Cons. Stato Sez. V, Sent., 04-01-2011, n. 11 Aggiudicazione dei lavori Contratto di appalto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1.- Con delibera n. 288 del 12 dicembre 2007, la Giunta del Comune di Novoli aveva affidato al responsabile dell’Ufficio Ambiente (e Segretario Generale del Comune) dr. M.R. l’incarico di reperire sul mercato proposte per lo sfruttamento dell’energia eolica e fotovoltaica, anche in vista della redazione del PRIE e della quantificazione della royalties spettanti al Comune stesso.

Con deliberazione n. 65 del 27 marzo 2008, la Giunta decideva quindi di aderire ad una proposta pervenuta dalla F. s.r.l. di Melfi e, approvata la bozza di convenzione "per incarico di affidamento del servizio di recupero degli indebiti, di consulenza energetica, razionalizzazione e risparmio energetico", incaricava il Responsabile dell’Ufficio Ambiente per la sottoscrizione del contratto.

2.- Con determinazione n. 301 del 14 aprile 2008, il dr. M.R., Segretario Generale con funzioni anche di Direttore Generale (e Responsabile dell’Ufficio Ambiente), approvava uno schema di convenzione "per la produzione di energia alternativa fotovoltaica a costo zero" e affidava a trattativa privata l’incarico alla F.. Lo stesso giorno veniva sottoscritta anche la relativa convenzione.

Con determinazione n. 366 del 6 maggio 2008 il dr. M.R. approvava poi il preventivo di leasing proposto dalla F.. Con successiva determinazione n. 485 del 23 giugno 2008 approvava un nuovo preventivo di un finanziamento di leasing a tasso fisso, offerto da un istituto bancario, per un importo pari a 29 milioni 250 mila euro e, in data 7 luglio 2008, con determinazione n. 563, approvava il progetto preliminare e definitivo per la costruzione di un impianto fotovoltaico.

3.- A seguito di delibera della Giunta comunale n. 230 del 28 novembre 2008, il Comune di Novoli, dopo aver provveduto alla sostituzione del Responsabile del Servizio Ambiente (dr. M.R.), con nota in data 9 dicembre 2008 comunicava alla F. l’avvio del procedimento di annullamento di tutti gli atti relativi alla richiamata procedura di affidamento, ivi compresa la convenzione già sottoscritta.

Il Comune, ricevute le osservazioni della parte, procedeva quindi all’annullamento degli atti con la determinazione n. 182 del 12 marzo 2009, comunicata con nota n. 4336 del 23 marzo 2009, avendo ritenuto che il dr. R., precedente Responsabile del Servizio Ambiente, aveva a suo tempo operato in totale carenza di poteri e al di fuori degli indirizzi stabiliti dalla Giunta comunale.

4.- Con il ricorso di primo grado la F. ha impugnato la deliberazione della Giunta Municipale del Comune di Novoli n. 230 del 28/11/2008, riguardante "annullamento del procedimento di cui alle determinazioni dirigenziali n. 301, 366, 485 e 563 del 2008" nonché la determinazione dirigenziale n. 182 del 12/3/2009, con cui è stato annullato l’intero procedimento e si è dato atto che il contratto repertoriato al n. 1287 del 14/4/2008 doveva ritenersi caducato.

La F. ha impugnato poi (con motivi aggiunti) anche il successivo bando di gara d’appalto (CIG 02885452DD) pubblicato in data 16/3/2009, avente ad oggetto il "servizio di gestione della illuminazione pubblica e realizzazione di interventi di efficienza energetica e di adeguamento normativo sugli impianti comunali con l’opzione di finanziamento tramite terzi del Comune di Novoli e della frazione di Villa Convento", nonché la deliberazione di Giunta Comunale n. 39 del 13/02/2009, con cui si era provveduto a privare di qualsiasi efficacia la D.G.C. n. 288 del 12/12/2007. La F. ha chiesto anche il risarcimento dei danni subiti a causa dell’agire dell’amministrazione.

5.- Con la sentenza appellata (n. 2569 del 5 novembre 2009) il TAR di Lecce ha respinto il ricorso proposto dalla F. (e i motivi aggiunti) nonché l’istanza risarcitoria.

La F., con l’appello in esame, ha chiesto la riforma della predetta sentenza del TAR di Lecce nonché l’annullamento e la revoca della deliberazione di Giunta Municipale del Comune di Novoli n. 230 del 28/11/2008, avente ad oggetto "annullamento del procedimento di cui alle determinazioni dirigenziali n. 301, 366, 485 e 563 del 2008", nonché la determinazione dirigenziale n. 182 del 12/3/2009, con cui si è provveduto ad annullare l’intero procedimento di cui alle determine innanzi indicate nonché a "caducare" il contratto repertoriato al n. 1287 del 14/4/2008, e tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali; nonché l’annullamento del bando di gara d’appalto (CIG 02885452DD) pubblicato in data 16/3/2009, avente ad oggetto "servizio di gestione della illuminazione pubblica e realizzazione di interventi di efficienza energetica e di adeguamento normativo sugli impianti comunali con l’opzione di finanziamento tramite terzi del Comune di Novoli e della frazione di Villa Convento", e della deliberazione di Giunta Comunale n. 39 del 13/02/2009 con cui si è provveduto a privare di qualsiasi efficacia la D.G.C. n. 288 del 12/12/2007.

