T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 21-12-2011, n. 1778

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – Con il primo iniziale ricorso i collettivi ricorrenti – pacificamente residenti in zone viciniori ed esplicanti stabilmente in tali zone le diverse proprie attività di vita e quotidiane – lamentano la illegittimità – sotto diversi aspetti – del procedimento urbanisticoedilizio sfociato con la approvazione di un PdR (atti comunali 84/08 e 124/08).

2 – Con le connesse censure costoro assumono l’insistenza afflittiva su tale piano di svariate illegittimità; tuttavia il detto iniziale piano di recupero risulterebbe totalmente sostituito da un piano di recupero successivo.

3 – Avverso quest’ultimo i detti collettivi istanti hanno così introdotto ulteriori motivi, definiti formalmente aggiunti, in quanto veicolati nell’ambito dell’originario ricorso di cui sub 1 (G.M. 17/09; CC 28/09).

4 – E’ evidente – aspetto questo messo in luce, correttamente, anche dalla difesa di costoro – che questo Giudice si deve ormai occupare solo di questo ultimo procedimento, altresì dovendosi, contestualmente, occupare, al seguito dell’introduzione di un ulteriore insieme di motivi aggiunti pressoché di uguale contenuto ai precedenti, di due assensi edilizi riguardanti il centro commerciale ed alcune opere di urbanizzazione, previste nell’ambito del rinovellato PdR.

5 – Al seguito verranno riassunti tutti i motivi di ricorso che si reputerà necessario prendere in considerazione; salvo poi specificarne il contenuto in concomitanza con la esposizione delle avverse tesi dell’intimato Comune e della società controinteressata.

5.1 – Preme inoltre, specificare, ancora prima, che nel II° atto introduttivo degli ultimi motivi aggiunti e di cui al deposito del 01.12.2009, trovasi sviluppato l’unico motivo che è rilevabile come diverso da tutti gli altri, che sono comuni e di contenuto uguale sia con riguardo al nuovo PdR che con riguardo ai citati provvedimenti di assenso edilizio e che sono funzionali, come cennato, alle sole realizzazioni di cui sopra sub 4.

Si tratta del motivo rubricato al n. 4 il quale, all’evidenza, si sviluppa solo nei confronti del PdR ex novo posto in essere (2009).

5.1.1 – Orbene è altrimenti evidente che una simile censura è più che tardiva. Ed in relazione a ciò a nulla serve l’aver predicato che "le riserve sollevate dai ricorrenti e comunque gli accertamenti operati dall’U.T. hanno dimostrato che i dati volumetrici e superficiali sulla scorta dei quali è stato approvato il PdR (l’interelazione logicotemporale va ricondotta al PdR del 2009) sono totalmente falsi ed inaffidabili". Ed invero tali "espressi" dati, testè qualificati nel modo di cui sopra pur anche come macroscopici errori di calcolo, sono riferiti ad aspetti di calcolo medesimo, solo sussumibili e rinvenibili nel detto PdR del 2009; gli stessi, peraltro, non risultano essere stati utilizzati dagli atti 1.4.2009 e 22.06.2009 (assensi edilizi ut supra).

Si potrebbe così ipotizzare che gli stessi calcoli – visto il richiamo ad una non meglio identificata "relazione tecnica" – che questi stessi siano in essa riportati. Ma così non è. In ogni caso va osservato che detta relazione tecnica (ove mai tale sia la stessa) è stata depositata in copia da tempo essendo la stessa già formalmente allegata alle determinazioni comunali; ciò all’atto dell’altrimenti deposito del ricorso con i primi motivi aggiunti e con i quale si mette in discussione il nuovo PdR (03.07.2009); la citata relazione è anche stata depositata dalla difesa del Comune in data 14.12.2009 (doc. 12).

Si può inoltre ricordare che la difesa dei ricorrenti non ha fornito alcun principio di prova utile per far scoprire ove allignino i detti errori di calcolo; né il tecnico di parte stesso indica alcunché sul detto punto.

