T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter, Sent., 19-05-2011, n. 4385

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Rappresenta l’odierna esponente che la Legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Finanziaria per il 2006) all’art. l, comma 58, prevedeva che: "le somme riguardanti indennità, compensi, gettoni, retribuzioni o altre utilità comunque denominate, corrisposti ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati, presenti nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo l, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e negli enti da queste ultime controllati, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 settembre 2005". Detta disciplina, ex art. 1, comma 59, era soggetta al limite temporale di vigenza in base al quale: "a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e per un periodo di tre anni, gli emolumenti di cui al comma 58 non possono superare gli importi risultanti alla data del 30 settembre 2005, come ridotti ai sensi del medesimo comma 58".

Successivamente, con la legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), il legislatore interveniva al fine di estendere la disciplina prevista all’art. 1, commi 9, l0, 1l, 56, 58 e 61, della legge 266/2005, "alle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione… ", senza nulla prevedere in ordine al termine di vigenza originariamente fissato al 31 dicembre 2008.

Non essendo intervenuta una successiva disposizione legislativa di proroga delle riduzioni in questione, al 1° gennaio 2009 il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti riteneva cessati gli effetti dei citati commi 58 e 59 e i compensi ripristinati nell’ammontare anteriore all’applicazione della riduzione del 10%, dandone comunicazione agli enti vigilati con la nota n. 11215 del 14 ottobre 2008 recante indicazioni per la formazione del bilancio di previsione per l’esercizio 2009.

Successivamente il Ministero dell’Economia e delle Finanze, dopo che l’odierna esponente, come altre Autorità Portuali, aveva riportato i compensi ai livelli precedenti l’applicazione della riduzione del 10%, con circolare n. 32 del 17 dicembre 2009, affermava che "… nel contesto sistematico di una serie di misure dirette ad assicurare il contenimento strutturale della spesa per gli organismi collegiali, si ritiene non sussistano i presupposti per rideterminare, in aumento, le misure dei compensi ai componenti degli organismi collegiali di direzione, amministrazione e controllo stabiliti al 30 dicembre 2005 e ridotti del l0 %".

In sede di redazione del bilancio per il 2009 e di rendicontazione, tuttavia, l’Autorità esponente, avendo proceduto a riportare i compensi in parola ai livelli anteriori alla riduzione, appostava sul documento contabile le somme effettivamente erogate.

Sottoposto detto bilancio per l’approvazione al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, esercitante il controllo, lo stesso, con il provvedimento di approvazione del rendiconto generale 2009, premesso di avere "acquisito il parere del Ministero dell’Economia e delle Finanze nel quale è stata rappresentata la necessità che codesto Ente fornisca assicurazione di avere ottemperato a quanto indicato nella circolare RGS n. 32 del 17 dicembre 2009 con cui sono state fornite istruzioni circa l’applicazione della riduzione del 10% dei compensi ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali, di cui all’articolo l, commi 58 e 59, della legge 23/12/2005, n, 266" approvava il bilancio "con le prescrizioni sopra riportate".

Il bilancio poteva quindi considerarsi approvato se l’Autorità Portuale avesse provveduto alla correzione dello stesso, decurtando i compensi (già corrisposti nella misura intera, come dovuta per legge) del 10%, secondo quanto esplicitamente raccomandato dallo stesso Ministero con la ulteriore nota 7 settembre 2010, indirizzata a "tutte le Autorità Portuali", che prescriveva di "procedere al recupero di eventuali maggiori somme già erogate".

Avverso le predette note del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e la circolare n. 32/2009 del Ministero dell’Economia e delle Finanze l’esponente ha proposto il ricorso in epigrafe, chiedendo l’annullamento dei suddetti atti, previa sospensione dell’efficacia, per i seguenti motivi:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 58 e 59, della legge 23.12.2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006), dell’art. 7, comma 2, della legge 28.1.1994, n. 84 e dei principi sulla formazione del bilancio; eccesso di potere;

2) Eccesso di potere sotto vari profili: contraddittorietà con precedente comportamento della p.a.- illogicità – perplessità.

