Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-10-2011) 28-10-2011, n. 39177

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 15/13/2010, il Giudice di Pace di Alghero dichiarava di non doversi procedere nei confronti di F.G. F. e di F.I., in ordine ai reati di danneggiamento, ingiuria e minaccia, per difetto di una valida querela, sotto il profilo del difetto di una formale istanza di punizione e del difetto di autenticazione della firma.

Avverso tale sentenza propone ricorso il P.G. deducendo violazione di legge in relazione agli artt. 336 e 337 c.p.p..

Al riguardo eccepisce che la querela è stata proposta oralmente e raccolta a verbale da ufficiale di P.G., non essendo pertanto necessaria l’autenticazione della firma del dichiarante e che nel verbale risulta espressamente formulata l’istanza di punizione.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato. E’ di lapalissiana evidenza che nel caso la querela sia presentata mediante dichiarazione orale raccolta da un pubblico ufficiale, la firma di sottoscrizione del verbale da parte del dichiarante non necessità di nessuna autentica in quanto l’identificazione del dichiarante è effettuata dal pubblico ufficiale.

Al riguardo è pacifico che:

"Ai fini della ritualità della presentazione della querela, l’art. 337 c.p.p., comma 4, laddove si prevede che l’autorità che riceve la querela deve provvedere – tra l’altro – alla identificazione della persona che la propone, deve essere interpretato non formalisticamente, onde il querelante può essere identificato in uno qualsiasi dei modi previsti dalla legge (anche per conoscenza personale o per precedente identificazione). Ne deriva non solo che non occorre riportare nell’atto di querela i dati identificativi ricavati da un documento di riconoscimento, ma anche che, quando l’atto sia formato dall’autorità legittimata a riceverlo, l’identificazione del querelante può ritenersi avvenuta con la semplice trascrizione delle generalità nell’atto medesimo" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 30044 del 22/02/2006 Ud. (dep. 12/39/2006) Rv.

235170).

Questa Sezione, in particolare, ha statuito che:

"L’identificazione del querelante, ove la querela sia formata dinnanzi all’autorità di polizia deputata a riceverla, è operata per mezzo della semplice annotazione delle generalità" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 44409 del 04/11/2008 Ud. (dep. 27/13/2008) Rv.

243029).

Quanto all’istanza di punizione, è appena il caso di rilevare che la formula "sporgo formale querela" costituisce precipua espressione della volontà punitiva da parte del soggetto denunziante.

Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. Gli atti devono essere trasmessi al giudice di pace di Alghero per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Giudice di pace di Alghero.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-06-2011) 16-11-2011, n. 42103

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Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’Appello di Salerno confermava la sentenza del GUP del Tribunale di quella stessa città, che, pronunciando con le forme del rito abbreviato, aveva dichiarato D.S. colpevole del reato di furto in abitazione e, per l’effetto, l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia, con consequenziali statuizioni di legge.

Avverso la pronuncia annetta l’imputato ed il suo difensore hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, ciascuno affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione

1. – Il ricorso proposto personalmente dallo S. deduce, con unico motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c), sul rilievo che all’affermazione di colpevolezza di esso "tante i giudici di appello erano pervenuti sulla base della sola relazione tecnica degli uffici di p.g., che, di loro iniziativa, senza delega da parte del PM competente avevano effettuato i rilievi dattiloscopie., peraltro a distanza di molti giorni dal fatto trasmettendo poi i reperti alla sede del R.I.S. di Roma. I relativi accertamenti erano stati pertanto, compiuti in violazione dell’art. 354 c.p.p., comma 2.

Il ricorso del difensore denuncia erronea applicazione della legge penale, con particolare riferimento agli artt. 133 e 62 bis c.p., lamentando l’ingiusto diniego delle circostanza generiche, che avrebbero consentito una più equa determinazione della pena.