5.2 – Tutte le dette circostanze, in uno con le carenze descritte, inducono perciò a tralasciare il suprofilato motivo a sé stante. Senza contare che, comunque, tale censura può essere recuperata nell’ambito della valutazione intorno alla sufficienza o meno delle metrature a standard.

5.3 – La medesima sorte obliterativa di rito subisce la 6° censura dei II° motivi aggiunti con la quale si lamentano possibili pericoli insiti nella particolare allocazione della pista ciclopedonale.

Ed invero, in disparte il fatto che il relativo progetto era già conoscibile al momento in cui sono stati introdotti i primi motivi aggiunti, resta il fatto che la detta censura ha carattere molto generico e non evidenza chiaramente quali norme tecniche e di sicurezza si intendano violate mescolando, indifferentemente, ambienti urbani e non. Si osserva altresì che sussistono particolari incertezze e contraddizioni descrittive con riguardo alla via N. Sauro e che, infine, un scelta siffatta pare poco discutibile quanto al relativo merito in essa insito.

Si può così passare alla esposizione riassuntiva di tutti i motivi altrimenti esaminabili:

a) violazione di legge per errata e falsa applicazione di legge (art. 25, comma 8bis, legge regionale n. 12/05). Incompetenza;

b) violazione di legge per errata e mancata applicazione di legge (art. 45 legge regionale n. 12/05). Eccesso di potere per errata e falsa applicazione di norma regolamentare (art. 11.7 NTA del PRG) e per difetto di presupposti;

c) violazione di legge per errata e mancata applicazione di legge (art. 27 e 45 legge regionale n. 12/05 e art. 27 legge n. 457/78). Eccesso di potere per errata e falsa applicazione di norma regolamentare (art. 11.7 NTA del PRG). Illegittimità, in via subordinata, dell’art. 11.7 delle NTA del PRG;

d) violazione di legge per errata e mancata applicazione di legge (art. 45 legge regionale n. 12/05). Eccesso di potere per errata e falsa applicazione di norma regolamentare (art. 11.7 NTA del PRG). Eccesso di potere per difetto di presupposti;

e) violazione di legge per errata e falsa applicazione di legge (art. 41sexies legge n. 1150/42).

7 – Contestano in modo più che puntale e specifico tutti i sopra riassunti motivi di censura tutte le parti avverse, qui costituitesi.

Le stesse – dopo aver premesso eccezione di carenza di legittimazione attiva sotto il profilo della non insistenza di una specifica e concreta lesione degli interessi particolari dei ricorrenti, pur non contestando la stabile vicinitas su descritta -, hanno, infine, partitamente concluso per la infondatezza del ricorso.

8 – All’U.P. del 10.XI.2010 la causa è stata trattenuta, una prima volta, in decisione.

8.1 – Ne è scaturita una statuizione interlocutoria (208/010, 20.12.2010) del seguente tenore:

"Al fine di più compiutamente decidere il Collegio ritiene di dover acquisire una serie di chiarimenti tecnici e cioè:

a – verificare, tramite indagine storicoricostruttiva nell’ambito della documentazione sussistente e con riguardo a tutto quanto conservato negli archivi comunali, quale sia stata, via via e nel tempo e sino all’adozione degli atti qui in discussione, la destinazione urbanistica del compendio de quo e di quale sia stato, nel relativo tempo, l’uso concreto di fatto allegando un certificato storico di destinazione medesima;

b – ipotesi di qualificazione sotto il profilo tecnicourbanistico ed edilizio, della complessa materializzazione prevista ed in via, ormai, di attuazione;

c – verificare di conto, sotto il profilo tecnico, le annotazioni di misurazione varia di cui ai motivi di censura relativi;

d – ipotesi di vari fabbisogni di cui i ricorrenti lamentano la mancanza qualora l’edificando passi ad una funzionalizzazione urbanistica diversa da quella di cui alle risultanze sub a;

e – ipotesi di fabbisogni di cui sopra in caso di un passaggio di categoria diversa in ragione contraria, al punto precedente,

