T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 03-06-2011, n. 5006 Destituzione e dispensa dall’impiego

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 12 novembre 2008 e depositato il successivo 12 dicembre 2008, il ricorrente impugna il decreto in data 10 luglio 2008, con il quale è stato destituito dall’Amministrazione della Pubblica Sicurezza a decorrere dal 17 aprile 2008, chiedendone l’annullamento.

In particolare, il ricorrente espone che:

– all’epoca dei fatti che hanno dato origine al provvedimento impugnato, prestava servizio, in qualità di agente della Polizia di Stato, presso il Settore Polizia di Frontiera di Domodossola;

– in data 17 febbraio 2008 veniva trovato da personale operante presso il Commissariato di P.S. "Madonna di Campagna" della Questura di Torino in compagnia di un amico, il quale aveva appena acquistato da uno spacciatore una modica quantità di cocaina;

– a seguito di ciò, lo spacciatore veniva tratto in arresto, il suo amico veniva segnalato al Prefetto per la contestazione di un illecito amministrativo, quale acquirente e detentore di sostanze stupefacenti per "consumo personale", e il medesimo "veniva segnalato ai suoi superiori per eventuali valutazioni disciplinari";

– con nota n. 1208 del 19 febbraio 2008, l’Ufficio di Disciplina della 1^ Zona Polizia di Frontiera di Torino promuoveva l’avvio del procedimento disciplinare nei suoi confronti;

– da tale nota risultava, altresì, che "nell’immediatezza si è disposto l’invio del dipendente presso la sala medica di codesta Questura per gli accertamenti clinici del caso che, a seguito di accordi intrapresi, saranno effettuati in data 20 febbraio p.v.";

– sottoposto ad accertamenti sanitari, in data 14 marzo 2008 veniva accertata una modestissima positività alla cocaina dal Dirigente Sanitario del Settore di Tossicologia;

– in data 21 marzo 2008 veniva anche sottoposto ad una visita psichiatrica presso l’Ospedale Militare di Milano, in esito alla quale veniva dimesso con la seguente diagnosi: "turbe ansiose situazionali in accertata positività ai metabolici della cocaina";

– terminati gli accertamenti sanitari, con verbale del 28 marzo 2008 la Commissione Medica Ospedaliera dell’Ospedale Militare di Torino lo giudicava affetto da "turbe ansiose situazionali un accertata positività ai metabolici della cocaina… non idoneo al servizio nella P.D.S. per gg. 180";

– intanto, in data 10 marzo 2008 veniva nominato il funzionario istruttore ex art. 19 D.P.R. n. 737/1981, il quale procedeva, il successivo 13 marzo 2008, alla contestazione degli addebiti in relazione agli illeciti disciplinari previsti ai numeri 2) e 4) dell’art. 7 del già citato D.P.R., prescrivente l’applicazione della massima sanzione espulsiva;

– il procedimento disciplinare si concludeva in data 10 luglio 2008 con la sua destituzione;

– a seguito dell’estrazione di copia degli atti relativi al procedimento, si scopriva l’esistenza di una nota dell’Ufficio Disciplina della Questura di Verbania in cui si pone il quesito "se in costanza di certificato della CMO la patologia indicata" rendesse incompatibile la partecipazione al procedimento, nonché si apprendeva che "solo con nota del 07.08.2008, la Questura di Verbania trasmetteva al Ministero dell’Interno" copia del verbale della CMO, "onde consentire.. ogni opportuna valutazione a corredo del procedimento disciplinare in atto…".

Avverso il provvedimento di destituzione, il ricorrente insorge deducendo i seguenti motivi di diritto:

I. – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE: ARTT. 1 E 13 D.P.R. 25.10.1981, N. 737 – ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO, ILLOGICITA" E CONTRADDITTORIETA" DELLA MOTIVAZIONE; TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO; VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DI PROPORZIONALITA" TRA IL FATTO CONTESTATO E LA SANZIONE APPLICATA. L’Amministrazione non ha proceduto ad un’attenta disamina delle circostanze attenuanti, così come prescritto dal richiamato art. 13, e, in particolare, non ha considerato "la giovane età", "l’assenza di sanzioni disciplinari", il "giudizio positivo riportato nei rapporti informativi", i "motivi contingenti che" portarono il ricorrente a commettere la condotta contestata, l’"assoluta episodicità ed occasionalità del fatto", la "modestissima positività alla cocaina accertata dalle analisi tossicologiche" ed ulteriori comportamenti sintomo, tra l’altro, di lealtà. In ragione della violazione dell’art. 13 de quo, palese è anche la carenza di motivazione. In tal modo l’Amministrazione ha violato l’obbligo di graduazione e proporzione della sanzione.

II. – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE: ARTT. 12 E 19 D.P.R. 25.10.1981, N. 737 – VIOLAZIONE ARTT. 24, 97 E 111 COST. – ECCESSO DI POTERE PER CARENZA DI ISTRUTTORIA; DIFETTO DI MOTIVAZIONE. A fronte della sanzione prospettata, l’Amministrazione avrebbe dovuto apprestare il livello più alto delle garanzie difensive ma ciò non è accaduto. Gli organi disciplinari si sono, infatti, sempre rifiutati di raccogliere gli atti idonei a configurare la condotta dell’incolpato in un’infrazione più lieve (ossia, il consumo personale di stupefacenti). In tal modo si è concretizzata la violazione dei principi del giusto processo di cui all’art. 24 Cost., dell’art. 12 D.P.R. 737/1981 e dell’art. 19 del medesimo D.P.R.. In sintesi, l’Amministrazione non ha preso in considerazione tutti gli aspetti che presentava il caso in disamina; in particolare, non ha inserito nel fascicolo disciplinare e, dunque, considerato la documentazione relativa agli esiti dei controlli tossicologici effettuati. Ciò si è risolto in un difetto di istruttoria, tale "da precludere a priori all’inquisito la possibilità di potersi difendere e di vedersi contestare ed applicare una sanzione finale più lieve e diversa", ai sensi dell’art. 6, comma 2, n. 8, D.P.R. n. 737/1981.

III. – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE: ARTT. 24, 97 E 111 COSTITUZIONE – ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO – VIOLAZIONE DEI PRINCIPI IN MATERIA DI GIUSTO PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO; PERPLESSITA" ED INGIUSTIZIA MANIFESTE. Atteso che in data 28 marzo 2008 il ricorrente è stato giudicato non idoneo al servizio per 180 gg. per "turbe ansiose situazionali in accertata positività ai metabolici della cocaina", è necessario chiedersi "se il ricorrente avesse avuto diritto ad un differimento d’ufficio del giudizio disciplinare" al fine di potersi difendere in modo efficace, come – del resto – posto in discussione nella nota manoscritta dell’Ufficio Disciplina della Questura di Verbania del 9 maggio 2008. Per evitare la perenzione ex art. 120 t.u. n. 3/57 e, nel contempo, tutelare il diritto di difesa del ricorrente, tale situazione avrebbe dovuto indurre la Questura ad attendere l’esito – prima di dare inizio al procedimento disciplinare – del giudizio della CMO.

IV. – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE: ART. 7 NR. 2) DPR 737/1981, ANZICHE’ ART. 6, COMMA 2, NR. 8), D.P.R. 25.10.1981, N. 737 – ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO; DISPARITA" DI TRATTAMENTO; CONTRADDITTORIETA" ED INGIUSTIZIA MANIFESTE. Nella fattispecie che ci occupa vi erano tutti gli elementi per inquadrare la condotta del ricorrente nell’infrazione disciplinare di cui all’art. 6 di cui sopra. L’Amministrazione ha, invece, totalmente ignorato che egli risultava consumatore occasionale di cocaina. Del resto, se l’art. 7 dovesse trovare applicazione per punire i poliziotti che (al fine di consumere la sostanza) cercano di procurarsela, ci si dovrebbe domandare in quale ipotesi deve operare il citato art. 6, tenuto conto che l’accertamento del consumo personale include anche l’accertamento del procacciamento, il quale diviene "antefatto non punibile". La disamina di ulteriori casi simili rileva, poi, un’evidente disparità di trattamento.

V. – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE: ART. 7 NR. 4) D.P.R. 25.10.1981, N. 737 – ECCESSO DI POTERE PER CARENZA, CONTRADDITTORIETA" E ILLOGICITA" DELLA MOTIVAZIONE – DIFETTO DEI PRESUPPOSTI – VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DI PROPORZIONALITA" TRA IL FATTO CONTESTATO E LA SANZIONE APPLICATA; SVIAMENTO DALLA CAUSA TIPICA, atteso che – dal provvedimento impugnato – non si comprendono i motivi per i quali la condotta del ricorrente sia da ritenersi "gravemente lesiva dell’immagine dell’Amministrazione", tanto più ove si consideri che alcun procedimento penale è stato aperto a carico del ricorrente ed i fatti contestati non sono "stati portati in risalto dai diversi media". Del pari, non si comprende come la detenzione ed il modico uso personale di sostanze stupefacenti possa legittimare un giudizio di insussistenza del senso dell’onore e della morale.

Con atto depositato in data 12 gennaio 2011 si sono costituiti la Questura di Verbano Cusio Ossola ed il Ministero dell’Interno, i quali – nel prosieguo e precisamente in data 11 febbraio 2011 – hanno prodotto documenti.

In seguito al deposito in data 23 febbraio 2011 di precedenti giurisprudenziali in materia, in data 2 marzo 2011 il ricorrente ha prodotto una memoria, con cui ha ribadito le censure già formulate.

Con memoria prodotta in data 7 marzo 2011 il Ministero dell’Interno ha così sostenuto la legittimità del provvedimento impugnato: – l’operatore di polizia ha l’obbligo giuridico di contrastare i fenomeni delittuosi, tra cui assume rilevanza lo spaccio di sostanze stupefacenti; – tale delitto "ha comportato che la condotta tenuta dal C. è stata posta in essere in assoluto disprezzo del senso dell’onore o del senso morale, in grave contrasto con i doveri assunti dallo stesso con il giuramento", come ampiamente e chiaramente indicato nel provvedimento impugnato; – i principi di gradualità e proporzionalità sono stati ampiamente rispettati, "anche in considerazione del fatto che il dipendente è stato colto in flagranza della gravissima condotta a lui addebitata"; – nello stabilire il rapporto tra l’infrazione ed il fatto, l’Amministrazione comunque compie un apprezzamento di larga discrezionalità, insindacabile nel merito.

Con memoria depositata in data 9 marzo 2011, il ricorrente ha affermato che il Ministero non ha confutato le argomentazioni effettuate, limitandosi a rivendicare la legittimità del provvedimento impugnato "in virtù di una pressocchè illimitata potestà punitiva/disciplinare".

All’udienza pubblica del 7 aprile 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto.

1.1. Come esposto nella narrativa che precede, il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento di destituzione impugnato, dolendosi, tra l’altro, di eccesso di potere per carenza di istruttoria e di difetto di motivazione.

Le sopra indicate censure sono fondate per i motivi di seguito esposti.

1.2. In ragione di quanto previsto dalle prescrizioni di legge e, in particolare, dal D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, è doveroso riconoscere che il legislatore ha introdotto un regime ispirato ai principi di tipicità/tassatività e gradualità delle sanzioni applicabili a fronte di ciascuna ipotesi di violazione degli obblighi che gravano sull’appartenente alla Polizia di Stato.

Sussistono, dunque, numerose ipotesi di illecito disciplinare tipizzate, comportanti – per espressa prescrizione normativa – l’applicazione di una precisa e ben definita misura sanzionatoria.

La sussistenza di un regime sanzionatorio differenziato implica ovviamente un gradualismo tra le diverse misure previste, nel senso che esistono misure lievi e misure gravi, operanti – già a livello normativo – quali reazioni dell’ordinamento ad ipotesi di illecito tra di loro differenti.

Ciò detto, evidente è l’obbligo per l’Amministrazione di procedere all’irrogazione della sanzione disciplinare solo a seguito del corretto inquadramento dell’illecito o, comunque, l’obbligo per la stessa Amministrazione di apprestare un’adeguata giustificazione in tutti i casi in cui – a fronte di una fattispecie concreta riconducibile prima facie nell’ambito di uno specifica ipotesi di illecito tipizzato – venga, invece, comminata la sanzione prevista per un differente illecito.

L’obbligo de quo risponde, del resto, al rilievo ch, una volta individuato l’illecito disciplinare e, quindi, una volta inquadrato quest’ultimo nell’ipotesi tipizzata, è da escludere – in termini assoluti – che residui discrezionalità in capo all’Amministrazione per operare una diversa graduazione della misura affittiva rispetto a quella normativamente prescritta.

