Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 24-03-2011, n. 6766 Retribuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso, depositato il 7.03.1991, C.D.A. esponeva:

– di avere lavorato alle dipendenze del Condominio "Villa Italia" di Via (OMISSIS) per il periodo dal 1.10.1971 al 15.04.1990 con le mansioni di portiere; – di avere provveduto, oltre che alla pulizia delle parti comuni, alla raccolta della posta, alla riscossione delle quote condominiali, nonchè alla pulizia del giardino condominiale; – di non avere goduto delle ferie senza le relative indennità; – di non avere percepito il TFR e le altre spettanze in misura adeguata;

– di non avere goduto di copertura assicurativa. Ciò premesso, chiedeva la condanna del Condominio al pagamento della somma di L. 42.096.831, oltre al risarcimento dei danni da omissioni contributive. All’esito il Tribunale di Napoli con sentenza de 6.12.2000 condannava il Condominio al pagamento della somma di L. 15.392.635, oltre accessori e risarcimento dei danni per omissioni contributive dal 1978 al 1990.

Tale decisione, appellata dal Condominio, è stata riformata dalla Corte di Appello di Napoli n. 7925 del 2005, che, sulla base di rinnovata consulenza tecnica di ufficio, ha determinato in Euro 1.357,93, oltre accessori, l’importo dovuto per differenze retributive e ha riconosciuto l’omissione contributiva per i soli mesi di aprile, maggio e giugno 1977 a favore del C..

Quest’ultimo ricorre per cassazione con un motivo. Il Condominio resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 329, 346, 434 e 437 c.p.c., violazione del giudicato interno, error in procedendo ed errata valutazione delle prove acquisite al processo. Il ricorrente contesta l’impugnata sentenza per essere incorsa in vizio di ultrapetizione, giacchè la specificità dei rilevi svolti con l’atto di appello comportava acquiescenza alle parti della decisione non impugnate. Dal che discende, secondo il ricorrente, il superamento, da parte del consulente tecnico di ufficio di secondo grado, del mandato ricevuto, che avrebbe dovuto limitarsi – in relazione ai rilievi contenuti rispettivamente nel secondo e terzo motivo di appello – ad eliminare dal computo le voci relative al valore convenzionale dell’alloggio e agli assegni familiari e non procedere al ricalcolo della somma relativa al giardinaggio, l’interessata dal primo motivo di appello, ritenuto infondato.

Altro profilo di vizio di ultrapetizione, ad avviso del ricorrente, si riscontra nel punto in cui lo stesso consulente, seguito poi dal giudice di appello, indica tra le poste negative le somme ritenute versate in misura maggiore rispetto alla retribuzione dovuta.

2. Le esposte censure non colgono nel segno e vanno disattese.

La Corte territoriale sulla base degli accertamenti del consulente. nominato in secondo grado – ha proceduto a ricalcolare gli importi dovuti al C., ritenendo infondati i rilievi circa la voce del giardinaggio ed espungendo dal calcolo, ai fini della determinazione della retribuzione e del TFR conseguente, il valore convenzionale dell’alloggio e gli assegni familiari.

Trattasi di valutazione sorretta da adeguata e coerente motivazione, cui il ricorrente, non correttamente invocando vizio di ultrapetizione ed erronea valutazione delle prove acquisite, oppone un diverso apprezzamento, non ammissibile in sede di legittimità. 2. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 10,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 21-04-2011, n. 9225 Imposta reddito persone fisiche

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igetto del ricorso incidentale.
Svolgimento del processo

La società contribuente ed i relativi soci proposero ricorsi avverso avvisi di accertamento emessi dall’Ufficio per le annualità 1991 e 1992 – a fini ilor, a carico della società e, a fini irpef, a carico dei relativi soci – fondati sull’asserita indebita deduzione di costi relativi ad operazioni inesistenti intervenute con l’impresa Dilor Pel. Gli accertamenti erano fondati sul rilievo che Dilor Pel non disponeva di dotazioni strutturali e personali idonee a garantire la realizzazione dei servizi di lavorazione delle pelli risultanti dalle fatture.

L’adita commissione tributaria, riuniti i ricorsi, li accolse in parte, ritenendo comprovata l’esistenza delle operazioni oggetto della contestazione solo in misura pari al 50% dell’accertato. In esito all’appello dei contribuenti, la decisione fu, tuttavia, riformata dalla commissione regionale, che, ritenuta l’esistenza della contestate operazioni, affermò l’integrale illegittimità del recupero a tassazione dei costi correlativi.

Posto che già i primi giudici avevano riscontrato la ricorrenza di effettive relazioni tra Conceria del Soccorso e Dilor Pel, seppur in misura inferiore al fatturato, e che, sul punto, l’Amministrazione aveva prestato acquiescenza, i giudici di appello rilevarono che, mentre l’Amministrazione aveva basato l’inesistenza delle operazioni "esclusivamente sulla rilevata mancanza di mezzi della Dilor Pel fornitrice dei servizi di lavorazione pelli ritenuti inesistenti, l’appellante ha fornito prova diversa con documenti fiscali, pagamenti documentati da titoli bancari regolarmente quietanzati ecc, questi si elementi certi su cui fondare il convincimento della reale effettuazione delle operazioni".

I giudici di appello rivelarono, inoltre, il difetto di motivazione degli accertamenti a carico dei soci.

Avverso la decisione di appello, l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione in due motivi.

La società contribuente, G.A., Ga.Am. e P.R. hanno resistito con controricorso, deducendo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso in quanto tardivamente promosso, ed hanno, altresì, proposto ricorso incidentale condizionato in due motivi.
Motivi della decisione

1) – Siccome proposti contro la stessa sentenza, i due ricorsi, devono essere riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c.;

Il ricorso principale – che, dal relativo frontespizio, risulta consegnato per la notifica all’ufficiale giudiziario il 12.12.2005 – è ammissibile nella prospettiva di cui all’art. 327 c.p.c., posto che, incidendo su sentenza depositata il 27.10.2004, è intervenuto entro il termine di un anno e 46 giorni dal deposito della sentenza impugnata.

