T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 13-04-2011, n. 3223 Esclusioni dal concorso

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

i motivi di ricorso risultano da rigettare, così come le seguito specificato:

– la censura la quale lamenta difetto di motivazione e di istruttoria va respinta perché l’impugnato giudizio di idoneità ("tratti di immaturità, che comporta l’attribuzione del coefficiente 3 dell’apparato somatofunzionale PS – D.M. n. 114 del 4 aprile 2000 e relativa Direttiva tecnica del 5 dicembre 2005") dà conto in modo adeguato delle ragioni sulle quali esso fonda; e risulta altresì – come da riscontro dell’Amministrazione alla ordinanza del T.a.r. n.1784/2010 – frutto di corretta istruttoria procedimentale;

– la censura la quale lamenta violazione del Decreto ministeriale n. 114/2000 nonché della relativa direttiva tecnica del 5 dicembre 2005 – giacché sarebbe illogico che un soggetto investito da queste asserite alterazioni psicologiche possa assolvere con eccellenza (come il ricorrente ha assolto) il servizio militare volontario ma può invece essere escluso dal presente concorso per l’Arma dei carabinieri – va respinta perché le esigenze sottese ai due reclutamenti (e le conseguenti valutazioni attitudinali) sono diverse e dunque non comparabili;

– la censura la quale afferma che la direttiva tecnica del 5 dicembre 2005, applicata nell’impugnato giudizio non contiene in alcun modo la patologia "tratti di immaturità" va respinta perché la citata direttiva tecnica prevede caratteristiche sussumibili a questa causa di inidoneità (v. le "condizioni somato funzionali" indicate col codice 03 nell’Elenco generale della Direttiva: "tratti di personalità quali introversione, insicurezza, iperemotività del carattere, ecc. ");

Considerato pertanto che il ricorso risulta da respingere;

Considerato che le spese di giudizio, che il Collegio liquida in Euro 1500,00, seguono la soccombenza ai sensi dell’articolo 91 del codice di procedura civile.
P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale respinge il ricorso in epigrafe.

Condanna parte ricorrente al rimborso di spese di giudizio dell’Amministrazione intimata, e le liquida in Euro 1500,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-01-2011) 03-05-2011, n. 17146

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Svolgimento del processo

Nel pomeriggio dell'(OMISSIS) C.R. faceva ingresso all’interno della filiale di (OMISSIS) della Banca di Credito Cooperativo Santa Maria Assunta, e impugnando una mitraglietta, probabilmente giocattolo, chiedeva i soldi al cassiere, e, dopo che lo stesso gli aveva risposto di non averne, si allontanava.

Con sentenza del 5.5.2010, il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Rovigo ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di C.R. per il reato di tentata rapina aggravata, ritenendo che "se non paiono esserci dubbi circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e della inequivocità dell’azione, non altrettanto può dirsi del requisito della idoneità degli atti", in quanto il cassiere della banca aveva dichiarato di non aver avuto alcun timore ad allontanare l’imputato, singolarmente impacciato e in possesso di un’arma giocattolo riparata con nastro adesivo.

Evidenziava infine il Gup la circostanza che il rapinatore, "ottenuto in risposta alle proprie "minacce" un irridente diniego" non aveva in alcun modo insistito o tentato di fare ulteriori pressioni, e si era dato subito a maldestra e precipitosa fuga.

Ricorre per cassazione, il Procuratore Generale deducendo la manifesta illogicità della motivazione e l’erronea interpretazione della legge penale; la sentenza impugnata, con motivazione non condivisibile per l’inconciliabile ed inaccettabile contrasto tra premesse di fatto e conclusioni, pur ritenendo che le modalità della condotta dell’imputato integrassero sia l’elemento soggettivo del reato che quello oggettivo della in equivocità dell’azione, ha posto in dubbio che nella fattispecie concreta potesse essere ravvisabile l’ulteriore requisito della idoneità degli atti necessari per ritenere integrato il tentativo. L’assunto del primo giudice, a parere del ricorrente, non è condivisibile in quanto l’accedere in banca, impugnando un’arma (poco rileva se si trattasse di arma giocattolo) contro il cassiere intimandogli di consegnare il danaro, integra il delitto di tentata rapina aggravata atteso che per "idoneità degli atti" deve intendersi la loro capacità a produrre in concreto l’evento antigiuridico previsto dalla norma e voluto dall’agente. La circostanza che il cassiere della banca abbia, in un certo senso, "spiazzato" il rapinatore asserendo di non aver denaro in cassa, e forse anche sorridendo, nel contesto dei fatti nulla toglie – ad avviso del ricorrente – all’antigiuridicità del fatto, posto che gli atti devono essere ritenuti idonei, con un giudizio "ex ante" ogni qualvolta gli stessi siano, in concreto, adeguati alla realizzazione dello scopo che il soggetto agente si è prefisso.

