Cons. Stato Sez. VI, Sent., 17-01-2011, n. 240

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, sede di Roma, la costituenda associazione temporanea di imprese fra A.&.I.D.M. s.p.a. (mandataria), I. s.p.a. e S.M. s.p.a. in persona dei rispettivi legali rappresentanti impugnava il provvedimento con il quale I. l’aveva esclusa dalla gara per la progettazione e la realizzazione del raddoppio della linea ferroviaria Orte – Falconara nel tratto di km. 4,315 compreso fra la stazione di Fabriano ed il posto movimento PM 128 di cui al bando pubblicato il 16 dicembre 2003 unitamente alla lettera d’invito di cui alla nota prot. DAL.AP.AA..00530/04 in data 19 aprile 2004 ed alla nota prot. DAL.AP.AA..112104/U in data 5 agosto 2004; l’esclusione era stata motivata con l’omessa indicazione nell’offerta di tre voci sulle 1409 previste.

Sosteneva la marginalità del’omissione riscontrata, che riguardava complessivamente Euro 101.185,73 rispetto ad un appalto dell’importo di Euro 66.240.217,86, l’erroneità del provvedimento d’esclusione in relazione all’art. 90 d.P.R. 21 dicembre 1999, n, 554, ed alla lettera d’invito, l’assenza di clausola d’esclusione per l’omissione riscontrata, la rimedi abilità dell’errore, meramente materiale, l’erroneo riferimento al giudizio di anomalia, la non essenzialità dei prezzi omessi; chiedeva quindi l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo del Lazio, sede di Roma, Sezione III ter, respingeva il ricorso.

Avverso la predetta sentenza insorge la costituenda associazione temporanea di imprese fra A.&.I.D.M. s.p.a. (mandataria), I. s.p.a. e S.M. s.p.a. in persona dei rispettivi legali rappresentanti contestando gli argomenti che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado, anche in ordine al risarcimento dei danni.

Si sono costituiti in giudizio I. in persona del legale rappresentante e T.I. s.p.a. in persona del legale rappresentante chiedendo il rigetto dell’appello; T.I. s.p.a. propone inoltre appello incidentale.

La causa è stata assunta in decisione alla pubblica udienza del 17 dicembre 2010.

L’appello è infondato.

L’appellante è stata esclusa dalla gara di cui sopra per non avere indicato, nella propria offerta, alcune delle opere previste.

Sostiene la sostanziale irrilevanza dell’omissione che riguarda solo tre opere su un totale di 1409; inoltre, l’importo globale delle opere in questione è pari ad Euro 101.185,73 su un totale di Euro 66.240.217,86.

Di conseguenza, l’omissione è di ridottissimo impatto sul complessivo andamento della gara, e la stazione appaltante avrebbe potuto far ricorso alla procedura di cui all’art. 90 d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554.

La tesi non è condivisa dal Collegio.

L’omissione di cui si tratta non può essere considerata di modesto impatto.

Basti osservare, a tale riguardo, che l’importo globale delle lavorazioni omesse pur riguardando una piccola percentuale dei lavori da eseguire, raggiungono comunque il non indifferente importo di Euro 101.185,73.

Il settimo comma dell’invocato all’art. 90 d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, dispone che "la stazione appaltante, dopo l’aggiudicazione definitiva e prima della stipulazione del contratto, procede alla verifica dei conteggi presentati dall’aggiudicatario tenendo per validi e immutabili i prezzi unitari e correggendo, ove si riscontrino errori di calcolo, i prodotti o la somma di cui al comma due. In caso di discordanza fra il prezzo complessivo risultante da tale verifica e quello dipendente dal ribasso percentuale offerto tutti i prezzi unitari sono corretti in modo costante in base alla percentuale di discordanza. I prezzi unitari offerti, eventualmente corretti, costituiscono l’elenco dei prezzi unitari contrattuali."

La norma quindi consente, ed anzi impone, alla stazione appaltante di correggere eventuali errori materiali contenuti nelle offerte dei partecipanti alla gara; non consente invece di integrare manifestazioni di volontà omesse o espresse in termini tali da rendere incerta la ricostruzione della proposta presentata.