2. – Il ricorso dell’imputato è destituito di fondamento. Ed invero, nessuna violazione di legge è dato ravvisare nello sviluppo delle indagini che hanno portato all’attribuzione all’imputato delle impronte papillari rilevate nell’abitazione in cui è era stato commesso il furto. La p.g. ha correttamente proceduto al rilievo delle dette impronte, a distanza di pochi giorni dal fatto ((OMISSIS)), provvedendo agli accertamenti urgenti esperibili, d’iniziativa, sui luoghi e sulle cose nei limiti consentiti dall’art. 354 c.p.p..

Il ricorso del difensore si colloca, invece, alle soglie dell’inammissibilità, involgendo questione prettamente di merito, afferente al regime sanzionalo. La questione è comunque, priva di fondamento, in quanto il diniego delle generiche è stato ben motivato con riferimento a due specifici precedenti dell’imputato, che connotavano negativamente la sua personalità, rendendolo non meritevole del reclamato beneficio.

3. – Per quanto precede, entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 10-01-2012, n. 36 Concessione per nuove costruzioni

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con Provv. 13 aprile 1987, n. 3643 il Sindaco del comune di Città S.Angelo negava al sig. G.D.C. il rilascio di una concessione edilizia per la costruzione di un edificio alberghiero in c.da S.Martino in ragione della circostanza che nella zona in questione era necessaria una preventiva lottizzazione.

In accoglimento del ricorso proposto dall’interessato tale diniego veniva annullato dal Tar Abruzzo, sezione di Pescara, con sentenza 27 aprile 1992, n. 148, passata in giudicato, sulla base del rilievo che l’area era ricompresa in una zona già edificata ed urbanizzata.

Dopo l’adozione di un primo provvedimento di sospensione del rinnovato procedimento e l’emanazione da parte del Tar dell’ordine di riesaminare la vicenda, con Provv. 9 maggio 1996, n. 5199 del 1996 il Sindaco del Comune di Città S.Angelo negava nuovamente il rilascio della concessione edilizia.

Impugnato anche tale atto, con sentenza n. 898/1999 il Tar Abruzzo, sezione di Pescara, accoglieva il ricorso, ritenendo che la sopravvenuta pianificazione urbanistica non fosse opponibile al sig. D.C., anche se intervenuta prima della notificazione della precedente sentenza, perché con il giudicato era stato accertato il diritto all’edificazione e perché comunque l’amministrazione avrebbe dovuto valutare la situazione dell’area oggetto del precedente annullamento al fine di renderla edificabile senza limitazioni.

Aggiungeva il Tar che la strada, richiamata nel provvedimento di diniego, non era in concreto realizzabile per la presenza di altri edifici da tempo esistenti.

Il comune di Città S.Angelo ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.

Il ricorrente di primo grado, regolarmente intimato, non si è costituito in giudizio.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L’oggetto del presente giudizio è costituito dall’accertamento della possibilità di edificare un albergo in zona dove l’intervento richiesto è diventato incompatibile con le norme di P.R.G., adottate prima della notificazione della precedente sentenza del Tar di annullamento del primo diniego opposto dall’amministrazione comunale.

Il giudice di primo grado ha fatto riferimento all’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in sede di riesercizio del potere conseguente all’annullamento giurisdizionale di un diniego di concessione edilizia, il Comune è tenuto ad applicare la normativa urbanistica vigente al momento in cui la sentenza è stata notificata o comunicata in via amministrativa, divenendo inopponibili al privato le variazioni dello strumento urbanistico sopravvenute successivamente a detto momento (a partire da Cons. Stato, Ad.plen., 8 gennaio 1986, n. 1).

Il Tar ha, tuttavia, ritenuto non applicabile al caso di specie tale principio perché con il giudicato era stato accertato il diritto a edificare in capo al ricorrente e perché il Comune avrebbe dovuto tenere conto di tale statuizione nel successivo iter di variazione dello strumento urbanistico.