Chiede pertanto l’annullamento dell’ordinanza.
Motivi della decisione

E’ noto che, per il reato tentato, l’art. 56 c.p., richiede la commissione di atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto.

L’idoneità dell’atto è, quindi, la sua capacità causale, cioè la suscettività di produrre l’evento che rende consumato il delitto voluto, considerata nella sua potenzialità, e valutata con giudizio "ex ante", che tenga conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, si da determinarne la reale ed effettiva adeguatezza causale e l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice, al momento in cui l’agente ha posto in essere la sua condotta (cfr. Cass. Sez. 2^, sent. n. 21955/2005 Rv. 231966; Sez. 5^, sent. n. 23706/2004, Riv. 229135; Sez. 2^, sent. n. 7630/2004 Riv. 228557; Sez. 2^, sent. n. 40343/2003, Riv. 227363).

Premesso che il giudizio sull’idoneità del mezzo implica la risoluzione di una questione di fatto, incensurabile dalla Corte di Cassazione, ove siano applicati esatti criteri giuridici, rileva il Collegio che la sentenza impugnata, facendo corretta applicazione dei suddetti principi giurisprudenziali alla fattispecie in esame, con motivazione incensurabile, siccome conforme ai canoni della logica e della non contraddizione, ha ritenuto, nella condotta del C., il difetto di capacità potenziale a produrre l’evento.

Nessun dubbio che l’accedere in una banca, impugnando un’arma contro il cassiere e intimandogli di consegnare il danaro ù così come rilevato dal ricorrente – sia atto idoneo a produrre l’evento antigiuridico previsto dalla norma e voluto dall’agente, e ciò a prescindere dal fatto che l’arma impugnata sia o meno un’arma giocattolo.

Nella fattispecie, però, siffatta capacità potenziale è stata correttamente esclusa dal Tribunale, in quanto il comportamento dell’imputato, definito "singolarmente impacciato" e maldestro dal cassiere della banca (che ha immediatamente percepito l’arma impugnata, e riparata con nastro adesivo, come un giocattolo), lungi dall’incutere timore era tale da suscitare unicamente ilarità. Che il piano d’azione predisposto dal reo, nel momento in cui è stato intrapreso, non presentasse pertanto alcuna possibilità di successo, difettando del carattere di "serietà", risulta poi evidente dal fatto che, al diniego irridente del cassiere, il C. non solo non ha avuto alcuna reazione violenta o minacciosa, nè ha in alcun modo insistito nella richiesta, ma si è immediatamente allontanato dai locali della banca.

Il ricorso è infondato, e va pertanto rigettato.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-09-2011, n. 19125

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 31/3/2008 la Corte d’Appello di Catanzaro respingeva il gravame interposto dal sig. F.G. nei confronti della pronunzia Trib. Crotone 6/3/2002 di rigetto della domanda spiegata nei confronti del sig. D.P.D. di restituzione di cose mobili a quest’ultimo asseritamente date in pegno, nonchè della domanda di risarcimento di danni lamentati in conseguenza di procedura esecutiva contro di lui promossa dalla Banca Popolare di Crotone.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il F. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Il ricorrente ha presentato note d’udienza.
Motivi della decisione

Va pregiudizialmente osservato che; alla stregua della relativa relata in calce, il ricorso risulta dall’odierno ricorrente notificato all’intimato, il quale non ha in questa sede svolto attività difensiva, presso "il procuratore costituito, per il giudizio d’appello, avv. Domenico Gallo domiciliato, ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, presso la cancelleria della Corte d’Appello di Catanzaro", laddove emerge dall’impugnata sentenza che il medesimo, in tale sede "rappresentato e difeso dagli avv.ti Galileo Giuseppe e Luciano Gallo, in virtù di procura conferita in comparsa di risposta", era "elettivamente domiciliato in Catanzaro, via Turco, presso lo studio dell’avv. Enzo Marincola".

Attesa la mancanza di relazione alcuna tra il luogo di siffatta notificazione e il destinatario dell’atto, nulla al riguardo risultando indicato nel ricorso, e non potendo riconoscersi valore alcuno all’apodittica indicazione, recata dalla relata di notifica, più sopra riportata, del tenore "domiciliato, ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, presso la cancelleria della Corte d’Appello di Catanzaro", la notifica del ricorso si appalesa invero inesistente.