La F. ha poi chiesto anche la condanna del Comune al risarcimento dei danni subiti, quantificati in Euro 172.947,00, a titolo di danno emergente, ed Euro 7.633.800,00 a titolo di lucro cessante, oltre interessi dalla data di maturazione di ogni singolo diritto e sino al soddisfo.

6.- Sostiene l’appellante l’erroneità della sentenza del TAR di Lecce in quanto, nella fattispecie, mancavano i presupposti per il corretto esercizio del potere di annullamento in autotutela degli atti ritenuti illegittimi (in relazione al termine per l’esercizio del potere, alla mancanza dell’interesse pubblico e in considerazione del legittimo affidamento del privato), per la violazione dell’art. 23 della legge TAR e considerato che comunque il Comune non poteva recedere da un contratto già sottoscritto.

7.- L’appello deve tuttavia essere respinto.

Risulta preliminarmente infondato il primo motivo con il quale è stata lamentata la violazione dell’art. 23 della legge TAR, in relazione all’affermato tardivo deposito (nel giudizio di primo grado) di memorie da parte del Comune (che il TAR ha ritenuto invece di poter esaminare).

Non solo infatti, come affermato dal giudice di primo grado, il ricorso ha per oggetto la procedura di affidamento di servizi pubblici (e di un’opera pubblica), con la conseguente applicazione del rito accelerato previsto per i ricorsi in materia di appalti (art. 23 bis della legge TAR, oggi art. 120 del Codice del Processo amministrativo), ma deve anche ritenersi che il TAR sarebbe giunto alle conclusioni cui è pervenuto anche senza l’esame della memoria che si asserisce tardiva, sulla base degli atti dell’amministrazione che con molta chiarezza hanno indicato le ragioni che hanno determinato l’esercizio delle funzioni di autotutela.

8.- Passando all’esame del merito, si deve osservare che risulta pacificamente dagli atti che il dr. R., precedente Segretario Generale del Comune con funzioni di Direttore Generale nonché Responsabile del Settore Ambiente, aveva agito, come affermato dal Comune e ritenuto dal giudice di primo grado, ben oltre i limiti dell’incarico che gli era stato affidato dal Comune con la delibera di Giunta n. 288 del 12 dicembre 2007.

In particolare risulta evidente il contrasto fra i contenuti della delibera di Giunta n. 65 del 27 marzo 2008 (nella versione depositata in giudizio dal Comune) e la successiva determinazione dirigenziale n. 301, in data 14 aprile 2008.

Con la delibera n. 65 infatti la Giunta, vista la proposta pervenuta dalla F. s.r.l. di Melfi, autorizzava il dr. R., Responsabile del Settore Ambiente, a sottoscrivere una convenzione con la detta società "per incarico di affidamento del servizio di recupero degli indebiti, di consulenza energetica, razionalizzazione e risparmio energetico", mentre con la successiva determinazione dirigenziale n. 301, in data 14 aprile 2008, il dr. M.R., Segretario Generale con funzioni di Direttore Generale, approvava uno schema di convenzione "per la produzione di energia alternativa fotovoltaica a costo zero" e affidava a trattativa privata l’incarico alla F., provvedendo poi, in pari data, alla sottoscrizione della relativa convenzione.

Più in particolare, con la delibera n. 65 del 2008, la Giunta aveva approvato una bozza di convenzione con la F. che riguardava un’attività di consulenza energetica volta, fra l’altro, al recupero di eventuali indebiti percepiti da fornitori di energia, dando atto che la delibera non comportava maggiori spese "ma solo il recupero di quanto indebitamente versato, non incassato e/o risparmiato dall’attività di razionalizzazione dei consumi energetici".

Nell’art. 1 della convenzione si prevedeva quindi "l’affidamento in via esclusiva dell’incarico di servizio di consulenza energetica a livello comunale "Energy Maneger"; il punto 1 dello stesso articolo prevedeva poi "l’accertamento del mancato incasso, per tutte le annualità non prescritte ed il recupero, in via giudiziale e/o stragiudiziale dell’addizionale comunale sui consumi di energia elettrica" e il punto 2 la consulenza per "il recupero in via giudiziale e/o stragiudiziale degli eventuali indebiti percepiti dai rispettivi fornitori energetici per errata fatturazione e/o prescrizione delle rispettive competenti Autorità addebitate all’Amministrazione negli ultimi Dieci Anni". Nella delibera non si prevedeva quindi un possibile affidamento a trattativa privata per la realizzazione di un parco fotovoltaico su aree del Comune.

9.- Ben diverso risulta invece il contenuto dei successivi atti dirigenziali (che il Comune ha ritenuto di dover annullare) con i quali il dr. M.R. ha disposto, in assenza di una gara pubblica, l’affidamento in esclusiva alla F. della realizzazione di un vero e proprio parco fotovoltaico con l’assunzione di un rilevante impegno economico (almeno iniziale) per il Comune.

