Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-11-2010) 26-01-2011, n. 2683

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 23/11/2009 il Tribunale di Sanremo – sezione distaccata di Ventimiglia, in funzione di Giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di sospensione dell’ordine di carcerazione, ritenendo ostativa al suo accoglimento la riconosciuta recidiva.

Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso il difensore del condannato deducendo erronea applicazione di legge e vizi di motivazione. Il ricorrente ha rilevato che nella specie non sussisteva alcuna condizione ostativa atteso che la contestata recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, era stata ritenuta sub valente rispetto alle applicate circostanze attenuanti e non aveva quindi esplicato il suo effetto tipico di aggravamento della pena.

Il ricorso merita accoglimento.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte l’operatività del divieto di sospensione della esecuzione delle pene detentive brevi in caso di recidiva reiterata consegue non già alla qualità di "recidivo" desunta dal certificato penale ma alla espressa contestazione della recidiva reiterata nel giudizio di cognizione ed al riconoscimento in tale sede dei suoi effetti tipici, quelli di determinare un aggravamento del trattamento punitivo ovvero di paralizzare il contrapposto effetto delle circostanze attenuanti, impedendo la diminuzione di pena ad esse correlata (cfr. ex multis:

Cass. sentenze n. 43019/2008 e n. 34680/2006). Ne consegue – con tutta evidenza – che, ove la contestata recidiva reiterata, pur riconosciuta, sia stata però ritenuta sub – valente rispetto alle ravvisate circostanze attenuanti, deve disconoscersi l’operatività del divieto di sospensione della esecuzione della pena, non avendo in siffatto caso la recidiva esplicato i suoi effetti tipici quali più sopra precisati. E ciò in linea con la lettera della disposizione sub dell’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. c), laddove collega il divieto alla avvenuta applicazione della recidiva reiterata, e con il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite e mai modificato (cfr. sent. n. 17 del 1991) per il quale "una circostanza aggravante non è da ritenere applicata solo allorquando, ancorchè riconosciuta la ricorrenza dei suoi estremi di fatto e di diritto, essa non manifesti concretamente alcuno degli effetti che le sono propri a cagione della prevalenza attribuita all’attenuante, la quale non si limita a paralizzarla, ma la sopraffa, in modo che sul piano dell’afflittività sanzionatorio l’aggravante risulti tamquam non esset".

Da ultimo, e per concludere, si sottolinea la erroneità dei riferimenti a favore della diversa tesi propugnata nell’ordinanza impugnata – alle sentenze n. 29989/2007 e n. 8113/2010, in esse essendosi esplicitata piena adesione al principio di diritto sopra ricordato, così come emerge dalla loro lettura integrale.

Alla stregua di quanto sopra si impone, quindi, l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sanremo, sezione distaccata di Ventimiglia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 08-02-2011, n. 389 Avvocato

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

1. Il Collegio ritiene che il giudizio possa essere definito con sentenza in forma semplificata, emessa ai sensi dell’art. 60 c.p.a., adottata in esito alla camera di consiglio per la trattazione dell’istanza cautelare, stante l’integrità del contraddittorio, l’avvenuta esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di giudizio, nonché la mancata enunciazione di osservazioni oppositive delle parti, rese edotte dal Presidente del Collegio di tale eventualità.

2. Il ricorso è infondato per le seguenti considerazioni.

2.1. Il motivo di censura, secondo cui la ricorrente avrebbe riportato esito negativo nella prova orale, senza che fossero espresse le ragioni di tale esito, non può essere accolto. Non occorre affrontare qui la nota questione concernente se l’onere di motivazione della valutazione forense sia o meno sufficientemente adempiuto con l’attribuzione di un punteggio numerico (configurandosi quest’ultimo, secondo l’orientamento maggioritario, come formula sintetica che vale ad esternare adeguatamente il giudizio tecnico delle commissioni giudicatrici). Difatti, nella specie, è sufficiente osservare come il giudizio espresso della Commissione, unitamente al voto numerico (civile 25; comunitario 21; internazionale privato 30; tributario 23; procedura civile 23; ordinamento forense 30), sia chiaro ed inequivocabile: la candidata manifesta lacune diffuse e incertezze terminologiche in civile, comunitario, tributario e procedura civile". Si tratta, con tutta evidenza, di motivazione la cui sintesi, rispondente ad un evidente principio di economicità dell’attività amministrativa di valutazione, assicura comunque la necessaria chiarezza sulle valutazioni di merito compiute dalla commissione e sul potere amministrativo da quest’ultima espletato (è, per contro, sovrabbondante la pretesa di un giudizio sintetico su ciascuna singola risposta, tanto più che sussiste una griglia di valutazioni espresse in forma numerica per ciascuna delle materie d’esame). In definitiva, il giudizio risulta sufficientemente motivato allorché il verbale riporti le domande rivolte al candidato nelle singole materie e la relativa votazione numerica trovi riscontro in un giudizio finale adeguatamente articolato.

