Cass. pen., sez. VI 25-05-2007 (02-05-2007), n. 20636 Minore età dei discendenti – Condizione obbiettiva di bisogno – Conseguenze per i genitori – Affidamento dei minori al servizio sociale

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OSSERVA
Sull’appello proposto da C.R. avverso la sentenza del Tribunale monocratico ai Roma in data 23/4/2004 che lo aveva dichiarato colpevole dei reati di maltrattamenti in pregiudizio della moglie e delle figlie minori, fino al (OMISSIS), nonchè dei reati di cui all’art. 570 c.p., comma 2 n. 2 per aver fatto mancare alle figlie minori i mezzi di sussistenza, unificati in continuazione fino al (OMISSIS), condannandolo alla pena ritenuta di giustizia la Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 17/6/2005, in riforma del giudizio di 1^ grado, concesse le attenuanti generiche, dichiarava n.d.p. per il reato di maltrattamenti perchè estinto per prescrizione e, unificati i fatti sub B) e D) in un unico delitto continuato ex art. 570 cpv. c.p., n. 2, in pregiudizio delle figlie minori, riduceva la pena per detto reato a mesi cinque di reclusione ed Euro trecento di multa, confermando nel resto.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo a motivi gravame:
l) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e) in relazione all’art. 570 c.p., per inosservata e/o erronea applicazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione, posto che le figlie minori, essendo state affidate al Servizio sociale per i periodi in contestazione, non versavano nello stato di bisogno necessario ad integrare il reato in contestazione, essendosi provveduto al di loro mantenimento presso l’Istituto "(OMISSIS)", dove le minori erano state collocate;
2) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, perchè i fatti ritenuti in sentenza non risultavano correttamente contestati e, come tali, costituivano fatti nuovi;
3) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 133 c.p., ed all’art. 570 c.p., avendo la Corte territoriale quantificato la residua pena in termini di immotivato rigore,avuto riguardo alla riconosciuta concessione delle attenuanti generiche ed alla non gravità complessiva dei fatti.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi sub 1) e 3) e per difetto di specificità per quello sub 2) Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma equitativamente determinata in Euro MILLE, alla cassa delle ammende.
Ed invero, quanto all’art. 570 cpv. c.p., n. 2, va ribadito il principio secondo cui la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza / rappresenta "in re ipsa" una condizione soggettiva del loro stato di bisogno, con il conseguente obbligo per i genitori di contribuire al di loro mantenimento, assicurando ad essi tali mezzi di sussistenza. Quest’obbligo, per altro, non viene meno quando i figli minori, come nella specie, siano stati affidati al Servizio sociale e assistiti attraverso istituti del settore, posto che, tale situazione è determinata proprio dal difetto di assistenza del genitore, moralmente ed economicamente responsabile dell’affidamento di tali minori, sicchè, argomentando in contrario, si verrebbe ad elidere ogni sorta di conseguenza penale a detta condotta, gravando la pubblica assistenza di oneri ed obblighi attribuibili, invece, al genitore che, come nella specie, non versi in condizione di assoluta e comprovata indigenza (cfr. in termini Cass. pen. Sez. 6, 15/01/2004, n. 715, Pisano).
Di qui la manifesta infondatezza della doglianza sul punto,anche per quanto attiene il supporto motivazionale (cfr. fol. 5), conformato a detto principio di diritto.
II motivo sub 2) è del tutto carente del requisito della specificità dei motivi di impugnazione, in patente violazione del combinato disposto dell’art. 581 c.p.p., lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), a supporto delle ragioni di inammissibilità del gravame sul punto.
Anche il motivo sub. 3) e inammissibile, pò sto che, come monocordemente ribadito da questa Corte di legittimità, la misura del trattamento sanzionatorio è riservata al potere discrezionale del giudice di merito che, come tale, è insindacabile in questa sede ove, come nella specie, sia sufficientemente motivato, secondo il testo dell’impugnata sentenza, anche in termini di implicito riferimento all’impostazione in fatto, offerta dalla decisione di 1^ grado, di cui vi è conferma espressa "nel resto".
P.Q.M.
DICHIARA inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento dellle spese processuali e della somma di Euro MILLE in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-12-2010) 04-01-2011, n. 55 Inosservanza degli ordini dell’autorità di p.s. Stranieri

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Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Firenze, all’esito di giudizio abbreviato, ha assolto V.A., nato in (OMISSIS), dal reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, per inottemperanza all’ordine di allontanamento emesso nei suoi confronti in data 10 settembre 2009, accertata il 16 dicembre 2009.