f – ipotesi di fabbisogni di cui immediatamente sopra alla stregua delle risultanze di cui sub b;

g – ogni ulteriore ipotesi per i fabbisogni di cui sopra atti a schiarire quale sia la possibilità alternativa legittima sotto il profilo tecnico;

h – confronto finale tra tutte le ipotesi di cui al sub d, e, f, e g, e quanto di specie appare innervato, in attuale dal soggetto realizzatore;

i – esplicitare puntualmente i tempi procedimentali (fase per fase) applicati a partire dalla data di adozione (Giunta comunale 09.02.09 n. 17) alla data di approvazione (Consiglio comunale 20.04.09 n. 28) anche con particolare riguardo alla indicazione della data del termine iniziale e del termine finale, inizialmente non prorogato, di pubblicazione, ciò al fine di poter ponderare le risultanze procedimentali medesime con l’allegazione certificata di tutti gli avvisi utili (v. sul punto particolare delibera 5 C.C. 28.09, parte in grassetto dove si cita la circolare regionale 19.03.09) e copia di quest’ultima;

l – specificare ed indicare se nel cosiddetto gruppo dell’area alfanumerica di interesse erano notoriamente annoverabili i signori F.G., B.G. e M.E. unitamente alla cosiddetta rappresentanza nominativa di tale gruppo ove concretizzarsi nel modo di presentazione della relativa osservazione;

m – verificare tecnicamente se, in sede di permessi edilizi 01.04.09 e 22.04.09, le ipotesi trovino eventuali ricomposizione;

n – indicazioni sui successivi sviluppi della vicenda sotto ogni profilo: dall’inizio del 2010 sino ai nostri giorni.

Tutto quanto sopra richiesto dovrà essere contenuto in una specifica relazione, chiara, puntuale e precisa: salvo adozione di nuovi atti.

All’uopo si delega il giudice Consigliere Mario Mosconi per fornire elementi specificati ed indicativi al nominato verificatore.

Quale verificatore tecnico istruttore viene indicato e nominato il Direttore pro tempore del Settore Edilizia Privata del Comune di Mantova, od un idoneo e qualificato funzionario tecnico da lui delegato.

Il detto verificatore potrà – nel mentre gli viene assicurata la messa a disposizione del fascicolo di causa – recarsi presso gli uffici competenti del comune di Pegognaga al fine di potere condurre, con libero accesso e con la massima collaborazione, ogni indagine da lui stesso ritenuta necessaria per definire al meglio i su comminati adempimenti istruttori, anche tramite sopralluoghi in contraddittorio con congruo preavviso ad ogni parte ed ai relativi tecnici che devono essere indicati al medesimo senza indugio.

Quest’ultimo, all’atto del deposito della relazione, allegherà nota spese per prestazione occasionale complessiva e per ogni uscita anche con riferimento ad ogni ulteriore spesa per vacazione, viaggio e sopralluoghi, pur presso questo Tribunale, quantificando il tutto secondo il DPR 115/02 e connesso D.M. 03.05.2002.

Le entità di spesa risultante sarà liquidata all’esisto del giudizio di merito per un accollo di soccombenza."

9 – Espletati alfine i detti incombenti, la causa è tornata in discussione in data odierna; in precedenza sono state anche depositate le relazioni tecniche delle parti; queste ultime, per molti aspetti oppugnanti tra loro, contestano – sotto un particolare profilo – anche le conclusioni del nominato verificatore.

10 – Dopo la discussione orale – in cui le parti tutte hanno avuto la possibilità di esplicitare le proprie avverse tesi e conclusioni – la causa è stata rispedita in decisione.

11 – Tanto concluso, il Collegio – nel prendere atto sia del contenuto della verificazione (che si intende riportato) che delle introdotte argomentazioni delle parti a ciò inerenti – ritiene di tralasciare la vista eccezione di carenza di legittimante attiva sotto lo specifico profilo sopra già delineato (mancanza di effettiva lesione). Infatti, anche se vi possono essere dubbi sull’insistenza concreta del detto profilo lesivo e sulla pienezza legittimamente inerente (v. CdS 15.XI.2011 n. 6016), resta il fatto che il ricorso è privo di pregio.

