Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-07-2011) 01-08-2011, n. 30508 Interesse ad impugnare

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza in data 01.12.2010 il Tribunale di Sorveglianza di Roma, previo giudizio di insussistenza delle fattispecie della collaborazione inesigibile o impossibile, dichiarava inammissibile, in ragione del titolo ostativo, l’istanza di affidamento in prova avanzata da S.A. (fine pena, a quella data, al 26.08.2011).- 2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto condannato che motivava l’impugnazione deducendo: errato diniego della collaborazione inesigibile.

3. Il Procuratore generale presso questa Corte depositava quindi requisitoria con la quale richiedeva il rigetto del ricorso.- 4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.- Ed invero risulta in atti, da documentazione acquisita da questa Corte, che l’odierno ricorrente S. A. è tornato in libertà in data 27.05.2011 per compiuta espiazione della pena. E’ del tutto evidente, pertanto, che egli non ha più interesse alla misura alternativa che aveva richiesto e, quindi, neppure alla dichiarazione di collaborazione inesigibile o inutile, questioni tutte che presuppongono un’esecuzione detentiva ancora in atto. E poichè per proporre impugnazione occorre averne giuridico interesse (v. art. 568 c.p.p., comma 4), il venir meno di tale interesse determina l’inammissibilità del proposto ricorso, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. a). – Poichè, peraltro, il presente esito di inammissibilità non è imputabile al S., a costui non vanno addebitate le sanzioni processuali previste dall’art. 616 c.p.p..-

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-03-2011) 09-09-2011, n. 33488 Misure cautelari

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Svolgimento del processo

1. Con il provvedimento del 24 giugno 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., ha confermato l’ordinanza, emessa il 25 maggio 2010 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, con la quale veniva applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari a M. L.G., in relazione ai reati di concorso negli omicidi, aggravati anche ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7, di S.A. e di G.D. (capi G e J) ed al reato di cui all’art. 416 bis c.p., per aver fornito un costante contributo alla vita dell’associazione riferibile ai figli Ga.Gi. e D., detenuti in espiazione della pena dell’ergastolo, aggiornandoli sugli avvenimenti più recenti, comunicando messaggi ed informazioni da parte degli altri affiliati e, più in generale, cooperando alla realizzazione del programma criminoso del gruppo (capo TT).

2. Il tribunale in un ampia premessa richiamava i fatti già accertati in altri procedimenti ricordando, tra l’altro, che l’esistenza ed il radicamento della cosca Gallico sul territorio di Palmi erano stati irrevocabilmente accertati con riferimento a fatti dei primi anni 2000. Evidenziava che negli anni 2004-2006 nella zona di Seminara, Barritteri e Palmi, a causa della rottura degli equilibri raggiunti tra le consorterie operanti in quei territori, si era verificata una sequela di omicidi che avevano coinvolto soggetti appartenenti ai due schieramenti dei G. – M. – Sc. da una parte e dei B. dall’altra.

Ripercorreva, altresì, quanto emerso – in particolare dalle intercettazioni ambientali effettuate durante i colloqui presso gli istituti di pena dove erano ristretti alcuni esponenti di vertice di sodalizi – in ordine alla partecipazione dei Ga. alla spartizione dei proventi derivanti dalle attività estorsive e, in particolare, da quelle relative ai lavori di ammodernamento dell’autostrada (OMISSIS), nel tratto corrispondente al 5^ macrolotto interessante, tra gli altri, i territori di (OMISSIS), per i quali, come riferito dal collaboratore di giustizia D.D. A., le cosche locali (Pesce-Bellocco di Rosarno, Piromalli di Gioia Tauro, Gallico di Palmi, Santaiti-Gioffrè-Laganà di Seminara e Bruzzise di Barritteri) avevano raggiunto un accordo spartitorio su base territoriale, che prevedeva una tangente del 3% sull’importo del capitolato d’appalto, da imporre nelle rispettive zone di dominio criminale.

