Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-04-2011) 16-06-2011, n. 24162 Sequestro preventivo

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Svolgimento del processo

Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Napoli confermò il decreto, emesso dal Gip del medesimo tribunale il 14.7.2010, di sequestro preventivo di opere edilizie realizzate su un immobile sito in (OMISSIS) e sottoposto a sequestro nel 1997, in relazione a reati edilizi e a quello di violazione dei sigilli.

Osservò, tra l’altro, il tribunale che sussisteva il fumus dei reati ipotizzati e che la loro eventuale prescrizione andava accertata in sede di cognizione, esulando la relativa verifica dall’oggetto del riesame.

L’indagato V.L. propone ricorso per cassazione deducendo contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari; travisamento del fatto; violazione di legge. Osserva che i sigilli erano stati apposti il 24 marzo 1997 e che l’immobile era stato ultimato ed abitato fin dal 2000, senza che fossero più stati compiuti ulteriori interventi.

L’accertamento della PG è intervenuto l’8.7.2010. I reati quindi erano sicuramente prescritti. Il tribunale del riesame ha totalmente omesso di valutare questa circostanza devolvendo il giudizio alla successiva fase di merito ed ha ritenute interessate le dichiarazioni acquisite, omettendo di considerare che esse erano confermate dal certificato di residenza storico e dalle dichiarazioni raccolte immediatamente dalla PG. L’esistenza di una causa estintiva andava invece vagliata preliminarmente perchè la possibilità di procedere a sequestro era correlata alla possibilità di esercitare l’azione penale.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Il tribunale del riesame è correttamente partito da un esatto principio di diritto, affermando che il giudice, ai fini della conferma della misura cautelare reale, deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti.

E difatti, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, che qui deve essere confermata, il tribunale del riesame, per espletare il ruolo di garanzia dei diritti costituzionali che la legge gli demanda, non può avere riguardo solo alla astratta configurabilità del reato, ma deve prendere in considerazione e valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del fumus del reato contestato (cfr., ex plurimis, Sez. 1, 9 dicembre 2003, n. 1885/04, Cantoni, m. 227.498; Sez. 3, 16.3.2006 n. 17751; Sez. 2, 23 marzo 2006, Cappello, m. 234197; Sez. 3, 8.11.2006, Pulcini; Sez. 3, 9 gennaio 2007, Sgadari; Sez. 4, 29.1.2007, 10979, Veronese, m. 236193; Sez. 5, 15.7.2008, n. 37695, Cecchi, m. 241632; Sez. 1, 11.5.2007, n. 21736, Citarella, m. 236474;

Sez. 4, 21.5.2008, n. 23944, Di Fulvio, m. 240521; Sez. 2, 2.10.2008, n. 2808/09, Bedino, m. 242650; Sez. 3, 11.6.2009, Musico; Sez. 3, 12.1.2010, Turco; Sez. 3, 24.2.2010, Normando; Sez. 3, 11.3.2010, D’Orazio; Sez. 3, 20.5.2010, Bindi; Sez. 3, 6.10.2010, Kronenberg- Widmer; Sez. 3, 5.11.2010, Pignataro; Sez. 3, 26.1.2011, Cinturino).

Sennonchè, il tribunale del riesame ha poi fatto una scorretta applicazione al caso concreto del pur esatto principio di diritto da cui è partito, tanto da dar luogo ad una motivazione meramente apparente.

Innanzitutto, invero, ha affermato che la sottrazione del bene sarebbe giustificata in vista della successiva confisca, mentre non risulta che nel caso in esame sia stato ipotizzato un reato che consente la confisca dell’immobile.

In ogni caso, ha omesso di svolgere in concreto il ruolo di garanzia demandatogli, affermando che la prescrizione del reato andava accertata in sede di cognitio piena mentre esulava dall’oggetto di verifica in sede di riesame reale.

