Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 22-09-2011) 24-10-2011, n. 38176

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Avverso l’ordinanza in data 29-4-2011 della Corte di Appello di Bologna con la quale veniva dichiarata inammissibile 1’istanza di ricusazione proposta da B.G. nei confronti del Collegio della sez. 3, penale della stessa Corte di Appello composta dai magistrati M.F., C.C. e D.F.D. in riferimento al procedimento penale n.1864/08 RG pendente a carico di detto proponente, quest’ultimo ha ricorso per cassazione, deducendo violazione ed erronea applicazione dell’art. 37 in relazione alle cause di ricusazione di cui all’art. 36, comma 1, lett. a) e d) sul rilievo che, a seguito di una sua denuncia-querela, tutti e tre gli anzidetti magistrati risultavano iscritti come indagati nel procedimento penale a loro carico per il reato di cui agli artt. 110, 81 e 323 c.p. pendente presso la Procura della Repubblica di Ancona,con persona offesa esso B., onde ricorrevano – tenuto conto anche di esposti al CSM contro i medesimi magistrati inviati dal ricorrente che avevano provocato l’apertura di procedimenti disciplinari ancora pendenti – elementi sintomatici del sentimento di inimicizia grave,causa di ricusazione ex art. 37 c.p.p., comma 1, lett. d), nonchè fondati motivi di interesse nel procedimento ex cit. art. 36, lett. a). Il PG in sede, con requisitoria scritta in atti, ha concluso per il rigetto del ricorso.

Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi addotti.

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma equitativamente determinata in Euro mille, alla casa delle ammende.

Ed invero, come puntualmente dedotto dal PG in sede nella requisitoria in atti, quanto alla causa della dedotta ricusazione (presentazione di una denuncia penale e di esposti in materia disciplinare)va richiamato il costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, secondo il quale: "La presentazione di una denuncia contro un magistrato non b da sola sufficiente ad integrare l’ipotesi di ricusazione di cui all’art. 37 c.p.p., comma 1, lett. a) in relazione all’art. 36 c.p.p., comma 1, lett. d), poichè il sentimento di "grave inimicizia", per essere pregiudizievole, deve essere reciproco, deve nascere o essere ricambiato dal giudice e deve trarre origine da rapporti di carattere privato, estranei al processo, non potendosi desumere semplicemente dal trattamento riservato in tale sede alla parte, anche se da questa ritenuto frutto di mancanza di serenità" (cfr. in. termini Cass.pen. sez, 2, 18.6.2003 n. 30443, Caiazza; idem Sez. 5, 28-02-07 n. 3429, Querci).

Nel caso di specie,come opportunamente sottolineato dal predetto PG nella requisitoria in atti,la denuncia-querela e gli esposti proposti dal B. contro i predetti magistrati sono stati originati da comportamenti endoprocessueli di questi ultimi, di guisa che, anche se giudicati dal ricorrente come "anomali" e "settari", tuttavia non Possono iN quanto espressione dell’attività svolta dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni, dare fondamento ad una richiesta di ricusazione, non potendosi desumere il sentimento di "grave inimicizia" semplicemente dal trattamento riservato nella sede processuale alla parte, anche se da questa ritenuto frutto di mancanza Di serenità (cfr.in termini,oltre che N.30443 già cit,,Cass.pen. Sez. 6, 1-6-96 n.2491,Pasquali).

Manifestamente infondato è, inoltre, anche il motivo di ricusazione in tema di interesse nel procedimento ex art. 36 c.p.p., lett. a) posto che nella nozione di "interesse" non vanno ricompresi tipi di interessi diversi da quello patrimoniale, ossia circoscritto alla mera sfera patrimoniale del magistrato in rapporto alla soluzione in un certo senso del processo, il che non risulta affatto nel caso di specie.

Di qui le ragioni di inammissibilità del ricorso con ogni conseguenza di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille, in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-05-2012, n. 7565 Rovina e difetti dell’immobile

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato i sigg. B. F. e Be.Pa. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la s.p.a. Sercasa e la I.T.M. Costruzioni s.r.l. esponendo che: – con scrittura privata autenticata del 1 aprile 2004 avevano acquistato dalla s.p.a. Sercasa una villetta di nuova costruzione in (OMISSIS), al prezzo di Euro 353.772,98; – che, dopo la metà del mese di maggio 2004, in concomitanza con la manifestazione di precipitazioni piovose, si erano verificate infiltrazioni di umidità in diversi punti del pavimento del piano interratto della suddetta villetta e sulle relative murature verticali, con formazione di muffe e presenza di acqua superficiale; – che era stata constatata la presenza di cospicui depositi di acqua nell’intercapedine tra il piano di fondazione e la struttura del pavimento del piano seminterrato, così come era stato riscontrato che altre infiltrazioni di acqua si erano verificate dal tetto, con l’emergenza anche di ulteriori difetti, per i quali era stata instaurata procedura di accertamento tecnico preventivo; sulla scorta di tale premessa, i suddetti attori proponevano domanda di riduzione del prezzo di vendita e di risarcimento del danno nei confronti della venditrice s.p.a. Sercasa e domanda ex art. 1669 c.c. nei riguardi della stessa s.p.a. Sercasa e della I.T.M. Costruzioni, affinchè le due società venissero condannate in solido a pagare, in loro favore, una somma relativa ai costi sopportati per la ricerca delle cause dei vizi e difetti costruttivi e per la eliminazione degli stessi, oltre al risarcimento del danno. Nella costituzione di entrambe le società convenute e con la chiamata in giudizio della Presutto s.r.l., a cui erano stati subappaltati, dalla I.T.M. Costruzioni s.r.l., i lavori di impermeabilizzazione (con prestazione di una garanzia), l’adito Tribunale, con sentenza n. 8587 del 2008, condannava la s.p.a.

