e ribaditi dalla Commissione nella prima seduta.

Dai verbali della Commissione non risulta, infatti, che siano stati osservati tali criteri né i criteri di massima che la Commissione si era posta in base all’art 4 del d.p.r. n° 117 del 2000.

La norma dell’art 4 prevede, infatti, che per valutare le pubblicazioni scientifiche e il curriculum complessivo del candidato la commissione tenga in considerazione i seguenti criteri:

a) originalità e innovatività della produzione scientifica e rigore metodologico;

b) apporto individuale del candidato, analiticamente determinato nei lavori in collaborazione;

c) congruenza dell’attività del candidato con le discipline ricomprese nel settore scientificodisciplinare per il quale è bandita la procedura ovvero con tematiche interdisciplinari che le comprendano;

d) rilevanza scientifica della collocazione editoriale delle pubblicazioni e loro diffusione all’interno della comunità scientifica;

e) continuità temporale della produzione scientifica, anche in relazione alla evoluzione delle conoscenze nello specifico settore scientificodisciplinare.

A tali fini la commissione fa anche ricorso, ove possibile, a parametri riconosciuti in àmbito scientifico internazionale.

Costituiscono, in ogni caso, titoli da valutare specificamente nelle valutazioni comparative:

a) attività didattica svolta anche all’estero;

b) i servizi prestati negli atenei e negli enti di ricerca, italiani e stranieri;

c) l’attività di ricerca, comunque svolta, presso soggetti pubblici e privati, italiani e stranieri;

d) i titoli di dottore di ricerca e la fruizione di borse di studio finalizzate ad attività di ricerca;

e) il servizio prestato nei periodi di distacco presso i soggetti di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 297;

f) l’attività in campo clinico e, con riferimento alle scienze motorie, in campo teoricoaddestrativo, relativamente ai settori scientificodisciplinari in cui siano richieste tali specifiche competenze;

g) l’organizzazione, direzione e coordinamento di gruppi di ricerca;

h) il coordinamento di iniziative in campo didattico e scientifico svolte in àmbito nazionale ed internazionale.

Nel caso di specie, i giudizi, individuali e collegiali, relativi ai singoli candidati appaiono meramente descrittivi delle caratteristiche specifiche di ogni singolo candidato dello svolgimento della propria attività scientifica e professionale, ma non fanno alcun riferimento a criteri uniformi, quali quelli indicati dal d.p.r. n° 117 del 2000.

E’ sufficiente far riferimento al giudizio collegiale sulle pubblicazioni di Franciosini: " architetto dotato di una matura riconoscibile e culturalmente fondata identità progettuale e poetica. Si dimostra capace di riversare queste qualità in una ampia ed intensa attività didattica particolarmente orientata e proficua", e al giudizio collegiale sulle pubblicazioni di L.: " candidato con proficua ed interessante attività di ricerca storicocritica, presenta una attività progettuale ampia e diversificata e un analogamente ampio ed intenso impegno didattico".

Nei giudizi collegiali come nei giudizi individuali sull’attività didattica e scientifica dei candidati sono dunque apprezzate le peculiarità specifiche di ogni singolo candidato, invece di ricondurre ad un criterio unitario di valutazione le attività di ognuno, proprio al fine di operare la valutazione comparativa.

A riprova della genericità della valutazioni operate dalla Commissione, anche il giudizio collegiale circa la prova didattica dei tre candidati che l’hanno svolta si è concluso con un giudizio identico per tutti: "la commissione valuta il candidato idoneo a sostenere la valutazione comparativa".

Il bando, invece, espressamente prevede che la prova didattica concorra alla valutazione complessiva, secondo quanto stabilito dal comma 9 dell’art 4 del d.p.r. n° 117 del 2000.

Risulta espressamente, poi, nel verbale che a seguito della espressione dei giudizi complessivi da parte della Commissione si sia proceduto ad esprimere "un giudizio di idoneità individuale": in particolare nei seguenti termini: "ciascun commissario dà un voto positivo al candidato che ritiene idoneo (a tale scopo ciascun commissario ha a disposizione due voti positivi); sono dichiarati idonei i candidati che hanno ottenuto un maggior numero di voti di idoneità".

