T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., 29-09-2011, n. 1663

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente è titolare di un locale, destinato a ristorazione (pizzeria), sito nel Comune di Grottaglie.

A seguito di alcune rilevazioni fonometriche effettuate nel corso del 208 e del 2009, le quali accertavano il superamento dei limiti di rumorosità proveniente dal locale (in particolare: spostamenti di sedie e tavoli nonché vociare degli avventori), venivano apprestate talune opere di adeguamento strutturale e di bonifica al fine di rientrare nei limiti consentiti.

Tuttavia con l’ordinanza qui impugnata, adottata in forza di ulteriori accertamenti effettuati nella notte tra il 5 ed il 6 gennaio 2010 e con i quali veniva riscontrato il persistente superamento dei limiti di inquinamento acustico, si ordinava al ricorrente di:

a) "adottare, con effetto immediato, tutti gli accorgimenti tecnici necessari a limitare le emissioni rumorose con particolare riguardo alle unità abitative poste ai piani superiori";

b) "predisporre… entro 30… giorni… un piano di bonifica";

c) "effettuare medio tempore la cessazione serale di tutte le attività dell’esercizio alle ore 00,30 e fissando la riapertura del locale non prima delle ore 06,00 della mattina successiva… fino all’avvenuto adeguamento ai limiti di emissione sonora fissati dalla legge che dovranno essere certificati dall’ARPA con apposite rilevazioni strumentali".

Il provvedimento citato veniva dunque impugnato per i motivi di seguito sintetizzati:

a) difetto di motivazione nella parte in cui non vengono esplicitate le particolari ragioni di necessità ed urgenza legate alla adozione della ordinanza sindacale, nonché violazione dell’art. 9 della legge n. 447 del 1995 nella parte in cui non sussisterebbero i presupposti per l’adozione della prevista ordinanza sindacale, ossia l’eccezionalità della situazione, il pericolo per la salute pubblica e la temporaneità delle misure;

b) violazione di legge nella parte in cui non è stato considerato che il doppio limite (assoluto e differenziale) imposto dall’art. 4 del DPCM 14 novembre 1997, in forza dell’art. 8, comma 1, del medesimo regolamento potrebbe trovare applicazione nei soli comuni in cui è stata adottata la c.d. zonizzazione acustica (adempimento questo non ancora effettuato nel Comune di Grottaglie);

c) eccesso di potere per difetto di istruttoria in quanto il periodo di riferimento del "rumore ambientale" (ore serali) sarebbe diverso dal periodo di riferimento del "rumore residuo" (ore notturne). Inoltre l’accertamento sarebbe stato condotto in assenza di contraddittorio con la ditta interessata ed effettuato dal Dipartimento provinciale di Lecce dell’ARPA e non da quello di Taranto.

Si costituivano in giudizio le amministrazioni intimate, nonché i controinteressati evocati in giudizio, tutti per chiedere il rigetto del gravame.

Con ordinanza n. 307 del 12 maggio 2010 veniva rigettata l’istanza di tutela cautelare. Con la medesima decisione si assegnava comunque all’ARPA un nuovo termine di quindici giorni per effettuare una ulteriore valutazione circa l’impatto acustico del nuovo piano di bonifica medio tempore elaborato e realizzato.

Veniva poi depositata, in data 13 luglio 2010, la relazione n. 1924 del 27 maggio 2010 dalla quale si evinceva, a seguito del prescritto ulteriore accertamento, il persistente superamento dei limiti differenziali suddetti.

Alla pubblica udienza del 28 aprile 2011 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva infine trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. I motivi di ricorso sintetizzati al punto sub a) debbono essere complessivamente rigettati in quanto, come già evidenziato da questa sezione in precedenti di analogo tenore (sentenze 11 gennaio 2006, n. 488, 8 giugno 2006, n. 3340, e 4 dicembre 2006, n. 5639):

a) la disposizione di cui all’art. 9 della legge n. 447 del 1995 (a norma del quale "qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente il sindaco…, con provvedimento motivato, (può)… ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l’inibitoria parziale o totale di determinate attività") non va riduttivamente ricondotta al generale potere di ordinanza contingibile ed urgente in materia di sanità ed igiene pubblica, dovendo piuttosto essere qualificato, il potere in essa descritto, alla stregua di rimedio ordinario in tema di inquinamento acustico, e ciò in assenza di altri strumenti a disposizione delle amministrazioni comunali (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. IV, 2 aprile 2008, n. 715; TAR Lombardia Brescia, sez. II, 2 novembre 2009, n. 1814; TAR Toscana, sez. II, 27 luglio 2009, n. 1307);