La decisione di questo Consiglio di Stato, V, 22 aprile 2004, n. 2321, ha infatti riconosciuto che l’art. 90, comma 7, d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, conferma che l’indicazione dei prezzi unitari è un elemento essenziale dell’offerta, diversamente apparendo preclusa, nell’ipotesi di omessa comunicazione dei detti importi, la possibilità di provvedere alla verifica ed alle operazioni di ricalcolo ivi contemplate.

Il principio è applicabile nella presente fattispecie.

Deve essere rilevato come l’appellante abbia omesso l’indicazione di tre voci.

Se è vero che l’omissione di una voce può essere tale da comunque consentire – in sede di esame dell’offerta – la ricostruzione senza margini di opinabilità della volontà dell’offerente, mediante il raffronto fra la somma dei prezzi unitari ed il prezzo globale, non è men vero che una tale operazione matematica non può essere utile dove vi siano da ricostruire più voci, riguardo alle quali spetta soltanto all’offerente graduare quanto richiedere in relazione a ciascuna, trattandosi di valutazioni espressive di scelte tecniche ed economiche sue proprie, insurrogabili dall’ufficio.

Ritiene dunque il Collegio, sulla base di queste considerazioni, che l’omissione qui riscontrata ha carattere essenziale e irrimediabile d’ufficio, per il suo importo e per l’obiettiva incertezza che provoca in ordine all’effettivo contenuto delle voci dell’offerta presentata dall’appellante.

La stessa quindi rileva anche se non espressamente considerata dalla legge di gara fra le modalità di presentazione dell’offerta.

Di conseguenza, nel caso di specie l’intervento manipolatore della stazione appaltante comporta la sostituzione della sua volontà a quella, non espressa, dell’offerente.

La sentenza di primo grado deve, in conclusione, essere condivisa, e respinto l’appello principale.

L’appello incidentale deve essere per conseguenza dichiarato improcedibile.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento di spese ed onorari del presente grado del giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre agli accessori di legge, se dovuti, in favore di ciascuna delle parti costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere, Estensore

Gabriella De Michele, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. IV, Sent., 28-01-2011, n. 666 Esclusioni dal concorso

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Svolgimento del processo

Con ricorso iscritto al n. 7874 del 2005, il Ministero della giustizia propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, n. 770 del 18 aprile 2005 con la quale è stato accolto il ricorso proposto da A.G. per l’annullamento del provvedimento di esc1usione dal concorso a n.25 posti di segretario in prova, comunicato con nota n.7660 del 2.1.1986 della Pretura Unificata di Roma, ricevuta dalla ricorrente in 4.1.1986.

A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, la parte ricorrente aveva premesso che con DM del 21.5.1985 (pubblicato in GURI n.155 del 3.7.1985) il Ministro di Grazia e Giustizia bandiva un concorso per titoli per la copertura di 1283 posti di segretario dei distretti di Corte d’Appello e di 25 posti di segretario per il distretto della Corte d’Appello di Roma. Il bando prevedeva che fossero ammessi a partecipare "i cittadini italiani in possesso di diploma di istruzione secondaria di secondo grado" che fossero "risultati idonei in concorsi pubblici, per esami, per la qualifica iniziale della carriera di concetto, indirizzo amministrativo, indetti, su base nazionale o locale… ", e le cui "graduatorie fossero state approvate entro e non oltre la data del 17 febbraio 1985".

La ricorrente presentava domanda di partecipazione per il Distretto della Corte di Appello -di Roma allegando un attestato rilasciato dalla Direzione Compartimentale P.T. Lazio in cui e dichiarato che nel concorso per esami a 24 posti di Operatore Specializzato di Esercizio per gli Uffici Locali dell’Amministrazione P.T., "G.A…. è risultata idonea riportando la votazione complessiva di 12.400".

Nonostante ciò, la ricorrente ha ricevuto la nota indicata in epigrafe, con cui l’amministrazione le comunica di averla esclusa dal concorso avendo ritenuto insufficiente il suo titolo.

Chiesto l’annullamento del provvedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 172 e 173 del DPR 10.1.1957 n.3, dell’art.3 della L. 3.4.1979 n.101 e per eccesso di potere per carenza di motivazione, perplessità e sviamento, e violazione dell’art.2 del DM 21.5.1985 e dell’art.4 del DPR n.3/1957 ed in assenza di costituzione dell’amministrazione, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le doglianze, evidenziando la sufficienza del titolo posseduto.