Osserva che nel caso di specie l’imputato era cittadino kosovaro che da tempo aveva perso ogni contatto con il paese d’origine, nella situazione in esame risultava raggiunto dall’ordine di allontanamento all’uscita dal carcere nel quale era stato ristretto in attesa di essere giudicato per reati contro il patrimonio. Essendo detto processo ancora in corso poteva riconoscersi in linea teorica che il suo diritto a difendersi era assicurato dalla facoltà riconosciutagli di rientrare in Italia per assistere alle udienze a suo carico. In concreto, tuttavia, tale facoltà si risolveva in una garanzia del tutto astratta, il cui esercizio effettivo era impedito se non altro dalla mancanza di redditi, dalle condizioni di vita nomade, dalla assenza di qualsivoglia valido riferimento di carattere familiare e assistenziale, dalla impossibilità dunque di intraprendere i costosi viaggi per andare e venire in occasione delle udienze.

2. Ricorre per saltum il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Firenze e chiede l’annullamento della sentenza impugnata per violazione di legge.

Afferma che l’inesigibilità della condotta per escludere la punibilità "è solo costruzione di qualche dottrina e non una previsione legislativa e, in quanto tale, non può condurre ad alcuna assoluzione una volta accertato il fatto reato". Solo il giustificato motivo poteva portare all’assoluzione dell’imputato, ma questo doveva consistere in un "fatto oggettivo e non superabile" allegato dall’imputato e da lui pienamente dimostrato. Risultava invece soltanto che l’imputato era stato appena scarcerato e colpito da ordine di espulsione. Certamente era suo diritto tornare in Italia per il processo a suo carico, ma questo soltanto dopo essersi allontanato. Arbitrariamente il Tribunale aveva ritenuto non punibile il suo comportamento sol perchè un tale comportamento era "troppo oneroso e scomodo per il kosovaro", ma nulla aveva detto sul giustificato motivo; nè la "scomodità" rendeva la legge inesigibile.

Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che, essendo la sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato sicuramente impugnabile, il ricorso è sicuramente proposto per saltum, ai sensi dell’art. 569 cod. proc. pen., per altro esplicitamente evocato in ricorso.

La congruità della motivazione che si riferisce all’apprezzamento della situazione e delle condizioni personali dell’imputato, riferite in sentenza, sfugge di conseguenza al controllo in questa sede, nella quale la consapevole scelta del ricorrente impone di valutare soltanto le censure che, fuori da toni non utilmente polemici, effettivamente si riferiscono a violazione di legge.

Tanto premesso, il ricorso non può che essere dichiarato infondato.

2. L’affermazione secondo cui l’inesigibilità della condotta "è solo costruzione di qualche dottrina" e non una previsione legislativa valevole ad escludere la punibilità, è all’evidenza infondata. E’ la Corte costituzionale a parlare di inesigibilità laddove rileva (sentenza n. 5 del 2004) che la clausola del "giustificato motivo", qualificata alla stregua di elemento negativo del fatto tipico, non si esaurisce in un richiamo (pleonastico) alle ordinarie cause di giustificazione, ma rappresenta, piuttosto, di una "valvola di sicurezza" del meccanismo repressivo", chiamata come molte altre disposizioni del diritto penale comune e speciale (puntualmente elencate) – ad evitare "che la sanzione penale scatti allorchè – anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione – l’osservanza del precetto appaia concretamente "inesigibile" in ragione, a seconda dei casi, di situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo, di obblighi di segno contrario, ovvero della necessità di tutelare interessi confliggenti, con rango pari o superiore rispetto a quello protetto dalla norma incriminatrice, in un ragionevole bilanciamento di valori". Ed è sempre la Corte costituzionale, nella stessa sentenza, che richiama il brocardo "ad impossibilia nemo tenetur" (altro modo per evocare l’inesigibilità) laddove enumera tra le condizioni da considerare giustificative dell’inadempienza la "condizione di assoluta impossidenza dello straniero, che non gli consenta di recarsi nel termine alla frontiera (in particolare aerea o marittima) e di acquistare il biglietto di viaggio", ovvero il "mancato rilascio, da parte della competente autorità diplomatica o consolare, dei documenti necessari, pure sollecitamente e diligentemente richiesti".