Va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte ha escluso che sia possibile disporre un sequestro, anche se finalizzato alla confisca, allorchè la prescrizione del reato sia intervenuta ancor prima dell’esercizio dell’azione penale (Sez. 3, 19.5.2009, n. 30933, Costanza, m. 244247). In tal caso, invero, il pubblico ministero non potrebbe più nemmeno iniziare l’azione penale ma dovrebbe limitarsi a chiedere l’archiviazione per la già avvenuta estinzione del reato.

D’altra parte, è stato ritenuto abnorme anche il provvedimento del GUP che dispone il rinvio a giudizio per un reato, dando contestualmente atto della estinzione dello stesso per prescrizione (Sez. I, 6.7.2004, n. 33129, Bevilacqua, m. 229387). Il suddetto principio è stato di recente ribadito, rilevandosi che "se si ha che proprio in radice l’esercizio dell’azione penale risulti precluso perchè, come nella specie, il reato è già estinto per prescrizione, il giudice penale non può affatto essere investito con l’esercizio dell’azione penale, ma la notitia criminis, eventualmente pervenuta al p.m., comporta la richiesta di archiviazione ex artt. 411 e 408 c.p.p. senza esercizio dell’azione penale" (Sez. 3, 6.10.2010, n. 5857/2011, Grova e altri).

Ora, è vero che la prescrizione del reato va accertata in sede di cognizione, ma è anche vero che il giudice del riesame deve comunque verificare che vi sia quanto meno il fumus che non sia già intervenuta una causa di estinzione del reato, la quale renderebbe illegittima la misura cautelare del sequestro preventivo. Non può invero ritenersi consentita l’incisione del diritto costituzionale con una misura cautelare penale, allorchè il reato non potrebbe mai essere accertato in sede penale perchè estinto ancor prima dell’esercizio dell’azione penale. In tal caso, invero, restano praticabili solo le misure e gli strumenti demandati alla autorità amministrativa.

Nel caso in esame è appunto mancata una valutazione sul punto, ed in particolare è totalmente mancato l’esame delle circostanze di fatto addotte dalla difesa a sostegno della sua eccezione di prescrizione.

Risulta infatti che l’immobile in questione fu sottoposto a sequestro, in relazione a lavori abusivi, nel 1997. Il successivo accertamento dei vigili urbani è intervenuto dopo ben 13 anni, in data 8.7.2010. Il decreto di sequestro preventivo di cui qui si discute è stato emesso dal Gip il 14.7.2010. La stessa ordinanza impugnata da atto che il verbale di sequestro precisava che i lavori abusivi non erano in corso al momento dell’accesso, che le opere abusive erano ultimate, e che gli appartamenti erano addirittura abitati da due diverse famiglie che li conducevano in locazione. La difesa aveva eccepito che le opere erano state ultimate non più tardi del 2000, ed aveva dedotto che ciò risultava sia dalle dichiarazioni rilasciate dai due conduttori degli immobili, sia del certificato di residenza storico di uno dei dichiaranti, che risiede nell’immobile fin dal 7.11.2000, sia dalle dichiarazioni raccolte a verbale da un vicino dalla polizia giudiziaria al momento del sopralluogo.

Questi elementi portati dalla difesa avrebbero dovuto essere specificamente valutati dal tribunale del riesame, il quale invece si è limitato ad affermare apoditticamente che non poteva farsi affidamento delle dichiarazioni dei conduttori, perchè questi erano evidentemente interessati alla restituzione dei locali, ed omettendo di esaminare il certificato di residenza storico e le dichiarazioni rilasciate dal vicino ai verbalizzanti in occasione dell’accertamento.

Nella specie, inoltre, non poteva certamente presumersi automaticamente che i reati ipotizzati si fossero consumati alla data dell’accertamento, apparendo poco probabile che i sigilli fossero stati violati ben 13 anni dopo la loro apposizione e che l’ultimazione dei lavori abusivi fosse avvenuta dopo tanto tempo. Era quindi decisivo, ai fini del fumus sulla non già avvenuta prescrizione dei reati, esaminare la circostanza dedotta della difesa, ossia che i reati ipotizzati si erano consumati fin dal 2000, epoca in cui l’immobile era stato ultimato ed abitato dai conduttori.