In tal modo, però, la procedura di valutazione comparativa per sua natura destinata a far prevalere il candidato che abbia maggiori meriti didattici e scientifici, si trasforma in un procedimento elettorale con elettorato passivo di alcuni candidati (i cinque ritenuti migliori tra tutti) e elettorato attivo dei Commissari.

Tale procedimento non è in alcun modo previsto dall’ordinamento.

Sia il d.p.r. n° 117 del 2000 sia il bando prevedono la deliberazione a maggioranza dei membri della Commissione, ma sulla base di quanto risulta dalla valutazione.

Il voto serve quindi solo ad esplicitare quanto è emerso dai giudizi già espressi dai Commissari.

Infatti, il momento fondamentale della fase di valutazione deve ritenersi quello in cui viene espresso un giudizio di valore sulla personalità scientifica del candidato, la cui definitiva formulazione è riservata all’esame collegiale, nel quale confluiscono, contemperandosi in un apprezzamento unitario, i giudizi singolarmente espressi dai vari membri della Commissione.

Secondo la giurisprudenza resta, infatti, riservata alla successiva fase della votazione la sola funzione, necessitata dalla contingenza della limitatezza dei posti messi a concorso, della effettuazione di una scelta comparativa dei vincitori, scaturente dal raffronto tra i giudizi formulati collegialmente dalla Commissione; conseguentemente, una volta valutata collegialmente l’astratta idoneità dei vari candidati, la Commissione esprime la propria preferenza ai fini dell’individuazione dei tre idonei attraverso il voto, non essendo richiesta alcuna motivazione ulteriore rispetto a quella contenuta nei giudizi collegiali formulati nei confronti di ciascun concorrente (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 13 gennaio 2003, n. 60; T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 24 maggio 2004, n. 1490.

Il voto deve dunque corrispondere a quanto emerge dai giudizi complessivi, altrimenti sarebbe inutile l’attività di verbalizzazione dei giudizi e delle valutazioni da parte della Commissione che potrebbe limitarsi ad esprimere il voto. La votazione deve essere, quindi, consequenziale a quanto emerge dalla valutazione, conducendo ad una scelta, che non può perdere il carattere comparativo.

Ai sensi dell’art. 4 del d.p.r. n. 117 del 2000, in sede di giudizi collegiali, l’ammissione alla procedura valutativa può avvenire a maggioranza o all’unanimità, così come a maggioranza possono essere individuati gli idonei; l’applicazione del voto a maggioranza non determina certo che la votazione possa assorbire ogni profilo di legittimità, in quanto il giudizio finale deve essere coerente con gli elementi istruttori della procedura e con i giudizi individuali e collegiali espressi dai commissari. Il giudizio finale, reso a maggioranza, deve rispecchiare gli elementi istruttori acquisiti nel corso della procedura e soprattutto sia la conseguenza di una valutazione, sorretta da adeguata motivazione circa la preferenza data ad un determinato candidato rispetto ad un altro (Consiglio Stato, sez. VI, 18 dicembre 2007, n. 6536).

Se è vero che la valutazione comparativa non implica una comparazione analitica di ciascun candidato con tutti gli altri, potendo invece essere formulati giudizi assoluti su ciascun singolo candidato, il giudizio conclusivo di prevalenza di uno o più candidati rispetto agli altri costituisce l’essenza della procedura comparativa; deve, dunque, comunque discendere dal confronto dei giudizi assoluti.

Il giudizio della commissione, inoltre, deve dare contezza delle ragioni che convincono sulla idoneità di un determinato candidato rispetto ad un altro e la motivazione dovrà essere tanto più puntuale quanto minori siano le differenze emergenti dai giudizi espressi su ciascuno; cosicché, ove i giudizi individuali, raffrontati secondo parametri omogenei, facciano emergere immediatamente una scala di valori, sarà adeguatamente sorretta la scelta corrispondente a tale scala (mentre sarebbe evidentemente illogica e censurabile quella che non la rispecchiasse); mentre, ove i valori appaiano non significativamente differenziati, la scelta finale dovrà, evidentemente, dare esauriente conto della avvenuta comparazione e degli esiti di questa (Consiglio di stato, sez. VI, 29 luglio 2009, n. 4708).

Nel caso di specie, di fronte all’assoluta parità dei giudizi espressi nei confronti di ben cinque candidati, è quindi mancato il momento valutativo proprio della procedura comparativa e assolutamente carente appare la motivazione dell’iter valutativo seguito dalla Commissione.

