Cass. civ. Sez. V, Sent., 20-05-2011, n. 11238 Imposta reddito persone fisiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.F., titolare dell’omonima ditta di derivati del latte e del burro, ha impugnato l’avviso di accertamento per IRPEF ed IVA, relativo all’anno d’imposta 1996, lamentando l’applicazione acritica dei parametri presuntivi, di cui al D.P.C.M. del 1996. La CTR della Puglia, con sentenza n. 54/08/05, depositata il 28.6.2005, ha rigettato l’impugnazione, rilevando che il contribuente non aveva fornito elementi giustificativi dei pretesi minori ricavi.

Il contribuente ricorre per la cassazione di tale sentenza. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate resistono con controricorso.
Motivi della decisione

In via preliminare, va rilevata l’inammissibilità del controricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non ha partecipato al pregresso grado di giudizio, nè è stato evocato dal ricorrente, rimanendo a suo carico le spese del giudizio. Infatti, a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, avvenuta con D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 e divenuta operativa dal 1 gennaio 2001 ( D.M. 28 dicembre 2000, ex art. 1), si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione "ad causam" e "ad processum" nei procedimenti introdotti successivamente al 1 gennaio 2001 spetta all’Agenzia, e la proposizione dell’appello da parte o nei confronti della sola Agenzia, senza esplicita menzione dell’ufficio periferico che era parte originaria, si traduce nell’estromissione di quest’ultimo (cfr. S.U. n. 3116 e n. 3118 del 2006, n. 22641 del 2007).

Col proposto ricorso, il contribuente deduce, in via principale, la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., affermando che la CTR ha rigettato la sua impugnazione con una motivazione qualificabile come "una asettica formula di stile", senza valutare le censure e le questioni da lui prospettate, e, dunque, il merito della controversia, in cui si dibatteva dell’inidoneità delle voci contabili, computate nei parametri, ad esprimere i maggiori ricavi determinati, specie, tenuto conto dell’ubicazione periferica della sua impresa, e dei dati desumibili dai documenti da lui prodotti (fotocopia del libro cespiti ammortizzabili, visura camerale storica, avviso d’accertamento). Il G. si duole, inoltre, che la CTR non abbia dato seguito alla richiesta di ammissione di una CTU, formulata D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, nè si sia pronunciata sugli altri motivi di gravame, e, segnatamente, sulla "violazione dell’art. 17 della L. n. 400/88", sull’illegittimità, insufficienza e contraddittorietà della sentenza di primo grado, "sugli altri motivi di merito", e "sulla illegittimità della sanzioni irrogate".

Subordinatamente, il ricorrente deduce difetto di motivazione e violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, art. 2697 c.c., L. n. 549 del 1995, art. 3, artt. 115 e 116 c.p.c., per non avere la CTR ritenuto che le circostanze provate nel corso del giudizio erano idonee a superare la presunzione dei maggiori ricavi accertati.

Le censure sono, in parte, infondate ed, in parte, inammissibili.

1. La dedotta nullità della sentenza, per l’apparenza della sua motivazione (tale è, nella sostanza, Terrore dedotto nella prima parte del composito motivo, sopra riassunto) è insussistente.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui si presta convinta adesione, tale vizio ricorre quando la sentenza manca delle argomentazioni atte a palesare le ragioni della decisione: non essendo il giudice tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione e prospettazione di parte, risulta, infatti, sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, l’esposizione, concisa, degli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti gli argomenti e le tesi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (Cass. n. 407/2006; n. 4079/2005; n. 12121/2004). Nella specie, l’obbligo di motivazione risulta assolto, avendo la CTR espresso le ragioni della conferma della pronuncia di primo grado, osservando, in adesione alle conclusioni cui era pervenuta la CTP, che il contribuente si era "sottratto alla prova su lui incombente non fornendo i documenti giustificativi dei pretesi minori proventi e ricavi denunziati", e ritenendo che gli elementi da lui dedotti non erano nè concreti nè specifici, e, dunque, erano inidonei a superare la determinazione presuntiva di ricavi, compensi e volume d’affari derivante dall’applicazione dei parametri.