Risulta quindi corretto l’operato della Giunta Comunale che, rilevate tali evidenti difformità fra il contenuto degli atti di indirizzo e gli atti concretamente posti in essere dal dr M.R., ha ritenuto di dover procedere all’annullamento di tali atti.

Infatti tali atti non solo si ponevano in contrasto, anche nella valutazione dell’interesse pubblico, con gli atti della Giunta ma, come correttamente affermato dal TAR di Lecce, risultavano anche illegittimi considerato che il dr. R. aveva esercitato funzioni spettanti ad altri organi comunali (Consiglio e Giunta) e che la realizzazione delle opere e dei servizi in questione non poteva comunque essere affidata alla società ricorrente a trattativa privata (art. 57 del Codice dei Contratti) ma doveva essere oggetto di una pubblica gara. Altre illegittimità (riguardanti il mancato rispetto degli atti di programmazione dei lavori pubblici e l’autorizzazione a contrarre) sono indicate negli atti impugnati.

10.- Sostiene peraltro la F. che diverso (e più ampio) è il contenuto della delibera n. 65 del 2008 risultante dalla copia "autentica" in suo possesso (pure depositata in giudizio) e che la (più restrittiva) delibera depositata dal Comune deve ritenersi non autentica.

Questa Sezione non può tuttavia dare rilievo alla copia della delibera depositata dalla F. dovendo viceversa ritenere autentica, fino a prova contraria, la copia della delibera depositata dal Comune che ne custodisce l’originale.

Infatti, per principio pacifico, per contestare l’autenticità di un atto pubblico occorre provarne la falsità davanti al competente giudice attraverso l’apposita querela di falso.

Querela di falso che è proponibile unicamente innanzi al Tribunale Ordinario, ai sensi dell’art. 9 comma 2, c.p.c., e ciò, per quanto disposto dall’art. 28, comma 3, del r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 e dell’art. 8 comma 2, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034(v. ora l’art. 77 del d. lgs. n. 104 del 2 luglio 2010, recante il Codice del Processo amministrativo), anche quando la questione riguarda una controversia giurisdizionale amministrativa.

11.- Non avendo la F. proposto querela di falso del documento prodotto in giudizio dall’amministrazione (e non avendo nemmeno chiesto la fissazione di un termine per proporre la querela davanti al giudice ordinario), questa Sezione non può che decidere sulla base del documento depositato dall’amministrazione che deve ritenersi per la sua provenienza e per il suo contenuto autentico.

Sul punto si può solo aggiungere che, con atto del 15 gennaio 2010, depositato in giudizio il 6 luglio 2010, il Comune di Novoli ha trasmesso sulla questione una informativa alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce.

12.- Sulla base di quanto emerso risulta quindi esente da censure, come correttamente ritenuto dal giudice di primo grado, l’operato del Comune che, nell’esercizio dei suoi poteri di autotutela, ha ritenuto di dover annullare gli atti illegittimamente posti in essere dal dr. R..

Risultano presenti infatti tutti i presupposti che la legge (art 21 nonies della legge n. 241 del 1990) richiede per poter procedere in via di autotutela. E quindi non solo l’illegittimità degli atti ma anche evidenti ragioni di interesse pubblico, l’esercizio dell’attività di autotutela entro un termine ragionevole, la valutazione degli interessi dei destinatari certamente recessivi, in relazione alla particolarità della vicenda, rispetto all’interesse pubblico.

13.- Per quanto riguarda poi l’affermazione della appellante secondo cui il Comune non poteva comunque recedere da un contratto già sottoscritto (secondo motivo di appello), si deve ricordare che nella fattispecie non può parlarsi di recesso unilaterale dal contratto ma di caducazione del contratto a seguito dell’annullamento degli atti che ne hanno determinato la sottoscrizione.

Infatti l’accertata illegittimità della procedura di affidamento di un’opera o di un servizio da parte di una pubblica amministrazione determina, in generale, oltre l’annullamento degli atti di aggiudicazione ritenuti illegittimi anche l’inefficacia del contratto eventualmente già sottoscritto (cfr. fra le più recenti, Consiglio Stato, sez. V, 9 aprile 2010, n. 1998).

Questa Sezione, in relazione al possibile esercizio in materia dei poteri autotutela, ha affermato che, anche se nei contratti della Pubblica amministrazione l’aggiudicazione, quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segna di norma il momento dell’incontro della volontà della stessa Amministrazione e del privato di concludere il contratto, manifestata con l’individuazione dell’offerta ritenuta migliore, non è tuttavia precluso all’Amministrazione di procedere, con atto successivo e con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, all’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione, fondandosi detta potestà di annullamento in autotutela sul principio costituzionale di buon andamento che impegna la pubblica Amministrazione ad adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire, ma con l’obbligo di fornire una adeguata motivazione in ordine ai motivi che, alla luce della comparazione dell’interesse pubblico con le contrapposte posizioni consolidate dei partecipanti alla gara, giustificano il provvedimento di autotutela (Consiglio Stato, sez. V, 10 settembre 2009, n. 5427; sez. V, 7 gennaio 2009, n. 17).