Il tribunale, quindi, sottolineava che, quanto all’attuale operatività del sodalizio dei Gallico, un ruolo fondamentale veniva svolto – come emergeva dal contenuto delle conversazioni intercettate – dai familiari che effettuavano costantemente i colloqui in carcere con i componenti aventi ruoli apicali, non solo ricevendo direttive, ma anche dimostrando attiva partecipazione alle attività illecite del sodalizio; così i figli di Ga.Gi., A., I.A. e L., la moglie, S.M.C., il genero B.V., la madre, M.L.G., la sorella T. ed il marito di quest’ultima, M.G..

Affermava, quindi, che i dialoghi captati consentono di sostenere, quanto meno sotto il profilo della gravità indiziaria, che i familiari indagati perseguivano e realizzavano gli obiettivi del sodalizio, in particolare l’arricchimento attraverso la gestione ed il controllo delle attività imprenditoriali connesse ai lavori di ammodernamento della A3.

Gli indizi a carico dell’indagata venivano tratti dal contenuto delle conversazioni ambientali captate all’interno del carcere dove era detenuto il figlio, Ga.Gi., dal quale emergeva il ruolo di informatrice e di collegamento tra i figli detenuti e tra questi ed altri partecipi.

Con riferimento al contestato concorso nelle vicende di omicidio di S.A. e G.D. (capi G e J) nell’ordinanza impugnata si richiama in primo luogo il contenuto del colloquio avvenuto nel carcere di Secondigliano il 30.11.2006 tra Ga.

G., il figlio A., la moglie e la M..

Il detenuto, avendo appreso da S.A. anch’egli detenuto, che i B. ritenevano responsabili dell’omicidio del padre g. i componenti del gruppo Morgante-Sciglitano, sodali con i Gallico, e pertanto erano determinati a vendicarsi, invitava i familiari a prendere provvedimenti, eliminando i B. in libertà ed i cognati, S.A. e C.R.. Aveva, quindi, invitato la madre, M.L., a contattare il cugino M.S. perchè questi prendesse provvedimenti.

Riscontro dell’avvenuta consegna dell’indicazione data da Ga.

G. veniva rintracciato nella conversazione del successivo 9.1.2007, intercettata nel carcere di Carinola, tra Ga.

D., fratello di gi., la sorella T. ed il di lei marito, Mi.Ge.. T., dopo aver riferito al fratello del messaggio che la madre aveva comunicato ai cugini M. S. e F., mandando a chiamare S., lo aveva collegato (abbiamo prevenuto) agli omicidi, avvenuti a dicembre, di S.A. e G.D., il primo parente dei Bruzzese, il secondo incaricato per conto dei predetti di riscuotere i proventi delle estorsioni relative ai lavori della A3.

Al chiaro contenuto delle conversazioni riportate nell’ordinanza di custodia cautelare, che rivelano la cointeressenza nell’organizzazione criminale, il giudice del riesame riteneva riconducibili, altresì, gli indizi della partecipazione della M. al sodalizio.

Infine, il Tribunale, nel ritenere la sussistenza dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7, in relazione ai capi G) e J), rilevava – richiamando arresti di questa Corte – l’infondatezza della contestazione difensiva in ordine alla incompatibilità di detta aggravante con quella dei motivi abietti.

3. Avverso la predetta ordinanza ricorre la M., tramite il suo difensore di fiducia, deducendo con l’atto di ricorso e successiva memoria difensiva i seguenti motivi.

3.1. Con il primo deduce il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico per il concorso negli omicidi aggravati contestati ai capi G) e J).