b) la presenza di una accertata situazione di inquinamento acustico rappresenta ex se una minaccia per la salute pubblica (cfr. art. 2, comma 1, lettera a), della citata legge n. 447 del 1995, laddove si afferma espressamente che l’inquinamento acustico costituisce un "pericolo per la salute umana"), sufficiente a concretare il presupposto dell’eccezionale ed urgente necessità di intervento di cui al richiamato art. 9 (cfr. TAR Piemonte, sez. I, 2 marzo 2009, n. 199);

c) la situazione di pericolo non deve necessariamente coinvolgere l’intera collettività, ben potendo la stessa essere circoscritta ad una sola famiglia o ad un solo individuo, e ciò dal momento che le disposizioni in commento non contemplano alcun parametro numerico o dimensionale (cfr. anche TAR Piemonte, sez. I, 2 marzo 2009, n. 199; TAR Lombardia, sez. IV, 27 dicembre 2007, n. 6819 e 2 aprile 2008, n. 715).

Per le ragioni suddette i primi due motivi di ricorso debbono dunque essere rigettati.

2. Con il motivo sub b) si deduce invece che, in assenza del piano di zonizzazione acustica, potrebbero essere applicati, in ordine all’accertamento circa il superamento dei valori limite di emissione sonora, i soli limiti assoluti (di cui al DPCM 1°marzo 1991) e non anche quelli differenziali (dati ossia dal rapporto tra emissioni rilevate in presenza dell’attività rumorosa ed emissioni rilevate in assenza della predetta attività) di cui al DPCM 14 novembre 1997: dunque, poiché il Comune di Grottaglie non ha ancora provveduto in tal senso, non potrebbe di conseguenza trovare applicazione nel caso di specie il richiamato criterio differenziale.

La tesi di parte ricorrente non può trovare accoglimento in quanto la giurisprudenza che si è espressa sul tema ha da tempo affermato, almeno per quanto riguarda la Regione Puglia, che la materia dell’inquinamento acustico è stata compiutamente disciplinata con la legge regionale n. 3 del 2002: normativa questa che, in quanto emanata nell’ambito delle competenze regionali in materia di tutela della salute (risultando come già detto la tematica dell’inquinamento acustico strettamente interrelata, per l’appunto, con la salute pubblica), è destinata a prevalere in parte qua sulla previgente normativa statale di cui ai citati DD.PP.CC.MM. del 1991 e del 1997.

In particolare l’art. 3 della legge stabilisce, al comma 3, che per le zone non esclusivamente industriali (quale è quella di cui si discute, che è classificata come residenziale), oltre ai limiti massimi per il rumore ambientale, trova applicazione anche il cosiddetto criterio differenziale, in base al quale non può essere superata la differenza di 5 db durante il periodo diurno e di 3 db durante il periodo notturno.

Tale previsione è destinata a valere, in via immediata, anche nei Comuni privi della zonizzazione acustica (cfr. in tal senso TAR Puglia Bari, sez. I, 14 maggio 2010, n. 1896; TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. n. 3656/2007).

Per le ragioni suddette la specifica censura non può dunque trovare accoglimento.

3. Va invece accolta, nei sensi e nei limiti di cui si dirà, l’ultima censura di cui al punto sub c).

Premesso da un lato che gli accertamenti tecnici preliminari debbono essere svolti, pena la perdita di efficacia e genuinità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 febbraio 2004, n. 3190), senza avvisare il responsabile della fonte di inquinamento (il quale potrà prendere parte al procedimento in una fase successiva), e dall’altro lato che ai suddetti accertamenti hanno preso parte attiva anche componenti del Dipartimento ARPA di Taranto (cfr. pag. 1 relazione tecnica in data 5 gennaio 2010), si rileva in ogni caso come le suddette rilevazioni siano avvenute mediante modalità non rispondenti a canoni di logica e coerenza dell’azione amministrativa, nonché in assenza di adeguata istruttoria.

Ed infatti, al fine di garantire un confronto effettivo tra rumore ambientale (ossia in presenza dell’attività rumorosa) e rumore residuo (in assenza della stessa), e dunque allo scopo di stabilire la reale differenza tra i due parametri suddetti, sarebbe stato vieppiù necessario effettuare i dovuti accertamenti nello stesso periodo di tempo.