2. La doglianza di omesso esame "sugli altri motivi di gravame", sopra menzionati, difetta di autosufficienza, non avendo il ricorrente in alcun modo, riportato il contenuto delle domande, in tesi, pretermesse, nè precisato se le stesse siano state mantenute ferme, in sede di conclusioni. Questa Corte ha, già, affermato (Cass. SU n. 11730/2010; n. 978/2007; SU n. 15781/2005) che tale onere di allegazione sussiste anche laddove si lamenti un vizio del procedimento ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) sia per consentire al giudice di legittimità di verifìcare la ritualità e tempestività di dette domande (o delle corrispondenti censure), sia perchè, pur configurando la violazione dell’art. 112 c.p.c. un "error in procedendo", per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del "fatto processuale", non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli.

3. La censura relativa all’omessa valutazione: a) della visura camerale storica – da cui si dovrebbero evincere le date di inizio e fine dell’attività-; b) del libro dei cespiti ammortizzabili – che documenterebbe la scarsa qualità dei beni strumentali utilizzati (tutti di seconda mano)-; c) dell’avviso di accertamento – da cui si accerterebbe l’assenza di dipendenti – difetta, del pari, di autosufficienza, non avendo il ricorrente riprodotto, nel ricorso, il contenuto di detti documenti, nè indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui essa è rinvenibile -nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti – nel giudizio di legittimità.

E ciò, in contrasto col principio ripetutamente affermato (Cass. n. 12239/2007; n. 20437/2008; n. 4056/2009), e qui condiviso, che impone tali adempimenti, in funzione del disposto dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (nel testo antecedente la riforma di cui al D. Lgs. n. 40/2006, qui applicabile) che sanziona (come, del resto, ora il nuovo) con l’improcedibilità la mancata produzione dei documenti fondanti il ricorso, producibili (in quanto prodotti nelle fasi di merito) ai sensi del primo comma dell’art. 372 c.p.c. (cfr., pure, Cass. n. 17915/2010).

4. Il profilo con cui il ricorrente lamenta il mancato accoglimento dell’istanza volta all’ammissione di una consulenza, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, è privo di fondamento. Questa Corte (Cass., n. 4589/2009; n. 366/2006; n. 16161/2003; n. 8439/2004) invero, ha rettamente ribadito che la disposizione invocata dal contribuente costituisce una norma eccezionale che non può essere utilizzata come rimedio ordinario per sopperire alle lacune probatorie delle parti, dal momento che il giudice tributario non è tenuto ad acquisire di ufficio le prove a fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio salvo che sia impossibile o sommamente difficile esercitarlo, perchè, diversamente, risulterebbe violato il principio dispositivo su cui si fonda il processo tributario.

5. La censura relativa alla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, art. 2697 c.c., L. n. 549 del 1995, art. 3 è, anch’essa, inammissibile: essa non risulta dedotta con riferimento al numero 3 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, neanche implicitamente, non avendo il ricorrente affatto illustrato in che modo e sotto quale profilo il disposto di cui alle disposizioni menzionate sarebbe stato male applicato, o travisato, o frainteso dalla CTR. 6. L’omesso esame del "merito della questione controversa", ed, in ispecie, l’asserto avvenuto superamento, tramite i documenti prodotti, della presunzione su cui si fonda la pretesa impositiva, nonchè la censura relativa all’erroneo apprezzamento delle prove, proposta merce il richiamo agli artt. 115 e 116 c.p.c., restano, da una parte7 assorbiti in conseguenza a quanto considerato nel punto sub 3., e sono, dall’altra, inammissibili perchè tendono ad un nuovo esame del merito della causa, precluso in sede di legittimità, potendo la Corte valutare, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica (cfr. Cass. n. 27162/2009; n. 18119/2008; n. 5489/2007) la valutazione espressa dal giudice del merito, cui, solo, compete di valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, e di scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

Le spese, secondo il criterio legale della soccombenza, vanno poste a carico del ricorrente ed in favore dell’Agenzia e si liquidano in Euro 2000,00, oltre spese prenotate a debito.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il controricorso del Ministero dell’Economia e delle finanze, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della spese, in favore dell’Agenzia, liquidate in Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-06-2011, n. 13596 Assicurazione contro i danni contro gli infortuni

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Svolgimento del processo

L’A.N.A.S. (ora Ente Nazionale per le Strade) conveniva, davanti al tribunale di Napoli, G.O. e la compagnia di assicurazioni Ausonia spa per il recupero della somma versata al proprio dipendente D.L. per l’infortunio dallo stesso subito, la cui responsabilità andava addebitata esclusivamente alla condotta del G..