Nel presente giudizio si sono costituiti entrambi i Ministeri intimati per resistere al ricorso e ne hanno chiesto il rigetto siccome infondato nel merito.

Con atto di intervento ad adjuvandum, non notificato alle controparti, si è costituita altresì l’Associazione Porti Italiani – Assoporti, insistendo per l’accoglimento del gravame.

Con ordinanza collegiale n. 5203/2010 del 2 dicembre 2010, la Sezione accoglieva la domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati.

Alla Pubblica Udienza del 5 maggio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

La ricorrente impugna la circolare n. 32/2009 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha ritenuto "non sussistano i presupposti per rideterminare, in aumento, le misure dei compensi ai componenti degli organismi collegiali di direzione, amministrazione e controllo stabiliti al 30 dicembre 2005 e ridotti del l0 %", nonché le note del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che approvavano il Rendiconto generale 2009 dell’Autorità Portuale di Augusta se la stessa avesse provveduto alla correzione del documento, decurtando i compensi (già corrisposti nella misura intera) del 10%, e prescrivevano di "procedere al recupero di eventuali maggiori somme già erogate"; denuncia l’illegittimità degli atti gravati, chiedendone l’annullamento, per violazione dell’art. 1, commi 58 e 59, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 e dei principi sulla formazione del bilancio, oltre che per eccesso di potere.

Il ricorso è inammissibile.

Dalla documentazione agli atti di causa il Collegio rileva che la ricorrente Autorità, pur aderendo ad un’iniziativa comune di altre Autorità Portuali, presenta una situazione sostanzialmente diversa da quella degli altri enti che hanno proposto analoghi ricorsi avverso gli atti in epigrafe indicati, venuti in discussione alla odierna pubblica udienza.

E invero, l’Autorità Portuale di Trieste, a differenza della altre Autorità Portuali, aveva spontaneamente prestato ottemperanza al contenuto della circolare n. 32/2009, dichiarando che "provvederà a recuperare le somme corrisposte in eccedenza mediante decurtazione di quelle spettanti per l’anno 2010". In ragione di ciò, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con nota n. 56284 del 1° luglio 2010, nel prendere atto dell’assicurazione fornita, esprimeva parere favorevole all’approvazione del documento contabile in questione, senza porre alcuna prescrizione.

Conseguentemente, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sulla base della dichiarazione della ricorrente Autorità e del parere espresso dal citato Dicastero, procedeva, con nota n. 9104 del 9 luglio 2010, all’approvazione del Rendiconto generale 2009 senza richiedere all’Ente l’assicurazione di aver ottemperato a quanto contenuto nella citata circolare, e quindi senza condizioni o prescrizioni.

Non è dunque aderente al vero la prospettazione dei fatti seguita nel ricorso in epigrafe, in cui la nota ministeriale impugnata viene rappresentata in modo difforme dall’effettivo contenuto della nota n. 9104/10, di approvazione del documento contabile della ricorrente, allegata agli atti di causa.

Il gravame si appalesa, pertanto, inammissibile, sia perché volto a censurare asseriti vizi di un atto avente contenuto difforme dal vero, sia perché non sostenuto da un sia pur minimo interesse a ricorrere, considerato il contenuto pienamente favorevole dell’atto di approvazione che si impugna, privo di prescrizioni o condizioni di sorta per la ricorrente Autorità.

L’impugnazione è del pari inammissibile anche nella parte in cui si dirige avverso la circolare n. 32/2009 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che viene impugnata quale atto presupposto rispetto alla gravata nota di approvazione del Rendiconto generale 2009; deve infatti ritenersi che, nella specie – in disparte la circostanza della spontanea acquiescenza già prestata dalla ricorrente ai contenuti della suddetta circolare – difetta l’interesse a ricorrere anche avverso la presupposta circolare, essendo carente l’interesse a ricorrere avverso la nota ministeriale che ne fa applicazione.

Ciò stante, il ricorso è inammissibile e al Collegio non resta che darne atto.