Sercasa al pagamento della somma di Euro 30.000,00 in favore degli attori (con gli interessi legali dalla domanda al saldo), la I.T.M. Costruzioni s.r.l. al pagamento, sempre a vantaggio degli attori, della somma di Euro 32.000,00 (oltre interessi), la stessa I.T.M. al pagamento della somma di Euro 30.000,00, in favore della s.p.a.

Sercasa, con gli interessi legali dalla domanda, e la s.r.l. Presutto al pagamento della somma di Euro 62.000,00 in favore della I.T.M., con gli interessi legali dalla data della domanda al saldo, rigettando ogni altra domanda delle parti e regolando le complessive spese giudiziali. Interposto appello da parte della s.r.l. Presutto e nella costituzione di tutti gli appellati (che formulavano, a loro volta, appello incidentale), la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 2396 del 2009, rigettava sia l’appello principale che quelli incidentali, compensando integralmente tra tutte le parti le spese del grado. A sostegno dell’adottata decisione la Corte territoriale ravvisava l’infondatezza di tutte le doglianze dedotte con i proposti gravami, relative alla ritenuta responsabilità per i fatti di causa della s.r.l. Presutto, alla mancata esclusione della garanzia ex art. 1491 c.c., alla condanna relativa alla riduzione del prezzo di vendita ed al risarcimento dei danni, all’onere probatorio in materia di decadenza, all’eccezione sollevata dalla I.T.M. di aver agito come "nudus minister" e al risarcimento del danno per il minor godimento come proposta dai coniugi B. – Be..

Avverso la suddetta sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la s.r.l. Presutto, basato su due motivi, in ordine al quale si sono costituiti in questa fase con controricorso gli intimati B.F. e Be.Pa., nonchè la s.p.a. Sercasa, che ha, sua volta, formulato ricorso incidentale condizionato. I predetti B.F. e B. P. hanno proposto controricorso avvero il ricorso incidentale condizionato avanzato dalla s.p.a. Sercasa. I difensori della ricorrente principale e di quello incidentale hanno depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente principale ha dedotto il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avuto riguardo al passaggio argomentativo, adottato nella sentenza impugnata, in cui la Corte di appello di Milano, nel rigettare l’appello di essa Presutto s.r.l., pur dando atto che la natura e le causa delle infiltrazioni riscontrate nel sottofondo della villetta non erano state accertate dal c.t.u., aveva ritenuto di ravvisare ugualmente la responsabilità di essa s.r.l.

Presutto solo perchè alla stessa era riconducibile l’opera di impermeabilizzazione del vano interrato, ancorchè eseguito – come era pacifico tra le parti – fino ad un’altezza di due metri dalle pareti e completata, per il resto, su decisione della committente, da altra impresa.

1.1. Il motivo è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

La Corte territoriale, sulla base di una motivazione congrua ed adeguata, ha dato conto dell’avvenuto accertamento della responsabilità della società subappaltatrice in ordine ai danni riconducibiii all’opera di impermeabilizzazione del vano interrato avendo fondato il compiuto percorso argomentativo su elementi logicamente valutati e ricollegabili alle verifiche tecniche realizzate sull’immobile dei controricorrenti B. – Be., previa esclusione della configurabilità di qualsiasi altra causa o concausa obiettivamente idonea alla produzione di detti danni. In particolare, la Corte meneghina, pur rilevando che non era stato verificato dal c.t.u., in concreto, l’esatto punto in cui si era verificata l’infiltrazione poichè questa operazione avrebbe comportato la necessità dell’esecuzione di scavi e demolizioni di portata assolutamente irragionevole ed antieconomica, è pervenuta ugualmente, in virtù di un ragionamento logico ed obiettivamente compatibile con la condizione dei luoghi e gli eseguiti rilievi tecnici, alla conclusione dell’imputazione della causa determinante dei danni in questione in capo alla ricorrente principale che aveva realizzato i descritti lavori di impermeabilizzazione. In modo del tutto pregnante, la Corte distrettuale ha adeguatamente evidenziato che il c.t.u., sulla scorta delle osservazioni e degli elementi raccolti con modalità ordinarie, era stato in grado di accertare, innanzitutto, che si trattava di acqua di origine meteorica (e non di falda), che raggiungeva il punto di ristagno nella proprietà Be. – B. passando attraverso le pareti perimetrali e, con riferimento specifico alla posizione della s.r.l. I.T.M., quale ipotetica responsabile almeno in via concorrente (per aver eseguito l’impermeabilizzazione dalla quota da metri 2 in su), ha rilevato che, sulla scorta degli stessi univoci accertamenti del c.t.u., era rimasta esclusa tale possibilità perchè era stato riscontrato il corretto scarico delle acque provenienti da quota superiore, con la conseguenza che i danni dedotti in controversia non potevano che essere riconducibili agli inidonei lavori di impermeabilizzazione eseguiti per la quota inferiore ai due metri, imputabili, incontestatamente, alla subappaltatrice Presutto s.r.l..