Il ricorso in rassegna è, peraltro, supportato da idonea legittimazione ad agire con riferimento alla sola Agenzia delle Entrate. Ciò perchè, a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle Entrate (divenuta operativa dall’1.1.2001), si è verificata la successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, con conseguente acquisizione della legittimazione ad causam e ad processum nei correlativi giudizi, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., commi 3 e 4; mentre il Ministero delle Finanze, estraneo al giudizio di appello, deve ritenersi carente di legittimazione, per effetto di legittima estromissione (cfr. Cass. s.u. 3116/06, Cass. 4936/06).

Con riferimento a quanto prospettato dai contribuenti in memoria, deve, inoltre, rilevarsi che le doglianze espresse nel ricorso principale dell’Agenzia si rivelano connaturalmente inidonee a collidere con le previsioni di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, esaurendosi in una mera critica giuridica delle determinazioni assunte del giudice di appello e nel puro rilevamento di incongruenza e lacune motivazionali (v. Cass. 12028/10).

2) 1. – Con il primo motivo del ricorso principale, l’Agenzia – deducendo omessa motivazione violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 39, dell’art. 2697 c.c., dell’art. 2727 c.c. e segg. – censura la decisione impugnata per aver affermato l’effettività delle operazioni attestate dalla contestate fatture con violazione del criterio dell’onere della prova e mediante allegazione di elementi del tutto generici e non dettagliatamente specificati.

Con il secondo motivo del ricorso principale deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 – l’Agenzia censura la decisione impugnata per aver affermato l’inidoneità della motivazione degli accertamenti a carico dei soci in quanto risolventesi in mero rinvio all’accertamento a carico della società, senza aver considerato che si trattava di redditi accertati in capo ai soci "per trasparenza" D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 5.

Con i due motivi di ricorso incidentale condizionato, la società contribuente lamenta, sul piano della violazione di legge e su quello del difetto di motivazione, il mancato rilievo da parte del giudice a quo della preclusione determinata da giudicati favorevoli verificatisi in merito agli accertamenti iva, per gli anni 1990, 1991 e 1992, scaturiti dal mede s imo p.v.c..

2. – Il ricorso incidentale condizionato proposto dalla società contribuente e dai soci A. e Ga.Am. e P. R., va esaminato prioritariamente, giacchè introduce questioni, rilevabili di ufficio, non esaminate nel giudizio di merito (cfr.

Cass., sez. un., 23019/07).

Le doglianze di cui si sostanzia non risultano rispondenti al criterio dell’"autosufficienza del ricorso", poichè, in mancanza di compiuta descrizione dei pretesi giudicati e di precise indicazioni circa la relativa deduzione in sede di giudizio di merito, non offrono come richiesto (v. Cass. 15.910/05, 6972/05, 6225/05) tutti gli elementi necessari a questa Corte per valutare, immediatamente sulla scorta delle sole risultanze del ricorso e della sentenza impugnata, ammissibilità e fondatezza delle censure proposte.

Le doglianze in esame sono, comunque, infondate, posto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la diversità di rapporto giuridico dedotto in lite (nella specie: controversia concernente tributi diretti, in rapporto ad altra concernente l’iva) impedisce l’estensione del giudicato dall’una all’altra causa (cfr. Cass. 25200/09, 16816/08, 15396/08, 5943/07).

3. – Fondati e meritevoli di accoglimento si rivelano, invece, entrambi i motivi del ricorso principale dell’Agenzia.

Quanto al primo, occorre, innanzitutto, rilevare che questa Corte ha puntualizzato che la fatturazione fittizia ingenera, almeno nella prospettiva di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, una presunzione di corrispondente indebito vantaggio economico e che – qualora l’Amministrazione fornisca validi elementi, anche meramente presuntivi purchè specifici, atti ad asseverare la contabilizzazione di fatture emesse per operazioni inesistenti con la conseguenza indebita deduzione dei costi correlativamente esposti – è onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni (cfr. Cass. 15395/08, 2847/08, 21953/07, 1727/07).

Tanto premesso in linea di principio, va, in concreto, rilevato che, dallo stessa decisione dei giudici di appello, risulta che dal p.v.c. della G.d.F. emerge il riscontro della strutturale inadeguatezza di Dilor Pel rispetto al complesso delle prestazioni riportate nelle fatture dedotte in controversia (inadeguatezza, peraltro, analiticamente descritta nel ricorso dell’Agenzia) e che tale circostanza – di per sè idonea, in base alla richiamata giurisprudenza, a determinare il ribaltamento dell’onere della prova sul contribuente – non può considerarsi superata in funzione del solo rinvenimento di quietanze di pagamento che rappresentano una costante nella fatturazione di operazioni inesistenti.

Il secondo motivo del ricorso principale risulta fondato, poichè, trattandosi di accertamento di reddito di partecipazione imputato "per trasparenza" D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 5, sufficiente a fini motivazionali si rivela (con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis) il richiamo al maggior reddito accertato, nell’annualità, a carico della società.

Questa Corte ha, infatti, reiteratamente affermato (cfr. Cass. 8230/08) che – nel sistema precedente alla modifica introdotta dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 1 al D.P.R. n. 600 del 1973, art 42, applicabile alla fattispecie – il requisito motivazionale degli avvisi di accertamento poteva essere soddisfatto anche mediante il riferimento ad ulteriori documenti conosciuti o conoscibili dal contribuente (cfr. Cass. 2462/07, 15842/06, 26119/05. 1034/02) e che peraltro, trattandosi di atto che l’interessato poteva conoscere avvalendosi dei suoi poteri di controllo e consultazione della documentazione in possesso della società, doveva, altresì ritenersi legittimo sul piano della motivazione l’avviso di accertamento dell’irpef dovuta dal socio, che fosse stato motivato con richiamo il maggior accertamento a carico della società. (C. Cass. 4749/06, 8407/02, 6330/02).

3) – Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impongono la declaratoria dell’inammissibilità del ricorso dell’Amministrazione dell’Economia e delle Finanze, l’accoglimento dei due motivi del ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate ed il rigetto del ricorso incidentale proposto dagli intimati costituiti.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione ai motivi del ricorso accolto, con rinvio della causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.
P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso dell’Amministrazione dell’Economia e delle Finanze; accoglie il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate e rigetta il ricorso incidentale dei contribuenti costituiti; cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, e rinvia la causa anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, Sent., 10-03-2011, n. 69

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Svolgimento del processo

1. Al ricorrente, sig. D.A., con provvedimento n. 3/2010 del Questore della Provincia di Terni in data 29 marzo 2010, ai sensi dell’articolo 6 ("Divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive") della legge 401/1989, è stato vietato, per la durata di tre anni, di "accedere a tutti gli impianti sportivi siti su tutto il territorio nazionale e all’estero in cui si svolgono tutte le manifestazioni sportive calcistiche (…) nonché ai luoghi antistanti gli stadi in occasione di partite (…) alle stazioni ferroviarie interessate agli arrivi e alle partenze dei convogli delle tifoserie, in occasione dei citati incontri, ai piazzali adibiti alla partenza, arrivo e sosta degli autoveicoli che trasportino le tifoserie medesime, caselli autostradali, scali aerei, autogrill ed in tutti gli altri luoghi interessati alla sosta, al transito ed al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle competizioni medesime (…).

1.1. Il c.d. DASPO è motivato con riferimento alla circostanza che il ricorrente è stato individuato tra i tifosi della Reggiana i quali, in data 13 dicembre 2009, in occasione dell’incontro TernanaReggiana, valevole per il campionato di calcio "Lega Pro1^ Divisione/Girone B", si sono resi responsabili presso lo stadio Liberati di Terni di comportamenti sanzionabili ai sensi della predetta disposizione.

1.2. La vicenda viene così descritta nel provvedimento: "A.D. è stato indagato per il reato di cui all’art. 110 – 336- 339 c.p. in relazione all’art.6 quater della Legge n. 401/89 per:- aver tentato di far entrare all’interno dell’impianto sportivo striscioni non precedentemente autorizzati, come previsto dalla vigente normativa e non avendo ottenuto il consenso da parte del personale addetto al servizio di ordine pubblico, unitamente ad altro tifoso identificato per E.U., incitava quelli già all’interno del settore loro assegnato ad uscire. Per la medesima ragione, capeggiava la protesta anche dopo il ribadito diniego da parte del personale addetto alla sicurezza dell’impianto sportivo, adottando in tal modo un atteggiamento propedeutico a destabilizzare l’ordine pubblico. Sia l’A. che l’altro sostenitore della Reggiana assumevano un atteggiamento provocatorio ed offensivo nei confronti del personale preposto alla sicurezza che sfociava in azioni violente concretizzatesi in un primo momento con calci alle aste delle bandiere, che andavano a colpire due dei responsabili della sicurezza. Il comportamento aggressivo del predetto, già entrato regolarmente all’intero dell’impianto tramite la vidimazione del biglietto attraverso il tornello di sicurezza, continuava supportato anche da E.U. e si portava nei pressi dell’uscita di sicurezza posta nelle immediate vicinanze del tornello dal quale era entrato. In tale frangente all’esterno di quella stessa uscita di sicurezza si assiepavano altri sostenitori delle squadra della Reggiana e quelli già entrati si portavano alle spalle dell’A. e del tifoso sopra citato. La situazione degenerava immediatamente. Poiché approfittando della confusione creata dagli stessi tifosi, A.D., sostenuto nell’azione da E.U., azionava la maniglia antipanico (apribile solo dall’interno dell’impianto) permettendo ai tifosi all’esterno, quantificati in una cinquantina, di entrare nell’area di massima sicurezza che dava diretto accesso al settore assegnato ai tifosi ospiti, senza transitare per i previsti tornelli, evitando i controlli di sicurezza e favorendo l’ingresso degli striscioni e delle bandiere oggetto dei precedenti dinieghi, in violazione anche del regolamento d’uso dell’impianto sportivo. Al fine di attuare detto proposito, l’A., coadiuvato da altro tifoso, usava violenza nei confronti di uno steward che tentava di mantenere chiusa la porta di sicurezza, spintonandolo ed allontanandolo con violenza dopo avergli provocato una ferita alla mano con la quale tentava di mantenere bloccata la maniglia antipanico".

1.3. A seguito dell’attività investigativa svolta non sorgono dubbi sul’identificazione in A.D. quale responsabile dei fatti suindicati commessi in concorso.

1.4. L’indice di insofferenza al rispetto della normativa in materia di sicurezza è avvalorato dalla circostanza che l’A. per precedenti violazioni è stato sottoposto per ben tre volte al divieto di cui all’art 6, l. n. 401/1989 per comportamenti violenti assunti in occasione di incontri calcistici.

2. Il ricorrente impugna il provvedimento, prospettando le censure – di violazione e falsa applicazione degli articoli 6 e 6bis, della legge 401/1989, di eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di motivazione e di istruttoria, difetto ed indeterminatezza dei presupposti – appresso esaminate.

3. Resiste per l’Amministrazione l’Avvocatura Distrettuale dello Stato, che ha depositato il documenti di causa.
Motivi della decisione

4. Il ricorso è infondato.

4.1. L’articolo 6 sanziona con il divieto di accesso le persone che risultano denunciate o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni, per determinati reati ivi elencati, o comunque per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza.

Tra i reati elencati vi sono quelli di cui agli articoli 6bis, commi 1 e 2, e 6ter, della medesima legge.

L’articolo 6bis, comma 2, sanziona penalmente, "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, supera indebitamente una recinzione o separazione dell’impianto ovvero, nel corso delle manifestazioni medesime, invade il terreno di gioco (…)".

5. Dei motivi dedotti nei confronti del provvedimento, è infondato in punto di fatto il primo, nel quale si deduce che l’A. non avrebbe posto in essere il comportamento addebitatogli essendo rimasto distante dalla porta e dalla steward, rappresentando soltanto ai funzionari presenti il materiale che si intendeva portare all’interno dello stadio.