Su questo punto, vi è invece totale mancanza di motivazione, cosi come, di conseguenza, manca la motivazione anche sulla sussistenza delle esigenze cautelari. L’ordinanza impugnata si è limitata a fare un (sintetico) riferimento al reato di violazione dei sigilli ed alla giurisprudenza in ordine all’aggravio portato in concreto da opera realizzata ed ultimata in zona ad elevata criticità urbanistica. Non ha però spiegato perchè questa giurisprudenza (affermata in relazione a reati edilizi ed ambientali) dovrebbe operare anche per il reato di violazione dei sigilli nè perchè sarebbe ravvisabile un attuale e concreto periculum in mora in riferimento a reati edilizi prescritti.

L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata per mancanza di motivazione con rinvio per nuovo esame al tribunale di Napoli.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Napoli per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-11-2011, n. 24500 Licenziamento

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Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 7.1.02 il Tribunale di Roma, dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimato a S.M. con lettera 22.5.81 dalla Banca Nazionale del Lavoro – BNL S.p.A., condannava detto istituto di credito a pagare a titolo risarcitorio al lavoratore le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla cessazione del rapporto per raggiunti limiti d’età (in totale circa 13 anni), risarcimento che poi la Corte d’appello di Roma – con sentenza 10-15.4.09 -riduceva a cinque annualità di retribuzione, considerato il periodo di tempo che sarebbe stato ragionevolmente necessario al S., vistane l’età non più giovane, a reperire altra occupazione.

Per la cassazione della sentenza emessa dalla Corte territoriale ricorre R.M. (unica erede di R.A.M., a sua volta era unica erede del S., nelle more deceduto) affidandosi ad un solo motivo di ricorso.

La BNL resiste con controricorso e propone ricorso incidentale tardivo per un unico motivo.

La R. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1- Preliminarmente si riuniscono ex art. 335 c.p.c. il ricorso principale e quello incidentale.

2- Con unico motivo di doglianza la ricorrente principale deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio ed erronea valutazione delle prove nella parte in cui, in parziale riforma della sentenza di prime cure, la Corte d’appello ha ridotto a cinque annualità di retribuzione il risarcimento del danno spettante al S. ex art. 18 Stat. per effetto della dichiarata illegittimità del licenziamento; in tal modo – prosegue la ricorrente – l’impugnata sentenza ha trascurato che, ai fini della riduzione del danno risarcibile ex art. 1227 c.c., grava sul datore di lavoro l’allegazione e la prova della sussistenza d’un fatto colposo del lavoratore in relazione al pregiudizio che avrebbe potuto evitare usando la normale diligenza, allegazione e prova del tutto mancate, nel caso di specie, da parte della BNL; infine, è illogico e contraddittorio affermare che la non più giovane età del S. avrebbe richiesto maggior tempo per reperire nuova occupazione, perchè ciò dimostra – anzi – che il mancato reperimento di una nuova occupazione non poteva in alcun modo essergli imputabile, come altresì dimostrato dalla documentazione prodotta in corso di causa dal lavoratore (del tutto ignorata dalla Corte capitolina), tale da escludere in radice ogni presunta condotta colposa del creditore ex art. 1227 c.c..

Il motivo è fondato.

Invero, secondo la consolidata applicazione giurisprudenziale dell’art. 18 Stat. nel testo anteriore alla novella di cui alla L. n. 108 del 1990, al lavoratore illegittimamente licenziato spettano a titolo risarcitorio tutte le retribuzioni maturate dalla data del recesso a quella di reintegra (o di cessazione del rapporto per sopraggiunti limiti d’età, come avvenuto nel caso di specie); in tanto detto risarcimento può essere ridotto in quanto risulti, ex art. 1227 c.c., un aliunde perceptum – e non è questo il caso ritenuto dall’impugnata sentenza – oppure emerga un concorso colposo del lavoratore nell’aggravamento del danno medesimo.