Il comune di Città S.Angelo contesta tale statuizione, deducendo il vizio di ultrapetizione e richiamando l’orientamento giurisprudenziale ritenuto inapplicabile dal Tar.

Con riguardo al profilo della ultrapetizione, si osserva che in effetti nel ricorso di primo grado non vi era un espresso riferimento alla violazione da parte del comune dell’obbligo di valutare la situazione del ricorrente in sede di modifica della pianificazione urbanistica; si ritiene che comunque tale aspetto non regga autonomamente l’impugnata sentenza e possa essere valutato unitamente alle altre questioni sollevate.

I motivi del ricorso in appello, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

Con il giudicato formatosi sul primo diniego è stato accertato che la mancanza della lottizzazione non era ostativa al rilascio della concessione edilizia, essendo stato dato rilievo alla c.d. "lottizzazione fattuale", consistente in una situazione di edificazione ed urbanizzazione, accompagnata dalla destinazione dell’area ad attività alberghiera nel P.d.F..

In un caso, quale quello di specie, a prescindere dal motivo dell’annullamento del diniego di concessione edilizia, va applicato il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui la disciplina urbanistica da applicare in occasione dell’esame di un progetto edilizio conseguente ad una sentenza di annullamento del diniego della concessione è quella vigente al momento in cui la sentenza è notificata al sindaco, risultando inopponibili all’interessato solo le variazioni dello strumento urbanistico sopravvenute successivamente a tale notificazione (Cons. Stato. Ad. plen. 8 gennaio 1986, n. 1).

Non è questa la sede per verificare la validità di tale orientamento anche nel caso di accoglimento dell’azione di condanna al rilascio di un determinato provvedimento, che può oggi accompagnare l’azione di annullamento in base al combinato disposto degli artt. 30, comma 1 e art. 34, comma 1, lett. c) c.p.a. (condanna atipica "all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio", interpretata come azione di adempimento da Cons. Stato, Ad. plen. n. 3/2011 e n. 15/2011).

Ciò che rileva nel presente giudizio è l’annullamento del primo diniego e la situazione urbanistica al momento della notificazione della sentenza del Tar.

Al riguardo, non è in contestazione che:

a) la sentenza 27 aprile 1992, n. 148, passata in giudicato, è stata comunicata all’amministrazione in data 30 aprile 1992;

b) con deliberazione 20 marzo 1990, n. 109 il Consiglio comunale di Città S.Angelo aveva adottato un nuovo P.R.G., che, pur conservando all’area in questione la destinazione a zona alberghiera, non consentiva nuove edificazioni, ma solo l’ampliamento del 20% degli edifici esistenti.

L’intervento richiesto dal ricorrente di primo grado riguardava una nuova edificazione alberghiera, e non un ampliamento, ed era così diventato incompatibile con le norme di P.R.G., già adottate al momento della comunicazione della prima sentenza del Tar.

Il predetto orientamento giurisprudenziale si applica, infatti, anche nel caso di semplice adozione del nuovo P.R.G. (Cons. Stato, IV, n. 924/2002), risultando quindi irrilevante il successivo iter, svoltosi attraverso l’approvazione del piano con prescrizioni da parte del consiglio provinciale (deliberazione 30 novembre 1992, n. 182), il susseguente adeguamento del consiglio comunale (deliberazione del consiglio comunale 3 dicembre 1992, n. 78) e la definitiva approvazione (deliberazione del consiglio provinciale di Pescara 7 ottobre 1993, n. 117).

Le sopravvenute norme di piano hanno, quindi, reso l’intervento incompatibile e non più realizzabile e tale considerazione si fonda sulla preclusione di nuove edificazioni alberghiere, senza che assuma rilievo decisivo la questione della strada, che è stata richiamata nel provvedimento impugnato quale ulteriore e autonomo motivo ostativo, in mera aggiunta alla predetta incompatibilità (chiarita nei pareri richiamati per relazione nel diniego).

