Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 09-06-2011) 04-07-2011, n. 26111 Misure cautelari

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza ricorre per cassazione contro l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale del riesame di Catanzaro, adito dall’indagato F.P. in sede di appello ai sensi dell’art. 310 c.p.p., disponeva la sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari da eseguirsi in luogo di cura, inflitta al predetto per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., con quella degli arresti domiciliari da eseguirsi presso la residenza coniugale, riformando l’ordinanza della Corte di Appello di Catanzaro, che aveva rigettato tale richiesta.

Nell’unico motivo a sostegno della richiesta di annullamento dell’impugnata decisione l’organo requirente ne denuncia il vizio motivazionale, censurando l’errore dei giudici del gravame, i quali avevano valorizzato il rischio del suicidio, evidenziati in una perizia, peraltro datata, e non avevano spiegato come i propositi di suicidio potessero essere orditi ed eseguiti in una struttura sanitaria e scongiurati nella residenza coniugale, facendo salva la facoltà del P.M. di accertare con una nuova perizia al fine di verificare la possibilità del ripristino della custodia inframuraria.

Il ricorso è inammissibile, giacchè a prescindere dalla genericità, introduce una diversa valutazione di merito in ordine al pericolo suicidiario manifestato dal cautelato, tale da giustificare l’attenuazione della misura cautelare, che i giudici del merito avevano correttamente fondato sulle conclusioni della perizia medico- legale, disposta dal medesimo Tribunale e intesa all’accertamento della incompatibilità della custodia cautelare in carcere con le condizioni di salute del ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-12-2011, n. 26328 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

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Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale della Spezia ha respinto l’opposizione che Do.Ma. e D. M., entrambi soci con poteri di rappresentanza esterna della s.n.c. Trasporti Dolciami di Dolciami Arturo e Giuseppe & C., avevano proposto avverso l’ordinanza ingiunzione con cui la Provincia della Spezia aveva irrogato a uno di loro (indicando l’altro come coobbligato solidale) la sanzione pecuniaria di L. 3.000.000, per aver effettuato attività di trasporto di rifiuti accompagnando gli stessi con il prescritto formulario di identificazione del rifiuto trasportato in cui era indicato in modo inesatto il destinatario nonchè il luogo di destinazione del rifiuto".

Do.Ma. e D.M. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a cinque motivi, poi illustrati anche con memoria. La Provincia della Spezia si è costituita con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso Do.Ma. e D. M. deducono che il Tribunale ha mancato di provvedere sulla ragione di opposizione con la quale avevano eccepito la nullità dell’ordinanza ingiunzione oggetto della loro impugnazione: lamentano di essere stati ritenuti responsabili della violazione in questione in quanto soci della s.n.c. Trasporti Dolciami di Dolciami Arturo e Giuseppe & C., mentre autore del presunto illecito era stato semmai l’autista che aveva effettuato il trasporto con il formulario del quale è stata ritenuta l’irregolarità.

La censura va accolta.

Effettivamente il giudice a quo non ha affrontato la questione relativa al titolo in base al quale era stata irrogata la sanzione di cui si tratta; questione che avrebbe dovuto essere risolta applicando il principio – più volte enunciato da questa Corte, con riguardo alle infrazioni attribuite ad amministratori di società di persone:

v., per tutte Cass. 10 dicembre 1998 n. 12459 – secondo cui a norma della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3 è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione, poichè vale anche con riferimento alle società di persone (nella specie, società in accomandita semplice) il principio che la responsabilità per le sanzioni amministrative è personale e che quindi della singola violazione risponde la persona fisica autore dell’illecito, salva la responsabilità solidale della società.

Ne discende che Do.Ma. e D.M., contrariamente a quanto sostiene la controricorrente, non potevano automaticamente essere chiamati a rispondere della violazione, ognuno quale coautore perchè socio di una società di persone. Occorreva invece che l’uno o l’altro o entrambi avessero tenuto una condotta, positiva od omissiva, che avesse dato luogo alla commissione dell’infrazione, sia pure in ipotesi sotto il profilo del concorso soltanto morale.