E l’Amministrazione ha il potere di annullare l’aggiudicazione di un appalto pubblico anche dopo la stipulazione del contratto, in presenza ovviamente di adeguate esigenze di interesse pubblico. In tale evenienza e in virtù della stretta consequenzialità tra l’aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto, l’annullamento giurisdizionale, ovvero, come nella specie, l’annullamento a seguito di autotutela degli atti della procedura amministrativa, comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto successivamente stipulato, stante la preordinazione funzionale tra tali atti. Infatti il contratto non ha una autonomia propria ed è destinato a subire gli effetti del vizio che affligge il provvedimento cui è inscindibilmente collegato restando "caducato" a seguito dell’annullamento degli atti che ne hanno determinato la sottoscrizione (cfr. per alcuni profili Consiglio Stato, Adunanza plenaria, 30 luglio 2008 n. 9, secondo cui l’annullamento dell’aggiudicazione determina un vincolo permanente e puntuale sulla successiva attività dell’amministrazione, il cui contenuto non può prescindere dall’effetto caducatorio del contratto stipulato).

14.- In relazione al quadro descritto non può darsi quindi rilievo alla affermazioni della F. circa il vantaggio di natura economica che l’amministrazione comunale avrebbe potuto ricevere dalla realizzazione dei servizi e delle opere oggetto dell’affidamento poi annullato.

15.- Devono essere poi respinte anche le doglianze sollevate avverso la parte della sentenza del TAR con la quale sono stati ritenuti infondati i motivi aggiunti proposti avverso la delibera della Giunta n. 39 del 13 febbraio 2009 (con la quale è stata disposta la sostanziale revoca della delibera n. 288 del 2007) non sussistendo, in relazione al carattere generale della stessa, oneri di garanzia procedimentale (che del resto l’amministrazione aveva soddisfatto con riferimento agli atti che avevano direttamente riguardato la società appellante).

16.- Come sostenuto dal Comune resistente devono infine ritenersi improcedibili le doglianze sollevate (con i primi motivi aggiunti del ricorso di primo grado) avverso il bando, pubblicato il 16.3.2009, con il quale era stata bandita una gara d’appalto per il servizio di illuminazione pubblica e la realizzazione di interventi di efficienza energetica e di adeguamento degli impianti comunali, non risultando impugnati dall’appellante anche gli atti con i quali il Comune, in data 8.2.2010, ha aggiudicato la gara. In ogni caso non risultano nemmeno censurabili le valutazioni sul punto svolte dal giudice di primo grado che ha sottolineato il diverso oggetto della gara rilevando che i singoli interventi di "efficientamento" previsti avrebbero potuto anche essere realizzati mediante l’installazione di pannelli solari ma in ogni caso si sarebbe trattato di strutture poste all’interno o al servizio dei singoli edifici, senza per questo costituire, nell’insieme, un parco energetico a sé stante, quale quello oggetto degli atti annullati in autotutela.

17.- Per tutte le esposte considerazioni, ritenuta di conseguenza infondata la domanda risarcitoria, l’appello deve essere respinto.

Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sez. V, respinge l’appello

Condanna la parte appellante al pagamento di Euro 5.000 (cinquemila) in favore del Comune resistente per spese e competenze di giudizio

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 24-02-2011, n. 4514 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 23/11/05 la Corte d’Appello di Salerno sezione lavoro rigettò l’appello proposto da L.M. avverso la sentenza emessa il 7/7/04 dal giudice del lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo, con la quale gli era stata respinta la domanda formulata nei confronti della s.p.a. Poste Italiane per l’accertamento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato in relazione al periodo 1/7/00 – 30/9/00 ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26.11.94 per necessità di espletamento del servizio di recapito in concomitanza di assenze per ferie e, per l’effetto, confermò la sentenza gravata e compensò tra le parti le spese del grado.

La Corte salernitana pervenne a tale decisione dopo aver rilevato che le risultanze processuali, considerate nel loro complesso, avevano evidenziato l’effettività dell’esigenza sostitutiva posta a fondamento dell’assunzione a termine presso l’ufficio postale di (OMISSIS) nel suddetto periodo estivo in conformità alla citata previsione collettiva che, a sua volta, mutuava la propria legittimità dall’ampia delega di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23 mentre il limite temporale del 30/4/98 per il ricorso ai contratti a termine era stato previsto dalla stessa disciplina collettiva per la diversa ipotesi dei contratti stipulati per esigenze eccezionali legate al processo di trasformazione dell’ente.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il L. affidando l’impugnazione a due motivi di censura. Resiste con controricorso la s.p.a. Poste Italiane. Il ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

1. Col primo motivo di censura il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, oltre che della L. n. 56 del 1987, art. 23 sostenendo che, se per un verso è vero quanto ritenuto dal giudice d’appello circa il fatto che quest’ultima normativa permette alle organizzazioni sindacali di individuare altre ipotesi di stipula di contratti a termine rispetto a quelle tassativamente previste dalla prima, d’altra parte resta fermo il principio che il contratto a termine rappresenta pur sempre l’eccezione rispetto alla regola del contratto a tempo indeterminato. In particolare, il L. evidenzia che nella fattispecie, contrariamente a quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, si era verificata la violazione della L. n. 230 del 1962, posto che la causale della sua assunzione a termine era stata genericamente riferita alle assenze del personale per concomitanza di ferie, peraltro per un periodo di ben tre mesi, e senza l’indicazione del dipendente da sostituire. Il motivo è infondato.