5.1. Dalla relazione in data 28 dicembre 2009 (all.to 7 al fascicolo dell’Avvocatura) l’A. e l’Errichello sono stati riconosciuti nei due soggetti che, pur essendo regolarmente entrati all’interno dello stadio, approfittando di uno stato di confusione avrebbero aperto la via di esodo azionabile solo dall’interno. L’A. sarebbe stato riconosciuto dal documento fotografico in allegato come la persona che avrebbe spintonato lo steward, allontanandolo con violenza provocandogli una contusione sulla mano destra.

5.2. E" pertanto innegabile che il comportamento dell’A. che ha spintonato lo steward ed ha azionato la maniglia antipanico integra la fattispecie di superamento indebito di una recinzione o separazione dell’impianto previsto dell’articolo 6bis, comma 2, l. n. 401/1989.

6. Nel secondo e nel terzo motivo (erroneamente rubricati sub 3 e sub 4) investono la pretesa indeterminatezza dell’oggetto del divieto, in quanto riferito a manifestazioni, luoghi, situazioni non specificamente indicati, né agevolmente percepibili da parte del soggetto tenuto a rispettare il divieto; così operandosi anche una sostanziale limitazione del diritto di circolazione, costituzionalmente tutelato.

6.1. Il Collegio è consapevole che la prevalente giurisprudenza amministrativa ritiene necessario che il provvedimento, nell’indicare "specificamente" i luoghi interessati dal divieto, sostanzialmente ne circoscriva la portata concreta. Ritiene peraltro di confermare l’orientamento di questo Tribunale (cfr., tra le altre, le sentenze: 14 giugno 2001, n. 335 e n. 336; 31 agosto 2004, n. 488 e n. 489; 11 novembre 2008, n. 723), nel senso che:

– una delimitazione della portata del divieto come quella contenuta nel provvedimento impugnato, meramente riproduttiva delle possibilità offerte dalla disposizione sanzionatoria, è certamente ampia, ma non è generica, né tale da determinare nel destinatario particolari incertezze o difficoltà di comprensione. Infatti, se nessun equivoco può derivare dal riferimento alle "stazioni ferroviarie" (la cui ubicazione è nota, e comunque sono ben visibili ed abbondantemente segnalate, al pari dell’esistenza dei treni speciali o degli esodi organizzati dei tifosi, limitati alle partite dei campionati professionistici e semiprofessionistici), sembra altresì evidente che il riferimento ai "luoghi antistanti gli stadi" ed ai "piazzali adibiti alla partenza, arrivo e sosta degli autoveicoli che trasportano le tifoserie", interpretati con aderenza al significato corrente delle parole, portano ad individuare gli spazi direttamente adiacenti agli impianti sportivi e quelli ufficialmente destinati, dalle amministrazioni locali e dalle autorità di pubblica sicurezza, allo stazionamento delle c.d. carovane di tifosi, non certo ad ogni strada che risulti utile al parcheggio da parte di chi si reca allo stadio. In sostanza, il divieto in esame scatta in presenza di un rilevante afflusso di massa di tifosi in occasione di manifestazioni calcistiche di notevole importanza, come tale agevolmente prevedibile e percepibile.

– si può convenire che la misura cautelare, così intesa, abbia una portata afflittiva notevole, ma essa appare proporzionata alla pericolosità dei comportamenti che intende prevenire, disincentivare e reprimere, così da rendere giustificato anche il particolare grado di attenzione e di commisurazione al contesto della propria condotta futura che il soggetto responsabile di tali comportamenti è tenuto ad avere.

7. Nell’ultima censura, il ricorrente lamenta che la Questura non avrebbe adeguatamente considerato le memorie difensive da essi presentate a seguito della comunicazione dell’avvio del procedimento.

7.1. Il Collegio rileva che la descrizione dei comportamenti e la qualificazione giuridica che sostengono il provvedimento appaiono puntuali, e non risultano scalfiti dalle argomentazioni del ricorrente (peraltro, riproposte in giudizio).

8. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Amministrazione resistente della somma di euro 2.000,00 (duemila/00) per spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-06-2011, n. 13585 Pignoramento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Il Credito Fondiario e Industriale – FONSPA -Istituto per i finanziamenti a medio e lungo termine società per azioni propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Campobasso, con la quale era stata accolta l’opposizione all’esecuzione avanzata dal Comune di Campobasso nei confronti dell’istituto di credito e del Fallimento CO.GE.MO. S.p.A.; con la sentenza appellata erano stati dichiarati impignorabili (in quanto appartenenti al patrimonio indisponibile del Comune, con relativa preclusione all’azione esecutiva) i beni immobili oggetto del pignoramento eseguito dal FONSPA in data 7 gennaio 1993, che era stato perciò dichiarato illegittimo.

Dedusse l’appellante, in primo luogo, che gli immobili erano gravati da garanzia ipotecaria in favore del FONSPA, iscritta in relazione al contratto di mutuo stipulato l’8 settembre 1988 tra l’istituto mutuante e la mutuataria società CO.GE.MO. s.p.a. (ancora In bonis);

che la CO.GE.MO. s.p.a., in data 20 aprile 1989, aveva venduto gli immobili al Comune di Campobasso, senza che questo, consapevole dell’ipoteca, provvedesse alla sua cancellazione ex art. 2858 cod. civ. e senza che rendesse edotto l’istituto mutuante dell’avvenuta compravendita (così precludendogli la possibilità di agire ex art. 2867 cod. civ. per ottenere il pagamento della somma costituente il prezzo della compravendita non ancora pagato all’alienante); che si sarebbe così posta in essere una nuova fattispecie acquisitiva di altrui diritti reali di garanzia, per di più senza indennizzo alcuno, quindi "gravemente scorretta, oltrechè ingiustamente dannosa". L’appellante dedusse altresì che, avendo il Comune destinato gli immobili acquistati ad abitazione di sfrattati, siffatta destinazione non costituiva pubblico servizio e quindi non era tale da far rientrare i beni nel patrimonio indisponibile del Comune e da renderli impignorabili.

2.- La Corte d’Appello di Campobasso ha accolto l’appello, ha dichiarato la validità e l’efficacia dell’atto di pignoramento eseguito dal FONSPA ed ha condannato l’appellato al pagamento delle spese processuali in favore dell’appellante.