Contestando le statuizioni del primo giudice, il Ministero appellante evidenzia l’erroneità della decisione, sostenendo la non assimilabilità delle diverse posizioni professionali.

Nel giudizio di appello, si costituiva A.G., chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

Dopo una prima richiesta istruttoria, data con ordinanza n. 5603/2005 emessa a seguito dell’udienza del 18 novembre 2005, all’udienza del 9 maggio 2006, l’istanza cautelare veniva respinta con ordinanza n. 2181/2006.

Alla pubblica udienza del 5 novembre 2010, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.

Motivi della decisione

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. – Con un unico motivo di diritto, la difesa erariale sostiene l’erroneità della decisione perché fondata su un sillogismo errato, atteso che il bando di gara non si limitava a richiedere tra i requisiti il mero superamento di un concorso per la carriera di concetto, ma aggiungeva altresì che tale concorso doveva prevedere l’accesso ad una carriera "a indirizzo amministrativo", situazione non verificatasi in concreto.

Per tali ragioni, il diniego di ammissione doveva considerarsi legittimo ed in linea con le previsioni di bando.

2.1. – La doglianza non può essere accolta.

Come già evidenziato dal giudice di prime cure, l’originaria ricorrente aveva conseguito l’idoneità in un concorso per l’assunzione di personale di esercizio di 4^ categoria per gli uffici locali dell’amministrazione P.T.. Il concorso superato richiedeva il possesso di diploma di istituto di istruzione secondaria di secondo grado e, nel dettaglio, prevedeva una serie di prove di esame, tra cui un colloquio vertente su "elementi dell’ordinamento dello Stato italiano" e su "diritti, doveri, incompatibilità e responsabilità degli impiegati civili dello Stato".

Stante l’omogeneità delle posizioni, e sulla scorta dell’allora operante art.173 del D.P.R. 10.1.1957 n.3 in relazione al quale per l’ammissione ai concorsi di accesso alle "carriere di concetto" era richiesto come titolo di studio proprio il diploma di istituto d’istruzione secondaria di secondo grado, l’esistenza di una differenziazione tra l’idoneità conseguita e le mansioni oggetto del bando in esame non appare condivisibile.

Non può quindi sostenersi la correttezza dell’azione amministrativa con riferimento alla circostanza che il concorso già superato dalla ricorrente fosse stato diretto all’acquisizione di una qualifica inferiore rispetto a quella per il cui conseguimento era stato bandito il concorso in scrutinio, stante la necessità del medesimo titolo di studio e l’assimilabilità (sebbene non l’identità) delle prove di esame sostenute.

Peraltro, la vicinanza delle mansioni oggetto di svolgimento si ricava anche dalla lettura dell’art.172 dello stesso D.P.R. 3 del 1957 e I’art.3 delIa L. 3.4.1979 n. 101. Nel primo testo si afferma che il personale delle carriere di concetto addetto agli uffici dell’amministrazione centrale o periferica svolge i compiti di carattere amministrativo, contabile e tecnico previsti dai singoli ordinamenti. Tale norma è completata dall’art.3 della L. 3.4.1979 n.101 che prevede come il personale di esercizio di IV categoria delle poste e telecomunicazioni esplica "attività amministrativo contabili, tecniche e specialistiche dell’esercizio", oltre "ad attività di coordinamento di più operatori".

Non vi sono quindi elementi che possano supportare la difesa dell’appellante nel sostenere che la qualifica acquisita dalla ricorrente nell’amministrazione delle poste e telecomunicazioni fosse inidonea ad operare come requisito di ammissione al concorso di cui si verte.

In fatto, peraltro, la detta idoneità è stata dimostrata sulla base degli eventi successivi, accertati dall’istruttoria operata da questa Sezione, che hanno dimostrato come l’appellata svolga continuativamente le dette mansioni, attualmente presso la Commissione tributaria provinciale di Roma.