Sostanzialmente censura la interpretazione operata dal giudice della cautela e condivisa da quello del riesame del contenuto delle conversazioni, rilevando che la pretesa partecipazione della M. ai fatti di omicidio viene desunta da un’unica conversazione (del 30.11.2006) dalla quale in realtà non può trarsi nè un mandato ad uccidere da parte del Ga., nè tanto meno che dello stesso l’indagata si sia fatta portatrice; si sostiene che dal medesimo colloquio emergeva, semmai, che il proposito criminoso era già stato maturato da M.S., nè tanto è contraddetto dal contenuto della conversazione del 9.1.2007 in cui Ga.Te. riferisce al fratello D. che la madre aveva convocato il S. per comunicargli ciò che aveva detto Ga.Gi.. Anche la pretesa causale dell’azione preventiva dei Ga. è tutt’altro che pacifica, posta, peraltro, l’Improbabilità che i Bruzzise potessero ritenere responsabili dell’omicidio del padre i germani M. che all’epoca del fatto erano detenuti, circostanza del tutto trascurata dai giudici della cautela.

Ancor meno poteva essere ricollegato a quanto detto da Ga.

G. l’omicidio del G. che, come si afferma nella stessa ordinanza, avrebbe avuto una motivazione ed origine diversi da quello del S., finalizzato a prevenire una paventata ritorsione dei Bruzzise per l’omicidio del padre del quale ritenevano responsabili i M. – Ga..

In ogni caso, afferma il ricorrente, anche a voler ritenere che il Ga. avesse dato l’indicazione ritenuta e che la madre l’avesse riferita ai fratelli M., certamente nessun contributo causale poteva ritenersi nella condotta dell’indagata, neppure di natura agevolatrice o rafforzativa.

Contraddittoria risulta anche la motivazione dell’ordinanza impugnata avuto riguardo alla sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, attesa la ritenuta riconducibilità degli omicidi a scopo difensivo preventivo dell’incolumità dei Morgante-Gallico e non ai fini della supremazia mafiosa sul territorio.

3.2. Il secondo motivo di ricorso censura il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi della partecipazione della M. al sodalizio mafioso, In assenza assoluta di circostanze di fatto concrete certamente non individuabili nella condivisione delle logiche di vita dei figli eventualmente rintracciabili nei pochi colloqui avuti in carcere.

Motivi della decisione

1. Il vaglio di legittimità demandato a questa Corte non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

Va ribadito, altresì, che "gli indizi raccolti nel corso delle intercettazioni telefoniche possono costituire fonte diretta di prova della colpevolezza dell’imputato e non devono necessariamente trovare riscontro in altri elementi esterni, qualora siano: a) gravi, cioè consistenti e resistenti alle obiezioni e quindi attendibili e convincenti; b) precisi e non equivoci, cioè non generici e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto verosimile; c) concordanti, cioè non contrastanti tra loro e, più ancora, con altri dati o elementi certi". (Sez. 4, n. 22391, del 02/04/2003, Quehalliu Luan, rv. 224962).

All’evidenza, detto principio vale a maggior ragione con riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di cui all’art. 273 c.p.p. per i quali non è richiesta la gravità, precisione e concordanza necessarie al fine di ritenere la c.d. prova indiziaria.

Nella specie, con le censure anzidette in ordine alla valutazione del compendio indiziario relativo alla contestazione di concorso in omicidio la ricorrente non contesta il contenuto della intercettazione, bensì, l’interpretazione e la valenza indiziante.

Sotto il primo profilo le argomentazioni difensive si sostanziano in ipotesi alternative in fatto precluse in questa sede.

Quanto alla configurabilità degli indizi in ordine al reato contestato, il tribunale riteneva coerente la valutazione del giudice della cautela avuto riguardo alla efficacia causale nella esecuzione degli omicidi della comunicazione fatta dalla ricorrente di quanto indicato da Ga.Gi. (p. 40 richiama Sez. 4, n. 24895, 22/05/2007, Di Chiara).

Ed invero, l’apporto della M. è senza dubbio rilevante ai fini della realizzazione del programma delittuoso perchè consente di fare pervenire il messaggio.

Diversamente da quanto afferma la ricorrente – peraltro, con deduzioni generiche – il compendio indiziario posto a fondamento della ritenuta partecipazione al sodalizio è costituito da una pluralità di circostanze che emergono in maniera chiara ed univoca dalle conversazioni riportate nell’ordinanza di custodia cautelare che rivelano la cointeressenza nell’organizzazione criminale.