3.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello propone ricorso per cassazione il Comune di Campobasso, a mezzo di due motivi, illustrati da memoria. Si difende con controricorso il FONSPA, rappresentato dalla mandataria Credit Servicing S.p.A. (già denominata Servizi Immobiliari Banche – S.I.B. S.p.A.), che propone anche ricorso incidentale condizionato fondato su un unico motivo.
Motivi della decisione

Preliminarmente il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno riuniti.

1.- Con il primo motivo del ricorso principale si denunciano il vizio di violazione di legge in relazione al combinato disposto della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5 all. E) ed all’art. 34 cod. proc. civ., nonchè agli artt. 826 e 828 cod. civ. ed il vizio di falsa applicazione dell’art. 42 Cost.; si denuncia altresì il vizio di motivazione.

Quanto al profilo relativo all’art. 360 c.p.c., n. 3, il Comune ricorrente deduce, in primo luogo, che la Corte d’Appello non ha messo in dubbio l’avvenuta destinazione degli immobili a pubblico servizio, ma ha erroneamente richiamato l’istituto della disapplicazione della L. n. 2248 all. F) del 1865, ex artt. 4 e 5 al fine di disapplicare, appunto, il provvedimento di destinazione a pubblico servizio, che ha ritenuto implicito nell’atto di compravendita. Secondo il ricorrente, oltre alla violazione dei citati articoli della L. del 1865, vi sarebbe la violazione degli artt. 826 e 828 del codice civile perchè la Corte d’Appello avrebbe rinvenuto un provvedimento "implicito" di destinazione a pubblico servizio nell’atto di compravendita degli immobili, ritenendo perciò "illecito" quest’ultimo ed "illegittimo" il provvedimento amministrativo che in esso sarebbe stato contenuto, in quanto lesivi del diritto del creditore FONSPA che su quegli immobili aveva iscritto ipoteca. Aggiunge il ricorrente che, così facendo, la Corte di merito avrebbe individuato un provvedimento amministrativo del tutto ipotetico; inoltre, avrebbe fatto seguire alla supposta illegittimità di questo, l’illiceità del contratto di compravendita di diritto privato stipulato dal Comune: con ciò avrebbe disatteso il principio, affermato da questa Corte, secondo cui le cause di invalidità di un contratto stipulato da una pubblica amministrazione devono essere proprie di questo, non potendo conseguire all’illegittimità di uno degli atti dell’iter procedimentale amministrativo di formazione della volontà dell’ente.

1.1.- Il motivo è fondato.

Non sono in contestazione i seguenti presupposti fattuali della vicenda processuale:

il Comune di Campobasso, utilizzando risorse finanziarie concesse in attuazione della L. 15 gennaio 1980, n. 25, art. 7 di conversione del D.L. 15 dicembre 1979, n. 629, dal C.E.R. – Ministero dei Lavori Pubblici acquistò, con contratto di compravendita stipulato il 13 aprile 1989, e trascritto il 20 aprile 1989, dalla società CO.GE.MO. S.p.A-, al prezzo di L. tre miliardi, trentotto appartamenti ed un locale garage da destinare agli sfrattati;

– gli immobili erano gravati da ipoteca iscritta, per la complessiva somma di tre miliardi di lire, in favore di FONSPA, a garanzia di un mutuo concesso alla società venditrice con contratto dell’8 settembre 1988;

nel contratto di compravendita si stabilì che la società alienante avrebbe estinto il mutuo e cancellato l’ipoteca;

– il Comune destinò effettivamente gli immobili allo scopo per il quale erano stati acquistati, concedendoli in locazione ai soggetti destinatari di provvedimenti di sfratto, secondo quanto previsto dalla legge su richiamata;

la società alienante, invece, rimase parzialmente inadempiente alla propria obbligazione, lasciando permanere l’iscrizione ipotecaria su tre appartamenti e su un garage;

– l’istituto di credito mutuante, rimasto creditore per una somma residua di L. 108.000.000, pignorò gli immobili ancora gravati da iscrizione ipotecaria, con atto di pignoramento in data 7 gennaio 1993;

il Comune si oppose all’esecuzione, deducendo l’appartenenza dei beni pignorati al proprio patrimonio indisponibile.

2.- La Corte d’Appello di Campobasso ha, secondo quanto dedotto dal ricorrente, dato per presupposte le circostanze di fatto suddette, così come la destinazione a pubblico servizio degli immobili pignorati, ma ha ritenuto di "disapplicare" il provvedimento amministrativo di destinazione, ritenendo che questo fosse "implicito" nel contratto di compravendita.

La sentenza è meritevole di censura sia con riferimento gli artt. 826 e 828 cod. civ., che con riferimento agli artt. 4 e 5 della L.A.C. 2.1.- Quanto al primo profilo, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte in tema di appartenenza alla categoria dei beni patrimoniali indisponibili del beni funzionali degli enti pubblici;

secondo tale consolidata giurisprudenza, affinchè un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili in quanto destinati ad un pubblico servizio, ai sensi dell’art. 826 c.c., comma 3, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo ed oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio) e dell’effettiva destinazione del bene al pubblico servizio (cfr., tra le tante, Cass. S.U. 28 giugno 2006 n. 14865, nonchè già Cass. S.U. 15 luglio 1999, n. 391; S.U. 27 novembre 2002, n. 16831; 22 giugno 2004, n. 11608), essendo peraltro indispensabile l’attualità della destinazione in concreto a pubbliche finalità (cfr., tra le altre, Cass. 13 marzo 2007, n. 5867; S.U. 16 dicembre 2009, n. 26402).

2.2.- Nel caso di specie, come detto, non è mai stato in contestazione che il Comune di Campobasso avesse, già dopo l’acquisto, e comunque prima del pignoramento, locato agli sfrattati gli immobili pignorati, mantenendo tale destinazione anche nel corso della procedura esecutiva.