Avendo, perciò, la Corte territoriale fondato la sua ricostruzione su plurime presunzioni gravi, precise e concordanti (globalmente valutate in modo idoneo: cfr., ad es., Cass. n. 11372 del 2005 e, da ultimo, Cass. n. 26022 del 2011), oltre che pienamente compatibili sul piano logico con gli accertamenti di fatto di ordine tecnico univocamente acquisiti (tali da escludere una diversa o concorrente responsabilità ascrivibile alla condotta commissiva od omissiva di altri soggetti), deve ritenersi insussistente il dedotto vizio motivazionale, poichè il ragionamento complessivo adottato dal giudice di appello è certamente sufficiente, logico ed esente da possibili contraddizioni.

2. Con il secondo motivo la ricorrente principale ha denunciato un ulteriore vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con riferimento alla mancata valutazione, da parte della Corte territoriale, delle condotte del progettista, del direttore dei lavori e dell’impresa ASFALTI SALA, come altri possibili responsabili dell’evento dannoso, ancorchè rimasti estranei, e di essersi, invece, limitata a condannare soltanto essa ricorrente a manlevare la I.T.M. Costruzioni per l’intero importo risarcitorio liquidato, senza che le risultanze processuali lo consentissero.

2.1. Questa censura è inammissibile poichè con essa la ricorrente principale introduce un tema di indagine nuovo nella presente sede di legittimità, che non risulta aver costituito oggetto di allegazione e di esame nei precedenti gradi di merito (non emergendo le inerenti doglianze nemmeno dai motivi di appello), attenendo, oltretutto, all’ipotetica individuazione della responsabilità di terzi che non risultano, peraltro, evocati o chiamati ad altro titolo in causa.

3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale – condizionato all’accoglimento, anche parziale, del principale, la Sercasa s.p.a. ha prospettato la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), senza peraltro specificare quali, nonchè il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in virtù dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con riferimento al profilo del mancato accoglimento dell’eccezione dell’esclusione della garanzia ex art. 1491 c.c., poichè il vizio, al momento del rogito, era già conosciuto o quantomeno facilmente riconoscibile, con la conseguente tardività della denuncia (non essendo stata operata entro otto giorni), ai sensi dell’art. 1495 c.c..

3.1. Tale motivo, in quanto proposto condizionatamente all’accoglimento del ricorso principale, deve ritenersi assorbito per effetto del rigetto totale del ricorso principale.

4. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso principale deve essere respinto, con conseguente assorbimento di quello incidentale condizionato proposto dalla s.p.a.

Sercasa. Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo, tenendo contro delle distinte attività espletate dai difensori dei controricorrenti e della ricorrente incidentale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale proposto dalla s.p.a. Sercasa. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, in favore della s.p.a. Sercasa, in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge, e, in favore dei controricorrenti B.F. e Be.Pa., in solido fra loro, in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-11-2011) 25-11-2011, n. 43779 Reato continuato e concorso formale

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Svolgimento del processo

1. Il GIP del Tribunale di Napoli, deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione sulle istanze proposte nell’interesse di S. R., con ordinanza del 24 giugno 2010iha rigettato sia la richiesta di rideterminazione, ai sensi dell’art. 671 c.p.p., delle pene a lui inflitte – con due sentenze di condanna ivi meglio specificate – riguardando le stesse reati unificabili nel vincolo della continuazione in quanto asseritamente commessi in attuazione del programma criminoso dell’associazione criminale capeggiata da M.M.; sia quella di applicazione dell’indulto concesso con L. n. 241 del 2006. 1.1. Quanto alla prima istanza, il giudice dell’esecuzione ha disatteso la tesi secondo cui i reati oggetto delle sentenze di condanna erano stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in base al rilievo che tra l’estorsione in danno della ditta Vivai, di V.A. commessa in (OMISSIS) (e l’omicidio in danno di F.A., commesso in (OMISSIS), era intercorso un "consistente lasso temporale (quasi tre anni)" e che non erano stati offerti significativi Indizi in base ai quali affermare che i predetti reati fossero espressione di un’unica preordinazione, anche alla luce del dato che per il reato di omicidio risultava esclusa l’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7 originariamente contestata, fermo restando, in ogni caso, che la commissione di reati con modalità camorristico – mafiose o per agevolare un’associazione di stampo camorristico – mafioso non è di per sè un elemento sintomatico dell’unicità del disegno criminoso, che non può identificarsi con un modo di vita, cioè con una generale inclinazione a compiere un certo tipo di reati, sotto la spinta dell’occasione, delle tendenze e dei bisogni.