Accolto quindi il primo motivo di ricorso, restano assorbiti gli altri, che attengono a punti che in sede di rinvio soltanto eventualmente dovranno essere esaminati, secondo la soluzione che verrà data alla questione di cui prima si è detto.

La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio al Tribunale della Spezia in persona di diverso magistrato, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa al Tribunale della Spezia in persona di diverso magistrato, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. III, Sent., 05-09-2011, n. 5008 Procura alle liti

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Svolgimento del processo

Con ricorso proposto dinanzi al TAR Lombardia la società R. D. s.p.a. (per l’innanzi R.) ha impugnato l’aggiudicazione in favore della società A. s.r.l. della gara indetta dalla Azienda ospedaliera della provincia di Lodi per la fornitura in service per indagini molecolari di Realtime, da utilizzarsi presso il Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

La società ricorrente, classificatasi al secondo posto della graduatoria, distaccata di punti 1,84 dalla prima, deduceva i seguenti motivi di censura con riguardo ai punteggi assegnati alle due concorrenti:

1) il punteggio attribuito a R. per la voce "Strumentazione" (punti 12 anziché 20) non è corretto, avendo la Commissione ritenuto erroneamente insussistente la caratteristica 4), vale a dire la marcatura CE dei protocolli che utilizzano diversi volumi di campione;

2) ad A. avrebbero dovuto essere assegnati punti 10 anziché 12 per la voce "Strumentazione", poiché era mancante della caratteristica 7) concernente la "composizione flessibile delle sedute analitiche",

3) ad A. dovevano essere attribuiti 9 punti in meno essendo mancante la caratteristica 18), così descritta: "standard quantitativo interno amplificato in ogni campione".

La ricorrente chiedeva anche la condanna della Amministrazione al risarcimento dei danni subiti in conseguenza degli atti impugnati.

Con sentenza 10 gennaio 2011 n.11 il TAR Lombardia, Sez.I, ha respinto il ricorso.

Avverso l’anzidetta pronuncia R. ha interposto appello censurando le statuizioni del TAR in ordine ai diversi motivi di censura dedotti in primo grado.

Si è costituita in giudizio A. che ha preliminarmente eccepito la inammissibilità dell’appello per l’asserita nonleggibilità della sottoscrizione, ed ha contestato la fondatezza dei motivi di appello instando per il rigetto dello stesso.

Alla pubblica udienza del 17 giugno 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Va preliminarmente disattesa la eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dalla difesa della società appellata in relazione ad una asserita illeggibilità della sottoscrizione apposta nell’atto di appello.

Come è stato rilevato anche da una recente pronuncia (cfr. Cons. St. V, 16 giugno 2009, n. 3846), la decifrabilità della sottoscrizione della procura alle liti non costituisce requisito di validità dell’atto quando l’autore di questo sia stato identificato nel contesto dell’atto medesimo; tant’è che il requisito della sottoscrizione è soddisfatto anche con l’apposizione della sigla in luogo della firma per esteso.

Passando all’esame del merito, l’appello è infondato.

In relazione al primo motivo la sentenza impugnata ha rilevato come R. abbia offerto anche un protocollo di estrazione TNAI sprovvisto di marcatura CE quando, trattandosi di un "dispositivo medico", tale marcatura era richiesta.

L’appellante, dopo aver precisato che i "dispositivi medici" vanno distinti rispetto ai "dispositivi medicodiagnostici in vitro", ed ai "prodotti ad uso generico di laboratorio", sostiene che quello in contestazione rientra in quest’ultima categoria per la quale la normativa vigente non richiederebbe la marcatura.

Ma in contrario va osservato che lo stesso bando, tra le caratteristiche oggetto di valutazione, indica espressamente "la marcatura CE dei protocolli di estrazione proposti, di eventuali protocolli alternativi e per diversi volumi di campioni". E data l’ampiezza della formula usata dal bando, appare evidente che l’Amministrazione appellante si sia proposta di assicurare la marcatura CE ad ogni elemento del processo diagnostico.

Con riferimento al secondo motivo del ricorso introduttivo, con il quale si deduceva che l’offerta di A. richiederebbe l’utilizzo di 24 reagenti, anche nei casi in cui debba essere esaminato un solo campione, da ciò traendo la conclusione che tale inconveniente avrebbe dovuto essere considerato non solo in relazione al parametro "efficienza nell’impiego del materiale" ma anche in relazione alla "flessibilità delle sedute", la sentenza di primo grado ha ritenuto sufficiente la penalizzazione dell’offerta di A. sotto il profilo della "efficienza nell’impiego del materiale".