Si costituiva la sola Previdente Assicurazioni spa, quale Compagnia di assicurazioni incorporante l’Ausonia spa. Il giudizio, interrotto a seguito del decesso del G., era riassunto dall’Ente Nazionale per le Strade nei confronti degli eredi dello stesso G. e nei confronti della "Previdente Spa ora Compagnia di Assicurazioni Milano", compagnia di assicurazioni che aveva, nelle more, "incorporato" la Previdente Assicurazioni.

Con comparsa depositata in data 1.4.2003, il difensore della convenuta concludeva – come si legge nella sentenza impugnata -, per la spa Fondiaria – SAI, "succeduta", a suo dire, "per incorporazione alla cessata Spa La Previdente".

Il tribunale, con sentenza del 12.9.2003, condannava gli eredi di G.O. e la Fondiaria SAI, nella qualità suddetta, al pagamento in solido della somma riconosciuta dovuta.

Proponeva appello la Fondiaria SAI spa denunciando la sua totale estraneità ai fatti di causa, per non avere mai "incorporato" la Previdente Assicurazioni spa e, tantomeno, la Milano Assicurazioni.

Si costituiva l’Ente appellato che contestava la fondatezza dell’appello proposto.

La Corte d’Appello, con sentenza del 2.4.2008, accoglieva l’appello e dichiarava "la nullità dell’impugnata sentenza nella parte in cui vi è pronuncia di condanna nei confronti della Fondiaria SAI Spa per difetto di rappresentanza processuale. Quindi, in riforma dell’impugnata sentenza RIGETTA la domanda nei confronti della Fondiaria SAI Spa per carenza di legittimazione passiva".

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi l’A.N.A.S. spa.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1^.

Secondo l’art. 366 – bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Un. 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 18 luglio 2007, n. 16002).

Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere formulato in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta (v. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art. 366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo). La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass. 7 aprile 2009, n. 8463; v. anche Sez. Un. ord. 27 marzo 2009, n. 7433).

Il ricorso rispetta i requisiti di cui all’art. 366 – bis cod. proc. civ..

Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione e falsa interpretazione degli artt. 82 e 83 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 156 c.p.c..

Il motivo è fondato.

La Corte di merito, una volta accertato che il difensore aveva compiuto un atto processuale – nella specie aveva presentato, nel giudizio di primo grado, comparsa conclusionale nell’interesse della Fondiaria Sai spa senza la prescritta procura ad litem, avrebbe dovuto considerare l’atto tamquam non esset, con la conseguente esclusione della qualità di parte della Fondiaria Sai spa, ma avrebbe comunque dovuto pronunciare, per l’effetto devolutivo dell’appello, nei confronti della parte originaria effettivamente evocata nel primo giudizio.

La Corte di merito, invece, così si è pronunciata "in riforma della impugnata sentenza, rigetta la domanda nei confronti della Fondiaria Sai s.p.a. per carenza di legittimazione passiva".

In tal modo, ha erroneamente riconosciuto che l’attività del difensore, pur sfornito di procura rilasciata dalla stessa Fondiaria Sai spa, fosse in grado di instaurare un rapporto processuale con la parte pseudo rappresentata, che, in tal modo, assumeva la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo, subentrando alle parti originariamente evocate; rigettando, poi, la domanda nei confronti della Fondiaria Sai spa, per difetto di legittimazione passiva. Diversamente, nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura, da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio, o nella fase di giudizio in esame (come nel caso di inesistenza della procura ad litem o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello per il quale l’atto è speso), l’attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte, e resta attività processuale di cui il legale assume l’esclusiva responsabilità (v. anche Sez. Un. 10 maggio 2006, n. 10706; Cass. 14 novembre 2006, n. 24281; Cass. ord. 16 gennaio 2009, n. 961).