In qualità di corollario di tale principio, assume – come ripetutamente affermato in giurisprudenza – concreta valenza anche il potere del giudice amministrativo – non certo di sostituirsi alle valutazioni compiute dall’Amministrazione ma – di effettuare un sindacato ab externo, al fine di verificare – appunto – se le determinazioni dell’Amministrazione presentino o meno eventuali profili di incongruità (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. VI, 12 novembre 2008, n. 5670).

Proprio a causa delle peculiarità che connotano il regime sanzionatorio delle violazioni disciplinari, va escluso che l’Amministrazione – al fine di correttamente operare – possa esimersi dal valutare compiutamente ogni singolo caso, atteso che solo il rispetto di tale criterio consente di inquadrare l’ipotesi disciplinare senza incorrere in errori e, comunque, di dare prova che la decisione assunta costituisce l’esito di una disamina esaustiva, in quanto coinvolgente tutte le componenti che – nel singolo caso – hanno connotato il comportamento del dipendente e – in generale – i fatti verificatisi.

Nel rispetto della tipicità del provvedere dell’Amministrazione e dell’obbligo di motivazione, la valutazione compiuta dei fatti deve – tra l’altro – risultare dagli atti del procedimento, in modo da esplicitare i presupposti di fatto e le ragioni di diritto poste alla base della decisione assunta.

1.3. Nel caso in esame è evidente che l’Amministrazione non ha ricostruito compiutamente i fatti accaduti, e ciò nonostante fosse – come risulta dalla documentazione agli atti – nella piena condizione di farlo.

Come si trae dai motivi di ricorso ma risulta anche espressamente dalla deliberazione del Consiglio Provinciale di Disciplina della Questura del Verbano Cusio Ossola del 10 giugno 2008, con la quale è stata proposta l’applicazione della sanzione disciplinare della destituzione, non è stata, infatti, tenuta in alcuna considerazione la circostanza dell’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti da parte del ricorrente.

Tale omissione concretizza una carenza non indifferente ed, anzi, rilevante, in ragione dei seguenti rilievi:

– l’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti costituisce – nel caso di specie – una circostanza inequivocabilmente connessa al fatto contestato, ossia si pone come un elemento privo di autonomia e/o estraneità rispetto a quest’ultimo, tenuto conto che la condotta contestata al ricorrente e, in seguito, sanzionata consiste nell’aver accompagnato un amico, "in vie notoriamente frequentate da spacciatori di droga, con l’intento di acquistare sostanze stupefacenti" ed, anzi, nella partecipazione "fattiva all’acquisto di sostanza stupefacente" (cfr. contestazione degli addebiti in data 13 marzo 2008). In altre parole, l’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti da parte del ricorrente si presenta come una componente dei fatti contestati, la quale – in quanto tale – non poteva essere ignorata (come, invece, è avvenuto – cfr. pag. 3 del parere del Consiglio Provinciale di disciplina);

– quanto detto assume maggiore consistenza solo se si consideri che l’art. 6 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, sanziona "l’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope risultante da referto medico legale" con la sospensione del servizio (e non con la destituzione). Come già osservato nei precedenti giurisprudenziali richiamati nel ricorso, è, infatti, incontestabile che l’uso di droga implica anche il "procacciamento" e, dunque, la "cessione" di quest’ultima da parte di terzi. E’, pertanto, chiaro che l’Amministrazione – nei casi in cui si trovi a dover valutare comportamenti del genere di quelli contestati al ricorrente – non può esimersi dal considerare se il dipendente sia o meno assuntore di droga e, comunque, non può esimersi dall’esternare – nel caso in cui tale circostanza ricorra – i motivi per i quali ha ritenuto la stessa irrilevante.

Ciò detto, si perviene alla conclusione che l’Amministrazione non ha correttamente operato, atteso che – nonostante l’obbligo di valutare compiutamente ogni fattispecie, al fine di riportarla nell’ambito della relativa previsione di legge, con successivo e connesso obbligo di esaustiva rappresentazione, nel provvedimento finale, delle ragioni poste a fondamento della decisione assunta – ha chiaramente trascurato una circostanza "rilevante", ossia l’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti da parte del ricorrente.