1.2. Quanto alla seconda richiesta, il giudice dell’esecuzione, nel premettere che lo S. risultava aver già fruito del beneficio dell’indulto nella misura di anni due e mesi sei con riferimento alla pena (di anni dodici di reclusione) applicatagli per l’omicidio, la rigettava, osservando che, per costante giurisprudenza, risultano esclusi dall’applicazione dell’indulto concesso con la L. n. 241 del 2006, i delitti in relazione ai quali sia intervenuto l’accertamento giudiziale della sussistenza della circostanza aggravante prevista dalla D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, conv. con modif. in L. 12 luglio 1991, n. 203, ancorchè tale aggravante non abbia prodotto effetti sulla pena per il riconoscimento della circostanza attenuante prevista dal successivo art. 8. 2. Avverso l’indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il condannato, per il tramite del suo difensore, denunziandone l’illegittimità:

– con il primo motivo dedotto, per erronea applicazione della legge penale e per contraddittorietà e carenza della motivazione, con riferimento alla mancata applicazione della disciplina del reato continuato, in quanto il giudice dell’esecuzione Incongruamente aveva attribuito rilevanza ad alcuni elementi di valutazione (il dato temporale; l’esclusione dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7), da ritenersi, invece, scarsamente significativi, ove si consideri che lo S., tratto in arresto nel luglio 2004 nell’immediatezza della consumazione dell’estorsione, era stato detenuto sino all’autunno 2006, e che una volta scarcerato, il prevenuto aveva subito consumato altre estorsioni sino all’arresto, nel febbraio 2007, per l’omicidio del F., perpetrato proprio a seguito di una richiesta estorsiva non accolta. Tale "serrata" sequenza temporale, secondo il ricorrente è già di per sè stessa indice dell’esistenza di un programma criminoso specifico, laddove l’esclusione dell’aggravante speciale, valorizzata dal giudice dell’esecuzione, rappresenta un dato assolutamente equivoco e non decisivo, in quanto, come il giudicante avrebbe potuto facilmente verifica re ove avesse acquisito copia della sentenza, tale decisione era stata determinata unicamente dalla circostanza che il reato di cui trattasi non era stato oggetto di attività collaborativa – iniziata solo nel 2007 – sicchè era risultata carente la prova, relativamente all’individuazione dei mandanti, all’epoca rimasti "ignoti"; – con il secondo motivo, per erronea applicazione della legge, in quanto il riconoscimento allo S. della diminuente di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8, comporta, per espressa previsione normativa, l’inapplicabilità dell’aggravante ex art. 7 stessa legge, da intendersi come eliminata "in radice". 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per l’accoglimento del ricorso, limitatamente al secondo motivo, relativo all’applicazione dell’indulto, da ritenersi fondato anche in considerazione del contenuto della recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, emessa il 25 febbraio 2010, imp. Cotaldo.

Motivi della decisione

1. L’impugnazione proposta nell’interesse dello S. è basata su motivi infondati.

1.1. Con riferimento al primo motivo dedotto, relativo al rigetto dell’Istanza ex art. 671 cod. proc. pen., va osservato. In primo luogo, che la tesi del ricorrente secondo cui il giudice dell’esecuzione si sarebbe limitato ad esaminare il solo certificato penale e non anche il testo della prima sentenza – quella del Tribunale di Nola, relativa all’estorsione – in quanto asseritamele non acquisita, costituisce un’affermazione apodittica, ed In contrasto con il contenuto del provvedimento impugnato, nel quale (rigo 9 della prima pagina) si afferma esattamente il contrario.

1.2. Ciò premesso, ritiene la Corte che l’ordinanza impugnata, relativamente al rigetto dell’istanza di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, sia corredata di motivazione adeguata, attinente alle questioni proposte con l’istanza dello S., e logicamente coerente, nel quadro di un ragionamento unitario, articolato in argomentazioni saldamente connesse e svolto sulla base di concetti razionalmente ordinati ed espressi.

In proposito occorre considerare, infatti, che secondo la giurisprudenza di questa Corte "il programma associativo di un’associazione per delinquere va tenuto distinto dal disegno criminoso la cui unicità costituisce presupposto essenziale per la configurabilità della continuazione fra più reati, atteso che quest’ultima richiede la rappresentazione, fin dall’inizio, dei singoli episodi criminosi, individuati almeno nelle loro linee essenziali, e pertanto è ravvisabile solo quando risulti che l’autore abbia già previsto e deliberato in origine, per linee generali, l’iter criminoso da percorrere e i singoli reati attraverso i quali si snoda; ne consegue che la partecipazione ad un’associazione per delinquere (nel caso in esame il clan Maretta) non può costituire, di per sè sola, prova dell’unicità di disegno criminoso fra i reati commessi per il perseguimento degli scopi dell’associazione (così Cass. sez. 1, sentenza n. 3834 del 15 novembre 2000 – 31 gennaio 2001, ric. Barresi).

Se a ciò si aggiunge che il problema della configurabilità della continuazione tra reato associativo e reati-fine – che non va impostato in termini di compatibilità strutturale – si risolve in una "quaestio facti" la cui soluzione è rimessa di volta in volta all’apprezzamento del giudice di merito (in tal senso, ex mute Cass. sez. 5, 18 ottobre – 6 dicembre 2005, n. 4606, ric. Traina) e che nel caso in esame la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della continuazione è stata negata in base a ineccepibili valutazioni sull’autonomia oggettiva, soprattutto temporale, dei vari fatti per i quali lo S. ha riportato condanna, tra i quali è intervenuto anche un congruo periodo di detenzione, l’infondatezza del ricorso sul punto risulta manifesta.