Quanto alla idoneità di questa destinazione ai fini dell’inclusione degli immobili nel patrimonio indisponibile del Comune, va detto che non è necessaria la destinazione del bene all’uso generale, posto che l’appagamento della pubblica finalità può essere raggiunto anche servendo singoli soggetti, e con l’uso particolare (così Cass. 28 novembre 1997 n. 11564, ma cfr. Cass. S.U. 30 luglio 2008, n. 20595; 12 maggio 2003, n. 7269; S.U. 14 giugno 1995, n. 6686, ed in genere la casistica riguardante i c.d. alloggi di servizio).

Inoltre, va posto in rilievo che l’acquisto da parte del Comune di Campobasso, è stato compiuto per realizzare le finalità di cui al D.L. 15 dicembre 1979, n. 629 convertito, con modificazioni, nella L. 15 gennaio 1980, n. 25. Orbene, tale ultima legge recante "Dilazione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio per gli immobili adibiti ad uso di abitazione e provvedimenti urgenti per l’edilizia", aveva attribuito ai Comuni un finanziamento in funzione dell’acquisto di unità immobiliari ultimate o da ultimare entro il 30 settembre 1980, e della loro successiva assegnazione in locazione ad equo canone o a canone agevolato a favore di soggetti destinatari di provvedimenti di rilascio, in possesso di determinati requisiti.

Si tratta di finalità che il Comune di Campobasso perseguì e realizzò e rispetto alle quali la rilevanza pubblicistica è insita nella legge che le prevede. Al riguardo può essere richiamato il precedente di questa Corte n. 11564/1997, che, nel pronunciarsi su analoga disciplina, rilevò che essa aveva di mira l’appagamento congiunto sia di una finalità sociale quale è quello dell’attribuzione di una abitazione ai soggetti che ne erano privi e non si trovavano in una condizione economica che consentisse di procurarsela, e sia della tutela dell’ordine pubblico posto in pericolo dalla presenza di "sfrattati" privi della possibilità di rinvenire altre abitazioni.

Giova peraltro precisare, anche in ragione di quanto si dirà in merito al provvedimento di destinazione a pubblico servizio, che l’inclusione degli alloggi acquistati con le risorse economiche di cui alla citata normativa nel patrimonio indisponibile del Comune, non è conseguenza (soltanto) del loro acquisto ma della loro concreta ed effettiva destinazione alla soddisfazione dei bisogni e delle finalità pubbliche contemplate dalla legge.

2.3.- Peraltro, la Corte d’Appello di Campobasso, tenuto conto della non contestazione delle circostanze di fatto inerenti alla ragione dell’acquisto delle unità immobiliari da parte del Comune ed alla loro effettiva destinazione alla prevista finalità, ha dato per scontato che quei beni facessero parte del patrimonio indisponibile comunale.

Però, ha ritenuto di poter "disapplicare" il provvedimento di destinazione al pubblico servizio.

Orbene, così decidendo, la Corte di merito ha, in primo luogo, errato quando ha ritenuto che il provvedimento amministrativo fosse "implicito" nel contratto di compravendita.

Il contratto fu soltanto lo strumento del quale il Comune si avvalse per conseguire la proprietà degli immobili.

Esso venne stipulato iure privatorum, senza che l’indicazione dell’utilizzazione di risorse finanziarie ai sensi della L. n. 25 del 1980, in esso contenuta, potesse trasformare l’atto negoziale in atto amministrativo, idoneo, in sè, a manifestare la volontà dell’ente di destinare i beni che ne formavano oggetto a pubbliche finalità.

Ed, invero, l’atto negoziale contiene esclusivamente l’accordo tra le parti volto alla realizzazione della causa contrattuale, secondo le norme del diritto privato che disciplinano il singolo contratto:

quindi, nel caso di specie, la manifestazione di volontà del Comune di acquistare gli immobili venduti dalla società CO.GE.MO. S.p.A. Piuttosto, la diversa manifestazione di volontà di destinare a pubbliche finalità gli immobili oggetto del contratto, è da ritenersi presupposta, ed anche preordinata, al contratto, ma contenuta, eventualmente anche per "implicito" in atti che siano espressione del potere d’imperio della pubblica amministrazione, vale a dire in atti amministrativi veri e propri, quali in particolare delibere degli organi dell’ente legittimati in forza della legge e dello statuto a formare e ad esprimere la volontà interna all’ente medesimo.

Dal momento che non risulta che provvedimenti di tal fatta siano mai stati richiamati nei gradi di merito del presente giudizio, nè, per la verità, ne risultano l’adozione e/o i contenuti, coglie nel segno la censura del Comune ricorrente quando afferma che in sostanza la Corte di merito ha finito per pronunciarsi inammissibilmente sul contratto di diritto privato.

Giova aggiungere che, per come risulta da quanto detto sopra, l’attività amministrativa di natura provvedimentale non sarebbe stata comunque da sola sufficiente a sottrarre all’espropriazione immobili del patrimonio disponibile conferendo loro una destinazione a servizi pubblici, essendo sempre necessaria tale effettiva, concreta ed attuale destinazione (cfr. Cass. 6 agosto 1987, n. 6755).

2.4.- Peraltro, anche il richiamo che la sentenza impugnata fa all’istituto della disapplicazione, in sè considerato, è, nel caso di specie, errato.

Le norme degli artt. 4 e 5 L.A.C, consentono al giudice ordinario di disapplicare un atto amministrativo illegittimo, quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da tale atto, nei limiti in cui la disapplicazione incida sugli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio: questa disciplina sta a significare, in primo luogo, che presupposto della disapplicazione è un giudizio di validità o meno dell’atto amministrativo ed, in secondo luogo, e soprattutto, che il giudice ordinario esercita sull’atto un sindacato soltanto in via incidentale, disconoscendone l’efficacia dispositiva ai soli fini della disciplina del rapporto dedotto in giudizio.

E’ di tutta evidenza che, nel caso di specie, il provvedimento amministrativo di destinazione a pubblico servizio, anche ove fosse stato correttamente individuato dalla Corte d’Appello, non avrebbe potuto formare oggetto di una cognizione soltanto incidentale.