Nel caso di specie, al contrario, siffatti accertamenti sono stati rispettivamente compiuti in due orari differenti (ore 22 circa per la rilevazione del rumore ambientale e ore 01 del mattino circa per la rilevazione del rumore residuo) che, pur appartenendo alla medesima fascia oraria (22 – 06 periodo notturno), divergono tra loro in termini concreti atteso che alle ore 22 della sera, rispetto all’una del mattino, alcune attività antropiche (es. passeggio serale, traffico pedonale, movimentazione condominiale) per quanto in fase di attenuazione sono comunque ancora in essere, mentre sono assenti alle ore 01 del mattino; il confronto fra le due rilevazioni porta a determinare il valore differenziale anche in relazione all’assenza di attività rumorose svolte all’atto della rilevazione del rumore ambientale ed invece assenti all’atto della rilevazione del rumore residuo, sicchè il valore differenziale si è innalzato, venendo ad essere determinato in funzione sia della specifica attività rumorosa sia dell’assenza di componenti del rumore ambientale.

Ne deriva che, ai fini di cui sopra, la rilevazione del rumore residuo avrebbe dovuto essere effettuata nello stesso orario in cui è stato rilevato il rumore ambientale, potendo l’organo tecnico svolgere tale accertamento in due diverse giornate (invece che nella stessa giornata ma in due orari non omogenei e dunque non comparabili), approfittando ad esempio dei turni di riposo o di chiusura obbligatoria dell’esercizio di cui si controverte, cioè di fatti non influenzabili dagli interessati.

Sotto il profilo del prospettato difetto di istruttoria la specifica censura merita dunque accoglimento.

4. Da quanto detto deriva l’accoglimento del ricorso, nei sensi e nei limiti sopra indicati.

Per l’effetto vanno annullati gli atti in epigrafe indicati.

Stante la complessità della vicenda esaminata sussistono peraltro giusti motivi per compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto annulla gli atti in epigrafe indicati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-02-2012, n. 2362 Provvedimenti impugnabili per Cassazione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso notificato il 17 settembre 2010 e depositato il 4 ottobre successivo, la s.r.l. Eurodis Giada impugnava direttamente in cassazione l’ordinanza, emessa in data 22 febbraio 2010 (e depositata in pari data), L. n. 689 del 1981, ex art. 23, comma 5, con la quale il giudice monocratico del Tribunale di Latina – sez. dist. di Terracina convalidava alla prima udienza l’ordinanza-ingiunzione n. 113/2009 adottata (in relazione alla violazione di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 52, comma 2) dalla Provincia di Latina, notificata nei suoi confronti il 31 luglio 2009, ed opposta in sede giurisdizionale dinanzi al predetto Tribunale.

A corredo del ricorso l’indicata società ha dedotto due motivi: – con il primo è stata prospettata la violazione dell’art. 24 Cost., comma 2, , dell’art. 101 c.p.c., dell’art. 134 c.p.c., comma 2, e dell’art. 176 c.p.c., nonchè della L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 2, congiuntamente alla nullità dell’ordinanza impugnata e del presupposto procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; – con il secondo è stata denunciata la violazione dello stesso citata L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 2 unitamente al vizio di omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Ha resistito con controricorso l’intimata Provincia di Latina che ha eccepito, in via assolutamente pregiudiziale, l’inammissibilità del formulato ricorso sul presupposto che, nel caso di specie, avuto riguardo al tipo di provvedimento impugnato e alla previsione trasparente dalla L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 5, la ricorrente avrebbe, invece, dovuto proporre appello.

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per l’assorbente ragione prospettata dall’ente controricorrente.