1.3. Infondato deve ritenersi anche il secondo motivo d’impugnazione dedotto. Ed Invero, come già più volte affermato da questa Corte, "il legislatore, con l’uso nella L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 2, lett. d), del termine "ricorre", ha invero inequivocamente espresso la volontà di dare rilievo, come condizione sufficiente per l’esclusione del beneficio indulgenziale, all’intervenuto accertamento giudiziale della esistenza (….) degli estremi dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 a prescindere dal fatto che la circostanza stessa abbia o meno nella fase di cognizione potuto trovare applicazione, nel caso di specie impedita dalla concorrenza dell’attenuante premiale, e così produrre gli effetti sul piano processuale e sanzionatorie che le sono propri.

Tale scelta appare chiaramente dettata, in piena sintonia con la ratio delle disposizioni ostative contenute nella L. n. 241 del 2006, dalla considerazione delle connotazioni di particolare e qualificata pericolosità dell’autore del reato che l’aggravante di cui si tratta – non elisa, ma solamente resa non operativa dall’attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8 – esprime, pericolosità che d’altra parte, come dalla giurisprudenza di questa Corte costantemente affermato, non si può ritenere di fatto automaticamente venuta meno in conseguenza della riconosciuta collaborazione con la giustizia (cfr. al riguardo tra le molte, in materia di misure cautelari e di misure di prevenzione, Sez. 5, 12/1/99, imp. Galasso, rv. 212.340;

Sez. 6, 6/4/99, Grillo, rv. 214.750; Sez. 5, 8/10/03, Seidita, rv.

227.858, Sez. 1, sentenza n. 10679 del 14/01/2008, dep. 07/03/2008, Rv. 239652, imp. De Giglio; ed in senso conforme, Sez. 1, Sentenza n. 44331 del 18/11/2008, dep. 27/11/2008, Rv. 242200, imp. P.M. in proc. Mazzola).

1.4 Nè, per altro, la circostanza che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 10713 del 25 febbraio 2010, imp. Contaldo, deliberando in tema di concorso di circostanze eterogenee con la circostanza ad effetto speciale prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 8 e di esclusione della stessa dal giudizio di comparazione tra circostanze, abbia affermato, in quello che sostanzialmente si configura, nell’economia della decisione, come un obiter dictum, che il riconoscimento della circostanza attenuante ad effetto speciale della cosiddetta "dissociazione attuosa", prevista dal D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 8, convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203 determini "l’elisione automatica" della circostanza aggravante di cui all’art. 7 del medesimo decreto, citato D.L. n. 152 del 1991, può costituire, ad avviso del collegio, motivo sufficiente per ritenere che la contestata aggravante speciale, così come sostenuto dal ricorrente e dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, debba ritenersi "insussistente", non ricorrente, anche ai fini della operatività dell’Indulto, specie ove si consideri che, proprio l’indicata pronuncia delle Sezioni Unite ha specificamente fatto riferimento, quanto alla ratìo della normativa di cui trattasi, alla necessità "di coniugare premialità, personalizzazione del trattamento sanzionatorio e proporzionalità del medesimo rispetto alla misura di lesività effettiva del fatto costitutivo del reato", impedendo "che dissociazione e contributo investigativo elidano la concreta offensività del fatto". 2. Il rigetto del ricorso comporta ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, Sent., 14-01-2011, n. 21

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Svolgimento del processo

1) Le ricorrenti sono comproprietarie di un terreno sito in Novara, individuato a catasto al Foglio 36, mappale 141, avente una superficie di mq 3.680.

2) Tale terreno, necessario per l’attuazione di un Piano di edilizia economicopopolare, venne dapprima fatto oggetto di occupazione d’urgenza e successivamente espropriato con decreto del Presidente della Giunta Regionale del Piemonte in data 30 giugno 1996.

Il provvedimento di esproprio è stato annullato con sentenza del T.A.R. Piemonte n. 3825/2005, passata in giudicato.

3) Nelle more del giudizio, sul terreno de quo erano stati realizzati alcuni interventi di edilizia residenziale pubblica, con successiva assegnazione degli alloggi ai privati.

4) Le ricorrenti proponevano ricorso dinanzi al T.A.R. Piemonte per ottenere il risarcimento dei danni provocati dall’illegittima occupazione della loro proprietà.

Il giudice adito respingeva la domanda, rilevando nel merito l’intervenuta prescrizione del diritto.

Tale pronuncia era riformata dal Consiglio di Stato che, con decisione della Sezione Quarta n. 5984 del 4 dicembre 2008, condannava il Comune di Novara alla restituzione del terreno, fatto salvo il potere di procedere ad un accordo bonario per definire il trasferimento della proprietà ovvero, nel caso di mancato conseguimento dell’accordo, l’emanazione di un formale decreto di acquisizione delle aree ex art. 43 del d.P.R. n. 327/2001.

5) Fallito il tentativo di accordo, per la mancata accettazione della somma proposta dal Comune, veniva emanato il decreto ex art. 43 cit., con il quale l’importo da corrispondere a titolo di risarcimento dei danni era quantificato in complessivi Euro 90.668,17.