12 – A tale riguardo pare così opportuno verificare, in primo luogo e per meglio definire i contorni della vicenda, se il detto PdR abbia i caratteri di una ricomposizione urbanistica (o meno) tramite i descritti interventi di ristrutturazione del "comparto" già edificato a cui si riferisce.

12.1 – Va così rilevato che, nello specifico, trattasi di un intervento di ricomposizione e rimodulazione antopica e planivolumetrica che si dispiega esclusivamente all’interno di una specifica area pressoché rettangolare, già – appunto – edificata; quest’ultima poi si trova all’interno di una più vasta area, anch’essa edificata ed urbanizzata e delimitata, da ogni lato, dall’intersecarsi perpendicolare di due assi viari. A tale intervento sono connesse ed al medesimo funzionali, ad intervenuto recupero di nuove aree libere interne, ulteriori opere infrastrutturali anch’esse solo interne al comparto ed altresì nuove opere di urbanizzazione minore a contorno.

Va inoltre osservato che, nel caso, muta solo in parte la destinazione d’uso sotto il profilo urbanistico. Aspetto questo che si chiarirà poi in modo più specifico.

12.2 – Dato quanto descritto e visto che l’intervento si concretizza sostanzialmente all’interno di un solo ed unico isolato urbano e che con lo stesso non si propone alcuna modificazione del disegno dei lotti di altri diversi isolati e dei detti assi viari, è evidente che lo stesso assume le sole caratteristiche di una complessa ristrutturazione edilizia. E, a tale riguardo, si ricorda che, per costante giurisprudenza, è irrilevante il nomen iuris altrimenti assegnato dalla PA.

13 – Quanto al fatto che il vetusto e demolito compendio assommi (ed assommasse) (o meno) in sé formali destinazioni urbanistiche di carattere commerciale già vigenti prima dell’adozione dell’intervento attuativo in discorso, in relazione al PRGC precedente, basta por mente alla antecedente e funzionalmente diversa variante di quest’ultimo del 2004 pur rispetto a quella del 2005 che è di tutt’altro tipo: anch’essa ancora al tempo vigente e, nella quale ultima, tale dedicazione trova conferma per quanto già stabilito nel 2004 stesso. Del resto tale medesima dedicazione commerciale trova altrimenti conferma nell’allegato certificato di destinazione urbanistica la cui veridicità formale non può essere in questa sede in alcun modo messa in discussione. In ogni caso, con riguardo a tale ultimo aspetto, si sottolinea che la parte ricorrente nulla controdeduce. Si osserva inoltre che la destinazione commerciale risultava formalmente in essere (v. atti) già dalla seconda metà degli anni ottanta del secolo scorso.

13.1 – In ogni caso, a parte i certificati ed i vari procedimenti, si rileva comunque che – poiché il contrario viene delineato nel corpo del ricorso sostenendo che gli allora ivi operanti magazzini generali non esplicitassero attività commerciale – la ratio normativa inerente assegna agli stessi la concreta possibilità di commerciare merci e derrate detenendole in loco senza che queste ultime vengano rimosse dal medesimo in essi giacendo queste stesse anche in custodia.

Il relativo deposito di queste ultime (nel caso formaggi) è poi funzionale alla su descritta attività commerciale, valendo anche come "borsa" di specie merceologica. Sono dunque più che puntuali le consonanti controdeduzioni della difesa della società controinteressata ed altresì inferenti tutti quegli specifici scorci normativi dalla stessa richiamati a tale riguardo e a cui si rimanda per la definizione compiuta della attività che di solito si esercita all’interno dei detti magazzini generali. Assumono così irrilevanza le parziali allegate visure camerali. Mentre il fatto che si sostenga essere intervenuta – comunque – interruzione di una attività commerciale ad una certa data o che la stessa non sia mai stata esercitata, non è circostanza sufficiente a togliere di mezzo una destinazione urbanistica di prevalente profilo commerciale così come già scolpita da tempo ed ancora utilmente vigente a tempo debito.