Nel sistema dell’espulsione mediante intimazione ricostruito dalla giurisprudenza costituzionale il "giustificato motivo" è dunque proprio quella seria difficoltà ad adempiere che rende in concreto inesigibile l’abbandono del territorio nazionale.

3. Infondata è quindi anche l’affermazione che il Tribunale avrebbe omesso di motivare sulla esistenza, in concreto, di un giustificato motivo, prosciogliendo lo straniero soltanto per la "scomodità" della legge.

Il Tribunale ha posto a base della sua decisione la situazione di totale impossidenza dell’imputato (mancante di qualsivoglia reddito), le sue condizioni di vita nomade, la mancanza di qualsivoglia valido riferimento di carattere familiare e assistenziale in Kosovo. Ha quindi osservato che il suo diritto di partecipare al procedimento penale che si stava celebrando a suo carico in Italia sarebbe stato inesorabilmente pregiudicato dalla concreta impossibilità, in siffatta situazione, di intraprendere i viaggi per andare e venire in occasione delle udienze.

La motivazione, perciò, non manca affatto. E pur dovendosi ribadire che la sua logicità non è sindacabile in questa sede, atteso il rimedio impugnatorio prescelto, non può non rilevarsi che la stessa appare anche plausibile; aderente a dati di comune esperienza sulla situazione di chi si è allontanato da paesi devastati dalla guerra;

coerente con la scarsa effettività del rimedio istituito dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 17: da più voci denunziata in astratto ma sicuramente ravvisabile in concreto in ipotesi in cui la pendenza di un procedimento penale si coniughi a situazione di conclamata indigenza e alla assenza di riferimenti abitativi, sociali e familiari nel paese di provenienza.

Non può dunque certamente dirsi che il provvedimento impugnato abbia all’evidenza considerato ostative situazioni che (per riprendere le parole usate dal giudice delle leggi, da ultimo nella sentenza n. 250 del 2010) riflettevano la mera "condizione tipica del "migrante economico" e che difettavano "di particolare pregnanza", non incidendo "sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa". 4. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. III bis, Sent., 21-01-2011, n. 637 Commissione giudicatrice

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Premettono i ricorrenti di essere stati ammessi al corsoconcorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici indetto con il bando in epigrafe, ma che alla prova colloquio ottenevano una valutazione inferiore al minimo previsto di 14/20, non venendo così ammessi alla successiva fase concorsuale.

Soggiungono che, nonostante richiesta di accesso agli atti, essi prendevano contezza dei verbali della proceduta di esame solo per effetto dell’ordinanza istruttoria n. 992/2007, emessa sul ricorso n. 2886/2007, rilevando la mancanza di criteri univoci, modificati anche successivamente all’inizio delle prove, e una disomogeneità ed incongruenza fra quanto previsto e quanto applicato in sede di determinazione dei requisiti, oltre ad altre gravi illegittimità e violazioni contraddizioni in cui la Commissione è incorsa nel valutare la loro prova.

1.1.- Nel riportare i contenuti dei verbali n. 2 del 31 gennaio 2007 e n. 10 del 22 febbraio 2007, dai quali sarebbe evidente la modifica, operata peraltro dalla Commissione in sede di svolgimento della procedura concorsuale, dei criteri di valutazione dei candidati, i ricorrenti impugnano – con atto notificato in data 21 maggio 2007 -la loro mancata ammissione alla successiva fase concorsuale, deducendo violazione e falsa applicazione di legge, nonché eccesso di potere sotto distinti profili, così formulati: violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, dell’art. 12, comma 1, del d.p.r. n. 487/1994; eccesso di potere per manifesta contraddittorietà tra i criteri di valutazione stabiliti dalla Commissione esaminatrice in data 8 gennaio 2007 e le successive votazioni espresse: violazione dell’art. 10, comma 4, del bando di concorso.