E’, quindi, superfluo ogni ulteriore accertamento sulla realizzabilità della strada, che – sulla base delle fotografie prodotte dal comune appellante – sembra comunque essere in parte avvenuta.

Va, infine, chiarito che ogni questione relativa all’obbligo del comune di tenere conto del giudicato di annullamento in sede di pianificazione non può costituire parametro per valutare la legittimità del diniego di concessione edilizia, ma integra un aspetto che il ricorrente di primo grado avrebbe potuto far valere nei confronti della variante al P.R.G. (con osservazioni in sede amministrativo o con eventuale ricorso giurisdizionale).

La giurisprudenza in precedenza richiamata ha, infatti, affermato che la tutela giuridica che può riconoscersi al privato che abbia ottenuto un giudicato favorevole contro il diniego di concessione edilizia consiste anche nella titolarità in capo al soggetto privato di un interesse "pretensivo" (da far valere con apposita istanza) a che l’autorità competente riveda in "parte qua" il piano urbanistico vigente al fine di valutare se ad esso possa essere apportata una variante, che recuperi, in tutto o in parte e compatibilmente con l’interesse pubblico, la previsione del piano abrogato, sulla quale si fondava originariamente la domanda di concessione.

Tale interesse – si ribadisce – non incide direttamente sui provvedimenti con cui la domanda di rilascio di concessione edilizia è esaminata, dovendosi in quella sede fare necessaria applicazione delle previsioni urbanistiche vigenti, ma può essere fatto valere nei confronti delle modificazioni agli strumenti urbanistici; si tratta, comunque, di questione che esula dall’oggetto del presente giudizio, che è costituito dalla verifica della legittimità del diniego di concessione edilizia.

3. In conclusione, il ricorso in appello deve essere accolto e, in riforma dell’impugnata sentenza, va respinto il ricorso di primo grado.

Ricorrono i presupposti per compensare le spese del doppio grado di giudizio, tenuto conto della peculiarità in fatto della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Francesco Caringella, Consigliere

Roberto Chieppa, Consigliere, Estensore

Francesca Quadri, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. VI, Sent., 17-01-2011, n. 235

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale amministrativo regionale della Calabria con la appellata sentenza ha accolto il ricorso n. 585 del 2004 dell’odierna appellata, ordinando alla s.p.a. P.I. di consentire l’accesso alla documentazione relativa alla selezione per apprendisti portalettere, cui la ricorrente aveva partecipato.

Quest’ultima aveva impugnato la statuizione reiettiva resa dalla società, evidenziando il legame intercorrente tra la richiesta documentazione e la possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa

Il primo Giudice con la decisione appellata ha accolto il ricorso, rilevando che:

– non vi erano i presupposti per poter denegare la visione della richiesta documentazione sulla base della deduzione della società per cui la selezione "non aveva natura concorsuale";

– la stessa società, in quanto gestore di pubblico servizio, sebbene formalmente società privata, aveva l’obbligo di accogliere la richiesta di ostensione della documentazione relativa alla selezione atta a garantire la provvista di personale cui l’appellata aveva partecipato

La s.p.a. P.I. ha proposto una articolata impugnazione, sottoponendo a rivisitazione critica l’intero impianto della impugnata decisione che, a suo dire, avrebbe travisato i principi di cui alle decisioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 e 5 del 1999.

Ad avviso dell’appellante, non si sarebbe in presenza di una procedura comparativa; non sarebbe stata redatta alcuna graduatoria, ma, unicamente, una lista di idonei; non sarebbe stato attribuito alcun punteggio.

Ciò sarebbe confermato dal fatto che la selezione è stata effettuata da un’altra società (la B.I.H.G. e P.), in possesso di tutta la documentazione, sicché si dovrebbe concludere nel senso che la selezione non era strumentale ad alcun compito di rilievo pubblicistico.