A seguito dell’intervento innovativo apportato (ed applicabile "ratione temporis" nel caso in questione) dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 26, comma 1, lett. a), (con il quale, mediante la previsione di cui alla lett. b), è stato soppresso anche la L. n. 689 del 1981, art. 23, u.c., con la conseguente appellabilità delle sentenze emesse all’esito del giudizio di primo grado regolato da tale legge) l’ordinanza di convalida del provvedimento opposto contemplata dalla L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 5 è divenuta impugnabile con il rimedio dell’appello, mentre prima era soggetta al ricorso per cassazione, ancorchè limitatamente ai presupposti in base ai quali era stata emessa e sulle questioni già sottoposte all’esame del giudice. Nell’attuale sistema normativo questa ordinanza, idonea a definire il giudizio di primo . grado nella ricorrenza degli inerenti presupposti (e quindi, equiparabile ad una sentenza), è diventata, pertanto, passibile di appello in seconda istanza (cfr, da ultimo, Cass. n. 182 del 2011 e Cass. n. 16471 del 2011), con l’attribuzione al giudice di secondo grado di tutti i poteri che gli sono propri, ragion per cui, qualora esso rilevi l’insussistenza delle condizioni per farvi luogo, potrà procedere, previa revoca dell’ordinanza impugnata, ad un completo esame riguardante la fondatezza o meno dell’opposizione formulata in primo grado, decidendola nel merito (meno che non si prospettino altri impedimenti pregiudiziali od ostacoli preliminari alla sua definizione in tal senso).

Conseguentemente, essendo stata, nella specie, direttamente impugnata in cassazione un’ordinanza L. n. 689 del 1981, ex art. 23, comma 5 adottata in primo grado dal competente Tribunale nella suddetta materia (anzichè appellarla), il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile (non sortendo alcuna efficacia scusante l’errore materiale in cui è incorso il giudice nell’ordinanza impugnata nella quale si fa riferimento al previgente regime della ricorribilità in cassazione, poichè l’individuazione della disciplina normativa processuale in concreto applicabile deve trovare la sua esclusiva fonte di riferimento nella legge temporalmente vigente). Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-03-2012, n. 4467

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 2/12 – 5/12/08 la Corte d’appello di Firenze – sezione lavoro, ha rigettato l’impugnazione proposta dal Ministero della Salute avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo, con la quale era stata accolta la domanda di T.S. diretta alla rivalutazione dell’indennità integrativa speciale, quale componente dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 riconosciuto ai soggetti danneggiati da epatiti post- trasfusionali, dopo aver rilevato che se un tale indennizzo non fosse stato ritenuto rivalutabile per l’intero non vi sarebbe stata una equa rispondenza al danno subito, da rapportare al pregiudizio alla salute.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Ministero della Salute che affida l’impugnazione a due motivi di censura. Rimane solo intimato il T..

Motivi della decisione

1. Col primo motivo il ricorrente Ministero denunzia la violazione di legge in relazione alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 2, commi 1 e 2, come sostituito dalla L. 20 dicembre 1996, n. 641, successivamente modificato dalla L. 25 luglio 1997, n. 238 ( art. 360 c.p.c., n. 3), ritenendo che sia contraria al dato normativo la decisione della Corte di merito di considerare rivalutabile la somma corrispondente alla indennità integrativa speciale, quale componente del complessivo indennizzo riconosciuto ai soggetti danneggiati da epatiti post-trasfusionali.

A sostegno della censura la difesa dell’ente spiega che, tenendosi presente il primo canone di interpretazione della norma, cioè quello legale di cui all’art. 12 preleggi, non può non rilevarsi che mentre la L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 1, stabilisce che l’indennizzo è rivalutato annualmente sulla base del tasso di inflazione programmato, al comma 2 tale norma nulla prevede in ordine alla rivalutabilità dell’indennità integrativa speciale, che pure è destinata ad integrare l’indennizzo stesso. Una tale conclusione si giustifica, secondo il ricorrente, col fatto che l’indennità integrativa speciale serve ad impedire o ad attenuare gli effetti della svalutazione monetaria, per cui è comprensibile il motivo per il quale il legislatore non ne abbia previsto la rivalutazione.

2. Col secondo motivo si deduce la violazione delle norme di cui agli artt. 116 e 416 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in ordine alla parte in cui il giudice d’appello ha respinto, per ritenuta genericità, il motivo di gravame incentrato sulla contestazione della quantificazione della somma oggetto di condanna.

A giustificazione della doglianza il ricorrente osserva che le somme dovute a titolo di rivalutazione della indennità integrativa speciale derivavano da criteri legali che ben potevano essere controllati dai giudici di merito, pur in presenza di una contestazione generica in primo grado, ma specifica in appello e che, in quanto tale, non poteva essere considerata tardiva.