Significativa sotto tale profilo è la conversazione richiamata del 20.9.2007, nel carcere di Secondigliano, nella quale Ga.

G. rappresenta ai familiari, tra i quali la madre, la preoccupazione per i pericoli per la loro incolumità a causa della recrudescenza della faida; quella del (OMISSIS), in cui il Ga. si duole con la madre della scarsa capacità del fratello R..

Si sottolineano i passaggi delle conversazioni ritenuti univoci in ordine alla manifestazione della intraneità dell’indagata alle vicende ed alle dinamiche criminali del sodalizio.

Le deduzioni difensive articolate in ricorso cadono sul tale valutazione, che attiene appunto al significato della prova la cui interpretazione è riservata ai giudici del merito con il limite della logicità e plausibilità qui non superato.

Allo stesso modo le osservazioni difensive in relazione all’aggravante del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 non sono rilevanti e la lettura dei comportamenti tenuti come chiara manifestazione di prepotenza mafiosa appare più che coerente con il racconto dei fatti ed ancorata, quindi, alle circostanze di fatto emerse compiutamente illustrate nella ordinanza impugnata ed innanzi sintetizzate.

In conclusione, il ricorso è per ogni verso inammissibile.

All’inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 24-10-2011, n. 8176 Demolizione di costruzioni abusive

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con l’ordinanza n. 1610, emessa il 13.9.2005, n. 47857 del 13.9.2005 e PC 24261/05.2.05 il Comune di Roma ha ordinato ai ricorrenti di provvedere entro 30 giorni dalla notifica alla demolizione di tutte le opere abusive eseguite (manufatto sito in Roma, via Trionfale, 8365).

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di diritto:

1). Violazione di legge con espresso riferimento agli artt. 38 e 44 l. 47/85 e 39 L. 724/94 come integrati dalla legge 24.11.2003 n. 326, eccesso di potere per errore sui presupposti;

2). Violazione L. 47/85 con espresso riferimento art. 4, comma 3, modificato dall’art. 28 DPR 380/2001;

3). Eccesso di potere per difetto di istruttoria, violazione e falsa applicazione art. 9 L. 47/85, modificato dall’art. 34 DPR 380/2001;

4). Eccesso di potere per insufficiente motivazione in ordine alla scelta della sanzione (demolizione);

5). Violazione di legge, eccesso di potere per difetto di istruttoria.

In data 15.6.2011 si è costituito il Comune resistente con deposito di documenti.

In data 11.10.2011 il Comune resistente ha ottemperato all’ord. istruttoria n. 5544/2011 e ha precisato che:

"risulta domanda di c.e. in sanatoria presentata dal ricorrente n. 506506/04 per opere edilizie in Via Trionfale n. 8365 rivolte alla realizzazione dell’ampliamento di un immobile già destinato a ristorante per mq 215,00 distinto al nuovo catasto al foglio 193, particella 66, sub 501;

gli abusi contestati nella DD n. 1610/05 sono gli stessi descritti nel fascicolo prot. n. 506506/04; l’istruttoria tecnica è ancora in corso".

Tanto premesso, il ricorso è fondato e va accolto in quanto il provvedimento impugnato è stato emesso in pendenza di domanda di sanatoria – presentata anteriormente – e non definita.

E’ principio giurisprudenziale, infatti, che – in pendenza di domanda di sanatoria – è preclusa all’Amministrazione la possibilità di adottare provvedimenti repressivi dell’abuso oggetto di detta domanda in quanto la repressione renderebbe inane la domanda di sanatoria che non potrebbe più svolgere la sua funzione di ricondurre a legittimità la costruzione abusiva.