L’appellata ha depositato una articolata memoria difensiva, chiedendo, in primo luogo, che il ricorso in appello venga dichiarato irricevibile perché tardivo (la sentenza è stata notificata il 1° luglio 2004, mentre l’appello è stato proposto il 23 luglio 2005); esso era altresì infondato nel merito, posto che l’istanza di accesso concerneva la documentazione relativa alla organizzazione interna dell’appellante (selezione per l’assunzione di personale).
Motivi della decisione

1.Il ricorso in appello è infondato e va respinto.

Può pertanto prescindersi dall’esame della eccezione di inammissibilità per tardività del medesimo, sollevata dall’appellata.

2. In punto di fatto, va evidenziato che dalla documentazione prodotta in primo grado dalla originaria ricorrente si evince che le espressioni utilizzate dalla società che gestiva la procedura per conto dell’appellante era stata la seguente: "stiamo ricercando portalettere in alcune Regioni….opportunità rivolta a giovani….che parteciperanno ad una selezione articolata su diverse prove".

E del pari si evince che la società appellante medesima "offriva un contratto di apprendistato" e che il personale che avesse superato la selezione sarebbe poi stato avviato alle visite mediche.

Analoghe conclusioni possono trarsi dall’esame del testo del telegramma indirizzato dalla s.p.a. P.I. all’originaria ricorrente, versato in atti.

Risulta pertanto smentita la tesi della società appellante, secondo cui la selezione in oggetto non fosse finalizzata – neanche mediatamente- all’assunzione di personale.

3. Ne consegue la piena riconducibilità della fattispecie al principio secondo cui la s.p.a. P.I. è soggetta alla disciplina in tema di accesso quando l’accesso sia stato richiesto in relazione all’attività di organizzazione delle forze lavorative e, quindi, del servizio postale (Consiglio Stato, sez. VI, 26 gennaio 2006, n. 229).

Infatti, gli art. 22 e 23 della legge n. 241 del 1990 si applicano anche alla attività posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest’ultima da un nesso di strumentalità derivante anche, sul versante soggettivo, dall’intensa conformazione pubblicistica, il che avviene in tema di organizzazione interna della società e di qualsiasi selezione del personale della società appellante (Consiglio Stato, sez. VI, 19 gennaio 2010, n. 189; Consiglio Stato, sez. VI, 02 ottobre 2009, n. 5987).

Il fatto che l’attività di selezione degli aspiranti sia stata affidata ad una società terza non incide in alcun modo sul principio sopra formulata, poiché l’obbligo di trasparenza non può essere eluso con l’affidamento ad altri, a qualsiasi titolo, dell’attività in definitiva imputabile al gestore del pubblico servizio, e complessivamente sottoposta ai principi di buon andamento ed imparzialità, di cui all’art. 97 della Costituzione..

Al contrario, il rapporto intercorrente tra l’ente organizzatore della selezione con il soggetto giuridico cui il medesimo ha affidato il compito di selezionare il personale integra "res inter alios" al cospetto dell’interesse dell’aspirante ad ottenere la ostensione degli atti e non può costituire schermo preclusivo del diritto all’accesso, posto che degli atti suddetti l’ente organizzatore è il titolare giuridico qualificato (e, non a caso, il soggetto che è ex lege deputato ad opporsi laddove ritenga la richiesta di ostensione inaccoglibile).

4. Il ricorso in appello deve pertanto essere respinto, con conseguente conferma dell’appellata sentenza.

Le spese processuali del secondo grado del giudizio seguono la soccombenza e pertanto l’appellante va condannata al pagamento delle medesime, in misura che appare congruo quantificare in Euro tremila (Euro 3000/00), oltre accessori di legge in favore dell’appellata.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)definitivamente pronunciando sull’appello n. 7011 del 2005, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali nella misura di Euro tremila (Euro 3000/00) oltre accessori di legge, per il secondo grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Paolo Buonvino, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.