1.a. In ordine alla questione sollevata col primo motivo si osserva che in effetti l’indirizzo di questa Corte in materia di rivalutabilità dell’indennità integrativa speciale di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 2, è quello sviluppatosi sui precedenti richiamati dalla difesa del Ministero a sostegno del proprio assunto ed in particolare può essere ricordata da ultimo l’ordinanza n. 24072 del 16/11/2011 della 6A Sezione, in virtù della quale "in materia di danni da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni o emoderivati, la rivalutazione annuale non si applica all’indennità integrativa speciale, prevista alla L. 25 luglio 1992, n. 210, art. 2, comma 2, sia perchè il legislatore ne ha espressamente stabilito il riconoscimento solo per l’indennizzo, autonomamente disciplinato dal comma 1, art. 2 citato, così come modificato dalla L. 25 luglio 1997, n. 238, sia perchè l’indennità integrativa speciale ha la funzione di attenuare o impedire gli effetti della svalutazione monetaria, per cui è ragionevole che ne sia esclusa la rivalutabilità, sia perchè la suddetta interpretazione è divenuta autentica ai sensi del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 11, comma 13, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.

In effetti l’indennizzo "di cui all’art. 1, comma 1" (consistente nell’assegno reversibile) dovuto ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie o da emotrasfusioni è rivalutato annualmente sulla base del tasso di inflazione programmato", ai sensi dell’art. 2, comma 1 citato. Il comma 2, stesso art. 2 stabilisce che esso è poi integrato da una somma corrispondente all’indennità integrativa speciale di cui alla L. n. 324 del 1959 e succ. mod., prevista per la prima qualifica degli impiegati civili dello Stato.

Inoltre con il D.L. n. 78 del 2010, art. 11, comma 13 convertito in L. n. 122 del 2010, si è disposto che "la L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 2, comma 2 e successive modifiche si interpreta nel senso che la somma corrispondente all’importo della indennità integrativa speciale non è rivalutata secondo il tasso di inflazione".

Tuttavia, occorre tener conto del fatto che con sentenza n. 293 del 4/10/2011 (G.U. n. 48 del 16/11/2011) la Corte Costituzionale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 11, comma 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, art. 1, comma 1, per violazione del principio di uguaglianza.

Il giudice delle leggi ha, infatti, chiarito che, poichè la "ratio" del beneficio concesso ai soggetti portatori della sindrome da talidomide è da ravvisarsi nell’immissione in commercio di un farmaco in assenza di adeguati controlli sanitari sui suoi effetti, esso ha fondamento analogo, se non identico, a quello del beneficio introdotto dalla L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3, per le persone affette da epatite post-trasfusionale, ove i danni irreversibili subiti dai pazienti sono derivati da trattamenti terapeutici non legalmente imposti e neppure incentivati e promossi dall’autorità nell’ambito di una politica sanitaria pubblica. Eppure solo ai primi è riconosciuta la rivalutazione annuale dell’intero indennizzo, mentre agli ultimi la rivalutazione è negata proprio sulla componente diretta a coprire la maggior parte dell’indennizzo stesso, con la conseguenza, tra l’altro, che soltanto questo rimane esposto alla progressiva erosione derivante dalla svalutazione. In tale sentenza la Corte Costituzionale spiega che il legislatore, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, è intervenuto con la L. n. 210 del 1992, prevedendo (tra l’altro) un indennizzo consistente in una misura di sostegno economico, fondato sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini, alla stregua dei citati artt. 2 e 38 Cost., a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno (sentenza n. 342 del 2006, punto 3 del Considerato in diritto), misura che trova fondamento nella insufficienza dei controlli sanitari predisposti nel settore (sentenza n. 28 del 2009). Le scelte del legislatore, nell’esercizio dei suoi poteri di apprezzamento della qualità, della misura, della gradualità e dei modi di erogazione delle provvidenze da adottare, rientrano nella sfera della sua discrezionalità. Tuttavia, la Consulta ammonisce che rientra nei suoi compiti verificare che tali scelte non siano affette da palese arbitrarietà o irrazionalità, ovvero non comportino una lesione della parità di trattamento o del nucleo minimo della garanzia (sentenze n. 342 del 2006 e n. 226 del 2000); rileva, quindi, che nella sindrome da talidomide, come nell’epatite post-trasfusionale, i danni irreversibili subiti dai pazienti sono derivati da trattamenti terapeutici non legalmente imposti e neppure incentivati e promossi dall’autorità nell’ambito di una politica sanitaria pubblica. Osserva, poi, che entrambe le misure hanno natura assistenziale, basandosi sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini alla stregua degli artt. 2 e 38 Cost. e che in tale quadro non si giustifica, e risulta, quindi, fonte di una irragionevole disparità di trattamento in contrasto con l’art. 3 Cost., comma 1, la situazione venutasi a creare, a seguito della normativa censurata, per le persone affette da epatite post- trasfusionale rispetto a quella dei soggetti portatori della sindrome da talidomide. A questi ultimi è riconosciuta la rivalutazione annuale dell’intero indennizzo, mentre alle prime la rivalutazione (sulla base del tasso di inflazione programmato: L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 1) è negata proprio sulla componente diretta a coprire la maggior parte dell’indennizzo stesso, con la conseguenza, tra l’altro, che soltanto questo rimane esposto alla progressiva erosione derivante dalla svalutazione. E ciò ad onta delle caratteristiche omogenee come sopra riscontrate tra i due benefici. Tanto premesso deve rilevarsi che, alla luce dei principi affermati dalla Corte Costituzionale, il primo motivo è infondato, essendo corretta la decisione impugnata in merito alla rivalutazione dell’indennità integrativa speciale di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 2. 2.a. Egualmente infondato è il secondo motivo col quale si censura la decisione della Corte territoriale di ritenere generica la contestazione dei conteggi svolta in primo grado ed inammissibile, in quanto nuova, la proposizione dei rilievi effettuata al riguardo in appello.

