Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
La Curatela del Fallimento P. S. s.r.l. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Firenze, sez. dist. Di Empoli, A. B. s.n.c, chiedendo il pagamento della complessiva somma di L. 69.091435.
Nella contumacia della convenuta, il giudice adito accolse la domanda.
Proposto gravame dalla soccombente, la Corte d’appello, in data 27 settembre 2007, in riforma della decisione impugnata, ha rigettato la domanda.
Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte la Curatela, formulando due motivi.
L’intimata non ha svolto alcuna attività difensiva.
Motivi della decisione
1.1 Con il primo motivo l’impugnante lamenta violazione degli artt. 2709, 2214 e 2697 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3. Le critiche si appuntano contro l’affermazione del giudice di merito secondo cui dalla stessa documentazione fornita dalla procedura si evinceva che il credito azionato era, in realtà, già stato estinto dalla convenuta, di talchè la pretesa attrice era destituita di fondamento. Secondo l’impugnante, così argomentando, il decidente avrebbe fatto malgoverno del disposto dell’art. 2709 c.c., a tenor del quale i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore.
Tuttavia chi vuoi trame vantaggio non può scinderne il contenuto.
1.2 Con il secondo mezzo la ricorrente denuncia vizi motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5. Secondo l’impugnante la Curia territoriale, dopo avere ritenuto probante il libro mastro con riferimento ai rapporti successivi al 1 gennaio 1996, aveva contraddittoriamente affermato che non vi era prova di quelli precedenti, con ciò irragionevolmente negando qualsivoglia valore all’appostazione in data 1 gennaio 1996, della somma di L. 88.219.410 a debito di A. B..
2 I due motivi, che si prestano a essere esaminati congiuntamente per la loro intrinseca connessione, sono infondati.
Valga al riguardo considerare che la società convenuta, condannata in primo grado al pagamento della somma richiesta dalla Curatela, ha dedotto in appello, che il Tribunale aveva erroneamente accolto la domanda perchè la sua contumacia e la mancata risposta all’interrogatorio formale deferitole non potevano costituire prova del fondamento della pretesa azionata. Ha quindi versato in atti vari documenti dimostrativi, a suo dire, dell’avvenuta estinzione dell’obbligazione.
La Corte territoriale ha tuttavia ritenuto inammissibile, perchè tardiva, siffatta produzione. Nondimeno ha rigettato la domanda, rilevando che il credito di cui la Curatela aveva chiesto il pagamento risultava solo da appostazioni delle scritture contabili di P. S. s.r.l., all’epoca in bonis: scritture inidonee a provare il fatto costitutivo della pretesa azionata.
3 Ritiene il collegio che il giudice di merito abbia fatto coerente e corretta applicazione dei principi giuridici che governano la materia e che, conseguentemente, siano prive di pregio le critiche formulate dall’impugnante.
E’ invero giurisprudenza consolidata di questa Corte Regolatrice che le scritture contabili, pur se regolarmente tenute, non hanno valore di prova legale a favore dell’imprenditore che le ha redatte, di talchè, qualora egli intenda utilizzarle come mezzi di prova nei confronti della controparte ai sensi dell’art. 2710 c.c., le scritture stesse sono soggette, come ogni altra prova, al libero apprezzamento del giudice, al quale spetta stabilire, nei singoli casi, se e in quale misura siano attendibili e idonee, eventualmente in concorso con altre risultanze probatorie, a dimostrare la fondatezza della pretesa (o della eccezione) della parte che le ha prodotte in giudizio (Cass. civ. Cass. civ. 4 gennaio 2011, n. 105;
Cass. civ. 4 marzo 2003, n. 3188; Cass. civ. 7 febbraio 2001, n. 1715).
Nel caso in esame, il giudice di appello, a fronte della semplice annotazione nelle scritture dell’impresa, e segnatamente nel libro mastro del 1996, di un credito di lire 88.219.410, relativo a rapporti commerciali intrattenuti con la società convenuta nell’anno precedente, ha ritenuto, nell’assenza di qualsiasi altro elemento probatorio e in piena aderenza, quindi, al principio innanzi richiamato, indimostrato il rapporto fondamentale, generatore della pretesa di pagamento fatta valere in giudizio.
Nè l’affermazione del giudice di merito, basata su accertamenti di fatto e valutazioni non sindacabili in questa sede di legittimità circa la predetta carenza probatoria, è stata validamente contrastata dalla Curatela, la quale si è limitata a contestare l’interpretazione degli artt. 2709 e 2710 c.c., accolta dal giudice di merito, assumendo, segnatamente, il malgoverno del principio per cui chi vuoi trarre vantaggio dalle scritture contabili non può scinderne il contenuto. La ricorrente ha così completamente ignorato che nella fattispecie la società convenuta non aveva mai affidato all’esito delle scritture la prova degli intervenuti pagamenti e che le risultanze dei libri contabili sarebbero in definitiva andate a vantaggio esclusivo dell’imprenditore che le aveva redatte.
4 In realtà, la regola posta dall’art. 2709 c.c., che rappresenta un temperamento a quella dell’efficacia probatoria contro l’imprenditore delle scritture da lui tenute, costituisce applicazione del criterio di giudizio dettato dall’art. 2734 c.c., in materia di confessione.
Ma l’operatività del principio secondo cui quando alla dichiarazione della verità di fatti a sè sfavorevoli e favorevoli alla controparte, si accompagna quella di altri fatti o circostanze tendenti a infirmare l’efficacia del fatto confessato ovvero a modificarne o estinguerne gli effetti, le dichiarazioni fanno piena prova, nella loro integrità se l’altra parte non contesta la verità dei fatti e delle circostanze aggiunte, esige un comportamento della controparte asseverativo, espressamente o tacitamente, delle affermazioni del confitente, comportamento al quale, con riferimento alle scritture contabili, fa da pendant, quello, riferito anch’esso alla controparte, di volerne trarre vantaggio.
Nella fattispecie, invece, a volersi avvalere delle annotazioni contenute nelle scritture è esclusivamente l’imprenditore obbligato a tenerle, in spregio ai principi di diritto innanzi enunciati.
In definitiva il ricorso deve essere rigettato.
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012
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