Invero, questa Corte Suprema (cfr, da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933; conf. anche Cass. sez. lav. n. 18293 del 30/8/2007), decidendo su una fattispecie sostanzialmente simile a quella in esame (contratto a termine stipulato ex art. 8 ccnl. 26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre) ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

In particolare la violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie; tale statuizione del giudice di merito si pone in contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588) secondo cui l’art. 23 della legge 28 febbraio 1987 n. 56, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge.

Inoltre, altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7-3-2008 n. 6204) hanno confermato la decisione di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Infine, è stato anche affermato (v. Cass. 28-3-2008 n. 8122) che "l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 ccnl 26-11-1994) è quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti in ferie, l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operatività l’onere, per il datore di lavoro, di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti, nonchè la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unità organizzativa alla quale lo stesso è stato destinato".

Il sopra citato orientamento, ormai costante, di questa Corte deve essere pienamente confermato atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito e quelle oggi proposte all’attenzione della Corte non sono sorrette da argomenti che non siano già stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravità da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr. Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703).

2. Col secondo motivo il ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del C.C.N.L. del 26/11/94, degli Accordi integrativi del 25/9/97 e del 16/1/98, stipulati in virtù della L. n. 56 del 1987, art. 23 sul termine di durata. In pratica il L. si duole del fatto che, ad onta del limite temporale del 30/4/98 fissato dagli accordi integrativi per il ricorso alla tipologia del contratto a termine, il contratto di assunzione che lo riguardava era stato concluso in data 29/6/00 per il periodo 1/7/00 – 30/9/00, vale a dire in epoca successiva alla scadenza del termine per l’adozione di siffatti contratti.

Anche tale motivo è infondato, in quanto il ricorrente trascura la circostanza fondamentale rappresentata dal fatto che il predetto limite temporale del 30/4/98 era riferito ad ipotesi diversa da quella oggetto di causa, tanto più che tale questione è stata risolta dal giudice d’appello con specifica motivazione avverso la quale difetta ogni argomentazione di censura specifica: la Corte territoriale ha, infatti, evidenziato che il limite del 30/4/98 era stato previsto per la diversa ipotesi, di cui all’art. 8 del citato ccnl, della stipula di contratti a termine per esigenze eccezionali legate al processo di trasformazione e ristrutturazione dell’ente. Si osserva, infatti, che l’accordo del 25 settembre 1997, nell’aggiungere l’ipotesi delle esigenze eccezionali, ha confermato la volontà congiunta delle parti stipulanti di ritenere tuttora legittimamente operanti le altre ipotesi, tra cui quella dell’assenza per ferie, previste dall’art. 8 del c.c.n.l. del 1994; tale volontà di ritenere vigente quest’ultima ipotesi a prescindere da limitazioni di carattere temporale ha trovato esplicita conferma nell’accordo 27 aprile 1998 che estende al mese di maggio, limitatamente all’anno 1998, il periodo di ferie di cui all’art. 8 del c.c.n.l. del 1994.

Infatti, l’estensione al mese di maggio 1998 del periodo di ferie previsto dall’art. 8 del c.c.n.l. del 1994 (inizialmente fissato al periodo giugno – settembre) dimostra l’implicito riconoscimento dell’operatività dell’ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie anche per i successivi mesi estivi del 1998 (e per i successivi periodi feriali), a prescindere da ulteriori accordi autorizzatori; deve osservarsi da ultimo che la suddetta interpretazione non si pone in contrasto con la sopra citata norma di cui all’art. 87 del ccnl, del 1994, la quale fa salve le diverse decorrenze fissate per singoli istituti.