Infatti, in quanto provvedimento destinato a determinare direttamente la disciplina dei beni da esso considerati (includendoli in una specifica categoria di beni pubblici), la sua "disapplicazione" al fine di ritenere tali beni sottratti alla pubblica destinazione – così come ritenuta dalla Corte d’Appello – avrebbe finito per investire direttamente l’atto e non soltanto i suoi effetti, poichè avrebbe fatto venire definitivamente meno il primo, sottraendo i beni alla categoria cui la pubblica amministrazione aveva invece inteso ascriverli. Si tratta di un’operazione già in astratto non consentita al giudice ordinario.

A ciò si aggiunga che nel caso di specie nemmeno risulta espresso dalla Corte d’Appello il giudizio di non conformità alla legge dell’atto di destinazione del bene al pubblico servizio. Di certo, è da escludere che – come sembra potersi desumere dalla motivazione della sentenza impugnata – l’illegittimità del provvedimento amministrativo possa essere fatta derivare e/o coincidere con l’asserita illiceità del contratto di compravendita: ciò, sia per quanto detto sopra sul carattere meramente strumentale e comunque negoziale di tale atto, che non può in alcun modo essere confuso con l’attività amministrativa di destinazione dei beni che ne formarono oggetto alla loro pubblica finalità; sia perchè, a sua volta, come si dirà trattando del ricorso incidentale, è da escludere che il contratto di compravendita sia, in sè, illecito.

3.- Consegue a quanto sin qui detto che i beni pignorati nella procedura esecutiva nella quale è stata proposta la presente opposizione fanno parte del patrimonio indisponibile del Comune di Campobasso ed, in applicazione della disciplina propria di tale categoria di beni, sono impignorabili. Pertanto, è invalido il pignoramento che su di essi è stato trascritto ed è illegittima la procedura esecutiva della quale sono oggetto.

L’inespropriabilità di beni appartenenti al patrimonio indisponibile degli enti territoriali è stata affermata dai precedenti di questa Corte richiamati dal ricorrente e che qui si ribadiscono, nel senso che gli immobili appartenenti al patrimonio degli enti pubblici debbono ritenersi impignorabili quando esista, in relazione ad essi, un vincolo legale di destinazione a servizio pubblico direttamente costitutivo della loro indisponibilità; ed, a maggior ragione, quando tale vincolo, come nel caso di specie, sia preesistente al pignoramento (cfr. Cass. 6 agosto 1987, n. 6755, che aggiunge che gli immobili, appartenenti al patrimonio disponibile e privi di specifica destinazione a servizi pubblici all’epoca del pignoramento, si sottraggono allo stesso quando tale destinazione ricevano in concreto addirittura nel corso del processo esecutivo, per effetto della costruzione di un’opera pubblica comportante la conversione della natura giuridica del bene staggito con il passaggio dal patrimonio disponibile a quello indisponibile dell’ente indipendentemente dalla legittimità dell’iniziativa e da un successivo atto formale confermativo -, non essendo applicabile il principio della priorità della costituzione del vincolo, ma dovendosi privilegiare sull’interesse privatistico del creditore procedente di ottenere il soddisfacimento del suo credito, quello pubblicistico di soddisfare le esigenze della generalità dei cittadini, conservando al bene la destinazione impressagli ad ufficio o servizio di pubblica utilità;

cfr., nello stesso senso anche Cass. n. 11564/1997 cit.).

4.- Nè si può ritenere che la destinazione a finalità pubbliche di un bene sia contra legem soltanto perchè su quel bene insistono diritti reali di terzi, specificamente – per quel che rileva ai fini della presente decisione – diritti reali di garanzia. Piuttosto, la questione giuridica da risolvere concerne la sorte di questi diritti.

In via di prima approssimazione, si può dire che, come da opinione dottrinale da condividere, la causa di estinzione dell’ipoteca di cui all’art. 2878 c.c., n. 4, ricorra anche quando vi sia perimento del bene in senso giuridico, come accade, tra l’altro, nell’ipotesi di imposizione sul bene ipotecato di vincoli pubblicistici che pongano il. bene fuori commercio (cfr. Cass. 29 maggio 1976, n. 1946, che in motivazione osserva che in tal caso si avrebbe "la sopravvenuta inefficacia dell’ipoteca", che implica che essa non possa essere fatta valere con effetti reali nei confronti del terzo – ente pubblico – acquirente, ma non esclude che il patto di costituzione dell’ipoteca continui ad avere giuridica rilevanza; cfr., anche, per un’ipotesi soltanto analoga, Cass. 26 gennaio 2006, n. 1693), fatto salvo l’eventuale trasferimento dell’ipoteca sull’indennità che possa essere dovuta (come nel caso previsto dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 26 contenente il testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità).

4.1.- Tuttavia, la questione -malgrado abbia formato oggetto, pressochè prevalente, degli scritti di parte controricorrente- è estranea al presente giudizio.

Questo ha ad oggetto esclusivamente la pignorabilità di beni di proprietà comunale attualmente destinati a pubblico servizio ed, una volta accertato come sopra che tale destinazione effettivamente vi sia e che essa non possa in alcun modo essere "disapplicata" (rectius, disattesa) dal giudice ordinario, la conclusione non può che essere l’accoglimento del primo motivo del ricorso, con riferimento al denunciato error in procedendo, la cassazione della sentenza impugnata ed, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, l’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione proposta dal Comune di Campobasso e la dichiarazione di nullità del pignoramento del 7 gennaio 1993 e dell’intera procedura esecutiva. Con l’ulteriore doverosa precisazione che, trattandosi di beni funzionali (comunque a destinazione pubblica ex art. 826 c. c., comma 3, e non di natura riservata ex art. 826 c.c., comma 2), l’impignorabilità permane fino a quando duri la loro destinazione a pubbliche finalità. 4.2.- La sentenza impugnata si occupa dell’ipoteca per affermare che si sarebbe avuto, nel caso di specie, "un abnorme e non previsto procedimento ablativo senza indennizzo dell’altrui titolarità di un diritto reale di garanzia" e pone tale affermazione a base del giudizio di illegittimità dell’atto amministrativo (implicito) di destinazione a pubblico servizio.