Con il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 110 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 2504 bis c.c. (testo previgente) e degli artt. 303 e 178 c.p.c.. Il motivo è fondato per le ragioni che seguono. La Corte di merito ha rigettato la domanda nei confronti della Fondiaria Sai spa per carenza di legittimazione passiva così motivando: "Orbene dai rilievi e dalle considerazioni che precedono, segnatamente dall’assenza di ogni elemento documentale atto a dimostrare l’incorporazione della Spa La Previdente e della Milano assicurazioni nella Fondiaria Sai s.p.a. deve ritenersi che tale ultima compagnia sia estranea alla vicenda processuale di cui trattasi sicchè la domanda nei suoi confronti va rigettata per carenza di legittimazione passiva (rectius titolarità del rapporto dedotto in giudizio)". Ha, infatti, ritenuto errata la valutazione effettuata dal primo giudice nel riconoscere nella Fondiaria Sai spa il soggetto legittimato a stare in giudizio, con la sua conseguente condanna al pagamento della somma dovuta all’A.N.A.S.; e ciò perchè non risultavano dagli atti del giudizio elementi che provassero l’avvenuta incorporazione. Ma ad una premessa corretta la Corte di merito non ha fatto seguire la decisione consequenziale.

A tal fine, deve sottolinearsi che la fusione per incorporazione che si sia verificata prima dell’entrata in vigore del novellato art. 2504 bis cod. civ. (1 gennaio 2004), determina l’estinzione della società incorporata, non avendo la nuova disciplina normativa della fusione, introdotta del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, carattere interpretativo ed efficacia retroattiva, ma esclusivamente innovativo (Sez. Un. 14 settembre 2010, n. 19509). Vigente il regime precedente alla modifica dell’art. 2504-bis cod. civ. – applicabile ratione temporis nella specie -, la fusione di società determinava una situazione giuridica corrispondente alla successione universale e produceva l’estinzione delle società partecipanti alla fusione o della società incorporata, nonchè la contestuale sostituzione nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo alle stesse (v. anche Cass. 22 marzo 2010, n. 6845).

Ora, mentre il primo giudice ha ritenuto realizzata l’incorporazione, come dichiarata dal difensore avv. Esposito Corona nella comparsa conclusionale, la Corte di merito, invece, ha considerato erronea tale valutazione per " l’assenza di ogni elemento documentale atto a dimostrare l’incorporazione della Spa La Previdente e della Milano assicurazioni nella Fondiaria Sai s.p.a.".

E questa conclusione era corretta.

Ma, una volta esclusa, per le ragioni esposte, l’incorporazione e la conseguente assunzione della qualità di parte nei confronti della Fondiaria Sai spa, per non essere la stessa titolare del rapporto dedotto in giudizio, la Corte avrebbe dovuto esaminare la fondatezza della domanda e pronunciarsi nei confronti della società assicuratrice originariamente convenuta in giudizio. Con ciò sostituendo il proprio giudizio a quello del primo giudice.

Invece, la Corte di merito, omettendo di valutare l’effettivo soggetto passivo destinatario della l’originaria domanda, con la pronuncia in questa sede impugnata, non ha adottato alcuna statuizione sul merito della domanda stessa.

Con il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 333 c.p.c..

Il motivo è fondato.

La Corte di merito ha erroneamente ritenuto di non potersi pronunciare sulla domanda proposta nei confronti della compagnia di assicurazioni originariamente evocata in giudizio poichè " avverso la sentenza affetta da nullità non è stato proposto appello incidentale, quanto meno subordinato, nei confronti della società assicuratrice originariamente convenuta, talchè è inibita a questa Corte ogni altra valutazione sui fatti in questione". Ma la sentenza di primo grado, nel condannare in solido la spa Fondiaria – Sai, – che aveva ritenuto succedere per incorporazione alla cessata la Previdente spa – e gli eredi G. al pagamento della somma versata dall’attrice A.N.A.S. al proprio dipendente D.L. per l’infortunio dallo stesso subito, aveva accolto, ritenendola fondata, la domanda a tal fine proposta dalla stessa A.N.A.S.. Nessun onere di appello incidentale, neppure condizionato, incombeva, quindi, all’A.N.A.S. per la sua posizione di parte totalmente vittoriosa nel giudizio di primo grado (v. anche Cass. 23 giugno 2009, n. 14673; Cass. 6 settembre 2007, n. 18691; Sez. Un. 24 maggio 2007, n. 12067). L’onere di impugnazione presuppone, infatti, la soccombenza della parte, venendo, diversamente, a mancare l’interesse ad impugnare, richiesto dall’art. 100 cod. proc. civ. come essenziale requisito del diritto di azione o di eccezione e dello stesso diritto di impugnazione della sentenza. D’altra parte, nessun interesse avrebbe avuto l’attrice per la quale, riconosciuta la fondatezza della domanda, sarebbe stato irrilevante che la società assicuratrice condannata fosse quella originariamente evocata in giudizio o, piuttosto, quella subentrata a seguito di fusione per incorporazione, come ritenuto dal primo giudice.