1.2.- Si sono costituite in giudizio le amministrazioni intimate eccependo l’infondatezza del ricorso.

1.3.- Alla pubblica udienza del 25 novembre 2010, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2.- Come si è premesso in narrativa, i ricorrenti, prendendo visione dei verbali della procedura concorsuale, contestano che la Commissione esaminatrice non avrebbe adottato criteri valutativi univoci, avendoli modificati successivamente all’inizio delle prove, così incorrendo in disomogeneità ed incongruenza fra quanto previsto e quanto applicato in sede di determinazione dei requisiti, e quindi procedendo in modo illegittimo nella valutazione della loro prova.

Nel sostanziare detti vizi, i ricorrenti richiamano il verbale n. 2 del 31 gennaio 2007, con il quale la Commissione stabiliva: "ai sensi dell’art. 10 del D.M. 3/10/2006, il colloquio dovrà avvenire sulla base di tre tematiche, tra quelle previste dal bando, prescelte dal candidato, discusse e analizzate attraverso situazioni riferite alla propria esperienza professionale. La valutazione del colloquio si articola nei seguenti criteri: – padronanza dei terni affrontati; – competenza sui processi formativi; – competenza gestionale; – competenza relazionale; competenza ad organizzare e a coordinare. La Commissione, quindi decide di riportare tali criteri motivazionali nella predetta scheda da utilizzare per l’assegnazione dei relativi punteggi. il punteggio complessivo, riferito alle tre tematiche prescelte che unitariamente connotano l’attitudine del candidato, viene assegnato dalla Commissione all’unanimità o con la media dei voti proposti da ciascun componente".

2.1.- Ad avviso del Collegio l’assunto dal quale muovono i ricorrenti, e dal quale si dipartono tutti i profili di censura dedotti con il gravame, non è condivisibile.

Con il verbale n. 2 del 31 gennaio 2007, la Commissione esaminatrice ha provveduto a fissare i criteri relativi alla prova colloquio, criteri peraltro indicati dall’art 10 del bando di concorso.

Tali criteri sono stati riportati nella scheda identificativa, che è stata elaborata da ciascun candidato. Con il verbale n. 10 del 22 febbraio 2007, la Commissione ha ritenuto opportuno semplificare detta scheda, procedendo all’eliminazione della dicitura "votazione complessiva", delle firme delle Commissione dalla seconda facciata e delle "tematiche prescelte" nella terza facciata.; tanto in ragione dell’opportunità di evitare ripetizioni nelle varie pagine della scheda, e senza comunque sui contenuti sostanziali della valutazione.

Insomma, come ben replica l’amministrazione ministeriale nella relazione del 27 giugno 2007, la scheda è stata solo modificata nel sua veste grafica, rimanendo integri i criteri valutativi e le tematiche oggetto della prova di esame. Non si può non concordare sul fatto che modificare una scheda – circostanza questa peraltro debitamente verbalizzata dalla Commissione – per renderla più fluida non vuol dire modificare la procedura di un concorso.

Quanto ai giudizi non può dubitarsi del fatto che è comunque la Commissione a riportare i propri giudizi nella scheda in questione; che essa opera collegialmente e che i giudizi che ne scaturiscono sono presi all’unanimità sugli argomenti trattati e non da una media di voti assegnata da ciascun commissario.

2.2.- Alla luce di tali assorbenti considerazioni il ricorso va respinto, potendosi però – nella concorrenza di giusti motivi – compensarsi tra le parto le spese di giudizio e gli onorari di causa.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 08-02-2011, n. 234 Demolizione di costruzioni abusive

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Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 27.101997 e depositato presso la Segreteria della Sezione il 7.11.1997 (rubricato al n. 1408/97 RGR), C.E. si grava avverso il provvedimento con il quale è stata respinta e dichiarata improcedibile la domanda di concessione edilizia in sanatoria presentata dal medesimo in data 14.9.1997, relativa alla realizzazione, sul mapp. 747, di due ripostigli e di un servizio igienico sotto una rampa di accesso (preesistente) nonché per la realizzazione di un manufatto in legno.