6) Con ricorso giurisdizionale ritualmente notificato, le interessate hanno impugnato detto provvedimento, deducendo motivi di ricorso così rubricati:

I) Elusione del giudicato contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5984/2008, resa "inter partes". Nullità degli atti oggetto di ricorso ai sensi dell’art. 21 septies, L. n. 241/1990. Violazione di legge. Inosservanza dell’art. 3, L. n. 241/1990 e dell’art. 2043 c.c. Eccesso di potere. Carenza di motivazione. Difetto di ponderazione proporzionata tra interessi confliggenti. Travisamento dei fatti.

II) Altro profilo di elusione del giudicato contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5984/2008, resa "inter partes". Nullità degli atti oggetto di ricorso ai sensi dell’art. 21 septies, L. n. 241/1990. Violazione di legge. Inosservanza degli artt. 43 e 47, d.P.R. n. 327/2001, nonché dell’art. 2043 c.c. Eccesso di potere. Carenza di motivazione. Illogicità, perplessità, erroneità e contraddittorietà manifesta. Falsa rappresentazione della realtà. Mancanza dei presupposti. Sviamento della causa del potere esercitato.

III) Ulteriore profilo di elusione del giudicato contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5984/2008, resa "inter partes". Nullità degli atti oggetto di ricorso ai sensi dell’art. 21 septies, L. n. 241/1990. Eccesso di potere. Carenza di motivazione. Illogicità e erroneità manifesta.

IV) Violazione di legge. Inosservanza dell’art. 43, d.P.R. n. 327/2001, nonché degli artt. 2043 e 1227 c.c. Eccesso di potere anche dal punto di vista dello sviamento. Illogicità e contraddittorietà manifesta.

V) Violazione di legge. Inosservanza degli artt. 7 e 8, L. n. 241/1990. Omessa comunicazione di avvio del procedimento. Difetto di trasparenza amministrativa e indebita inibizione del principio di partecipazione dell’interessato.

Sulla scorta delle censure di cui sopra, le ricorrenti instano conclusivamente per l’annullamento o la dichiarazione di nullità del decreto di acquisizione impugnato e degli atti connessi, per la condanna del Comune di Novara alla reintegrazione in forma specifica ovvero, in subordine, al risarcimento del danno per equivalente.

A quest’ultimo riguardo, le ricorrenti, sulla base della perizia di parte prodotta in giudizio, indicano il valore del terreno nell’importo di Euro 356,00/mq che, moltiplicato per la sua superficie, dà luogo alla somma complessiva di Euro 1.310.080,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi.

7) Si è costituito in giudizio il Comune di Novara, contrastando nel merito la fondatezza delle argomentazioni avversarie e concludendo per il rigetto del ricorso.

8) Con ordinanza n. 239 del 9 aprile 2010, è stato disposto l’espletamento di una consulenza tecnica "intesa ad accertare se i criteri tecnici e il procedimento tecnico applicativo adoperati dall’Amministrazione comunale per determinare, nel caso di specie, l’indennità di esproprio siano adeguati sotto il profilo di un apprezzamento tecnico specialistico", disponendo che, a tal fine, il Presidente del Collegio dei Geometri di Torino e Provincia avrebbe incaricato un "geometra particolarmente esperto nelle scienze estimative".

Con lettera del 22 aprile 2010, il Presidente del Collegio designava il geom. Daniela De Salvia di Torino.

Con ordinanza n. 55 del 18 giugno 2010, era disposta, su richiesta del professionista, una proroga del termine per il compimento delle operazioni peritali.

9) Il perito (recte: il verificatore) ha portato regolarmente a compimento le operazioni affidategli e, in data 24 settembre 2010, ha depositato la conclusiva relazione scritta nella quale, dopo aver reso conto degli accertamenti effettuati e delle osservazioni presentate dai consulenti di parte, esprime le proprie valutazioni in ordine al metodo applicato dal Comune di Novara per la determinazione del valore dell’immobile acquisito al proprio patrimonio.

Tali valutazioni confermano in parte la correttezza della metodologia utilizzata, basata sull’applicazione delle "Linee guida" redatte dagli uffici del Comune nel 1992 e successivamente approvate con formale atto di Giunta, che fa riferimento alle quotazioni medie di mercato per le abitazioni nuove site in periferia.

Il verificatore, peraltro, esprime alcune riserve circa il procedimento di stima seguito nella fattispecie, sulla base delle quali rettifica il valore unitario delle aree, e, soprattutto, censura la scelta di portare in detrazione le spese sostenute per la tombinatura della Roggia Cerana, atteso che i valori riportati dalle menzionate "Linee guida" sono già depurati dei costi per rendere edificabile l’area.

Sulla base di questi rilievi, il verificatore ridetermina nell’importo di Euro 129.223,20 il valore venale del terreno fatto oggetto di acquisizione al patrimonio comunale.

10) Le parti hanno depositato memorie difensive con le quali prendono posizione in merito alla risultanze della verificazione.

Con un’ulteriore memoria depositata il 29 ottobre 2010, la difesa delle ricorrenti ha affermato che la sentenza della Corte costituzionale n. 293/2010, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 del d.P.R. n. 327/2001, comporterebbe la nullità del provvedimento impugnato.