3. – L’appello va quindi respinto. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 7874 del 2005;

2. Condanna il Ministero della giustizia a rifondere a A.G. le spese del presente grado di giudizio che liquida in Euro. 2.000,00 (euro duemila, comprensivi di spese, diritti di procuratore e onorari di avvocato) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2010, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – con la partecipazione dei signori:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Armando Pozzi, Consigliere

Salvatore Cacace, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere, Estensore
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Corte cost. 29-03-2007 (07-03-2007), n. 114 (ord.) Imposte e tasse – Imposte sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) – Ritenute d’acconto sugli interessi e sui redditi di capitale

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ORDINANZA
Nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), promosso con ordinanza depositata il 20 aprile 2006 dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli, nel giudizio vertente tra la s.p.a. COSIDA di Assicurazioni e Riassicurazioni, in liquidazione coatta amministrativa, e l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Napoli 1, iscritta al n. 479 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2007 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio tributario promosso dal commissario liquidatore di una società di assicurazioni e riassicurazioni in liquidazione coatta amministrativa avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso delle ritenute d’acconto effettuate sugli interessi attivi dei "depositi finanziari" della società negli anni dal 2000 al 2004, la Commissione tributaria provinciale di Napoli, con ordinanza pronunciata il 20 marzo 2006 e depositata il 20 aprile successivo, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), «nella parte in cui non prevede l’esonero dall’obbligo delle ritenute fiscali sugli interessi maturati nelle procedure concorsuali»;
che, secondo il giudice rimettente, nel caso di liquidazione coatta amministrativa, il commissario liquidatore deve presentare la dichiarazione finale dei redditi in data successiva alla chiusura della procedura e, pertanto, solo dopo la distribuzione finale dell’attivo tra i creditori, come si desumerebbe dal combinato disposto degli artt. 18, commi 3 e 5, del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42 (Disposizioni correttive e di coordinamento sistematico-formale, di attuazione e transitorie relative al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917), e 5, comma 4, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 (Regolamento recante modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle attività produttive e all’imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell’articolo 3, comma 136, della legge 23 dicembre 1996, n. 662);
che, di conseguenza, solo dopo la chiusura della procedura concorsuale sarebbe possibile – sempre ad avviso del rimettente – «la verifica della debenza» dell’IRPEG, da effettuarsi accertando se sussista una differenza positiva tra il residuo attivo risultante dalle operazioni di liquidazione ed il patrimonio netto dell’impresa all’inizio della procedura stessa;
che, aggiunge il giudice a quo, nell’ipotesi in cui tale differenza positiva non sussista e, quindi, non siano dovute né l’IRPEG né – conseguentemente – le ritenute a titolo di acconto dell’imposta già effettuate sugli interessi dei "depositi finanziari" nel corso della procedura concorsuale, tali ritenute non potrebbero essere rimborsate dall’amministrazione finanziaria alla liquidazione coatta amministrativa, ormai chiusa, ed il loro rimborso «non potrebbe giovare ad alcun soggetto, se non al fallito», non essendo prevista dalla legge fallimentare la riapertura della procedura per consentire detto rimborso in favore dei creditori eventualmente rimasti incapienti;
che pertanto, per il giudice a quo, i creditori rimasti incapienti subirebbero un danno ingiustificato, perché la procedura concorsuale sarebbe stata «impropriamente gravata da un onere tributario che non è di competenza della massa dei creditori ma del solo soggetto posto in liquidazione coatta tornato in bonis»;
che da tali premesse la Commissione tributaria provinciale deduce l’illegittimità costituzionale delle disposizioni denunciate, le quali, non prevedendo, in relazione alle suddette ritenute d’acconto, una specifica disposizione derogatoria dell’obbligo di effettuarle durante la pendenza delle procedure concorsuali: a) si pongono «in contrasto con l’intento del legislatore di sollevare la massa creditoria da qualsiasi onere tributario ai fini dell’imposta personale sul reddito, come risulta dalla differenza del regime previsto […] tra IRPEG (poi IRES) ed ILOR (ora ICI: cfr. art. 10, c. 6. DPR n. 504/92)»; b) evidenziano «un’intrinseca contraddittorietà tra la genericità della previsione di cui al 4° comma dell’art. 26 DPR 600/73 e la presenza, nell’ambito dell’ordinamento delle imposte dirette, di una disciplina speciale prevista dagli artt. 125 (poi 183) TUIR per il caso di liquidazione coatta dell’impresa»; c) mostrano «la conseguente palese irragionevolezza della disposizione contenuta nel medesimo art. 26, con conseguente sospetto d’incostituzionalità, oltre che sotto il profilo dell’art. 3 Cost. anche sotto quello degli artt. 54 [recte: 53] e 36»;