Il ricorrente articola le seguenti doglianze:

1) Eccesso di potere per carenza di motivazione;

2) Eccesso di potere per contraddittorietà dell’atto;

3) Violazione del PRG.

Si è costituito in giudizio l’intimato Comune di Lovere, chiedendo il rigetto del gravame.

Con ricorso notificato il 18.12.1997 e depositato presso la Segreteria della Sezione il 5.1.1998 (rubricato al n. 5/98 RGR) il medesimo C. si grava avverso il provvedimento con il quale è stata ingiunta la demolizione delle opere eseguite in assenza di titolo.

Il ricorrente articola le seguenti doglianze:

1) Eccesso di potere per carenza di motivazione;

2) Eccesso di potere per contraddittorietà dell’atto;

3) Violazione del PRG;

4) impossibilità di eseguire il provvedimento impugnato, in quanto il 16.10.1997 le opere sono state fatte oggetto di sequestro da parte della polizia municipale per conto del P.M.

Anche in questo secondo ricorso, si è costituito in giudizio l’intimato Comune di Lovere, chiedendone il rigetto.

A seguito del ricevimento della comunicazione di Segreteria, il ricorrente e il legale dello stesso, con atto depositato in data 30.4.2008, hanno chiesto, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 9, comma 2° della L. n. 205 del 2000, la fissazione del ricorso n. 6/98.

Entrambi i ricorsi sono stati fissati per la pubblica udienza del 10.3.2010, alla quale, avendo il legale di ricorrenti dichiarato di aderire all’ "astensione dalle udienze proclamata dall’Organismo Nazionale del’Avvocatura" (cfr. nota depositata il 6.3.2010), i ricorsi sono stati rinviati ad altra udienza.

In vista della pubblica udienza del 12.1.2011 le pari hanno depositato documenti e memorie difensive.

Alla pubblica udienza del 12.1.2011- – alla quale il legale del ricorrente ha reso la dichiarazione di cui all’art. 82 c. 2 del c.p.a., confermando la permanenza dell’interesse alla decisione – i ricorsi sono stati definitivamente trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Preliminarmente il Collegio procede alla riunione dei ricorsi all’esame, i quali – attesa la stretta connessione (oggettiva e soggettiva) esistente possono essere decisi con un’unica sentenza.

Va rilevato che oltre ai due ricorsi portati alla pubblica udienza odierna, ne sussiste un terzo (rubricato al n. 207/2007), con il quale dr. E.C. ha impugnato il provvedimento in data 30.11.2006 di diniego di condono edilizio ex art. 32 del D.L. n. 269/03 conv. in L. 326/03 in relazione alla "… realizzazione deposito attrezzi per giardino, legato da vincolo di pertinenzialità con l’edificio principale privo di autonoma funzionalità e privo di urbanizzazioni: prefabbricato in legno…".

Entrambe le parti avevano richiesto la riunione anche di tale gravame: ma, per un disguido della Segreteria, ciò non è avvenuto.

Peraltro, il Collegio ritiene che non vi sia la necessità di rinviare gli stessi per riunione al ricorso n. 207/2007, il quale riguarda atto (diniego di condono edilizio ex D.L. n. 269/2003 presentata il 10.12.2004) che si pone a valle di quelli oggetto di esame, sicchè può procedersi alla decisione degli stessi.

Con il primo ricorso si impugna il provvedimento con il quale è stata rigettata e dichiarata improcedibile la richiesta di concessione edilizia in sanatoria presentata in data 17.09.1997 dal dr. E.C. (in quanto alcune delle opere realizzate non risultavano conformi allo strumento urbanistico); con il secondo ricorso è invece impugnato l’ordinanza di demolizione in data 1.10.1997 con la quale il Sindaco del Comune di Lovere ha intimato al Dott. E.C. "… la demolizione della casetta in legno e la messa in pristino dello stato precedente dei luoghi relativamente al manufatto in legno e al piano d’appoggio su cui insiste il fabbricato, entro non oltre 90 (novanta) giorni dalla notifica della presente…".