2. Tanto è sufficiente per l’accoglimento del ricorso, con assorbimento degli ulteriori motivi formulati.

In ragione delle peculiarità che connotano la vicenda in esame, si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 11814/2008, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento di destituzione impugnato ed i relativi atti presupposti.

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-03-2011) 16-06-2011, n. 24123 Sospensione condizionale della pena

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sona del Dott. D’AMBROSIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- Ricorre per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Venezia avverso la sentenza del giudice monocratico del Tribunale di Verona, del 19 maggio 2010, con la quale, su accordo delle parti, ex artt. 444 cod. proc. pen., è stata applicata a C.M., per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, la pena, sospesa alle condizioni di legge, di due anni di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa.

Deduce il ricorrente erronea applicazione degli art. 163 e 135 c.p., laddove il giudice non ha considerato che l’ammontare della pena pecuniaria applicata, convertita ai sensi dell’art. 135 cod. pen., fa superare alla pena detentiva il limite massimo di due anni fissato dall’art. 163 c.p., comma 1.

-2- Il ricorso è fondato.

In realtà, il giudice, nel valutare la richiesta di applicazione della pena, espressamente subordinata alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della stessa, non ha tenuto conto del disposto dell’art. 163 cod. pen., che limita la concedibilità del beneficio ai casi di condanna a pena detentiva che, tenuto conto della eventuale pena pecuniaria e del ragguaglio della stessa nei termini indicati nell’art. 135 c.p., non superi, complessivamente, i due anni.

Nel pronunciare la sentenza oggi impugnata, il giudice è quindi incorso in un errore di diritto per l’omessa osservanza della norma citata.

Ciò determina il venir meno dell’accordo, di guisa che la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Verona per un nuovo giudizio, nel quale le parti dovranno rivalutare i termini dell’accordo e l’interesse ad un nuovo patteggiamento che tenga conto anche del disposto dell’ultima parte dell’art. 163, comma 1, introdotto con la L. n. 145 del 2004, il quale prevede che, nel caso di condanna a pena pecuniaria congiunta a pena detentiva non superiore a due anni, quando la pena, nel suo complesso, a seguito di ragguaglio della pena pecuniaria, sia superiore a due anni, il giudice, ove ne ricorrano i presupposti, può ordinare che l’esecuzione della pena detentiva rimanga sospesa.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Verona per l’ulteriore corso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-11-2011, n. 24483 Malattie professionali

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Svolgimento del processo

N.D. esponeva al Tribunale del lavoro di Perugia di aver svolto attività di lavoro subordinato dal 21.12.1970 al 30.11.2000 e di aver contratto, a causa dell’attività svolta, una ipoacusia neurosensoriale bilaterale ed una cervicouncoartrosi; che l’INAIL aveva negato la tutela assicurativa ritenendo insussistente il nesso causale. Chiedeva pertanto il riconoscimento della rendita denegata dall’INAIL. Il Tribunale di Perugia ammetteva consulenza medico legale e con sentenza del 15.11.2005 rigettava la domanda.

Interponeva appello il N.; la Corte di appello di Perugia chiamava a chiarimenti il CTU nominato in primo grado e con sentenza del 3.12.2008 rigettava l’appello. Corte rilevava che per quanto riguarda la malattia artrosica non era emerso il nesso causale con l’attività svolta e circa il deficit auditivo che tale malattia era di origine professionale, ma comportava una riduzione pari al solo 2,5%.

Ricorre il N. con due motivi; resiste l’INAIL con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si allega l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata con violazione delle tabelle allegate al D.Lgs. 23 marzo 2000 e n. 38 D.M. Lavoro 12 luglio 2000. Non sarebbe stata accertata negli esami disposti il "valore della perdita in dB della frequenza del 3000 Hz all’esame audimetrico totale". Tale frequenza non è stata testata e pertanto sono state violate le tabelle.

Il motivo non appare fondato. In primo luogo si deve rilevare che il CTU ha fatto riferimento (cfr. pag. 4 della relazione peritale) non alle tabelle del 1994, ma a quelle più recenti ricordate nello stesso ricorso. Si evince dalla sentenza impugnata che il grado di inabilità derivante dall’ipoacusia è stato accertato nella misura del 2,5% alla luce delle tabelle; la pretesa omissione di indagine viene sollevata in modo assolutamente generico senza una puntuale ricostruzione del metodo utilizzato dal CTU e di quanto previsto nelle tabelle; inoltre non si è neppure dedotto se, quando e in che termini tale omissione sia stata specificamente denunciata nella fasi di merito. Le censure, pertanto, oltre che generiche appaiono di mero fatto e si concretano nell’espressione di un mero dissenso diagnostico, inconferente in questa sede.