Invero, come questa Corte ha già avuto occasione di recente di ribadire (Cass. Sez. Lav. n. 4051 del 18/2/2011) "nel rito del lavoro, il convenuto ha l’onere della specifica contestazione dei conteggi elaborati dall’attore, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., comma 1 e art. 416 c.p.c., comma 3, e tale onere opera anche quando il convenuto contesti in radice la sussistenza del credito, poichè la negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l’affermazione dell’erroneità della quantificazione, mentre la contestazione dell’esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma, sia pure subordinata, in relazione alle caratteristiche generali del rito del lavoro, fondato su un sistema di preclusioni diretto a consentire all’attore di conseguire rapidamente la pronuncia riguardo al bene della vita reclamato. Ne consegue che la mancata o generica contestazione in primo grado rende i conteggi accertati in via definitiva, vincolando in tal senso il giudice, e la contestazione successiva in grado di appello è tardiva ed inammissibile".

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Essendo rimasto il T. solo intimato, nulla va disposto per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

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T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 01-12-2011, n. 992

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Svolgimento del processo

1 Con atto spedito per la notifica il 14 ottobre 2010, depositato il successivo 21, la L. S.r.l., espone: (a) di aver partecipato alla gara per l’affidamento in concessione del servizio avente ad oggetto "il rifacimento, nel territorio del Comune di Sora, della numerazione civica esterna ed interna nonché la fornitura e posa in opera delle targhe di toponomastica e l’aggiornamento della cartografia comunale"; (b) di esser stata esclusa dalla commissione con nota prot. n. 31157 del 2 agosto 2010; (c) di aver trasmesso note con le quali nel contestare l’esclusione chiedeva di essere riammessa alla gara; (d) che la commissione, riunitasi nuovamente il 12 agosto 2010, ha confermato l’esclusione, alla quale è seguita nota del successivo 13 con la quale il dirigente ha comunicato: " la seduta di gara deserta per mancanza di offerte valide". Impugna tutti gli atti su citati, deducendo: illogicità dell’azione amministrativa – difetto di motivazione.

2 Con memoria depositata il 16 febbraio 2011, si è costituito il comune di Sora che ha opposto l’infondatezza del ricorso.

3 Alla pubblica udienza del 3 novembre 2011 il ricorso è stato chiamato e, dopo la discussione, è stato introdotto per la discussione.

Motivi della decisione

1 La ricorrente impugna "l’esclusione dalla gara per la concessione del servizio di rifacimento della numerazione civica esterna ed interna, targhe di toponomastica, aggiornamento dello stradario nonché della cartografia comunale" (comunicazione prot. n. 31157 del 2 agosto 2010), confermata dalla commissione (verbale del 12 agosto 2010).