In punto di fatto, sulla base della documentazione versata in atti dalla parti, è possibile rilevare che:

1) In data 28.8.1997 (cfr. doc. 6 del Comune in entrambi i ric.) l’U.T.C. ha eseguito un sopralluogo nella proprietà del C., rilevando che erano "in corso di realizzazione opere edilizie (tramezze e tamponamenti) finalizzate alla chiusura di un porticato esistente ed alla suddivisione degli spazi

interni ricavati";

2) il medesimo giorno, richiamato il verbale di accertamento, veniva emessa ordinanza di sospensione lavori iniziati senza titolo edilizio (doc. n. 7 Comune);

3) Il 17.9.1997 il C. presentava istanza di concessione in sanatoria per le opere eseguite sul mapp. 747 consistenti in: 1) "due ripostigli ed un servizio igienico sotto la esistente rampa di accesso di Via D. Celeri"; 2) "realizzazione di un manufatto in legno vicino alla rampa stessa da adibire a deposito degli attrezzi da giardino e da serra per i fiori durante il periodo invernale. (doc. 8 Com.)";

4) in data 25.09.1997 l’U.T.C. eseguiva un secondo sopralluogo (doc. 9 Com.), rilevando che " i lavori oggetto dell’ordinanza sindacale di sospensione dei lavori n. 40/1997 del 28.08.1997 sono proseguiti ed hanno comportato la costruzione di manufatto in legno di dimensioni ml 7,00 x 4,00 e vano di collegamento tra i locali eseguiti nel sottorampa ed il manufatto in legno; su detti locali inoltre sono state eseguite parziali opere di finitura interne ed esterne", soggiungendo che "l’ufficio tecnico comunale esaminata la domanda di concessione edilizia in sanatoria presentata ritiene che debba essere respinta in quanto le opere sono state eseguite in parziale difformità dello strumento urbanistico vigente e inoltre non a distanza regolamentare dal confine";

5) in data 1.10.1997 (doc. n. 3 del ric.) il Sindaco di Lovere comunicava al C. che la richiesta di sanatoria presentata in data 17.9.1997 "non può essere accolta in quanto alcune delle opere realizzate non risultano conformi allo strumento urbanistico vigente" (atto impugnato con il ric. N. 1408/97);

6) il 16.10.1997 agenti della polizia municipale di Lovere – su delega del 4.9.1997 del P.M. dott. Anna Ponsero – provvedevano al sequestro dell’opera abusiva (doc. n. 11 del ric. N. 6/98);

7) in data 21.10.1997 l’U.T.C. eseguiva un ulteriore sopralluogo (doc. 10 Com.) dal quale emergeva che:

a) "è stato realizzato un piano di appoggio tramite getto in c.l.s. appoggiato su blocchi di cemento e tavelloni in cotto, sorretti da putrelle in ferro nella parte a sbalzo onde regolarizzare la pendenza del sito, in cui si è poi eseguita la installazione della casetta in legno, ed è stato pavimentato con piastrelle";

b) "la casetta in legno ed il collegamento con i locali dell’ex portico sono dotati di pavimentazione e delle necessarie tubature per predisposizione all’ allacciamento di impianti tecnologici (impianto di riscaldamento, elettrico ed idrico), il manto di copertura è stato realizzato con tegole del tipo canadese e canali e pluviali del tipo a doccione in rame. Le aperture nelle pareti perimetrali sono predisposte per eventuale alloggiamento di porte ed infissi del tipo a monoblocco. Inoltre la pavimentazione realizzata non presenta giunti di dilatazione tra i locali interni al’immobile in legno e i locali del sottoportico";

c) "nei locali siti nell’ex porticato sono state eseguite opere di pavimentazione, alloggiamento dell’impianto elettrico con canalizzazioni murate e idrotermosanitario, è stato realizzato un locale completamente piastrellato per la installazione di un servizio igienico stati completo, è stata realizzata la finitura di intonaco al civile su tutte le murature esterne e sulle tramezzature interne con alloggiamento dei futuri comandi dell’impianto elettrico, sono stati murati i falsi telai necessari per l’istallazione delle porte interne ai locali e delle due finestre ricavate nella muratura di tamponamento posta a chiusura delle preesistente arcate del porticato, comprese di davanzali in pietra".