2.2. Con riguardo all’ulteriore motivo, si osserva che il verbale contiene esplicita menzione della previa breve illustrazione delle prove scritte. In disparte ogni considerazione sulla correttezza della tesi secondo cui l’eventuale omessa preventiva discussione delle prove scritte ridonderebbe in vizio di illegittimità delle prove d’esami orale (come ritenuto dalla ricorrente; per contro secondo Consiglio Stato, sez. IV, 10 novembre 2006 n. 6641, ai sensi dell’art. 17 bis comma 3, r.d. 22 gennaio 1934 n. 37, in sede di esame per l’abilitazione alla professione di avvocato la preliminare illustrazione dell’esito delle prove scritte non è indispensabile per l’espletamento della prova orale, rappresentando detta succinta illustrazione una fase preliminare e di introduzione allo svolgimento della prova orale, ma non oggetto di valutazione), giova ricordare che, per quanto riguarda l’estrinseco, i verbali della Commissione sono atti pubblici aventi fede privilegiata le cui risultanze di fatto possono essere poste in discussione solo a seguito di eventuale querela di falso.

2.3. Anche la doglianza con la quale la ricorrente lamenta la mancata estrazione a sorte delle domande formulate nel corso del colloquio è destituita di fondamento. Si osserva, all’uopo, che l’invocato art. 12 d.P.R. 9 maggio 1994 n. 487 si riferisce precipuamente allo svolgimento dei concorsi per l’accesso ai pubblici impieghi mentre le procedure di abilitazione all’esercizio delle professioni forense sono disciplinate da un distinto corpo normativo ( r.d. 22 gennaio 1934 n. 37) il quale, per lo svolgimento delle prove orali, non impone alla commissione il predetto adempimento.

3. Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma. Nella liquidazione delle spese di lite, il Collegio è tenuto a considerare che l’amministrazione ha depositato soltanto una memoria di mero stile ai fini della costituzione.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

RIGETTA il ricorso;

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’amministrazione resistente che si liquida in Euro 150,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 28-02-2011, n. 1790 Carenza di interesse sopravvenuta

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Svolgimento del processo

Con ricorso notificato all’Amministrazione comunale di Tivoli in data 29 giugno 2005 e depositato il successivo 8 luglio 2005, il ricorrente espone di avere realizzato in aderenza alla propria abitazione un manufatto in ampliamento di essa e per il quale ha chiesto il condono in data 10 dicembre 2004, vedendosi pur tuttavia notificare l’ordinanza in questione.

Avverso tale provvedimento lamenta:

– violazione della legge 8 giugno 1990, n. 142; il ricorrente lamenta che nel provvedimento impugnato manca l’indicazione del responsabile del procedimento;

– eccesso di potere per violazione di legge. Il Comune ha adottato il provvedimento in esame, omettendo qualsiasi esame della istanza di condono presentata dall’interessato ai sensi dell’art. 32 della legge 24 novembre 2003, n. 326.

Conclude chiedendo l’accoglimento dell’istanza cautelare e del ricorso.

L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, ha opposto che, lungi dall’avere un effetto invalidante, la omessa nomina del responsabile del procedimento comporta l’effetto legale tipico dell’assunzione di detta funzione da parte del responsabile dell’unità organizzativa che ha sottoscritto il provvedimento; ed ha anche opposto che contrariamente a quanto sostenuto in ricorso le opere sanzionate con l’ordinanza impugnata erano ancora in corso quando invece gli illeciti suscettibili di condono sono solo quelli ultimati entro la data del 31 marzo 2003.

Ed ha rassegnato conclusioni opposte a quelle del ricorrente.

Alla Camera di Consiglio del 27 luglio 2005 l’istanza cautelare è stata accolta in considerazione dell’avvenuta presentazione della domanda di condono.

Con istanza di fissazione con urgenza dell’udienza di merito, depositata in data 5 agosto 2010, il Comune di Tivoli ha rappresentato che la domanda di condono presentata da parte ricorrente è stata respinta ed ha, pertanto, richiesto una declaratoria di improcedibilità.

Con memoria ulteriore depositata il 9 dicembre 2010 l’Ente ha anche rappresentato che il ricorrente avverso il diniego di condono aveva proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, per il quale, tuttavia, il Comune stesso ha richiesto la trasposizione in sede giurisdizionale, insistendo nelle già prese conclusioni.