che, quanto alla rilevanza della sollevata questione, il giudice a quo si limita ad affermare che l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme denunciate «condurrebbe all’annullamento del rifiuto di rimborso» impugnato, mentre «diversamente troverebbe ragione la tesi dell’Amministrazione Finanziaria»;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi inammissibile o, comunque, infondata la questione;
che in particolare, con riferimento agli artt. 36 e 53 Cost., la difesa erariale eccepisce l’inammissibilità della questione, per difetto assoluto di motivazione da parte del giudice rimettente;
che, con riferimento all’art. 53 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato afferma che, nel caso in cui fosse possibile superare la suddetta eccezione di carenza di motivazione, la questione dovrebbe dichiararsi manifestamente infondata, perché la Corte costituzionale ha già riconosciuto che l’applicazione dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 non víola il principio di capacità contributiva, in quanto il presupposto d’imposta, da individuarsi nell’ammontare degli interessi maturati su conto corrente, risulta pienamente realizzato (ordinanza n. 174 del 2001);
che, con riferimento all’art. 3 Cost., la stessa Avvocatura adduce quattro motivi di inammissibilità della questione: in primo luogo, perché questa è prospettata in modo da non renderne agevole la comprensione; in secondo luogo, per difetto di descrizione della fattispecie, avendo il rimettente omesso di precisare se dalla dichiarazione finale dei redditi presentata (o da presentarsi) dal commissario liquidatore deriva un credito od un debito d’imposta per la contribuente; in terzo luogo, per aberratio ictus, non essendo stata denunciata la norma riguardante le modalità ed i termini di presentazione della dichiarazione in caso di procedure concorsuali, cioè l’art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 322 del 1998; in quarto luogo – infine – perché il giudice a quo non ha tentato una interpretazione costituzionalmente orientata di tale norma, laddove questa, sulla scorta anche della sentenza della Corte di cassazione n. 10349 del 2003, ben potrebbe interpretarsi nel senso che la dichiarazione finale dei redditi può essere presentata anche prima della formale chiusura della procedura, con diritto per il commissario liquidatore di richiedere il rimborso dell’eventuale credito d’imposta;
che, in prossimità della riunione fissata per la camera di consiglio, la difesa erariale ha depositato una comunicazione dell’Agenzia delle entrate di Napoli 1, datata 13 febbraio 2007, attestante che la parte ricorrente del giudizio principale – la s.p.a. COSIDA di Assicurazioni e Riassicurazioni, in liquidazione coatta amministrativa – «non ha ancora presentato la dichiarazione dei redditi finale di cui all’art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 322 /98».
Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Napoli dubita, in riferimento agli artt. 3, 36 e 53 della Costituzione, della legittimità del combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), «nella parte in cui non prevede l’esonero dall’obbligo delle ritenute fiscali sugli interessi maturati nelle procedure concorsuali»;
che, ad avviso del giudice rimettente, la norma denunciata, imponendo all’Ente poste italiane e alle banche l’obbligo di effettuare le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale, a titolo di acconto sull’IRPEG, anche nei confronti dei soggetti sottoposti a procedure concorsuali, compresa la liquidazione coatta amministrativa, comporterebbe che – nel caso in cui la procedura concorsuale si chiuda senza l’integrale soddisfacimento dei creditori e l’IRPEG risulti non dovuta in base alla dichiarazione finale dei redditi, da presentarsi dal commissario liquidatore in data successiva alla chiusura della procedura stessa – dette ritenute non potrebbero mai essere chieste a rimborso dalla liquidazione coatta;
che pertanto, secondo il giudice a quo, la procedura concorsuale, nell’ipotesi da lui prospettata, sarebbe «impropriamente gravata da un onere tributario che non è di competenza della massa dei creditori ma del solo soggetto posto in liquidazione coatta tornato in bonis»;