Il secondo motivo, concernente l’avvenuta compensazione delle spese di lite, presuppone l’accoglimento del primo motivo ed il riconoscimento della fondatezza della domanda: pertanto va considerato assorbito.

Va quindi rigettato il proposto appello. Stante la natura della controversia e l’epoca di presentazione del ricorso amministrativo:

nulla per le spese.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 25-07-2011, n. 6643

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Svolgimento del processo

Con ricorso spedito per la notifica a mezzo posta il 23 gennaio 2009 e depositato l’11 febbraio 2009 Boatto Luca, Colatei Flavia, Colatei Mario, Pescia Bruna, la società Dafran 97 S.R.L., la società Villa Magnolia S.R.L. e la società I Gemelli S.R.L. hanno impugnato la determinazione dirigenziale n. 2190 del 04/11/08 con cui il Comune di Roma, ai sensi dell’art. 31 d.p.r. n. 380/01, sulla base della nota prot. n. 9126 del 09/02/07 (anch’essa gravata) di accertamento degli abusi, ha ingiunto la demolizione delle opere ivi indicate.

Roma Capitale, costituitasi in giudizio con comparsa depositata il 17 febbraio 2009, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 1086/09 del 5 marzo 2009 il Tribunale ha respinto l’istanza cautelare proposta dai ricorrenti.

Con atto spedito per la notifica a mezzo posta il 13/11/09 e depositato il 03/12/09 gli esponenti hanno impugnato con motivi aggiunti la determinazione dirigenziale n. 1481 del 27 agosto 2009 con cui il Comune di Roma, sulla base del verbale prot. n. 42506 del 15/06/09 (anch’esso gravato) di accertamento dell’inottemperanza redatto dalla polizia municipale, ha disposto, ai fini dell’acquisizione al patrimonio dell’ente, la trascrizione del provvedimento nella Conservatoria dei Registri Immobiliari e l’immissione nel possesso del bene.

Con ordinanza n. 6118/09 del 22 dicembre 2009 il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare proposta con il ricorso per motivi aggiunti.

All’udienza pubblica del 21 giugno 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato secondo quanto in prosieguo specificato.

Boatto Luca, Colatei Flavia, Colatei Mario, Pescia Bruna, la società Dafran 97 S.R.L., la società Villa Magnolia S.R.L. e la società I Gemelli S.R.L. impugnano la determinazione dirigenziale n. 2190 del 04/11/08 con cui il Comune di Roma, sulla base della nota prot. n. 9126 del 09/02/07 (anch’essa gravata) di accertamento degli abusi, ha ingiunto, ai sensi dell’art. 31 d.p.r. n. 380/01, la demolizione delle opere ivi indicate e consistenti nella realizzazione di parcheggi che risultano difformi dalle denunce d’inizio di attività presentate in ragione della variazione delle quote d’imposta del solaio di copertura, della mancata realizzazione di una parte del giardino pensile e della presenza di porte basculanti che invadono la sede stradale e di gocciolatoi che scaricano l’acqua sulla sede stradale.

Con la prima censura i ricorrenti prospettano l’incompetenza del funzionario che ha sottoscritto la gravata ordinanza di demolizione.

Il motivo è infondato in quanto, come risulta dalla memoria dell’ente resistente depositata il 5 marzo 2009 (non oggetto di specifica contestazione ad opera delle altre parti costituite), l’atto impugnato è firmato dal dott. Gugliemo Sabatini, direttore del Municipio XVI, da ritenersi competente in quanto responsabile della struttura amministrativa che ingloba quella cui è specificamente riferibile la determinazione dirigenziale di demolizione.

Con la terza censura i ricorrenti prospettano, poi, il difetto di motivazione del provvedimento di demolizione in quanto lo stesso non indicherebbe con sufficiente chiarezza la natura e l’entità degli abusi contestati né le ragioni per cui la fattispecie è stata sussunta nell’ambito applicativo dell’art. 31 d.p.r. n. 380/01.