2 La commissione ha ritenuto non conforme all’articolo 9 del disciplinare, la documentazione contenuta nel plico "A" rilevando che: "per quanto attiene la capacità economica, parte delle fatturazioni prodotte riferite all’anno 2010 e quelle emesse non direttamente ai comuni, non sono state ritenute valide, non riuscendo a dimostrare, attraverso fatturazioni nel periodo tra il 2007 ed il 2009, il raggiungimento dei 500.000,00 euro per i servizi di numerazione civica o analoghi direttamente presso i Comuni;".

2.1 Con nota del 5 agosto 2010 l’interessata ha opposto la riferibilità dei servizi, fatturati alla provincia di Milano, a tutti i comuni della provincia di Monza – Brianza, richiamando l’attività di coordinamento svolta dalla provincia nella veste di ente appaltatore tant’è, che ciascun comune avrebbe deliberato l’impegno economico, contribuendo "… per la propria quota alle relative spese…".

2.2 La commissione, riunitasi il 12 agosto 2010 per riesaminare la questione, ha confermato l’esclusione rilevando che: "Per quanto concerne il primo punto, il Disciplinare di Gara, a pena di esclusione, all’art. 9 lettera b) richiede espressamente "…. omissis… fatturato realizzato esclusivamente negli ultimi tre esercizi (2007 – 2008 – 2009) non inferiore a Euro 500.000,00 IVA esclusa, per servizi di numerazione civica o servizi analoghi direttamente presso i Comuni… omissis", pertanto nulla viene lasciato ad interpretazioni diverse. Nello specifico le fatture emesse risultano, infatti, a carico della Provincia di Milano e, pertanto, non possono essere prese in considerazione.".

3 Con il primo motivo la ricorrente argomenta la sussistenza del requisito di capacità economica, quindi l’illegittimità dell’esclusione, rilevando che: (a) i servizi fatturati alla provincia di Milano, effettivamente resi a favore dei vari comuni interessati, sarebbero stati "realizzati e completati interamente nel triennio di esercizio 2006 – 2009…, e solo in parte ricontabilizzati nell’anno 2010."; in particolare detti lavori "… sono stati chiusi con verbale del 1.12.2009,… e sono stati regolarmente fatturati con la fattura n° 23/2009…".

4 Il motivo è infondato.

4.1 Va innanzitutto precisato che l’analisi dello stesso rimane circoscritta alla contestazione della causa di esclusione riferita alla mancata dimostrazione del possesso della capacità economica in capo alla ricorrente e ciò in quanto, pur avendo la stessa fatto ricorso all’avvalimento indicando il fatturato di altre società, a detta vicenda – richiamata nell’esposizione in fatto -, non è seguita la deduzione di alcuna specifica censura in diritto.

4.2 Sempre in via preliminare, poiché la commissione nella seduta di cui sopra, ha comunque fatto salvo quanto già indicato nella precedente nota prot. n. 31157 del 2 agosto 2010, deve anche osservarsi che l’esclusione è ricondotta e alla mancata prova del requisito per il triennio fissato – deponendo in tal senso il richiamo alla fattura del 2010 – e all’inutilizzabilità delle fatture elencate dalla ricorrente nel prospetto versato a corredo della domanda di partecipazione.

4.3 Ciò detto, possono sicuramente condividersi le indicazioni fornite dal resistente. Ed, infatti, la normativa di gara rinvenibile nel bando, nel disciplinare e nel modulo di domanda predisposto, prescrive l’elencazione di fatture emesse direttamente ai comuni. La stessa non offre, quindi, alcun supporto alla tesi dell’irrilevanza della fatturazione alla provincia di Milano quindi all’utilizzabilità di quest’ultima in ragione dell’effettiva destinazione dei servizi ai singoli comuni. Ed, infatti, in disparte la considerazione per la quale non è stata depositata documentazione alcuna a sostegno dell’assunto – documentazione certamente nella disponibilità per aver l’interessata partecipato alla gara -, detto argomento va disatteso in quanto, per la dimostrazione del requisito, non rileva il destinatario della prestazione fatturata, stante il prescritto deposito dell’elenco delle "… fatture emesse con specifica degli importi – amministrazione comunale di riferimento – data e numero fatture -….". Aggiungasi poi che: (a) l’accertamento del requisito implica, comunque, la verifica della sola documentazione prodotta secondo i termini posti dalla normativa di gara, quindi che non può ritenersi utile il richiamo alla fattura n. 23/2009 del 14 dicembre 2009 e la sua registrazione a libro giornale in quanto, tale fattura non è stata indicata nell’elenco depositato nell’apposito plico; (b) come correttamente rilevato dal seggio, non può esser spesa la fattura n. 01/10 del 9 febbraio 2010 di importo pari ad Euro 358.642,75, perché non collocabile nel triennio richiesto (2007 – 2008 – 2009) essendo quindi irrilevante il "verbale di chiusura dei lavori" che autorizza la ditta a fatturare.