Sussistono peraltro giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-04-2011) 01-06-2011, n. 22174 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 18 novembre 2009 il G.U.P. del Tribunale di Vicenza, per quanto rileva i questa sede, ha applicato, su accordo delle parti ex art. 444 c.p.p., a T.M. la pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa, a S.A. la pena di anni due e mesi dieci di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa, a E.D.T. la pena di anni quattro di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa, a E.H. la pena di anni quattro di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa, a E.J. la pena di anni quattro di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa ed a M. C. la pena di anni quattro di reclusione ed Euro 22.000,00 di multa, tutti per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 1 bis, Lo S., l’ E. e l’ Er. anche con l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis. I suddetti imputati hanno proposto distinti ricorsi per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

Il T. ed il M. lamentano illogicità, contraddittorietà e carenza di motivazione per la mancata pronuncia di sentenza assolutoria ex art. 129 c.p.p., per la mancata concessione delle attenuanti generiche ed in ordine alla valutazione del reato continuato ex art. 81 c.p..

Lo S. lamenta violazione di legge con riferimento alla contestata aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis in assenza di prova sulla sua attuale posizione di straniero nel territorio italiano.

L’ E.D. e l’ Er. lamentano violazione di legge con riferimento alla verifica della correttezza della qualificazione giuridica del fatto.

L’ E. lamenta inosservanza di norme processuali in relazione agli artt. 521 e 522 c.p.p. per la violazione del principio della correlazione fra accusa e sentenza.
Motivi della decisione

La sentenza va annullata in ordine alle statuizioni relative ai ricorrenti S., l’ E. e l’ Er. per una sopravvenuta causa di nullità della decisione, che investe la qualificazione aggravata della condotta criminosa e la definizione del trattamento sanzionatorio applicato, causa che discende dalla dichiarata incostituzionalità della circostanza aggravante della clandestinità ex art. 61 c.p., n. 11 bis contestata a detti imputati, disposizione (introdotta nel codice penale dalla L. 24 luglio 2008, n. 125) dichiarata incostituzionale con sentenza n. 249/2010 della Corte Costituzionale. La circostanza aggravante in parola ha spiegato incidenza nel determinismo della pena applicata all’attuale ricorrente segnatamente per quanto concerne la pena base del calcolo della sanzione, individuata in quella relativa al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 (aggravato dal solo non costituzionale art. 61 c.p., n. 11 bis). Donde il potenziale interesse degli imputati a far valere – ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4 – la sopravvenuta illegittimità della contestazione in parte qua in ragione dell’effetto abolitivo dell’art. 61 c.p., n. 11 bis, prodotto dalla sentenza n. 249/2010 della Corte Costituzionale.

Interesse dei prevenuti che trascende gli esiti decisori quoad poenam della sentenza di cui all’art. 444 c.p.p., per estendersi ai profili di natura esecutiva connessi al passaggio in giudicato della sentenza. In proposito giova evidenziare che l’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a) disposizione non a caso dichiarata anch’essa incostituzionale, in via consequenziale, dal giudice delle leggi con la suddetta sentenza n. 249/2010, precludeva la sospensione dell’esecuzione espiativa di pene detentive inferiori a tre anni di reclusione per i reati qualificati dall’aggravante della clandestinità ex art. 61 c.p., n. 11 bis, oggi rimossa anche dalla disciplina dell’esecuzione penale. L’impugnata sentenza deve, pertanto, essere annullata con rinvio al Tribunale di Vicenza che terrà conto che la pena illegittimamente approvata dal giudice di merito priva di validità la piattaforma negoziale sulla quale è maturato l’accordo sanzionatorio intercorso tra le parti e rende nulla la sentenza che ha ratificato quell’erroneo accordo. Di guisa che il Tribunale e le parti sono chiamate a compiere una valutazione ex novo della regiudicanda senza preclusioni di sorta riconducibili alla fase processuale già invalidamente esaurita, sì da poter accedere ad una rinegoziazione dell’accordo per l’applicazione di una pena conforme a criteri di legalità ovvero alla rinuncia dell’accordo medesimo, dando ingresso al giudizio ordinario o al giudizio abbreviato (cfr. ex plurimis: Cass. Sez. 5A, 229.2006 n. 1411, P.G. c/ Braidich, rv. 236033; Cass. Sez. 6A, 7.1.2008 n. 7952, Pepini, rv. 239082).