11) Il ricorso è stato chiamato alla pubblica udienza del 2 dicembre 2010 e ritenuto in decisione.
Motivi della decisione

12) Con sentenza n. 293 del 8 ottobre 2010, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, dell’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), recante disciplina dell’istituto cosiddetto della "acquisizione sanante".

Parte ricorrente sostiene che, per effetto di tale pronuncia, il provvedimento impugnato, con il quale si era fatta applicazione della disposizione travolta dalla declaratoria di incostituzionalità, risulterebbe "ora del tutto sprovvisto dell’attribuzione di potere" e dovrebbe, pertanto, ritenersi nullo ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241/1990.

La questione dedotta da parte ricorrente riguarda gli effetti prodotti dalla sentenza della Corte costituzionale sull’atto applicativo della legge annullata, nel caso di rapporto non esaurito.

La giurisprudenza amministrativa ritiene che l’annullamento della legge non travolge, nel senso di farne cessare direttamente l’efficacia, l’atto amministrativo che ha fatto applicazione di essa.

Tale orientamento risale alla decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 8 aprile 1963, n. 8, con la quale venne precisato che "non esiste, tra la legge e l’atto amministrativo, un rapporto di consequenzialità, quale si ravvisa ad esempio tra l’atto preparatorio e l’atto finale d’un procedimento amministrativo, dove la caducazione del primo travolge il secondo. L’atto amministrativo è manifestazione di autonomia del potere esecutivo ed ha perciò una vita ed una individualità sua propria; esso quindi non viene travolto dalla cessazione dell’efficacia della legge, pur subendo ovviamente l’influsso delle vicende della norma cui ha dato applicazione".

La giurisprudenza successiva ha confermato la soluzione della Plenaria e precisato ulteriormente che, in linea di principio, la dichiarazione di incostituzionalità della legge attributiva di un potere amministrativo non rende di per sé nulli i provvedimenti che ne hanno fatto applicazione, dovendo invece detti provvedimenti essere considerati affetti da illegittimità derivata (Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2006, n. 3458), anche se parrebbe più appropriato affermare che l’atto, come nel caso di legge retroattiva, sia affetto da illegittimità sopravvenuta.

Ragionano in termini di illegittimità derivata, comunque, anche le più recenti pronunce del giudice amministrativo d’appello (Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2102 e 18 giugno 2009, n. 4002), con le quali si è affermato che "la sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma disciplinante il potere di adozione di un provvedimento oggetto di gravame giurisdizionale… comporta l’illegittimità derivata dell’atto stesso lì dove l’interessato abbia censurato la norma di che trattasi ancorché non sotto il profilo della poi dichiarata incostituzionalità".

Alla luce di tali approdi giurisprudenziali, va conclusivamente disattesa la tesi della nullità dell’atto proposta da parte ricorrente, atteso che la declaratoria di incostituzionalità della disposizione normativa attributiva del potere esercitato nella fattispecie non esplica di per sé un simile effetto (soprattutto, va soggiunto, laddove la legge sia risultata affetta da un vizio formale), né possono essere valorizzati ai fini del decidere i profili di illegittimità derivata (o sopravvenuta) dell’atto medesimo, non avendo la ricorrente proposto censure direttamente riferibili alla norma stessa, bensì all’applicazione che ne è stata fatta dall’Amministrazione resistente.

13) Nel merito, paiono destituite di fondamento le censure dedotte con il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso.

Con il primo motivo, le esponenti denunciano i vizi di carenza di motivazione e di elusione del giudicato.

L’Amministrazione, infatti, non avrebbe reso conto di un interesse pubblico specifico all’acquisizione delle aree né provveduto alla doverosa comparazione di tale interesse con quelli dei soggetti privati coinvolti; il tutto in violazione del giudicato formatosi sulla decisione del Consiglio di Stato n. 5984/2008 che, nel prevedere la facoltà di acquisizione al patrimonio comunale, aveva stabilito che si dovesse provvedere con "formale e motivato decreto comunale".

L’inconsistenza degli accennati rilievi critici emerge ad una prima lettura del provvedimento impugnato che, contrariamente a quanto ritiene parte ricorrente, è corredato da un diffuso supporto motivazionale atto a rendere conto sia dell’interesse pubblico all’acquisizione sia della prevalenza rispetto agli interessi privati ("Considerato che gli interventi di edilizia residenziale realizzati rivestono tutt’oggi carattere di pubblica utilità. Valutati gli interessi in conflitto e ritenuti prevalenti gli interessi pubblici rispetto agli interessi privati in considerazione della ritenuta oggettiva irreversibilità della situazione di fatto oggi in essere, attesa la concreta impossibilità di restituire l’immobile espropriato e modificato alla originaria situazione senza affrontare enormi e pregiudizievoli oneri per la collettività e per gli enti assegnatari…").

14) Con il secondo motivo di ricorso, le esponenti denunciano nuovamente il vizio di elusione del giudicato in quanto l’intimata Amministrazione, anziché provvedere al risarcimento del danno cagionato dall’acquisizione, avrebbe inteso "a ogni costo fissare un’indennità a suo piacimento": l’esiguità della somma quantificata con il provvedimento impugnato dimostrerebbe ex se, infatti, che si tratta di indennità di esproprio e non di valore di mercato.