che per la Commissione tributaria provinciale, dunque, la norma denunciata: a) si pone «in contrasto con l’intento del legislatore di sollevare la massa creditoria da qualsiasi onere tributario ai fini dell’imposta personale sul reddito, come risulta dalla differenza del regime previsto […] tra IRPEG (poi IRES) ed ILOR (ora ICI: cfr. art. 10, c. 6. DPR n. 504/92)»; b) evidenzia «un’intrinseca contraddittorietà tra la genericità della previsione di cui al 4° comma dell’art. 26 DPR 600/73 e la presenza, nell’ambito dell’ordinamento delle imposte dirette, di una disciplina speciale prevista dagli artt. 125 (poi 183) TUIR per il caso di liquidazione coatta dell’impresa»; c) mostra, altresí, «la conseguente palese irragionevolezza della disposizione contenuta nel medesimo art. 26, con conseguente sospetto d’incostituzionalità, oltre che sotto il profilo dell’art. 3 Cost. anche sotto quello degli artt. 54 [recte: 53] e 36»;
che la questione è manifestamente inammissibile sotto due diversi e concorrenti profili;
che, in primo luogo, in riferimento a tutti i parametri evocati, il rimettente, pur affermando che «la verifica della debenza» dell’IRPEG (e, quindi, della sussistenza del diritto al rimborso delle ritenute effettuate ai sensi della norma denunciata) può effettuarsi solo in base alla dichiarazione finale dei redditi prevista dall’art. 5, comma 4, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, ha tuttavia omesso di precisare se da tale dichiarazione finale risulti o no il credito di imposta chiesto a rimborso nel giudizio principale;
che, pertanto, tale carenza di descrizione della fattispecie si risolve nel difetto di motivazione sulla rilevanza, rendendo la questione meramente ipotetica;
che, in secondo luogo, il giudice a quo, in ordine alla affermata non manifesta infondatezza della questione, non ha fornito alcuna motivazione con riferimento ai parametri di cui agli artt. 36 e 53 Cost. e ne ha fornita una oscura con riferimento al parametro di cui all’art. 3 Cost.;
che la rilevata manifesta inammissibilità della questione deve essere dichiarata da questa Corte prescindendo dalla pur evidente erroneità delle premesse interpretative da cui muove il rimettente, il quale: a) confonde tra fallimento (chiuso il quale, il fallito può tornare in bonis) e liquidazione coatta amministrativa (chiusa la quale, a séguito del riparto finale di cui all’art. 213 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, si estingue l’ente ad essa sottoposto e non è prevista alcuna ipotesi di riapertura della procedura); b) non tiene conto che il termine previsto per la presentazione della dichiarazione finale dei redditi delle procedure concorsuali, in quanto costituisce un termine massimo («entro l’ultimo giorno del decimo mese successivo a quello […] della chiusura del fallimento e della liquidazione», come stabilito dall’art. 5, comma 4, primo periodo, del d.P.R. n. 322 del 1998), deve considerarsi rispettato anche quando la dichiarazione sia presentata prima della formale chiusura della procedura, purché questa possa ritenersi sostanzialmente chiusa e sussista un oggettivo interesse della massa dei creditori (come affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 10349 del 2003); c) trascura di considerare che, per diritto vivente, l’ente sottoposto a liquidazione coatta amministrativa – nel caso in cui, dal conto di gestione e dal bilancio finale, le imposte sui redditi d’impresa risultino non dovute o dovute per un ammontare inferiore a quello delle ritenute d’acconto – ha diritto al rimborso totale o parziale delle ritenute d’acconto (Corte di cassazione, sentenze n. 12433 del 2004 e n. 13154 del 1995, quest’ultima emessa proprio nei confronti della s.p.a. COSIDA di Assicurazioni e Riassicurazioni, in liquidazione coatta amministrativa, ricorrente nel giudizio a quo).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 04-01-2011, n. 11 Ricorso giurisdizionale

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Svolgimento del processo

Con il ricorso in epigrafe l’impresa dell’ing. C.S., in ATI come sopra meglio specificato, ha impugnato gli atti della gara indetta dall’Azienda USL RM/H per l’aggiudicazione dell’appalto concorso per la progettazione e realizzazione del nuovo ospedale dei Castelli.

Con ordinanza collegiale n. 1406/09 del 2516 marzo 2009 è stata respinta l’istanza cautelare.

Con atto notificato nei giorni 816 giugno 2010 parte ricorrente ha rinunciato al ricorso.

Motivi della decisione

Tanto premesso il Collegio, visti gli artt. 35 c.2, 84 e 85 del codice del processo amministrativo, dichiara estinto il ricorso per rinuncia, non risultando opposizioni da parte di soggetti che potrebbero avere interesse alla sua prosecuzione.

Le spese di giudizio, avuto riguardo alle circostanze complessive della causa, possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dà atto della rinuncia e dichiara l’estinzione del processo.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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