Orbene, la Corte territoriale ha ipotizzato che nel giro di cinque anni il dante causa degli odierni ricorrenti principali avrebbe ben potuto trovare una nuova occupazione, vista l’età non più giovane del S..

In tal modo, in sostanza, l’impugnata pronuncia implicitamente suppone un concorso colposo del lavoratore nell’aggravamento del danno, concorso che sarebbe consistito nel non aver egli trovato, pur avendone il tempo, una nuova attività lavorativa.

Tale affermazione, oltre che lesiva dell’art. 112 c.p.c. per avere i giudici d’appello rilevato d’ufficio quella che, in realtà, è un’eccezione in senso stretto (sulla non rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di cui all’art. 1227 c.c., comma 2 v., ex aliis, Cass. 27.6.07 n. 14853; Cass. 31.3.05 n. 6748; Cass. 15.10.04 n. 20324;

Cass. 23.5.01 n. 7025), appare altresì manifestamente illogica in quanto proprio l’ormai avanzata età del S. gli avrebbe reso assai problematico il reperire una nuova occupazione.

3- Le osservazioni sopra svolte anticipano l’infondatezza del ricorso incidentale, con il quale la BNL lamenta che – trattandosi di licenziamento intimato prima della novella dell’art. 18 Stat. apportata dalla L. n. 108 del 1990 – l’impugnata sentenza non abbia accordato solo il danno nella misura minima di cinque mensilità di retribuzione, sul presupposto che sarebbe stato onere del lavoratore dimostrare di non aver trovato, dopo il licenziamento, una nuova occupazione altrettanto redditizia di quella perduta.

La censura svolta in via incidentale è espressamente agganciata ad un precedente di questa S.C. (Cass. 24.5.91 n. 5898) difforme sia dalla giurisprudenza anteriore (cfr. Cass. S.U. 29.4.85 n. 2761) sia da quella successiva – e che qui va ribadita -, costante, invece, nello statuire che il risarcimento del danno per il periodo intercorrente tra il licenziamento illegittimo e la sentenza di annullamento del medesimo si identifica, quanto al danno eccedente le cinque mensilità dovute per legge, nelle retribuzioni non percepite, salvo che il dipendente provi di aver subito un danno maggiore o che il datore di lavoro provi l’aliunde perceptum o la sussistenza di un fatto colposo del lavoratore in relazione al danno che il medesimo avrebbe potuto evitare usando la normale diligenza (cfr. Cass. 2.9.03 n. 12798; Cass. 16.3.02 n. 3904; Cass. 2.11.95 n. 11356).

4- In conclusione, riuniti i ricorsi, mentre quello incidentale è da rigettarsi, quello principale va accolto; ne consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso incidentale, accoglie quello principale e cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 25-07-2011, n. 6660

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

di potere definire il giudizio con sentenza in forma semplificata;

Considerato che con il ricorso principale la ricorrente impugna il verbale prat. ed. n. 171/08 del 07/07/10 con cui il Comune di Ardea ha accertato l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 6/09 del 29/01/09;

Considerato che con atto prot. n. 824/11 dell’08/02/11 il Comune di Ardea ha annullato in autotutela il verbale di accertamento d’inottemperanza del 07/07/10;

Ritenuto, pertanto, di dovere dichiarare la cessazione della materia del contendere in relazione alla domanda di annullamento del verbale del 07/07/10;

Considerato che con il ricorso principale ed il ricorso per motivi aggiunti la ricorrente impugna, poi, l’ ordinanza n. 6/09 del 29/01/09 con cui il Comune di Ardea ha ordinato la demolizione delle opere ivi indicate e consistenti nell’ampliamento – di 48 mq. e realizzato in blocchetti di cemento prefabbricato e malta – di un manufatto preesistente avente copertura con guaina e tegole, il tutto per complessivi 80 mq. circa;

Considerato che, nella predetta parte, il ricorso è infondato e deve essere respinto;