Tale prospettazione contrasta con quanto emerso dalla verificazione disposta in corso di causa, dalle cui risultanze il Collegio non ha motivo per discostarsi, la quale ha consentito di accertare che il Comune di Novara ha effettivamente proceduto alla determinazione del valore venale dell’immobile, sulla base delle possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell’emanazione del decreto di esproprio poi annullato, applicando a tal fine parametri ("Linee guida") che fanno riferimento alle quotazioni medie di mercato e sono stati ritenuti adeguati dal verificatore.

Non deve trarre in inganno, al riguardo, il riferimento alla "indennità di esproprio" contenuto nell’ordinanza cautelare n. 239/2010, trattandosi di mero refuso subito colto dal verificatore che ha preliminarmente individuato nel risarcimento del danno l’esatto oggetto della sua analisi.

15) Un ulteriore profilo di elusione del giudicato viene rilevato con il terzo motivo di ricorso, in riferimento al momento nel quale andava determinato il valore dell’immobile: l’Amministrazione ha considerato la data (25 giugno 1992) in cui è intervenuto il decreto di occupazione d’urgenza, mentre la decisione del Consiglio di Stato avrebbe imposto di fare riferimento alla data (1° luglio 1991) di adozione del P.E.E.P.

La ricorrente interpreta in modo erroneo la decisione del Consiglio di Stato che, ovviamente, ha inteso ricollegare il risarcimento del danno alla classificazione urbanistica che l’immobile aveva al momento dell’adozione del P.E.E.P., come di fatto avvenuto, ma non ha posto vincoli in relazione al momento in cui determinare il valore dell’immobile stesso.

Correttamente, pertanto, l’Amministrazione ha considerato la data dell’occupazione senza titolo, poiché nessun danno si era verificato in precedenza.

16) Con il quinto e ultimo motivo di ricorso, le esponenti denunciano l’omessa comunicazione di avvio del procedimento definito con il provvedimento di acquisizione impugnato.

La censura sottende una concezione formalistica dell’adempimento previsto dall’art. 7 della legge n. 241/1990 e deve essere disattesa in quanto, avendo riguardo alla chiara statuizione del Consiglio di Stato, le ricorrenti sapevano con certezza che, successivamente al fallimento del tentativo di accordo bonario, il Comune avrebbe adottato il decreto di acquisizione sanante ed erano pienamente in condizione, perciò, di partecipare al relativo procedimento, pur in assenza di un formale avviso di avvio dello stesso.

17) Le risultanze della verificazione impongono, invece, di formulare una diagnosi positiva in merito alla fondatezza del quarto motivo di ricorso, con cui le esponenti denunciano l’illegittimità dell’impugnato decreto di acquisizione nella parte in cui pone a loro carico i costi di trasformazione del sedime necessari per l’edificazione.

La difesa comunale obietta che la qualificazione di un’area come edificabile non può prescindere dagli oneri che si sono dovuti sostenere per renderla utilizzabile a scopo edificatorio, nella specie rappresentati dalle spese per la "tombinatura" del corso d’acqua esistente (Roggia Cerana).

L’argomento non è astrattamente privo di pregio, ma, come appurato dal verificatore, non può trovare applicazione nel caso di specie in quanto i valori fissati dalle "Linee guida" sono già depurati dei costi e degli oneri di costruzione, nella misura del 40% dei ricavi netti, nei quali devono ritenersi inclusi anche quelli per la tombinatura del corso d’acqua.

Il Comune non dimostra, d’altronde, che i costi ivi considerati siano solo quelli "ordinari" gravanti sull’operazione edificatoria, nei quali non potrebbero conteggiarsi le spese "straordinarie" imposte dalla particolare conformazione del sito.

18) L’accoglimento del motivo di ricorso da ultimo esaminato comporta il parziale annullamento del provvedimento impugnato in principalità, limitatamente alla statuizione inerente la determinazione dell’importo da corrispondere a titolo di risarcimento del danno.

Ne consegue la condanna del Comune di Novara al risarcimento del danno per equivalente, pari alla somma di 129.223,20, accertata dal verificatore quale valore venale dell’immobile alla data dell’occupazione d’urgenza, dalla quale dovranno essere ovviamente detratti eventuali importi già corrisposti dal Comune di Novara alle ricorrenti per la medesima causale.

In base ai principi generali sulla liquidazione dell’obbligazione risarcitoria, a tale somma va aggiunta la rivalutazione monetaria, calcolata secondo l’indice Istat dei prezzi al consumo, e gli interessi legali sulle somme anno per anno rivalutate.

19) La soccombenza reciproca giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti costituite.

Pare equo, invece, che il compenso per la verificazione, liquidato in complessivi Euro 4.764,00, come da parcella in atti, sia posto a carico del Comune di Novara.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, per l’effetto, annulla in parte qua il provvedimento impugnato, come da motivazione.

Condanna il Comune di Novara al risarcimento del danno in favore delle ricorrenti, quantificato come da motivazione.

Compensa le spese di lite.

Condanna il Comune di Novara al pagamento del compenso per la verificazione, liquidato come da motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Franco Bianchi, Presidente

Richard Goso, Primo Referendario, Estensore

Alfonso Graziano, Referendario
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