Cosicchè proprio per consentire a tale domanda di esplicare i suoi effetti legittimanti, sempre che ricorrano le condizioni di legge, l’Amministrazione deve prioritariamente pronunciarsi su essa; del resto la repressione di un abuso edilizio sconta la illegittimità del soggetto autore, illegittimità che, in caso di pendenza di domanda di sanatoria, è suscettibile di conversione attraverso il particolare procedimento di sanatoria, per cui la repressione senza la previa definizione di tale domanda introdurrebbe surrettiziamente, senza le garanzie dello stesso procedimento di sanatoria, un definitivo giudizio di insanabilità dell’abuso.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, è annullato l’atto impugnato; restano salvi gli eventuali ulteriori provvedimenti di competenza del Comune all’esito della domanda di sanatoria.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando:

Accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 14-11-2011, n. 8802

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il presente ricorso parte ricorrente espone quanto segue:

1) che egli lavora alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria;

2) che, con sentenza n. 12009 del 2008, il T.a.r. del Lazio accoglieva il ricorso proposto da numerosi ricorrenti, tra cui lo stesso, per vedersi riconoscere il diritto ad ottenere il computo delle due ore settimanali di servizio obbligatorio a fini di tredicesima mensilità, nonché ai fini della riliquidazione del trattamento pensionistico e di quello di buonuscita, con relativa condanna dell’Amministrazione al pagamento di quanto dovuto; in particolare, il T.a.r. accoglieva in parte la pretesa dei ricorrenti, riconoscendo il loro diritto ad ottenere il computo, nella base pensionabile e nella base di calcolo della buonuscita delle due ore di servizio straordinario obbligatorio, a decorrere dal 31 dicembre 1995.

Espone, altresì, di avere notificato nel secondo semestre del 2010, come risultante in atti, apposita diffida affinché l’Amministrazione eseguisse la sentenza in epigrafe, passata in giudicato, per effetto del decorso dei termini di impugnazione previsti per legge senza che la parte soccombente proponesse appello.

Conclude, chiedendo, pertanto, che sia dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione della Giustizia di portare ad esecuzione la prefata sentenza e che sia eventualmente nominato un commissario ad acta, come per legge.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato.

Nella camera di consiglio del 3 febbraio 2011, è stato disposto un rinvio per consentire al ricorrente di depositare puntuale documentazione che rendesse possibile al T.a.r. di accertarne la precipua posizione.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione nella camera di consiglio del 20 ottobre 2011, nella quale il Collegio ha ritenuto inammissibile la richiesta di parte ricorrente, per le ragioni nel prosieguo indicate.

Deve considerarsi, infatti, che l’esponente aziona la pretesa a conseguire l’esecuzione della sentenza in epigrafe, in base alla quale è stato riconosciuto il diritto ad ottenere la determinazione della base pensionabile e della base di calcolo dell’indennità di buonuscita, ricomprendendovi anche le due ore di lavoro obbligatorie e settimanali già previste dall’art. 12, commi 1, 2 e 3 del d.P.R. 31 luglio 1995, n. 395, a decorrere dal 31 dicembre 1995, pur essendo ancora in servizio.

Al riguardo, è dunque da rilevare che, ancorché la sentenza possa essere considerata quanto meno esecutiva, non avendo parte ricorrente prodotto certificato di non interposto appello, mentre l’art. 114, comma 2 del Codice di rito prescrive che l’attore debba produrre in giudizio anche l’eventuale prova del passaggio in giudicato, la situazione di cui sopra rende la domanda di esecuzione inammissibile, atteso che, a fronte del riconoscimento del diritto ad ottenere il beneficio di che trattasi recato dalla sentenza in epigrafe, la relativa condanna dell’Amministrazione alla corretta determinazione delle sopra cennate basi di calcolo ai fini della pensione e dell’indennità di buonuscita potrà avere attuazione solo quando gli interessati, tra cui l’esponente, lo matureranno, e cioè al momento del collocamento in quiescenza, secondo quanto pure specificato dall’art. 4, comma 4, del menzionato d.P.R. n. 395/1995, sulla base del quale la pretesa è stata riconosciuta dal T.a.r..

In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Per le suindicate considerazioni il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

In considerazione della peculiarità del giudizio di ottemperanza all’esame della sezione, sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio, dei diritti e degli onorari.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione I quater, definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.