14 – Un’altra considerazione pertiene al Piano dei Servizi; ed invero la sua vigenza, sempre al tempo de quo, è qui evidente ed indiscussa. Ad esso, dunque, ove necessario, dovrà farsi ricorso nell’esaminare vari profili di alcuni tra i vizi qui prospettati. Salvo ciò che riguarda l’art. 11.7 NTA.

15 – Le considerazioni che precedono e che si pongono in antitesi alle premesse di fondo che permeano le prospettazioni delle varie censure, consentono ora di passare all’esame di queste ultime.

16 – Con la prima di queste (sub 6a) si sostiene l’erroneità del procedimento di formazione del PdR in discorso (2009) in quanto, in asserito spregio dell’art. 1 della l.r. n. 5 del 2009, non sarebbe stato rispettato il così novellato 8° comma bis dell’art. 25 della l.r. n. 12 del 2005 alla stregua del quale, in base al relativo rinvio alla l.r. n. 23 del 1997, le due fasi di adozione e di approvazione avrebbero dovuto essere entrambe disposte dal Consiglio comunale; nel mentre e nel caso la fase di adozione è stata definita dalla GM; ovviamente le parti avverse presentano argomentazioni del tutto contrarie riallacciandosi alla asserita natura procedimentale della norma di cui sopra e relazionandosi al principio "tempus regit actum", concludendo per la non inferenza della normativa su richiamata.

16.1 – La citata censura non è condivisibile proprio per le stesse ragioni illustrate dalle parti avverse che qui si fanno proprie. Ed invero basta rilevare che, nel caso, l’adozione del citato PdR è intervenuta prima della promulgazione della citata legge regionale del 2009 il cui articolato sopra riferito è certamente di natura procedimentale.

È persino così superfluo richiamare l’attenzione sulla copiosa giurisprudenza inerente: del tutto assonante con le tesi su condivise.

17 – Il secondo motivo affronta (6b), invece, nodi di carattere sostanziale evidenziando che, nel caso specifico, il nuovo intervento, determinando un incremento del cd. carico urbanistico per il passaggio alla funzione commerciale, altrimenti non prevederebbe le dovute quantità superficiarie delle dotazioni standard, essendo insufficienti le metrature dei realizzandi parcheggi cedute alla PA (1574 mq) e quelle ulteriori di uguale destinazione in quanto solo assoggettate ad uso pubblico (2022 mq).

17.1 – In tale contesto sarebbe perciò fuorviante, continuano i ricorrenti, sostenere, come fa la parte contro interessata, che, nel caso medesimo, non vi sarebbe alcuna necessità di integrare ulteriormente la metratura indicata in PdR: infatti ciò sarebbe contrastato dall’aver introdotto nuove destinazioni d’uso rispetto al passato.

17.2 – Le controparti, nell’ulteriormente controbattere, si rifanno alle conclusioni amministrative rese nell’ambito della approvazione del nuovo PdR.

17.3 – Anche la detta censura non coglie nel segno. A tale specifico riguardo va rammentato quanto declinato in ordine alla già, in precedenza, vigente (e pregressa) destinazione urbanistica commerciale della più parte del compendio in questione.

Di talché l’art. 11.7 delle NTA – così segnalando sino d’ora che l’interpretazione data dai ricorrenti al medesimo non può essere accolta – pare correttamente applicato pur per il tramite alcuni aggiustamenti di maggiore utilità pubblica non essendosi, altresì nel caso, tenuto conto anche del diverso minor carico per la connessa zona residenziale, di nuova istituzione e come tale non messa in discussione.

17.3.1 – Del resto, a riprova di quanto testè concluso, interviene l’indiscusso contenuto dell’art. 3915 delle NTA (2005) che è stato richiamato ed illustrato dalle parti avverse. Orbene, è questo stesso che fa rilevare l’esistenza di una destinazione già commerciale in sito e nel pregresso ulteriore sino a prima dell’altrimenti vigenza del PdR in discorso. Inoltre, come già affermato in precedenza, una destinazione inutilizzata solo in fatto non può essere rilevante in questa sede a fronte di un’altrimenti destinazione commerciale che si appalesa consonante a quella già formalmente in essere nel pregresso e che, resiste, senza soluzione di continuità. Senza contare che di quella relativa antica superficie in precedenza in essere ne è stata preservata molta di meno per tale uso medesimo.