Sotto tale profilo il ricorso è fondato e deve esser accolto con annullamento della procedura di valutazione comparativa impugnata.

L’accoglimento per tale motivo di ricorso è idoneo ad assorbire tutte le altre censure.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-05-2011) 05-10-2011, n. 36128

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data4-12-2009 la Corte di Appello di l’Aquila pronunziava la parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale del luogo, in data 16-6-2009, appellata dagli imputati G. R. e B.C., ritenuti responsabili del reato di cui all’art. 624 bis c.p., loro ascritto per avere, in concorso, sottratto un furgone di proprietà di P.E., prelevandolo dall’area contigua alla impresa commerciale del titolare – fatto accertato in data (OMISSIS).

La Corte territoriale aveva rideterminato la pena per ciascun imputato in anni uno e mesi due di reclusione, ed Euro 300,00 di multa,confermando le ulteriori disposizioni.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di G.R., deducendo:1 – la inosservanza o erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b). in riferimento all’ipotesi normativa di cui all’art. 624 bis c.p. ed all’art. 817 C C., evidenziando che il piazzale in cui si trovava il furgone oggetto di furto era aperto al pubblico, pur essendo luogo privato, nè la natura pertinenziale di tale area rispetto al luogo in cui si svolgeva attività artigianale avrebbe potuto essere percepita dai terzi.

Pertanto il ricorrente riteneva carenti i presupposti per applicare l’art. 624 bis c.p..

2 – Con ulteriore motivo censurava la sentenza per erronea applicazione del citato art. 624 bis c.p., e concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

– Altro ricorso veniva proposto dal difensore di B.C., deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 624 bis c.p., per l’insussistenza, ad avviso del ricorrente,del vincolo tipico della pertinenza tra il luogo ove si trovava il furgone e la attività del proprietario,in quanto lo stesso proprietario aveva adibito il piazzale all’uso pubblico di parcheggio.

Tali elementi venivano rilevati censurando la sentenza per contrasto con i canoni normativi civilistici del concetto di pertinenza(in riferimento all’art. 817 CC.) asserendo che per volontà del dominus era stato reciso il vincolo pertinenziale,ossia il rapporto funzionale tra l’area adibita a parcheggio e il luogo ove il proprietario svolgeva l’attività lavorativa.

In base a tali rilievi la difesa riteneva che la sentenza risultasse viziata sia per erronea qualificazione giuridica del fattoria per contraddittorietà ed illogicità della motivazione, chiedendone l’annullamento.

Motivi della decisione

La Corte rileva che risultano fondate le censure difensive attinenti alla erronea applicazione dell’art. 624 bis c.p..

Invero nella specie trattasi di furto di un furgone che si trovava parcheggiato nell’area che era contigua al luogo in cui il titolare svolgeva attività lavorativa. Tale ipotesi vale nel caso di specie ad integrare la fattispecie di furto aggravato (ascrivibile in concorso ai due imputati,sorpresi nella flagranza dell’azione) ai sensi degli artt. 110-624- art. 625 c.p., n. 7, secondo l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, che con sentenza Sez. 4^ del 21 maggio 2009, n. 21285 PG. in proc. Bortolameolli – RV 243513 – ha stabilito che "integra il reato di furto aggravato dall’esposizione alla pubblica fede della cosa la condotta di chi sottragga un’autovettura parcheggiata in luogo privato liberamente accessibile,atteso che la natura, privata o pubblica,del luogo di esposizione del bene è irrilevante ai fini della configurabilità della citata aggravante".

Viceversa deve essere esclusa l’applicabilità del disposto di cui all’art. 624 bis c.p., avendo il giudice di merito accertato, attraverso deposizione del titolare del parcheggio,che tale area era da tempo destinata, per sua scelta,ad accogliere anche altri veicoli, onde resta escluso il carattere strettamente privatistico della utilizzabilità dell’area di cui si tratta, che era concretamente aperta al pubblico.

In tal senso devono accogliersi i rilievi dei ricorrenti, dovendo essere disattese le altre censure difensive, ed essendo la pena inflitta riconducibile ai limiti edittali della fattispecie di furto aggravato qui ritenuta come applicabile.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Qualifica il fatto ai sensi degli artt. 110-624 – art. 625 c.p., n. 7 e rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.