L’appellante ha reiterato la censura contestando le conclusioni cui è pervenuta la sentenza di primo grado.

Ma al riguardo giova osservare che la caratteristica della strumentazione denominata "composizione flessibile delle sedute analitiche" designa la capacità di un sistema di condurre l’analisi di un numero di campioni variabile, la cui entità si adegui di volta in volta al volume di lavoro che il laboratorio è chiamato a svolgere; ed il sistema di analisi offerto da A. risponde certamente a tale caratteristica, attesa la capacità di eseguire sedute con un numero di campioni estremamente flessibile, vale a dire con gruppi di 24 o suoi multipli.

Infine con il terzo motivo di appello si contesta il corrispondente capo della sentenza impugnata con il quale il TAR ha ritenuto legittimo il punteggio assegnato ad A. in relazione alla caratteristica n. 18) afferente allo "standard quantitativo interno amplificato in ogni campione", ritenendo che la soluzione offerta da A., pur se diversa rispetto a quella di R., fosse ugualmente valida in base al "principio di equivalenza", e che comunque mancasse la prova che il prodotto offerto da quest’ultima non garantisca le stesse prestazioni.

L’appellante censura la sentenza osservando che non sussiste alcun elemento letterale della "lex specialis" dalla quale sia desumibile che le caratteristiche tecniche siano state elencate solo a fini "indicativi" e che sussista un eventuale potere della Commissione di valutare l’equivalenza dei prodotti offerti.

Anche questo motivo è destituito di fondamento.

Per meglio comprendere la diversità dei metodi proposti rispettivamente da R. e da A. va richiamata la descrizione che ha fatto la difesa di A., e che non è contestata da controparte: "…nelle indagini molecolari di laboratorio, il controllo o standard interno ha la funzione di verificare, in ogni singolo campione, il corretto svolgimento delle fasi di estrazione del DNA o RNA del virus e della successiva reazione di amplificazione (PCR).

Lo standard interno verifica infatti l’efficienza e la resa dell’estrazione (purificazione del DNA o RNA del virus) e l’assenza di fenomeni di inibizione della reazione di amplificazione.

Sia nel metodo R. che nel metodo A., il controllo interno assolve a questa duplice importante funzione.

Mentre nel metodo R., il controllo interno svolge anche la funzione di quantificazione, cioè di misurazione della quantità di virus nel sangue, nel metodo A. la quantificazione avviene mediante l’analisi di due standard esterni, cioè non inseriti all’interno del campione e analizzati separatamente".

Queste essendo le caratteristiche proprie dei due metodi, va intanto osservato che, trattandosi di una gara con il criterio della offerta economicamente più vantaggiosa, alle concorrenti era consentito proporre soluzioni migliorative, o semplicemente alternative, rispetto alle indicazioni del capitolato. D’altra parte va ribadito -in linea con quanto rilevato dal primo giudice- che anche in virtù del principio di equivalenza (di derivazione comunitaria) ben potevano i concorrenti offrire un prodotto che avesse caratteristiche identiche o analoghe al bene descritto in capitolato, o che garantisse le medesime prestazioni.

Ciò posto, non possono condividersi i rilievi formulati dall’appellante sulla asserita non validità del prodotto offerto da A., che è stato oggetto di apposita valutazione da parte della Commissione tecnica (vedi verbale della seduta 89 giugno 2009: doc. n.4 del fascicolo R.): la quale in tale sede lo ha ritenuto "ottemperante" alla "caratteristica 18", al pari del prodotto offerto da R., con la seguente motivazione: "ottemperano entrambe il requisito 18 in quanto lo standard quantitativo interno semplificato in ogni campione equivale alla curva di calibrazione esterna: non esistono in letteratura lavori recenti che dimostrino la superiorità di un approccio di quantificazione rispetto all’altro".