18 – Anche la terza censura (6c) subisce analoga sorte negativa. Al riguardo basta por mente a quanto rilevato in precedenza sub 12 la ove si è concluso di trovarsi di fronte ad una complessa ristrutturazione di mero profilo edilizio. E solo il caso di ricordare che, alla stregua della più attuale giurisprudenza, il concetto giuridico di ristrutturazione edilizia ha subito alcune riconsiderazioni nell’ambito delle quali rientrano ora quelle iniziative antropiche delineate dal PdR in discorso, non venendosi a realizzare, in termini giuridici, nel caso medesimo, vere e proprie nuove costruzioni. Di conseguenza anche quella subordinata censura con la quale si assume la illegittimità del detto articolo 11.7 NTA (2005 – Piano dei Servizi), in quanto lo stesso permetterebbe le ontologicamente diverse ristrutturazioni urbanistiche anche se prive delle dotazioni standard reclamate, resta priva di fondamento, vista la diversità dell’intervento de quo come sopra delineata (ristrutturazione edilizia).

19 – Con la successiva censura (6d) si sostiene che, essendo comunque intervenuto un incremento volumetrico e/o di superficie utile, a tutto ciò non corrisponderebbe un giusto incremento e/o presenza di superfici standard totali.

19.1 – Anche tale censura non coglie nel segno. Basta rilevare che la zona commerciale risulta ridotta quasi ad un terzo di quella già in essere in precedenza con una riparametrazione verso quella residenziale del tutto contenuta. In ogni caso è sempre l’intonso art. 3915 NTA a definire le relative regole.

Mentre va altresì osservato che il P.A. n. 42 (PdR de quo) non rientra nell’elenco di quei piani attuativi da assoggettare a cessioni o monetizzazioni varie.

Per il resto si rinvia alle conclusioni del verificatore (p. 15) che suffragano le ulteriori conclusioni di questo Collegio e che qui vengono fatte proprie. In ogni caso l’incremento determinabile ai sensi della immessa funzione residenziale è ben meno pregnante, sotto il profilo dell’incidenza di carichi insediativi, rispetto alla già presente, pur nel pregresso, incidenza teorica di quei carichi così collegabili alla superficie commerciale, con il già definito aspetto di riduzione di quest’ultima pur in funzione compensativa.

19.2 – E comunque ed in conclusione la superficie a standard prevista nel PdR pare più che sufficiente. Infatti la medesima si ritiene correttamente prevista nella misura di mq. 3596 poiché in tale somma può rettamente confluire anche quella superficie dedicata ad uso pubblico perenne tramite atto di asservimento per la stessa finalità, così determinandosi, comunque, un eccesso di standard rispetto al fabbisogno scaturibile dalla applicazione del dato normativo.

20 – Anche l’ultima censura non coglie nel segno (6e). Ed infatti, pur rilevando che nei progetti edilizi inerenti le residenze devono essere previsti parcheggi ulteriori in numero tale da soddisfare tutte le unità abitative previste, resta però il fatto che tale indicazione, al contrario di quanto sostenuto dai ricorrenti, non rileva ancora. Invero, al momento, non risultano approvati, in esecuzione del PdR, assensi o permessi edilizi di tal tipo.

Nel mentre, e al contrario, il verificatore evidenzia l’intervenuta realizzazione solo del fabbricato ad uso commerciale e la presenza solo di un ulteriore atto di assenso edilizio riguardante opere di urbanizzazione.

20.1 – Va inoltre ricordato quanto condivisibilmente delineato dallo stesso verificatore in termini di ulteriori vantaggi economici per la "mano pubblica".