La sopra riportata indicazione risulta in realtà non ben omprensibile e in ogni caso non esaustiva, a nulla valendo quanto dal difensore dedotto meramente nelle note d’udienza (tra l’altro in replica non già alla requisitoria orale del P.M. d’udienza, che ha concluso nel merito, quanto bensì al rilievo al riguardo mosso dal Presidente del Collegio), sostanziantesi in riportate massime relative a "procuratori che svolgono la loro attività difensiva al di fuori della circoscrizione del tribunale" atteso che:

a) i difensori officiati dall’odierno intimato erano due (gli avv.ti Galileo Giuseppe e Luciano Gallo), diversi dalla (unica) persona (l’avv. Giuseppe Gallo) indicata nella suindicata relata;

b) l’allora appellato ed odierno intimato D.P. risulta che fosse all’epoca elettivamente domiciliato in Catanzaro, via Turco, presso lo studio dell’avv. Enzo Marincola;

c) nessun elemento è dall’odierno ricorrente offerto in ordine alla circostanza che siffatta elezione di domicilio sia stata dal D. P. fatta personalmente, laddove essa è (quantomeno) da allegarsi, a pena di inammissibilità, nel ricorso, non potendo a tale onere assolversi (ipotesi peraltro non ricorrente nella specie) nemmeno nella memoria ex art. 378 c.p.c. (cfr., con riferimento a diversa ipotesi, Cass., 3/7/2009, n. 15635), a fortiori in considerazione del principio affermato da questa Corte (superandosi il risalente orientamento contrario, in relazione al quale v. Cass., 15/5/1996, n. 4502) in base al quale il R.D. n. 37 del 1934, art. 82 (secondo cui i procuratori che esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge "fuori della circoscrizione del tribunale" al quale sono assegnati devono, all’atto della costituzione in giudizio, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso e, in mancanza dell’elezione di domicilio, questo si intende eletto presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria) si applica al giudizio di primo grado, come si evince dal riferimento alla "circoscrizione del tribunale", e trova applicazione al giudizio d’appello solo se trattasi di procuratore esercente fuori del distretto, attesa la ratio della disposizione, volta ad evitare di imporre alla controparte l’onere di una notifica più complessa e costosa se svolta al di fuori della circoscrizione dell’autorità giudiziaria procedente e ad escludere un maggiore aggravio della notifica nell’ipotesi in cui il procuratore sia assegnato al medesimo distretto ove si svolge il giudizio di impugnazione (v. Cass., 12/5/2010, n. 11486. V. altresì Cass., 11/6/2009, n. 13587, la quale ha conseguentemente escluso che qualora il procuratore sia esercente all’interno del distretto la notifica della sentenza di primo grado effettuata presso la cancelleria della corte d’appello sia idonea a far decorrere il termine breve di sessanta giorni per l’impugnazione), laddove nulla risulta in proposito precisato dall’odierno ricorrente;

d) il riferimento operato dal ricorrente agli atti di controparte è privo di autosufficienza, atteso che il medesimo si limita a meramente richiamarli, senza invero debitamente ed esaustivamente – per quanto in questa sede d’interesse – riprodurli nel ricorso (in particolare con riferimento alla procura rilasciata ai difensori e all’elezione di domicilio), ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso essi risultino prodotti, e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità, sicchè la mancanza anche di una sola delle suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

All’inesistenza della relativa notifica consegue l’inammissibilità del ricorso.

Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Campania Napoli Sez. III, Sent., 03-06-2011, n. 2977 Amministrazione Pubblica

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Svolgimento del processo

Con il ricorso in epigrafe, notificato il 13 novembre 2009 e depositato il successivo 10 dicembre, la ricorrente, titolare della rivendita tabacchi n. 15 ha impugnato il provvedimento con il quale il direttore dell’Ufficio regionale dell’A.A.M.S. ha disposto l’aggregazione del patentino n. 300701 del sig. Piscopo alla rivendita n. 22 del controinteressato.

Premette la ricorrente che il citato patentino risultava aggregato per un biennio (sino al 31.12.2010) alla propria tabaccheria (rivendita n. 15) in virtù di quanto disposto dall’amministrazione con provvedimento del 12 gennaio 2009 (prot. 1171). Successivamente, a seguito dell’istituzione di una nuova rivendita (la n. 22), l’A.A.M.S. decideva con l’impugnato provvedimento di cambiare aggregazione. In particolare, l’amministrazione motivava la propria decisione sulla base del fatto "che la distanza intercorrente tra il locale dove è funzionale il patentino e la rivendita n. 22, recentemente istituita, è di mt. 450 ca., mentre quella del locale alla rivendita n. 15 è di mt. 630. ca.".