Considerato, in particolare, che con la prima censura del ricorso per motivi aggiunti la ricorrente deduce l’illegittimità della gravata ordinanza di demolizione perché la stessa è stata notificata oltre due anni dopo dalla sua adozione, il dirigente che ha sottoscritto l’atto non sarebbe più in servizio preso l’ente locale e la dichiarazione di conformità della copia all’originale non riporta il nome e la qualifica del funzionario che l’ha sottoscritta;

Ritenuta l’infondatezza del motivo perché la notifica, costituendo adempimento estrinseco al perfezionamento dell’atto, non incide sulla legittimità ma, al più, sull’efficacia dello stesso nei confronti dei destinatari;

Considerato, poi, che la competenza deve essere valutata in riferimento al momento in cui è stato adottato l’atto impugnato con conseguente inconfigurabilità del vizio sul punto prospettato dalla ricorrente;

Considerato che l’eventuale vizio della dichiarazione di conformità della copia all’originale non incide sulla legittimità dell’atto impugnato e sulla possibilità per l’interessata di conoscere la lesività dello stesso;

Ritenuta, altresì, infondata la seconda censura del ricorso per motivi aggiunti con cui è stata dedotta la violazione dell’art. 7 l. n. 241/90;

Considerato, infatti, che la mancanza della comunicazione di avvio del procedimento, in quanto vizio procedimentale, non comporta, ai sensi dell’art. 21 octies comma 2° l. n. 241/90, l’annullamento giurisdizionale dell’atto impugnato stante la natura vincolata e la correttezza sostanziale dello stesso, profilo, quest’ultimo, in ordine al quale si rinvia a quanto verrà esplicitato con riferimento alle ulteriori censure;

Rilevato, poi, che con il terzo motivo la ricorrente lamenta la mancata identificazione delle opere abusive, la risalenza nel tempo delle stesse e la loro assentibilità mediante d.i.a., nonchè il difetto di motivazione e d’istruttoria dell’atto impugnato che non avrebbe valutato l’entità della difformità al fine dell’applicazione della sola sanzione pecuniaria, secondo quanto previsto dagli artt. 33, 34 e 37 d.p.r. n. 380/01, né l’affidamento dei privati ingenerato dalla risalenza nel tempo dell’opera, dalla presenza di altre costruzioni in zona e dal fatto che i manufatti non si trovano in zona agricola;

Considerato che la censura è infondata in quanto le opere abusive risultano correttamente identificate nell’ordinanza di demolizione e nella comunicazione di accertamento dell’abuso del 20/10/08, redatta dalla polizia municipale e che integra, per relationem, la motivazione dell’atto impugnato in quanto ivi espressamente richiamata;

Considerato, poi, che l’oggetto della sanzione demolitoria è costituito dai due manufatti di circa 80 mq. separati dalla costruzione principale i quali, in quanto nuove costruzioni, avrebbero dovuto essere assentiti con permesso di costruire ai sensi degli artt. 3 e 10 d.p.r. n. 380/01;

Considerato che l’incontestata mancanza del titolo abilitativo in esame giustifica la sanzione demolitoria ex art. 31 d.p.r. n. 380/01 irrogata con il provvedimento impugnato;

Considerato che la qualificazione della fattispecie ai sensi dell’art. 31 d.p.r. n. 380/01, correttamente operata dall’ordinanza di demolizione, induce a ritenere inapplicabile la sanzione pecuniaria, in sostituzione di quella demolitoria, non prevista dalla norma citata;

Considerato, poi, che non sussiste il prospettato affidamento in quanto la risalenza nel tempo dei manufatti non è stata in maniera idonea comprovata dalla ricorrente ed è, anzi, smentita dalla documentazione fotografica prodotta in giudizio dal Comune in data 17/06/11;

Ritenuta, poi, ininfluente ai fini della valutazione dell’abuso, stante l’accertata carenza di titolo edilizio abilitativo, ogni considerazione sulla destinazione urbanistica delle aree e sull’esistenza in zona di altre costruzioni la cui eventuale abusività dovrà essere parimenti sanzionata dall’ente locale;