Il fatto che il limite del 30/4/98 era stato previsto esclusivamente per la diversa ipotesi, di cui all’art. 8 del citato ccnl, della stipula di contratti a termine per esigenze eccezionali legate al processo di trasformazione e ristrutturazione aziendale oltre che di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di trattativa, trova riscontro anche in una recente pronunzia di questa Corte, resa in un caso analogo riflettente l’ulteriore ipotesi, prevista dallo stesso accordo collettivo, dell’assunzione a termine in punte di più intensa attività stagionale. Si è, infatti, accertato (Cass. sez. lav. n. 16302 del 12/7/2010) che "in tema di contratto a termine dei dipendenti postali l’assunzione per "punte di più intensa attività stagionale", rientra nell’originaria formulazione dell’art. 8 del c.c.n.l. del 1994 ed è una ipotesi di contratto a termine direttamente introdotta dalla contrattazione collettiva, che ha natura autonoma non solo rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie ai sensi della L. n. 230 del 1962, ma anche rispetto ai vincoli cui è sottoposta la fattispecie introdotta dall’accordo integrativo 25/9/1997 (le ed. esigenze eccezionali). Pertanto deve essere escluso per le "punte stagionali" il limite temporale del 30/4/1998 previsto per l’assunzione per esigenze eccezionali, in quanto l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo contempla, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione in periodo caratterizzato da intensa attività di servizio. Ne discende che il giudice di merito è tenuto unicamente a verificare se sussistano elementi di fatto tali da supportare l’esistenza delle "punte" richieste dai CCLN." Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio in Euro 15,00 per esborsi e in Euro 2000,00 per onorario, oltre spese generali, IVA, CPA ai sensi di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-03-2011, n. 6829 Contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 21 dicembre 2004 la Corte d’appello di Genova – pronunciando sull’appello proposto da A.A.M. nei confronti di PROFIT SIM Società di Intermediazione Mobiliare s.p.a., Lloyd’s Of London, Qbe International Insurance Limited. Cna International Reinsurance Company Ltd e Fallimento M.A. avverso la sentenza del Tribunale di Chiavar in data 19 marzo 2002. che aveva respinto la domanda con la quale la medesima A. aveva chiesto, con citazione notificata il 22 luglio 1999, la condanna di PROFIT SIM s.p.a. alla restituzione, oltre al risarcimento degli ulteriori danni da liquidarsi in separata sede, della complessiva somma di L. 650.356.557 da lei versata per l’acquisto di certificati di deposito ad M.A., promotore finanziario operante per la suddetta società, che si era indebitamente appropriato di tale somma – in accoglimento del gravame condannava la PROFIT SIM s.p.a. al pagamento in favore dell’ A. della somma di Euro 335.881.13 (pari a L. 650.356.557), oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali, e al risarcimento del danno ulteriore, da determinarsi in separata sede. Con la medesima sentenza, inoltre, la Corte di merito dichiarava Lloyd’s Of London, Qbe International Insurance Limited e dia International Reinsurance Company Ltd. chiamate in causa nel giudizio di primo grado dalla convenuta quali società presso le quali era assicurata, tenute a garantire la PROFIT SIM s.p.a. in ordine a quanto da questa dovuto alla A., previa detrazione dello scoperto contrattualmente previsto ed entro il limite massimo di indennizzo stabilito nei contratti di assicurazione, dichiarando infine improcedibili le domande di garanzia proposte nel giudizio di primo grado da PROFIT SIM s.p.a..

Lloyd’s Of London, Qbe International Insurance Limited e Cna International Reinsurance Company ltd nei confronti del Fallimento M.A..

2. A fondamento della decisione, la Corte d’appello di Genova così motivava:

a – diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado – che aveva ritenuto mancare la prova del fatto costitutivo allegato a fondamento della domanda risarcitoria e consistente nell’avvenuta erogazione da parte della A. al M. della somma di denaro indicata dall’attrice – la prova di tale fatto costitutivo doveva ritenersi conseguita sulla base di un triplice ordine di elementi, ossia, in primo luogo, gli accertamenti compiuti nel procedimento penale celebratosi a carico del M.. imputato di bancarotta fraudolenta e di truffa pluriaggravata e continuata in danno della A. e di numerose altre persone, nonchè le risultanze delle schede di prenotazione dei certificati di deposito sottoscritte dalla A. e la dichiarazione a firma del M., sottoscritta il 5 marzo 1998, che aveva confermato l’avvenuta prenotazione da parte dell’ A. di titoli di natura e di importo corrispondenti a quelli indicati in atti;

b – in particolare, il giudice penale aveva accertato che la A. aveva sottoscritto schede di prenotazione di certificati di deposito emessi da Mediocredito Lombardo s.p.a. rivelatisi inesistenti, versando al M., a mezzo di assegni bancari, la complessiva somma di L. 744.702.990. ottenendo il limitato rimborso di L. 90.000.000 e subendo quindi un danno definitivo di L. 654.702.990:

tale accertamento, compiuto sulla base di molteplici e attendibili elementi istruttori (compresa una consulenza tecnica di natura contabile), era stato posto a base della sentenza di condanna del M., sostanzialmente confermata dalla Corte di appello, che aveva soltanto modificato l’entità della pena sull’accordo delle parti;

c – le schede di prenotazione, recanti l’intestazione della PROFIT contenevano l’indicazione di somme per l’importo complessivo di L. 650.748.557, approssimativamente corrispondente, anche se di poco superiore, a quello precisato ne petitum dell’appellante; inoltre la dichiarazione sottoscritta dal M. il 5 marzo 1998 conteneva la precisazione che "il capitale in essere al 1 gennaio 1998" ammontava a L. 744.702.990, con l’ulteriore indicazione dell’avvenuta restituzione di L. 90.000.000;

d – confermava tale quadro probatorio la deposizione della teste An., la quale, se pur nulla aveva potuto riferire sul versamento delle somme da parte della A., era stata presente quando il M. si era impegnato a restituire la somma di oltre L. 650 milioni:

e – sulla scorta di tale ricostruzione dei fatti, doveva esser riconosciuta la responsabilità della SIM convenuta, alla stregua del disposto della L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 5, comma 4, che assoggetta espressamente le società di intermediazione mobiliare alla responsabilità solidale per i danni cagionati a terzi dai promotori finanziari nello svolgimento delle incombenze loro affidate e nel quadro delle attività funzionali a tali incombenze, anche quando tali danni siano conseguenti a fatti illeciti accertati in sede penale; in particolare, non era necessario configurare una specifica congruenza del comportamento concretamente posto in essere dal promotore con gli scopi perseguiti dalla società di intermediazione attraverso la sua attività, essendo sufficiente la configurabilità di un rapporto di necessaria occasionalità tra fatto illecito del preposto ed esercizio delle mansioni affidategli;