Per le considerazioni che precedono l’appello in esame deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore della società appellata e della Azienda ospedaliera liquidandole nella misura complessiva di euro 4.000,00 (quattromila/00), da ripartirsi in parti uguali..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 29-09-2011, n. 2320 Edilizia e urbanistica

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Le ricorrenti, in qualità di proprietarie di un’area nella zona censuaria di Monteolimpino, sita nel Comune di Como, impugnano gli atti di adozione del p.r.g. in quanto reiterativi di vincolo espropriativo.

Contro il suddetto atto sollevano i seguenti motivi di ricorso.

I) Illegittima reiterazione di vincolo urbanistico espropriativo sui mappali nn. 452 e 453 sotto il profilo dell’eccesso di potere ed insufficienza della motivazione. Secondo le ricorrenti sin dal 1972 il Comune ha assoggettato l’area a vincolo espropriativo reiterandolo più volte senza motivazione e senza indennizzo.

II) La motivazione per la reiterazione del vincolo espropriativo, contenuta nel piano, sarebbe insufficiente.

III) Illegittimità della reiterazione per mancata previsione di indennizzo.

Il Comune di Como chiede la reiezione del ricorso in quanto il vincolo avrebbe natura conformativa in considerazione del fatto che le opere realizzabili sull’area potrebbero essere realizzate anche da privati.

Il Collegio ha chiesto, con separata ordinanza istruttoria, la trasmissione degli atti relativi alla zonizzazione precedente a quella impugnata (1993) al fine di verificare la sussistenza di un’ipotesi di reiterazione.

All’udienza del 5 luglio 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

2. In merito al primo motivo di ricorso, che si fonda sulla qualificazione del vincolo imposto alle aree di proprietà della ricorrente come vincolo espropriativo, il ricorso è infondato.

Osserva il Collegio che, secondo la giurisprudenza – costituzionale e di legittimità – in materia, sono indennizzabili soltanto i vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione o di carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà; mentre non lo sono i vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore per attrezzature e servizi realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento (ad. es. parcheggi, impianti sportivi, mercati e strutture commerciali, edifici sanitari, zone artigianali, industriali o residenziali) (cfr. Corte cost. 20.5.99 n. 179; Cons. Stato IV, 29.8.02 n. 4340, 30.6.05 n. 3524; Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 2010, n. 4545).

Nel caso di specie l’art. 27 punto 2.5.3 delle n.t.a. del piano del 2000 prevede che "Gli spazi a verde, contrassegnati in cartografia con il simbolo V, sono da considerare inedificabili ad eccezione delle attrezzature di servizio quali servizi igienici, chioschi, edicole se compatibili e non di pregiudizio alla fruizione pubblica del verde. Gli spazi destinati a verde, contrassegnati in cartografia con il simbolo V, possono recepire, oltre a quanto sopra, impianti sportivi anche coperti; i parametri urbanistico edilizi sono quelli risultanti dalle esigenze funzionali e dalle norme specifiche di cui alle leggi o regolamenti che disciplinano gli impianti sportivi ed i parcheggi interrati".

E’ chiaro quindi che il piano permette ai privati di sfruttare economicamente le aree di loro proprietà con destinazione a servizio pubblico, sia mediante la realizzazione di piccoli servizi che accompagnano l’utilizzo pubblico a verde del bene, sia mediante interventi più incisivi quali l’infrastrutturazione sportiva della zona.

Ne consegue che il vincolo ha natura conformativa.

Né è possibile aderire alla giurisprudenza minoritaria che ha cercato di individuare caratteri diversi per i vincoli di natura espropriativa.

In primo luogo non può tenersi conto della c.d. "vocazione naturale" del fondo allo sfruttamento edilizio, come affermato dalla giurisprudenza isolata indicata dal ricorrente (C.G.A.R.S. 1113/2008), in quanto nelle aree urbane la presenza di aree libere e di aree destinate a servizi è necessaria e "naturale" quanto quella destinata all’edificazione. Infatti non possono esistere zone caratterizzate dalla sola edificazione privata residenziale o commerciale, pena la creazione di quartieri invivibili.

Inoltre la creazione di aree a verde e per servizi è finalità precipua della pianificazione urbanistica, che ha come scopo proprio quello di garantire l’equilibrio tra sviluppo urbano e ambiente, in modo da assicurare la vivibilità delle aree urbane ed in particolare delle periferie.