Come già detto, quindi, la Corte d’appello, nel rigettare la domanda nei confronti della Fondiaria SAI spa per carenza di legittimazione passiva, avrebbe dovuto – una volta accertato che nessun fenomeno di incorporazione si era verificato – esaminare la domanda nei confronti della parte originariamente evocata in giudizio quale legittimato passivo (Ausonia spa; poi la Previdente spa, quindi Compagnia di Assicuazioni Milano spa), pronunciandosi sul fondo della stessa.

Conclusivamente, il ricorso è accolto, la sentenza cassata, e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione. Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso. Cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 12-04-2011) 15-04-2011, n. 15479 misure cautelari

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auro, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Venezia ha accolto la domanda di consegna di G.S., nei cui confronti è stato emesso in data 14 maggio 2010 mandato di arresto europeo da parte della autorità giudiziaria della Repubblica di Lituania, limitatamente a due ipotesi di appropriazione indebita a costei contestati come consumati in (OMISSIS), ed ha rigettato la richiesta invece per analogo delitto perchè commesso in Italia. Ha subordinato la richiesta alla condizione di cui alla lettera e della L. n. 69 del 2005, art. 19. 2. Ricorre la G. e denuncia inosservanza della legge penale in relazione all’art. 18, comma 1, lett. p) in quanto, come peraltro ritenuto dalla stessa corte distrettuale, l’ultima conclusiva appropriazione è avvenuta in Italia, sicchè le precedenti distrazioni di somme sono solo dei frammenti progressivi della azione delittuosa e come tali irrilevanti ai fini della competenza territoriale, radicatasi esclusivamente nel territorio italiano.

3. Con un secondo motivo, la G. denuncia violazione della L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. T, per mancata indicazione nel provvedimento coercitivo che la riguarda del termine ultimo di efficacia dello stesso.
Motivi della decisione

1. Il ricorso non è fondato.

2. E’ da puntualizzare, in fatto, che l’ipotesi delittuosa in esame, secondo la ricostruzione offerta nel mandato e ripresa dalla Corte di appello, che la stessa ricorrente non contesta, è stata realizzata mediante l’abuso delle credenziali bancarie, che la G. aveva in virtù del suo rapporto di lavoro con la società UBA Baltjega; il possesso delle stesse (codice PIN e password) le hanno consentito di operare in via informatica sul conto corrente del datore di lavoro, acceso presso la filiale di (OMISSIS) della AB Bankas Snoras, trasferendo con tre distinte operazioni la somma complessiva di LTL 2.321.378,40 sul proprio conto corrente personale, accesso in Lituania presso la medesima Banca Ab Snoras.

3. In relazione a tale meccanismo, non può revocarsi in dubbio che la programmazione del delitto, nonchè la sua stessa esecuzione sono strettamente collegati alla presenza della donna in Lituania; è pacifico che il delitto di appropriazione indebita si consuma nel momento e nel luogo in cui l’agente tiene consapevolmente un comportamento oggetti va mente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso ed incompatibile con il diritto del proprietario. Se ne deve dedurre che l’intera vicenda ha avuto uno sviluppo extranazionale, concentrandosi le operazioni bancarie nel territorio lituano da dove il denaro, grazie alle modalità virtuali del collegamento sulla rete, è stato prelevato ed incanalato nel conto corrente personale della G.. Nè i termini della questione, ai fini della competenza, sono immutati dall’avere la Corte negata la consegna per l’ultimo bonifico, in quanto tale pronuncia, cristallizzatasi in favore della consegnanda, in realtà sopravvaluta un abusivo accesso informatico, ma non considera che comunque anche in questo segmento l’azione era solo virtualmente proveniente da un computer installato in territorio italiano, ma di fatto operante su un conto estero, così che il passaggio reale e concreto del denaro si è perfezionato in Lituania.

4. Parimenti infondata è la denunciata violazione dell’art. 18, lett. e) e t), per carenza di motivazione del provvedimento cautelare interno in ordine alla indicazione del termine di efficacia della carcerazione preventiva e per la mancata indicazione dell’esistenza di limiti massimi nell’ordinamento processuale penale lituano.