restava altresì irrilevante che nella specie la A. avesse mostrato di ignorare la PROFIT SIM come propria controparte contrattuale ed avesse voluto instaurare un rapporto personale e diretto con il M. -, in quanto la consegna delle somme era comunque avvenuta nei confronti di un soggetto che si presentava qualificato dalle mansioni di promotore finanziario e dall’uso di strumenti documentali tipici delle operazioni di legittimo investimento mobiliare, avvalorati dall’espressa indicazione in essi contenuta della SIM di riferimento;

f – nella fattispecie in esame si ponevano in evidenza anche estremi di culpa in vigilando nella condotta della SIM, per la mancata adozione di tutte le misure idonee ad evitare il danno cagionato da comportamenti anomali del promotore, in particolare per l’omesso tempestivo controllo sulla modulistica restituita dal M. alla SIM e soprattutto sulle schede di prenotazione, delle quali il M. stesso aveva potuto compiere la materiale falsificazione;

g – era altresì da escludere che la A. avesse dato causa al danno da lei subito, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1227 c.c., in particolare per la mancata osservanza, nella consegna al M. dell’equivalente pecuniario dei titoli, delle modalità previste dalla legge e indicale nella modulistica, secondo cui ogni pagamento doveva essere effettuato mediante bonifico bancario o assegno non trasferibile, a favore de soggetto emittente o della SIM di riferimento, ovvero a favore del sottoscrittore stesso con girata piena seguita da clausola di non trasferibilità; ciò perchè era ragionevole ritenere che la A., tenuto anche conto del suo livello socio-cultuale, fosse stata resa edotta delle modalità di pagamento, non attraverso la consultazione del prospetto informativo e dei moduli contrattuali, ma proprio tramite le informazioni fornite dal promotore in cui riponeva fiducia; comunque, anche a voler riconoscere la rilevanza causale nella produzione dell’evento finale dell’errore di convincimento in ordine alla regolarità dei pagamenti, risolvendosi tale errore nell’omissione di quelle cautele che la normativa prevede in tema di acquisto dei prodotti finanziari, esso non integrava gli estremi di una causa autonoma e concorrente con la condotta fraudolenta del promotore, qualificandosi piuttosto come subcausa che trovava la sua matrice proprio in tale condotta, rispetto alla quale si poneva in rapporto di derivazione consequenziale e nella quale risultava giuridicamente assorbita in base al principio per cui causa causae est causa causati:

h – in ordine alla determinazione del contenuto dell’obbligazione risarcitoria, la condanna della PROFIT doveva essere pronunciata limitatamente alla minore delle differenti somme indicate in atti, pari a L. 650.356.557, sulla quale si era concentrata anche la domanda della A., che non avrebbe potuto essere superata se non incorrendo in un vizio di ultrapetizione.

3. Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di cinque motivi, la PROFIT SIM. Resistono con controricorso A.A.M., Cx Reinsurance Company Limited (già Cna International Reinsurance Company Lld) e Lloyd’s Of London. Le due compagnie assicuratrici propongono anche ricorso incidentale, articolato su sci motivi, mentre non hanno svolto attività difensiva la Qbe International Insurance Limited e il Fallimento M.A., La controricorrente e le ricorrenti incidentali hanno anche depositato memoria.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., deve disporsi la riunione dei ricorsi, in quanto attinenti air impugnazione della medesima sentenza. Con il primo motivo del ricorso principale PROFIT SIM s.p.a. – denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e insufficienza e contraddittorietà della motivazione – censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha affermato "…che la prova del fatto oggettivo di cui trattasi…" (ossia la consegna al M. della somma necessaria all’acquisto dei certificati di deposito) "…deve ritenersi conseguita in via di soddisfacimento del criterio generale distributivo dell’onere della prova dettato dall’art. 2697 c.c….".

Al riguardo la ricorrente afferma che:

– i giudici di appello si sono contraddetti, da un lato sostenendo che il giudice penale aveva accertato che la A. aveva sottoscritto le schede di prenotazione dei certificati di deposito emessi da Mediocredito Lombardo, rivelatisi inesistenti, versando al M. assegni bancari per la complessiva somma di L. 744.702.990. ottenendo la restituzione di L. 90.000.000 e subendo quindi un danno definitivo di L. 654.702.990. e. per altro verso, riconoscendo che l’accertamento svolto nel processo penale non poteva esplicare, nel giudizio civile promosso nei confronti della PROFIT SIM, rimasta estranea a tale giudizio penale, l’efficacia probatoria conferita dagli artt. 651 e 654 c.p.p., al giudicato penale;

– gli assegni bancari che la A. ha affermato aver consegnato al M. non sono mai stati prodotti nel giudizio penale, nè in sede di insinuazione al passivo del Fallimento M. e neppure nel primo e secondo grado del presente giudizio civile;