20.2 – L’ultima considerazione inerente il fatto che la dedotta mancanza di previsione di parcheggi ad esclusivo uso delle future abitazioni non è nemmeno indicata come ormai irrecuperabile.

22 – E dunque ed in conclusione il ricorso si appalesa in parte improcedibile, in parte inammissibile e per la restante parte infondato.

23 – Tuttavia, tenuto conto delle diverse fasi della vicenda, appare ragionevole compensare le spese di lite tra le parti in causa.

24 – Quanto alle spese di verificazione, quantificate in Euro 2.400,00 (oltre ad Iva, Cpa ed altresì ulteriori Euro 291,00) e che qui si ritengono congrue, le stesse sono poste a carico, in parti uguali, di tutti e tre i soggetti presenti in giudizio con il dovere di anticipazione per l’intero da parte del Comune al verificatore e con rivalsa del comune stesso per 2/3 (1/3; 1/3) nei confronti delle altri parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) definitivamente decidendo, dichiara in parte improcedibile, in parte inammissibile e per il residuo infondato il complesso dei motivi di cui al presente ricorso.

Le spese di lite sono compensate.

Le spese di verificazione sono liquidate nella misura totale ricavabile dalla relativa somma negli estremi indicati e saranno pagate dal Comune al modo descritto con rivalsa nell’altrimenti diverso modo descritto. La presente sentenza va trasmessa, in uno con copia della nota spese e a cura della Segreteria che legge per conoscenza, a tutte le parti presenti in giudizio.

Il verificatore, a cui va trasmessa solo copia della presente, è invitato a segnalare al Comune i riferimenti bancari per il relativo versamento.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 28-06-2012, n. 10934 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 17 luglio 2008 presso la Corte d’appello di Venezia, B.M.C. e P.A., quali eredi di P.G., hanno chiesto il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo, introdotto dal proprio dante causa nell’agosto 1997 dinnanzi alla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per il Veneto, deciso con sentenza n. 565 del 2007, decorsi nove anni e dieci mesi dalla proposizione del ricorso.

L’adita Corte d’appello ha accolto parzialmente la domanda.

Determinata in tre anni la durata ragionevole del processo presupposto, di per sè privo di particolare complessità, e disattesa l’eccezione di prescrizione formulata dall’amministrazione convenuta, la Corte d’appello ha ritenuto che alle ricorrenti, nella qualità, dovesse essere riconosciuto un indennizzo per il periodo di irragionevole durata del giudizio presupposto, pari a 6 anni e 10 mesi, pari a Euro 3.420,00, adottando, tenuto conto della natura collettiva del ricorso e della concreta posta in gioco, il criterio di liquidazione rapportato a 500,00 Euro per ogni anno di eccessiva durata.

Per la cassazione di questo decreto B.M.C. e P. A., nella qualità di eredi di P.G., hanno proposto ricorso sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria;

l’intimata Amministrazione ha depositato memoria ai fini della eventuale partecipazione alla discussione in udienza pubblica.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione delle motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con l’unico motivo di ricorso (rubricato violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. 1, e art. 41 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 3 Cost.), le ricorrenti si dolgono della esigua entità dell’indennizzo riconosciuto per anno di ritardo, sostenendo che le ragioni addotte dalla Corte d’appello, e segnatamente quella relativa alla natura collettiva del ricorso, sarebbero del tutto inidonee a giustificare lo scostamento del criterio di liquidazione per anno di ritardo da quelli propri della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e di questa Corte, consistenti in una cifra compresa tra Euro 1.000,00 e Euro 1.500,00 per ciascuno degli anni di durata irragionevole.

Il ricorso è fondato.

Ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidata al giudice del merito, è segnato dal rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, sicchè è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate da quella Corte in casi simili (Cass., S.U., n. 1340 del 2004).

Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di farne apprezzare la peculiare rilevanza, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfatti va di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impone di stabilirla, di regola, nell’importo non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno.