Si parla, a tal fine, di zonizzazione infrastrutturale, finalizzata a dotare le varie zone del territorio di servizi ed infrastrutture proporzionate alle funzioni in esse localizzate, che si aggiunge alla zonizzazione funzionale ed architettonica.

Ne consegue che non è possibile ritenere che l’inserimento di un’area nell’ambito urbano la renda per sua vocazione destinata all’edificazione.

Neppure può ritenersi, come fa altra giurisprudenza isolata (TAR Lombardia, Brescia, 1460/2009), invocata dalle ricorrenti, che occorra tenere conto anche dei requisiti soggettivi dei proprietari e, di conseguenza, della loro attitudine allo sfruttamento economico dell’area in conformità alla destinazione urbanistica attribuita, in quanto la caratteristica della disciplina urbanistica è proprio il carattere oggettivo e non soggettivo delle destinazioni urbanistiche, che si confrontano esclusivamente con i caratteri propri dell’area e non con quello soggettivi del proprietario, salvo il caso, del tutto eccezionale, dell’edificazione in area agricola (v. L.R. 7 giugno 1980, n. 93 – Norme in materia di edificazione nelle zone agricole – ed oggi artt. 59 ss. L.R. 12/2005; in merito v. Corte Cost., 923 giugno 1988, n. 714).

Resta invece la possibilità per i ricorrenti di provare che le opere individuate dal Comune come "realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento", secondo le parole della Corte costituzionale, non siano in realtà tali per inattendibilità della relativa previsione, con conseguente azzeramento del valore di scambio del fondo.

Nel merito, alla luce della situazione descritta nel ricorso e degli elementi di prova forniti, occorre rilevare che le possibilità effettive di utilizzo hanno anche un certo carattere di concretezza in quanto l’area da un lato ha naturale affaccio sulla zona verde di Cardina, mentre dall’altro è posta nelle adiacenze dell’area sportiva di Sagnino e quindi l’utilizzazione sportiva o a verde pubblico non pare del tutto irragionevole.

In questa condizione la destinazione a standard a verde gioco e sport imposta ai fondi delle ricorrenti si pone al di fuori dello schema ablatorioespropriativo – con le connesse garanzie costituzionali (indennizzo o durata predefinita) – e costituisce espressione di potestà conformativa (avente validità a tempo indeterminato) non comportando inedificabilità assoluta (data la possibilità del privato di realizzare alcune opere) e non essendo necessariamente preordinato alla espropriazione in quanto la realizzazione delle opere suddette non richiede previa ablazione del bene da parte dell’ente pubblico (Cons. Stato IV, 25.5.05 n. 2718, 10.8.04 n. 5490; vedi pure CGA 24.10.07 n. 1017, 19.12.08 n. 1113).

Ad ogni buon conto occorre precisare che, inquadrata la destinazione urbanistica nell’ambito della potestà conformativa comunale, il privato non resta comunque senza tutela. Egli infatti ha la possibilità di provare che il suolo non presenti alcuna vocazione per interventi di carattere sportivo, ricreativo o di interesse generale o a verde in considerazione dell’infrastrutturazione esistente o dei caratteri propri dell’area.

Venendo ora al secondo motivo occorre rilevare che la giurisprudenza di questo Tribunale, al quale il Collegio si conforma, ha già ritenuto sufficientemente motivata la reiterazione in blocco dei vincoli esistenti, operata dal Comune di Como con il PRG impugnato, con particolare riferimento ai vincoli a verde. E’ stata infatti ritenuta sufficiente la relazione al piano laddove l’Amministrazione ha ulteriormente precisato come tale necessità di conferma dei vincoli nasca "dall’evidente constatazione della irriproducibilità di aree che costituiscono l’elemento portante e più significativo del disegno urbanistico della città (PU) e il connettivo a verde dell’edificato" (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II 09/06/2008 n. 1950).

Da ultimo va respinto anche il terzo motivo di ricorso in quanto non trattandosi di vincolo espropriativo non occorreva la previsione di un indennizzo in favore del soggetto inciso.

In definitiva quindi il ricorso va respinto.

Sussistono comunque giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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