Il motivo è fondato.

Dall’esame del provvedimento impugnato e della nota prot. n. 9126 del 09/02/07, ivi richiamata, non è possibile comprendere la tipologia e l’entità degli abusi contestati ai ricorrenti.

Gli atti in esame, infatti, si limitano ad evidenziare che non sarebbe stata realizzata la sistemazione con terreno vegetale, che lo stato dei luoghi rappresentato nelle denunce d’inizio di attività del 27/07/06 e del 20/11/08 non sarebbe conforme a quello effettivo e che vi sarebbero variazioni non autorizzate delle quote d’imposta del solaio di copertura senza, però, indicare con la necessaria specificità né la natura delle difformità rilevate né l’entità delle stesse.

Tali carenze risultano particolarmente significative perché non consentono al privato di comprendere la tipologia degli interventi necessari per ottemperare all’ordinanza di demolizione e, soprattutto, non palesano l’iter logico – giuridico seguito dall’amministrazione ai fini dell’applicazione dell’art. 31 d.p.r. n. 380/01 in luogo di altre norme quali, a mero titolo esemplificativo, gli artt. 33, 34 e 37 del medesimo testo normativo.

La mancanza in esame non permette, in particolare, di verificare se le difformità accertate siano effettivamente essenziali, alla stregua di quanto previsto dall’art. 32 d.p.r. n. 380/01 e dall’art. 17 l. r. n. 15/08 (tali non essendo le uniche opere contestate con chiarezza quali la mancata sistemazione del giardino, le porte basculanti con apertura lato strada e i gocciolatoi), e giustifichino, pertanto, l’applicazione della sanzione demolitoria prevista dall’art. 31 d.p.r. n. 380/01 e dell’acquisizione, ivi prevista, per il caso d’inottemperanza del responsabile.

La fondatezza della censura in esame impone, pertanto, l’accoglimento (previa declaratoria di assorbimento dell’ulteriore doglianza proposta) della domanda di annullamento degli atti impugnati con il ricorso principale.

Ad analoga conclusione deve pervenirsi in relazione all’istanza caducatoria proposta con il ricorso per motivi aggiunti ed avente ad oggetto la determinazione dirigenziale n. 1481 del 27 agosto 2009 con cui il Comune di Roma, sulla base del verbale prot. n. 42506 del 15/06/09 di accertamento dell’inottemperanza redatto dalla polizia municipale (anch’esso gravato), ha disposto, ai fini dell’acquisizione al patrimonio dell’ente, la trascrizione del provvedimento nella Conservatoria dei Registri Immobiliari e l’immissione nel possesso del bene.

Come fondatamente dedotto nel gravame, infatti, gli atti impugnati sono affetti dal vizio d’invalidità derivata dall’illegittimità della determinazione dirigenziale di demolizione n. 2190 del 04/11/08 che costituisce il presupposto indispensabile degli stessi essendo l’acquisizione prevista come sanzione per l’inottemperanza alla prescrizione demolitoria.

Per questo motivo le domande caducatorie proposte con il ricorso principale ed il ricorso per motivi aggiunti sono fondate e meritano accoglimento con conseguente annullamento degli atti impugnati e salvezza degli ulteriori provvedimenti che l’amministrazione, sulla base delle indicazioni provenienti dalla presente sentenza, riterrà di emanare nell’esercizio dei poteri ad essa riconosciuti dalla normativa edilizia ed urbanistica vigente.

Deve, invece, essere respinta la domanda risarcitoria non essendo possibile, allo stato, in relazione alla necessaria riedizione del procedimento amministrativo, accertare la lesione del bene della vita costituente presupposto indispensabile per il ristoro del pregiudizio patrimoniale dedotto.

Roma Capitale, in relazione alla sua prevalente soccombenza, deve essere condannata al pagamento delle spese del presente giudizio il cui importo si liquida come da dispositivo;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

1) accoglie le domande caducatorie proposte con il ricorso principale ed il ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione;

2) respinge la domanda di risarcimento del danno proposta dai ricorrenti;

3) condanna Roma Capitale a pagare, in favore dei ricorrenti, le spese del presente giudizio il cui importo si liquida, per diritti ed onorari, in complessivi euro millecinquecento oltre IVA, CPA e restituzione del contributo unificato come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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