d) "nello spazio retrostante la casetta si notano impianti per il trasporto di acqua, completi di collettore di distribuzione e tubi in rame completi di rubinetto di chiusura per futuro allacciamento di una eventuale fornitura di combustibile per l’impianto di riscaldamento. All’esterno del fabbricato in legno attualmente non si nota nessun tipo di gancio o altri sistemi per la eventuale rimozione o spostamento del manufatto".

8) Il 22.101997 (doc. 11 Com.) il ricorrente presentava una ulteriore istanza di concessione in sanatoria, precisando che sul terreno di sua proprietà, inserito in zona B2 esisteva uno scivolo di accesso carraio dalla via Castelli sostenuto da un sistema ad archi, sul quale aveva ricavato "due ripostigli ed un servizio igienico realizzati senza peraltro modificare il profilo esterno dello scivolo stesso".

9) Il 20.11.1997 l’U.T.C. comunicava (doc. 13 Com.) al C. che la Commissione Edilizia Comunale, nella seduta del 13.11.1997, aveva espresso parere negativo sulla domanda di sanatoria presentata il 22.10.1997 "perchè l’intervento eseguito non risulta conforme all’art. 34 dello strumento urbanistico vigente che non prevede aumenti di volumetria in tale zona urbanistica".

10) in data 28.101997 il Sindaco emetteva ordinanza con la quale ordinava al C. "la demolizione della casetta in legno e la messa in pristino dello stato precedente dei luoghi relativamente al manufatto in legno e al piano d’appoggio su cui insiste il fabbricato, entro non oltre 90 (novanta) giorni dalla notifica della presente…" sul rilievo che:

– con verbale di sopralluogo del 21.10.1997 l’U.T.C. ha rilevato che il C. ha eseguito, in assenza di c.e., opere di chiusura di portico sottorampa esistente nonché di posa sul terreno, previa realizzazione di soletta in calcestruzzo, di casetta in legno collegata con i locali del sottoportico tramite passaggio coperto, così da dar vita ad una nuova costruzione;

– tali opere non sono conformi al PRG dato che si tratta di zona B2 per la quale l’art. 34 NTA consente solo interventi su edifici esistenti e non nuove costruzioni;

– l’area è soggetta a specifico vincolo ambientale con DM 19.6.1968;

– che le opere eseguite in assenza di titolo possono essere demolite senza pregiudizio della parte conforme.

Così ricostruiti la complessa fattispecie, va rilevato che il secondo diniego di concessione edilizia in sanatoria (di cui ai punti n. 8 e 9) non è stato fatto oggetto d’impugnazione da parte del dr. C..

Tanto precisato, è ora possibile procedere alla disamina dei motivi di ricorso articolati dal ricorrente.

Con il primo ricorso, impugnando il diniego di sanatoria del 1.10.1997, si deduce: a) il difetto di motivazione per non essere stato specificato quali sono le opere non conformi allo strumento urbanistico e in che cosa consista la difformità, b) la contraddittorietà esistente fra l’avere prima respinto la domanda e l’averla poi dichiarata improcedibile; c) la violazione dell’art. 34 delle NTA del PRG di Lovere il quale consente in zona B 2 la realizzazione di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, il restauro e il risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia.

I motivi sono infondati.

Partendo dal profilo sostanziale, di cui sub c), va rilevato che l’intervento edilizio posto in essere dal ricorrente (cfr. i p. da 1 a 5) è consistito a) nella realizzazione di opere edilizie (tramezze e tamponamenti) finalizzate alla chiusura di un porticato esistente (sottorampa) e alla suddivisione degli spazi interni ricavati e b) nella costruzione di manufatto in legno di dimensioni ml 7,00 x 4,00 con vano di collegamento tra i locali eseguiti nel sottorampa ed il manufatto in legno esecuzione parziale in detti locali di opere di finitura interne ed esterne.