5 In relazione al secondo motivo deve premettersi, in fatto, che: (a) "per quanto attiene alla capacità tecnica non sono stati riconosciuti parte dei servizi elencati perché ancora in corso, inoltre la Certificazione UN EN ISO 9001:2000 discorda con quanto espressamente richiesto nel disciplinare di gara." (nota 31157 del 2 agosto 2010); (b) in sede di esame della nota partecipativa la commissione ha poi indicato che: "Per quanto concerne il secondo punto, il disciplinare di gara, a pena di esclusione, all’art. 9 lettera c secondo punto richiede direttamente "omissis possesso della certificazione della serie UN EN ISO 9001:2000 relativamente alla progettazione ed erogazione servizi di toponomastica, numerazione civica, cartografia GIS, creazione banche dati omissis"".

5.1 La ricorrente ha dedotto che; (a) la certificazione ISO 9001:2008 per le categorie 34 e 35, "servizi di cartografia e banche dati territoriali comprensivi di attività di rilevamento topografico", implicherebbe, per come anche attestato dall’ente certificatore, una capacità tecnica sicuramente più ampia rispetto a quella richiesta per la prestazione da eseguire; (b) anche a ritenere insuperabile la lettera della disposizione, rileverebbe comunque ed in base alle indicazioni fornite dall’autorità di vigilanza, l’illegittimità del richiesto "… possesso della certificazione ISO 9001 nel bando di gara per lavori di importo inferiore a…, non obbligatorio per tali importi ai sensi del D.P.R. 34/2000…".

6 Anche tale motivo, a prescindere dall’inammissibilità riconducibile alla sola contestazione di uno dei presupposti fondanti l’esclusione, va respinto.

6.1 Quanto al primo profilo, posto che il disciplinare richiede il "possesso della certificazione della serie UN EN ISO 9001:2000 relativamente alla progettazione ed erogazione servizi di toponomastica, numerazione civica, cartografia GIS, creazione banche dati", va rilevato che la successiva attestazione non risolve la questione della sussistenza del requisito per l’intero servizio, ove si consideri che l’ente certificatore include nella generica definizione di banche dati territoriali, "Le attività di verifica e posa in opera della numerazione civica e della toponomastica della viabilità", il che non dimostra, come correttamente rilevato dal resistente, una qualificazione per l’intero oggetto della prestazione per come fissato dal disciplinare.

6.2 Da tale esito emerge allora la rilevanza dell’ulteriore e confermata – per via dell’espresso richiamo in sede di riesame alla nota prot. n. 31157 del 2 agosto 2010 – vicenda che supporta l’esclusione, non contestata e per la quale: "per quanto attiene alla capacità tecnica non sono stati riconosciuti parte dei servizi elencati perché ancora in corso…". Il che evidentemente si apprezza nella fattispecie, ove si consideri che la "capacità tecnica" andava dimostrata, non solo per via del citato certificato, ma anche tramite la "… esperienza maturata negli ultimi tre anni (2007 – 2008 – 2009), comprovata mediante la presentazione di attestati rilasciati dal Comune di competenza, in almeno n° 3 comuni per servizi di…" (articolo 9, lettera c) del disciplinare).

6.3 Quanto infine alla censura dedicata, nella sostanza, all’annullamento in parte qua della norma di gara relativa alla dimostrazione della capacità tecnica con riguardo alla produzione del richiesto certificato, la stessa è da ritenersi tardivamente posta rispetto ai termini fissati e decorrenti, non dalla comunicazione ex articolo 79 del D. Lgs. 163/2010 ma dalla conoscenza della previsione, di per sé preclusiva della partecipazione, conoscenza da collocare all’atto della sottoscrizione dell’istanza partecipazione, certamente anteriore rispetto al termine di scadenza fissato per la presentazione (ore 13 del 26 luglio 2010).

7 Il ricorso va quindi respinto. Le spese seguono, come per legge la soccombenza, per l’ammontare in dispositivo liquidato.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione staccata di Latina (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00 (duemilacinquecento,00).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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