Il ricorso infine è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 10 gennaio 2010.
Motivi della decisione

Il ricorso va dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Con esso il ricorrente aggredisce il provvedimento con il quale l’Amministrazione comunale di Tivoli gli ha ingiunto la sospensione dei lavori e la demolizione di un manufatto consistente nell’ampliamento della propria abitazione delle dimensioni di m. 5,20 x m. 3,80 con altezza variabile da m. 2,30 a m. 3,50 mediante lo sbancamento di una costa rocciosa.

Il ricorrente, oltre ad avere opposto le censure meglio in narrativa indicate, ha rappresentato di avere inoltrato apposita domanda di condono, acquisita al protocollo comunale n. 62116 in data 16 dicembre 2004 e presentata ai sensi dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326.

In ordine a tale istanza il Comune, tuttavia, con memoria conclusiva, ha prodotto la determinazione del 2 aprile 2010 con la quale ha negato il condono al ricorrente, determinazione che questi ha impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato e per il quale l’Ente ha già chiesto la trasposizione in sede giurisdizionale con atto notificato il 7 ottobre 2010.

Dalla consecutio degli atti amministrativi e giurisdizionali appare evidente che il ricorrente non ha più alcun interesse a dolersi di un’ordinanza di demolizione che risulta superata dai provvedimenti successivi. Deve infatti essere chiarito che in conseguenza della presentazione della domanda di condono, come è accaduto nel caso in esame in data 16 dicembre 2004, antecedente alla ordinanza di demolizione del 12 aprile 2005, si danno due esiti: o l’Amministrazione comunale si pronuncia favorevolmente accogliendo l’istanza dell’interessato, il che legittimerebbe l’opera in questione e renderebbe non più applicabile la sanzione demolitoria (cfr. TAR Lazio, sezione II, 15 settembre 2008, n. 8306) o si pronuncia negativamente rigettandola. In quest’ultima evenienza, ferma restando l’impugnativa del diniego, come è avvenuto, il ricorso avverso la pristina ordinanza di demolizione non ha più ragion d’essere, perché essa è destinata ad essere sostituita da un nuovo provvedimento sanzionatorio, da emanarsi a cura dell’Amministrazione comunale a seguito dell’adottato diniego di condono.

Al Collegio, pertanto, non resta che dichiarare il ricorso improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

La risalenza della lite giustifica la compensazione della spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-02-2011) 15-03-2011, n. 10475 Ricorso

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, con ordinanza in data 19 ottobre 2010 rigettava le richieste di riesame presentate da A.A., A.S. e F.R. e confermava l’ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria in data 29.9.2010, applicativa nei confronti dei predetti della misura cautelare della custodia in istituto penitenziario minorile.

Il Tribunale rilevava che dall’informativa di reato dei Carabinieri di Cinquefrondi del 28.8.2010 risultava: che nella notte del (OMISSIS), alle ore 02,40 durante un servizio esterno, i militari notavano l’autovettura VW Golf di proprietà e condotta da M. F. con a bordo F.R., noto all’ufficio; che gli occupanti della richiamata autovettura stavano colloquiando con A.A., il quale indossava indumenti sporchi di terriccio; che alla vista dei militari M. partiva repentinamente; che di poi i Carabinieri avevano modo di verificare che la Golf era sporca all’esterno di terriccio e che, all’interno del bagagliaio, vi erano tracce di canapa indiana; che M., indicava ai militari il luogo ove si trovava la piantagione di canapa indiana e rendeva dichiarazioni eteroaccusatorie nei confronti degli odierni coindagati; che i Carabinieri verificavano che la piantagione si trovava effettivamente ove aveva riferito il dichiarante e che, nel frangente, osservavano F. e A.S. che verificavano lo stato della piantagione.

Sul piano cautelare, il Tribunale rilevava la sussistenza del pericolo di reiterazione criminosa specifica, desunto dalle specifiche modalità e circostanze del fatto; al riguardo il Tribunale rilevava che le modalità della condotta evidenziavano la capacità criminale dei prevenuti e la contiguità con contesti criminali della zona, tenuto conto della oggettiva gravità del fatto e della realizzazione plurisoggettiva del reato.

Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione A.A. a mezzo del difensore, deducendo la violazione dell’art. 350 c.p.p., comma 7; ritiene il ricorrente che, nel caso di specie, le dichiarazioni rese da M. non rientrino nell’ambito applicativo della norma da ultimo citata, atteso che i militari, nel relativo verbale, non indicarono espressamente la spontaneità delle stesse. A sostegno dell’assunto, il ricorrente sottolinea che le dichiarazioni vennero rese nell’immediatezza del fatto e presso la Stazione dei Carabinieri; e che dette dichiarazioni consentirono l’immediata prosecuzione delle indagini.