A sostegno del gravame deduce i seguenti motivi:

1) violazione del giusto procedimento, violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, violazione dell’art. 97 della Costituzione, insufficienza e illegittimità della motivazione in quanto è stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento tanto più necessaria trattandosi di un provvedimento di secondo grado da qualificarsi come revoca;

2) violazione degli artt. 21 bis e 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, eccesso di potere per carenza di istruttoria e contraddittorietà tra atti interni dell’amministrazione, violazione del giusto procedimento in quanto l’amministrazione non ha mai revocato il precedente provvedimento del 12 gennaio 2009 con il quale si è stabilita l’aggregazione del patentino alla rivendita della ricorrente fino al 31.12.2010 ed è stato leso il legittimo affidamento relativo alla durata del rapporto e in quanto l’eventuale revoca, per la sua natura di atto recettizio, doveva essere comunicato per produrre effetti nella sfera giuridica dell’interessata;

3) violazione del giusto procedimento, violazione dell’art. 6 della legge n. 241 del 1990, eccesso di potere per carenza di istruttoria e omissione di atti necessari in quanto non è stato acquisito il parere del responsabile del procedimento;

4) violazione dell’art. 23 della legge n. 1293 e dell’art. 54 del D.P.R. n. 1074/1958, eccesso di potere per carenza di istruttoria e mancata valutazione dell’interesse pubblico, carenza di motivazione e ingiustizia manifesta in quanto l’unico parametro utilizzato dall’amministrazione è quello della distanza senza tener conto di altri fattori come l’assetto del mercato e l’affidamento della ricorrente.

La ricorrente chiede poi, in subordine, che ove l’atto impugnato sia ritenuto legittimo, l’amministrazione venga condannata a corrispondere l’indennizzo previsto dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990.

Si è costituito per resistere al ricorso il Ministero dell’economia e delle finanze a mezzo dell’Avvocatura distrettuale dello Stato.

La domanda di tutela cautelare è stata accolta con l’ordinanza n. 1349 del 25 giugno 2010.

Con memoria di replica depositata in data 5 aprile 2011 la ricorrente ha specificato la domanda di risarcimento danni.

Alla pubblica udienza del 28 aprile 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. Quanto alla domanda di annullamento, il ricorso è fondato e va accolto.

Oggetto della presente controversia è il provvedimento con il quale l’amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ha disposto l’aggregazione del patentino del sig. Piscopo, originariamente aggregato alla rivendita n. 15 della ricorrente, alla rivendita n. 22 del controinteressato.

Risulta dagli atti di causa che l’amministrazione, inizialmente, aveva stabilito con provvedimento del 2 gennaio 2009 il rinnovo per un biennio dell’aggregazione del patentino in questione alla rivendita della ricorrente. Successivamente, l’istituzione di una nuova rivendita (la n. 22), più vicina al locale ove opera il patentino, ha determinato l’amministrazione a cambiare l’aggregazione in favore di quest’ultima, sottraendola alla ricorrente.

In proposito, fondata e assorbente si palesa la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.

Osserva in primo luogo il Collegio che l’atto adottato dall’amministrazione si configura come revoca implicita della precedente aggregazione del patentino alla rivendita della ricorrente.

In secondo luogo, non può valere come comunicazione di avvio del procedimento la nota del 18 novembre 2008 inviata all’interessata, concernente l’apertura dell’istruttoria per un eventuale cambio di aggregazione del patentino, considerato che, successivamente a tale nota, la ricorrente ha ottenuto con provvedimento del 12 gennaio 2009 l’aggregazione del patentino per un intero biennio.

In terzo luogo, il provvedimento, contrariamente a quanto sostiene l’amministrazione nelle proprie difese, non può considerarsi atto avente natura vincolata.

Rammenta il Collegio che l’art. 54 del D.P.R. n. 1074/1958 stabilisce che "il titolare del patentino deve rifornirsi di generi di monopolio presso la rivendita ordinaria più vicina al suo esercizio" e che l’amministrazione possa prevedere una "diversa aggregazione quando ciò possa "comportare alterazione dell’assetto di vendita dei generi di monopolio nella zona". Dalle disposizioni sopra richiamate discende che il criterio principale che deve guidare l’amministrazione nel decidere l’aggregazione dei patentini alle rivendite è quello della vicinanza potendo l’autorità derogare al predetto criterio per motivate esigenze di pubblico interesse.