Ritenuta, inoltre, infondata la quarta censura in quanto la mancata indicazione dell’area da acquisire non influisce sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione, non precludendo alla stessa di esplicare la sua funzione tipica, ma, al più, sulla successiva acquisizione (TAR Lazio – Roma n. 4019/11; TAR Campania – Napoli n. 922/11);

Ritenuto, infine, inaccoglibile il quinto motivo in quanto il pregiudizio per la statica dell’intero immobile, ivi prospettato come ostativo ai fini della demolizione, è smentito dal fatto che gli immobili abusivi sono separati dalla costruzione principale (si veda la relazione prot. n. 27393 del 07/06/11) e, comunque, è ininfluente in ragione dell’avvenuta qualificazione della fattispecie ai sensi dell’art. 31 d.p.r. n. 380/01 che non attribuisce alcuna rilevanza, ai fini dell’applicazione della sanzione ivi prevista, alla circostanza in esame;

Considerato che, per questi motivi, il ricorso, nella parte in cui ha ad oggetto l’ordinanza di demolizione n. 6/09 del 29/01/09 emessa dal Comune di Ardea, è infondato e deve essere respinto;

Considerato che, in relazione alla peculiarità e all’evoluzione della vicenda in corso di giudizio, deve essere dichiarata l’irripetibilità delle spese processuali sostenute dalla ricorrente;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

1) dichiara la cessazione della materia del contendere in relazione alla domanda di annullamento del verbale d’inottemperanza del 07/07/10;

2) respinge, per il resto, il ricorso;

3) dichiara l’irripetibilità delle spese processuali sostenute dalla ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-07-2011) 01-08-2011, n. 30524

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 3 febbraio 2011 il Tribunale di Ferrara ha chiesto a questa Corte la soluzione del conflitto di competenza insorto fra esso Tribunale ed il Tribunale di sorveglianza di Bologna in ordine alla concessione a M.B. della riabilitazione.

2. Invero il Tribunale di sorveglianza di Bologna, con provvedimento del 14 ottobre 2010, aveva ritenuto la propria incompetenza funzionale, avendo ritenuto competente a decidere sulla riabilitazione il giudice dell’esecuzione, atteso che nei confronti di M.B. era stata emessa sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, la quale sarebbe stata da qualificare come pronuncia sui generis, che non poteva contenere dichiarazione di colpevolezza nè indicazioni di condanna.

3. Al contrario il Tribunale di Ferrara aveva ritenuto che la competenza a pronunciarsi sulla riabilitazione del M. spettasse al Tribunale di sorveglianza di Bologna, atteso che la competenza di quest’ultimo Tribunale non poteva ritenersi limitata ai casi di sentenza di condanna, ma era stata estesa anche ai casi in cui la riabilitazione fosse stata relativa a condanne pronunciate dai giudici speciali, in tal modo mostrando la volontà del legislatore di voler ricomprendere nella competenza del Tribunale di sorveglianza tutte le ipotesi di riabilitazione; d’altra parte, come più volte sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. ove non espressamente previsto, era da equiparare ad una vera e propria sentenza di condanna.

Motivi della decisione

1. Il conflitto di competenza sollevato dal Tribunale di Ferrara va risolto nel senso di ritenere competente a trattare la domanda di riabilitazione proposta da M.B. il Tribunale di sorveglianza di Bologna.

2.La giurisprudenza di questa Corte è invero orientata nel senso di ritenere che, in tema di riabilitazione, la competenza a provvedere sulla relativa istanza appartiene al Tribunale di sorveglianza anche nel caso in cui sia stata pronunciata sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, essendo la pronuncia emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. da equiparare in tutto e per tutto ad una sentenza di condanna (cfr. Cass. Sez. 1 n. 7796 del 30/01/2008 dep. 20/02/2008, imp. Aloise, Rv.239238).

3. Consegue a quanto sopra detto:

– la dichiarazione di competenza del Tribunale di sorveglianza di Bologna;

– la trasmissione degli atti a quest’ultimo Tribunale per il corso ulteriore.

P.Q.M.

Dichiara la competenza del Tribunale di sorveglianza di Bologna, cui dispone trasmettersi gli atti.

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