L’art. 34 delle NTA del PRG all’epoca vigente (prodotto come doc. n. 6 del ric. n. 1408/97) – nel normare la "Zona omogena B2: giardini privati esistenti o di nuova formazione con o senza preesistenze edilizie"- prevedeva solo interventi sull’edilizia esistente (dalla manutenzione ordinaria sino alla ristrutturazione) mentre non prevedeva alcuna possibilità di nuova edificazione.

In tale contesto, il diniego appare correttamente opposto: infatti sia la chiusura – mediante pareti – di una rampa di accesso sia la posa in opera di un manufatto in legno rientrano a pieno titolo all’interno della nozione di nuova costruzione.

Quanto all’asserita contraddittorietà (di cui sub b), va rilevato che l’espressione "la pratica viene di conseguenza respinta e giudicata improcedibile" altro non è che una superfetazione linguistica, risultando chiaro il disposto di reiezione derivante alla precedente parte motivazionale "la richiesta di concessione edilizia in sanatoria…non può essere accolta in quanto…".

Infine non può ritenersi sussistente l’invocato difetto di motivazione (di cui sub a).

E’ pur vero che la giurisprudenza ha costantemente affermato che il diniego di concessione edilizia necessita di una motivazione esplicativa delle reali ragioni impeditive, da individuarsi nel contrasto del progetto presentato con specifiche norme urbanistiche, esplicitamente indicate. Peraltro, la ratio sottesa a tale indirizzo è quella di consentire al richiedente di conoscere le reali ragioni del diniego là dove sono possibili più ipotesi normative.

Tale ratio viene peraltro meno là dove – come nella fattispecie – la specifica norma urbanistica di zona vieta qualsiasi nuova edificazione.

A comprova di ciò va rilevato che, nonostante l’utilizzo di una formula criptica da parte del provvedimento (la mancata conformità allo strumento urbanistico vigente), il ricorrente ha potuto agevolmente individuare l’oggetto del contrasto, tanto è vero che, con il terzo motivo, ha censurato la sussistenza del contrasto con l’art. 34 delle NTA che regolano la zona in questione.

Con il secondo ricorso, il C. impugna l’ordinanza di demolizione, innanzi tutto riproponendo le tre censure di cui al primo ricorso (quali motivi di invalidità derivata) sicché la reiezione degli stessi più sopra pronunziata va estesa alla loro reiterazione. Con la quarta doglianza, il ricorrente afferma che l’intervenuto sequestro delle opere – il 16.10.1997 da parte della Polizia municipale per delega del P.M. di Bergamo – rende impossibile l’esecuzione del provvedimento impugnato.

La censura non merita accoglimento.

La circostanza che l’immobile abusivamente realizzato sia sottoposto a sequestro penale non osta all’adozione dell’ordine di demolizione, dal momento che è possibile motivatamente domandare all’autorità giudiziaria il dissequestro dell’immobile proprio al fine di ottemperare al predetto ordine (cfr. T.A.R. Napoli, sez. IV, 29 luglio 2010 n. 17066).

I due gravami, così come proposti negli atti introduttivi del giudizio, risultano dunque infondati, dovendosi soggiungere che il Collegio non è tenuto a pronunciarsi sulle ulteriori questioni sollevate dalla parti con le memorie illustrative, risultando inammissibile tale estensione del contenzioso, poiché nel processo amministrativo d’impugnazione, la domanda giurisdizionale è posta con specifico riferimento ad un atto amministrativo di cui si chiede l’annullamento e non si configura, quindi, come mera pretesa sostanziale di cui si potrebbe chiedere l’accertamento giudiziale (cfr. TAR Brescia, Sez. I, 5 novembre 2009 n. 1917).

Le spese di giudizio, liquidate come da dispositivo, vanno poste – alla stregua del principio victus victori – a carico del ricorrente.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) preliminarmente riuniti i ricorsi in epigrafe, li respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio a favore del Comune di Lovere che liquida in Euro 4000, oltre ad accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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