Nella fattispecie, la ricorrente si è vista sottrarre l’aggregazione del patentino, valida per due anni, per l’intervenuto ingresso nel mercato di una nuova rivendita. L’amministrazione motiva, infatti, il cambio di aggregazione proprio sul presupposto di un mutamento della situazione di fatto, ovvero, la recente istituzione della rivendita n. 22 del controinteressato. Per queste ragioni, l’atto amministrativo impugnato è qualificabile come provvedimento di secondo grado e, in quanto tale, tipicamente discrezionale. Ciò chiarito, non può sostenersi che la partecipazione dell’interessata sarebbe stata del tutto inutile. L’amministrazione, a tale proposito, non ha dimostrato in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (art. 21 octies, comma 1, secondo periodo, della legge n. 241 del 1990) anche in riferimento al disposto dell’art. 54 del citato D.P.R. che abilita l’autorità amministrativa a derogare al richiamato principio della vicinanza tra rivendita e locale ove opera il patentino.

In conclusione, il ricorso va accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati.

L’esito del giudizio (relativamente alla domanda di annullamento) esime il Collegio dall’esprimersi sulla richiesta (subordinata) di fissare un indennizzo a favore della ricorrente ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990. E’ bene precisare che nell’atto di ricorso sotto la rubrica "istanza risarcitoria" la ricorrente chiede "nel caso in cui l’adito Collegio ritenga che le censure di legittimità mosse al provvedimento impugnato non sono sufficienti per fondare la declaratoria di illegittimità dello stesso, ritenendo in particolare che l’atto di revoca sia contenuto in re ipsa nel provvedimento con cui si dispone il cambio di aggregazione, o in altro differente atto che l’Ecc. Giudice ritenga di indicare, lo stesso quantifichi e condanni l’A.A.M.S. al pagamento dell’indennizzo previsto dall’art. 21 quinquies" (pag. 10 del ricorso). In altri termini, la richiesta di indennizzo è articolata come domanda subordinata da esaminare solo nel caso in cui non venga accolta (come invece è avvenuto) quella mirante all’annullamento dell’atto impugnato.

Deve, invece, giudicarsi inammissibile la domanda di risarcimento dei danni formulata dalla ricorrente, per la prima volta, nella memoria di replica depositata in giudizio il 5 aprile 2011. Come sopra evidenziato, nell’atto di ricorso la ricorrente si è limitata a chiedere, subordinatamente alla eventuale reiezione della domanda di annullamento, la fissazione di un indennizzo ai sensi dell’art. 21 quinqies della legge n. 241/1990. Di contro, la domanda ricavabile dal contenuto della citata memoria, lungi dall’essere una specificazione della richiesta risarcitoria già formulata nel corpo del ricorso introduttivo (cfr. pag. 3 della memoria) va correttamente configurata come domanda nuova che andava, a pena di inammissibilità, notificata alla controparte.

Come ha avuto modo di evidenziare la giurisprudenza, "le domande aventi a oggetto l’indennizzo e il risarcimento del danno sono giuridicamente, e ancor prima logicamente, incompatibili tra loro, in quanto nel primo caso si presuppone la legittimità della revoca e un’eventuale responsabilità dell’Amministrazione da atto lecito dannoso, mentre nel secondo caso si muove dalla dedotta illegittimità provvedimentale e dalla relativa pretesa risarcitoria qualificandosi come " non iure " la condotta dell’Amministrazione; di tal che nel corso del giudizio instaurato per l’annullamento del provvedimento, la richiesta formulata dal ricorrente che il proprio danno venga liquidato ai sensi dell’art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990, come aggiunto dall’art. 14, l. n. 15 del 2005, fuoriesce dalla connotazione propria del risarcimento di un danno ingiusto per assumere la valenza di un ristoro patrimoniale discendente dalla legittima adozione di un atto di revoca e, quindi, di per sé incompatibile con la contestuale proposizione di una domanda di annullamento dell’atto medesimo, potendo tuttavia bene il ricorrente valutare i presupposti per proporre in via autonoma la domanda giudiziale di cui all’anzidetto art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990" (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 01 aprile 2009, n. 3479).

2. La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe (R.G. n. 6955/2009), così provvede:

a) lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati;

b) dichiara inammissibile la domanda di risarcimento dei danni;

c) compensa le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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