Come già detto il giudizio di illegittimità dell’atto è, nel caso di specie, precluso al giudice ordinario.

Con ciò, non si vuole certo dire che sia preclusa ogni tutela al creditore ipotecario che si assume danneggiato dall’atto o dal comportamento della pubblica amministrazione; soltanto, la tutela in parola è del tutto estranea al presente giudizio.

Quindi, sono irrilevanti ai fini della definizione di questo le valutazioni espresse nella sentenza impugnata – la cui motivazione sul punto è altresì illogica – riguardo alla condotta tenuta dal Comune, sia in occasione della stipula dell’atto di acquisto (in particolare, in merito al fatto che si sia limitato "a prevedere, nell’ambito dell’atto di compravendita, un generico obbligo (in nessun modo sanzionato) a carico della venditrice di provvedere alla cancellazione dell’ipoteca,..omissis…") sia successivamente (in particolare, in merito al fatto che il Comune non provvide come pure sarebbe stato suo onere, alla cancellazione dell’ipoteca ex art. 2858 c.c., o, quanto meno, a rendere edotto il Fonspa dell’avvenuta compravendita (così precludendogli di avvalersi della possibilità di agire ex art. 2867 c.c. per ottenere il pagamento della somma, fino alla concorrenza del credito ipotecario, costituente il prezzo della compravendita non ancora pagato all’alienante).

Sia la sorte dell’ipoteca del FONSPA che l’incidenza dei detti comportamenti sui diritti di tale creditore ipotecario sono estranei all’oggetto del presente giudizio.

In particolare, non rileva, ai fini dell’accoglimento dell’opposizione per impignorabilità dei beni, accertare se si sia o meno estinta l’ipoteca da cui sono gravati e se, in caso positivo, di tale estinzione debba rispondere il Comune di Campobasso;

soprattutto, non rileva accertare se i comportamenti dell’ente incongruamente considerati dal giudice di merito fossero o meno colposi e produttivi di danni ingiusti, come sostenuto dalla controricorrente, e contestato invece dal ricorrente (con numerosi argomenti, dei quali, per evidenti ragioni, non è necessario occuparsi).

5.- L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale comporta l’assorbimento del secondo.

6.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato il FONSPA, come rappresentato dalla mandataria Credit Servicing S.p.A. deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1421 cod. civ., degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., nonchè il vizio di motivazione, in merito alla mancata rilevazione d’ufficio della nullità del contratto di compravendita stipulato dal Comune di Campobasso in data 13 aprile 1989, trascritto in data 20 aprile 1989, ed avente ad oggetto gli immobili successivamente pignorati.

Sostiene la ricorrente incidentale che, essendo la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata da parte del Comune opponente fondata sul menzionato contratto, la verifica della validità di questo va fatta d’ufficio, poichè inerisce alle condizioni dell’azione del Comune.

Quanto al merito, secondo la ricorrente, vi sarebbero diversi profili di nullità del contratto alternativi tra loro o anche da sommare.

6.1.- L’infondatezza del motivo di ricorso incidentale risulta con evidenza già da quanto argomentato in merito al carattere strumentale del contratto di compravendita. Esso è servito a far conseguire al Comune la proprietà dei beni che ne formavano oggetto:

orbene, nessuna norma dell’ordinamento sancisce l’inalienabilità dei beni ipotecati, tale da produrre la nullità, o l’annullabilità o l’inefficacia dell’atto di trasferimento che li abbia ad oggetto; nel sistema ipotecario manca anche una norma affine a quella dell’art. 2913 cod. civ., dettata per l’alienazione del bene pignorato; ancora, vi è un favor dell’ordinamento nei confronti del terzo acquirente di bene ipotecato rispetto al quale il creditore ipotecario si avvalga del diritto "di sequela" o di "seguito" che connota la garanzia ipotecaria. Il contratto in sè è valido ed efficace proprio perchè il sistema normativo è nel senso di agevolare la circolazione giuridica dei beni ipotecati. Pertanto, risulta priva di fondamento la deduzione della nullità del contratto per illiceità del motivo o della causa, così come quella del c.d. reato-contratto (che peraltro, con riguardo alla truffa sostenuta dalla ricorrente incidentale, è confìgurabile soltanto tra le parti del contratto, cui invece FONSPA è estraneo, e potrebbe tutt’al più comportare l’annullabilità, non certo la nullità del contratto: cfr. Cass. 26 maggio 2008, n. 13566).

E’, invece, la destinazione pubblica dei beni acquistati che impedisce – fintantochè tale destinazione permane e sia attuale – che l’espropriazione segua contro l’ente pubblico acquirente ex art. 2858 c.c., ultimo inciso.

Ciò è tanto vero che la ricorrente incidentale adduce, per altro verso, ragioni di nullità che non sono in alcun modo riferibili al contratto in sè (quali l’effetto ablativo del diritto reale, senza corresponsione di indennizzo, che sarebbe seguito alla fattispecie negoziale complessa ed a formazione progressiva, costituita dall’atto di acquisto, dalla sua mancata comunicazione al creditore ipotecario e dalla destinazione dei beni a pubblico servizio; ovvero l’operazione in frode alla legge), ma impongono che lo si consideri unitamente ad una o più condotte, che di reputano, illecite della pubblica amministrazione stipulante: questo comporta che nessun vizio si possa rinvenire nell’atto negoziale in sè e che questo anzi debba essere considerato valido ed efficace, come componente di una fattispecie "complessa", asseritamente illecita; fattispecie, comunque, del tutto estranea, come detto, al presente giudizio.

Il ricorso incidentale condizionato va perciò rigettato.

7.- Avuto riguardo alla peculiarità della vicenda in sè ed alle controverse questioni giuridiche affrontate dalle parti, che hanno condotto a contrapposti esiti nei gradi di merito, appare equa la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

LA CORTE riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione all’esecuzione del Comune di Campobasso, dichiara la nullità del pignoramento eseguito da FONSPA in data 7 gennaio 1993 e l’impignorabilità dei beni vincolati; dichiara assorbito il secondo motivo. Rigetta il ricorso incidentale condizionato. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

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