Sotto altro profilo, l’esponente ritiene che le dichiarazione del M., anche se rientranti nell’ambito applicativo dell’art. 350 c.p.p., comma 7, risultano prive di riscontri individualizzanti, rispetto alla persona dell’odierno ricorrente.

Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la mancanza di esigenze cautelari, idonee a giustificare l’applicazione della misura in atto.

La parte ritiene congetturali le argomentazioni svolte dal Tribunale, In ordine al pericolo di attività recidivante specifica. La parte osserva che detta valutazione non è specifica per ciascun indagato.

Con l’ultimo motivo, il deducente lamenta l’inosservanza dell’art. 275 c.p.p., in ordine alla scelta della misura cautelare.

Il ricorso è manifestamente infondato e perciò inammissibile.

Per quanto concerne l’utilizzabllità in sede cautelare delle dichiarazioni spontanee rese dal coindagato, si osserva che questa Suprema Corte ha chiarito le dichiarazioni spontanee sono pienamente utilizzabili nella fase delle indagini (Cass. Sezioni Unite 25.9.2008, Correnti, Rv. 241884). Preme evidenziare che, nel caso di specie, i giudici del riesame hanno legittimamente valutato, nell’ambito del compendio indiziario utile a fini cautelari, anche il contenuto delle dichiarazioni spontanee rese in data 26 agosto 2010 da M.F.. Come è dato rilevare dalla intestazione del relativo verbale, infatti, si tratta di dichiarazioni spontaneamente rese dal M. ai militari operanti. E’ appena il caso di precisare che le dichiarazioni cui fa riferimento l’art. 350 c.p.p., comma 7, per le quali l’ordinamento pone limiti all’utilizzabilità solo in sede dibattimentale, sono radicalmente diverse da quelle cui fa riferimento il quinto comma dello stesso articolo, le quali non possono essere nè documentate nè utilizzate se non per la immediata prosecuzione delle indagini (cfr Cass. Sez. 6, Sentenza n. 1770 del 30/04/1997, dep. 27/08/1997, Rv. 208842).

Deve poi rilevarsi che il Tribunale ha conferentemente considerato che le dichiarazioni eteroaccusatorie rese da M. risultavano assistite da elementi di riscontro estrinseco, di natura individualizzante, anche rispetto all’odierno ricorrente, tali perciò da assumere idoneità dimostrativa in relazione all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario della misura. Ed invero, riferisce il Tribunale che la piantagione si trova nel luogo indicato dal dichiarante; e che i Carabinieri ebbero pure modo di verificare la presenza di F. e A.S., all’interno della piantagione di cui si tratta. Preme, inoltre, evidenziare che il Collegio ha chiarito che le difformi dichiarazioni rese da M. in sede di interrogatorio costituiscono il mero tentativo di "rimediare alle conseguenze delle sue (precedenti) dichiarazioni", di contenuto eteroaccusatorio. Il Tribunale, con apprezzamento immune da ogni censura, ha pertanto rilevato che:

l’atteggiamento dei tre indagati, i quali alla vista dei Carabinieri si erano dati alla fuga; lo stato degli indumenti indossati da A.A.; le tracce di canapa all’interno dell’auto; la accertata presenza di S. e F. presso la piantagione;

sono circostanze che evidenziano la sussistenza di gravi indizi di reità a carico di tutti gli odierni indagati, in ordine al reato loro ascritto. Oltre a ciò, il Tribunale ha considerato che M., nell’immediatezza del fatto, ha reso dichiarazioni spontanee, riscontrate dagli esiti dell’attività investigativa svolta.

Parimenti manifestamente infondato risulta il motivo di ricorso concernente le esigenze cautelari, con specifico riferimento al concreto pericolo di attività recidivante specifica; si tratta di rilievi infondati, giacchè, prescindendo da censure di puro merito che non possono essere prese in considerazione in questa sede di legittimità, la motivazione che sorregge le valutazioni del Tribunale del riesame è immune da manifeste illogicità, che sole consentono l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Si osserva che in ordine alla personalità degli indagati, il Collegio ha, in particolare, rilevato che i tre giovani avevano dimostrato una notevole dimestichezza nell’azione criminosa e nello sfuggire ai controlli della polizia giudiziaria; e che, sulla scorta di tali rilievi, il Collegio ha ritenuto che unica misura idonea a contenere la pericolosità sociale dei predetti sia quella applicata dal giudice per le indagini preliminari.

Per le ragioni indicate il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Viene disposta la trasmissione della presente ordinanza al direttore dell’istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

La Corte dispone che copia del presente provvedimento sia trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Provveda la Cancelleria ad oscurare ogni dato suscettibile di comportare la identificazione del minore per il caso di richiesta del provvedimento.

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