5. In vero costituisce dato, ormai acquisito al patrimonio giuridico formatosi sulle tematiche del mandato di arresto europeo, secondo cui nella Repubblica Lituana in base al nuovo codice di procedura penale del 2005 sono operativi specifici termini di durata massima della custodia carceraria preventiva fino all’emissione della sentenza di primo grado, variabili a seconda della gravita del reato da quattro a quindici mesi, estensibili di ulteriori tre mesi con provvedimento del giudice istruttore (cfr. Calvanese, Problematiche attuative del mandato di arresto europeo, in Cass. Pen. 2007/5, pp. 1926 ss. Sez. 6, Sentenza n. 12665 del 19/03/2008).

6. Nè la mancata indicazione di un termine nel provvedimento emesso dalla autorità interna, pone nel nulla le garanzie de libertate dell’indagato, posto che, comunque, la legge determina esplicitamente i limiti della carcerazione, che in caso di superamento, legittimano l’esperimento di rimedi previsti dall’ordinamento. E’ stato affermato dalla nota pronuncia 30 gennaio 2007 n. 4614, che la disposizione di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. e non richiede affatto che il giudice nazionale ricerchi nel sistema straniero garanzie identiche a quelle previste nell’ordinamento italiano, ma che si proceda a "verificare, ai fini della consegna, se nella legislazione dello Stato membro di emissione in mancanza della fissazione esplicita di un termine di durata della custodia cautelare fino alla sentenza di condanna di primo grado, un limite temporale implicito sia comunque desumibile da altri meccanismi processuali". 7. E’ evidente, dunque, che non sussiste sotto nessun profilo la denunciata genericità del mandato, essendo del pari prive di fondamento le rimanenti osservazioni circa la finalità del mandato di assicurare la presenza della G. in Lituania solo a fini istruttori e non anche per il giudizio, in quanto frutto di una limitata quanto personale lettura dell’atto, che invece è esplicitamente finalizzato alla consegna ai fini processuali della indagata, per il tempo necessario – nei limiti sopra indicati – al giudizio.

8. In conseguenza del rigetto, la G. è da condannare al pagamento delle spese processuali.

9. La cancelleria curerà gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 11-08-2011, n. 17194

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza depositata il 7 giugno 2006, la Corte d’appello di Roma, nella controversia per separazione personale dei coniugi D.P.L. e C.R., uniti in matrimonio dall’aprile 1984 senza generare figli, rigettava sia l’appello proposto dalla prima sia l’appello incidentale proposto dal secondo avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 16 maggio/18 luglio 2003 che aveva: a) respinto la domanda della D.P. di addebito della separazione al C.; b) revocato, a decorrere dal maggio 2003, l’assegnazione della casa familiare, in comproprietà dei coniugi, alla D.P.; c) condannato il C. al pagamento di un assegno mensile di mantenimento di Euro 400,00 rivalutabile annualmente, con decorrenza dal mese in cui la beneficiarla avrebbe lasciato la casa familiare.

2. Avverso tale sentenza C.R. ha proposto ricorso a questa Corte con atto spedito per notifica a mezzo posta il 29 luglio 2007, basato su due motivi. L’intimata D.P.L. non ha svolto difese.

Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

3. Con i due motivi, il ricorrente denunzia l’omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione con riferimento, rispettivamente, al rigetto del suo appello incidentale diretto alla revoca dell’assegno di mantenimento ed alle richieste istruttorie formulate in appello dalla difesa di esso ricorrente.

3.1 Deve preliminarmente rilevarsi come al ricorso in esame, avente ad oggetto un provvedimento emesso nel giugno 2006, debbano applicarsi le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), e in particolare l’art. 6 che ha introdotto l’art. 366 bis cod. proc. civ.. Alla stregua di tali disposizioni -la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica-l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1-2-3- 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame.

Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multis: Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. 3.2. Il ricorso in esame non è conforme a tali disposizioni, atteso che nè il primo nè il secondo motivo contengono alcuna delle sintetiche indicazioni riassuntive prescritte dalle disposizioni stesse. La declaratoria di inammissibilità ne deriva dunque di necessità, senza provvedere sulle spese non avendo l’intimata resistito al ricorso.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.