Quanto ai ricorsi di T., M. ed E.D. va considerato che nel "patteggiamento", una volta che il giudice abbia ratificato l’accordo, non è più consentito alle parti prospettare, in sede di legittimità, questioni con riferimento – non solo alla sussistenza ed alla qualificazione giuridica del fatto, alla sua attribuzione soggettiva, alla applicazione e comparazione delle circostanze, ma anche – alla entità e modalità di applicazione della pena (salvo che non si versi in ipotesi di pena illegale) (ex pluribus, Sezione 7, 21 dicembre 2009, El Hanana). Ciò che qui deve escludersi.

Riguardo alla lamentata pronuncia di sentenza assolutoria ex art. 129 c.p.p. di cui ai ricorsi di T. e M., si osserva che questa Corte ha ripetutamente affermato il principio che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica, tra l’altro, che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui al richiamato art. 129 c.p.p., deve essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione , anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. (Sez. un 27 marzo 1992, Di Benedetto, Rv ; Sez. Un. 27 dicembre 1995, Serafino). Nè l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.

Nel caso di specie il giudice da conto che, alla luce delle intercettazioni telefoniche effettuate e delle deposizioni testimoniali di alcuni acquirenti della droga da parte degli imputati, non vi sono le condizioni per una diversa e più favorevole pronunzia.

I ricorsi di T., M. ed E.D. sono quindi inammissibili.

Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna di questi ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di Euro 1.500,00 ciascuno a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da T. Mohammed ,.Ed Dahbi Taoufik e.Mohcine Charafed e.c.i.r.a.

p.d.s.p.e.c.a.q.d.s.d.

E.1.i.f.d.C.d.a.

A.c.r.a.T.d.V.l.s.r.a.

Sr.Ai., E.H. e Er.Ja..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-10-2011, n. 22314 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso ritualmente depositato, C.S. impugnava il decreto della Corte d’Appello di Catanzaro 9-01-2007, che aveva condannato il Ministero della Giustizia, al pagamento di somma in suo favore, quale equa riparazione del danno morale per irragionevole durata di procedimento, in punto determinazione del quantum.

Si è costituito il Ministero della Giustizia.

Il ricorrente ha depositato memoria per l’udienza.

Il Collegio dispone redigersi la sentenza con motivazione semplificata.
Motivi della decisione

Il Giudice a quo ha considerato il periodo dì ragionevole durata del procedimento, quello eccedente, e ha determinato il danno morale in conformità ai parametri CEDU e alla giurisprudenza di questa Corte (Euro 2.000,00; procedimento presupposto: 1 grado, novembre 2000 gennaio 2006).

Va precisato che non si può prescindere dagli ordinari termini di ragionevole durata (tre anni, per il primo grado) per intere categorie di controversie (nella specie, causa di lavoro), ma soltanto con riferimento al singolo procedimento, in relazione al quale il ricorrente nulla precisa.

Il tenore della decisione richiede che le spese del presente giudizio siano poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 600,00 per onorari oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 07-07-2011, n. 4047 Carenza di interesse sopravvenuta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con l’appello in esame il Comune di Venezia ha impugnato la sentenza del T.a.r. Veneto indicata in epigrafe.

Peraltro, con apposita memoria, lo stesso ha dichiarato di non aver più interesse alla decisione, essendo intervenuto un accordo conciliativo con l’originario ricorrente.

Pertanto, deve darsi atto della sopravvenuta carenza di interesse dell’appellante alla decisione del ricorso, così divenuto improcedibile.

Le spese e gli onorari del secondo grado di giudizio possono essere compensati tra le parti ivi costituite, per giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quinta, dichiara improcedibile l’appello r.g.n. 3925/2001.

Spese ed onorari del secondo grado di giudizio compensati.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.