– le schede di prenotazione dei certificati di deposito, come anche rilevato dal Tribunale di Chiavari, erano incomplete, perchè mancanti della indicazione di come fossero state versate le somme che la A. ha asserito di aver investito; le schede stesse, inoltre, indicavano chiaramente i mezzi di pagamento ammessi, in ottemperanza all’art. 14, comma 9, del Regolamento Consobn. 5388 del 1991;

– con riferimento alla dichiarazione del M. del 5 marzo 1998. che, secondo la Corte territoriale confermerebbe in linea di fatto l’avvenuta prenotazione dei titoli da parte dell’ A. per la somma di circa L. 650 milioni, non si è tenuto conto del principio giurisprudenziale per il quale la confessione giudiziale o stragiudiziale ha efficacia di prova solo ai danni di chi la rende e non ai danni di altri soggetti, quali debitori solidali o comunque litisconsorti facoltativi;

– del tutto irrilevante, ai fini della prova della consegna del denaro al M. era la testimonianza resa dall’ An..

2. Con il secondo motivo la ricorrente principale denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 1 del 1991, art. 5, comma 4, nonchè insufficienza della motivazione, e afferma che il principio della responsabilità oggetti va o indiretta delle SIM per i fatti illeciti compiuti dai propri promotori nell’ambito dell’attività da questi ultimi svolta per le SIM stesse, non può essere interpretato quale fonte illimitata di tutela in favore di quegli investitori che palesemente violano le previsioni di legge e dei regolamenti, nè quale vincolo assoluto di responsabilità oggettiva della SIM per i comportamenti dei promotori finanziari, o per le attività da questi personalmente svolte al di fuori dei mandati loro conferiti. Al riguardo deduce che:

– la A., come desumibile dalla documentazione in atti, ha sempre riconosciuto come proprio debitore il solo M., considerandolo non quale mandatario di PROFIT SIM, ma quale autonomo soggetto di imputazione di interessi; di conseguenza non può invocarsi la responsabilità oggettiva della SIM L. n. 1 del 1991, ex art. 5, comma 4, in quanto il M. non ha svolto presso la A. attività di mandatario della PROFIT:

– è infondata anche la tesi dell’asserita culpa in vigilando della PROFIT. stante la palese conoscenza da parte della A. della circostanza che il M.. imprenditore autonomo e
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale e di quello incidentale e rigetta il secondo motivo di entrambi i ricorsi. Accoglie nei termini di cui in motivazione, con riferimento ad entrambi i ricorsi, il terzo e il quinto motivo, quest’ultimo limitatamente alla censura relativa alla configurabilità dell’ulteriore danno patrimoniale, e dichiara assorbito il quarto motivo di entrambi i ricorsi. Respinge il sesto motivo del ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata in ordine alle censure accolte e rinvia, anche per la spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Genova in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-02-2011) 28-02-2011, n. 7571

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. A.H. ricorre contro la sentenza della Corte d’appello di Brescia che confermava quella di primo grado che l’aveva dichiarato colpevole dei reati di resistenza a pubblico ufficiale e di lesioni personali aggravate e, ritenuta la continuazione, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, l’aveva condannato alla pena di mesi otto di reclusione. Nei motivi di gravame denuncia mancanza e illogicità della motivazione:

1. in ordine al mancato riconoscimento dell’esimente di cui al D.Lgs.Lgt. n. 288 del 1944, art. 4, assumendo che la decisione dei poliziotti, di condurlo in questura per accertamenti insieme ad altro giovane con il quale stava colluttando sulla pubblica via, sarebbe stata arbitraria, dal momento che egli era la vittima dell’aggressione;

2. in ordine alla pena inflitta, lamentando che non sarebbe stata considerata la particolare condizione psicologica in cui versava a causa dell’ingiusta aggressione patita.

2. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, perchè si esaurisce in una pedissequa ripetizione dei motivi d’appello già adeguatamente e correttamente confutati dalla sentenza impugnata.

La Corte territoriale, infatti, ha diffusamente motivato che l’ordine impartito dagli agenti della polizia di Stato al ricorrente, affinchè li seguisse negli uffici della questura, era perfettamente legittimo. Invero la polizia, avendo sorpreso l’imputato mentre stava colluttando con altro soggetto sulla pubblica via e avendo reperito sul posto un coltello evidentemente usato da uno dei contendenti, aveva il dovere di intervenire nell’esercizio delle funzioni istituzionali di prevenzione e repressione dei reati. E, in effetti, intervenne per sedare la lite e per accertare l’eventuale commissione di reati e identificare i responsabili. Quindi l’invito rivolto ai due litiganti di portarsi presso la questura per accertamenti non solo era legittimo e doveroso, e non poteva non apparire tale ai due soggetti comandati. Che poi, nell’ambito della colluttazione, l’imputato avesse avuto il ruolo non di aggressore ma di aggredito, era circostanza ch’egli avrebbe potuto chiarire assecondando gli accertamenti iniziati dalla polizia, e non già opponendosi con violenza e minaccia ai pubblici ufficiali operanti.

Manifestamente infondato è anche il motivo subordinato, dal momento che il giudice di primo grado, proprio considerando il particolare stato d’animo dell’imputato caduto vittima di un’aggressione improvvisa, gli ha concesso le attenuanti generiche al fine di mitigare la pena.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.