Con riferimento alle ragioni che possono essere addotte per ridurre l’indicato parametro di liquidazione, si deve rilevare che questa Corte ha già avuto modo di precisare che la presunzione di danno non patrimoniale notoriamente connessa a situazioni soggettive provocate da un giudizio durato troppo a lungo, la cui connotazione in termini di irragionevolezza è, potrebbe dirsi, ancor più marcata in presenza di domande palesemente infondate e, come tali, suscettibili di immediata risoluzione, non può essere superata, tra l’altro, dalla circostanza che il ricorso amministrativo, inerente a rivendicazioni di categoria, sia stato proposto da una pluralità di attori, considerato che la proposizione di un ricorso in forma collettiva e indifferenziata non equivale certamente a trasferire sul gruppo, come entità amorfa, e quindi a neutralizzare situazioni di angoscia o patema d’animo riferibili specificamente a ciascun singolo consorte in lite (v., da ultimo, Cass. n. 30160 del 2011 cit.). Nè può costituire utile ragione per ridurre sensibilmente l’importo dell’indennizzo del danno non patrimoniale il rilievo del modesto valore della posta in gioco (Cass. n. 23519 del 2011; Cass. n. 22435 del 2009).

Nella specie, la Corte d’appello di Venezia ha motivato il considerevole scostamento dagli indicati parametri facendo riferimento, appunto, alla natura collettiva del ricorso, con conseguente presumibile affievolimento della partecipazione emotiva della parte, e allo scarso valore della posta in gioco.

Alla stregua di tali considerazioni il ricorso deve quindi essere accolto, con conseguente annullamento del decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2. In particolare, non essendo contestata la durata ragionevole del giudizio presupposto, accertata dalla Corte d’appello in 3 anni, e dovendosi ritenere che la durata complessiva di tale giudizio sia stata di 9 anni e 10 mesi, la durata irragionevole deve essere determinata in anni 6 e mesi 10, sicchè, nel caso di specie, in applicazione del criterio quantitativo prima affermato, si deve, di conseguenza, riconoscere alle ricorrenti, in solido tra loro, l’indennizzo di Euro 6.100,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno interamente poste, come liquidate in dispositivo in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. n. 16367 del 2011), a carico dell’Amministrazione resistente.

Le spese vanno distratte in favore del difensore della parte, dichiaratosene antistatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna, il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento in favore delle ricorrenti, nella qualità, della somma di Euro 6.100,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo;

condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle metà delle spese del giudizio di merito, che si liquidano per l’intero in Euro 1.140,00, di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 965,00, di cui Euro 865,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; dispone la distrazione delle spese di entrambi i giudizi in favore del difensore antistatario, Avvocato Gabriele De Paola.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-07-2012, n. 12762

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.M.C. ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, nei confronti del Ministero della Giustizia avverso il decreto in data 11 marzo 2009, con il quale la Corte di appello di Roma ha condannato detto Ministero al pagamento in suo favore della somma di Euro 5.000,00, pari ad Euro 1.000,00 per ogni anno di durata non ragionevole, a titolo di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio civile in materia di risarcimento danni, protrattosi in primo grado davanti al Tribunale di Benevento dal 7 maggio 1991 al 12 marzo 2001 e in secondo grado, dal 27 agosto 2005 e ancora pendente davanti alla Corte di appello di Napoli.

Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.
Motivi della decisione

Preliminarmente deve dichiararsi l’inammissibilità della comparsa di costituzione depositata dagli eredi della M., in forza di procura speciale illegittimamente rilasciata a margine e autenticata dal difensore, anzichè di procura conferita in forza di atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83 c.p.c., comma 2, nel testo applicabile ratione temporis.

Con i due motivi di ricorso la M., denunciando vizio di motivazione con riferimento ai parametri interpretativi con i quali stabilire il lasso di tempo da addebitarsi alla parte ricorrente o all’apparato giudiziario e valutare il criterio della complessità della causa, censura la determinazione in cinque anni, da parte della corte di merito, del periodo di durata ragionevole del processo.

Il ricorso è inammissibile. Infatti la ricorrente non ha illustrato ex art. 366 bis c.p.c., applicabile alla fattispecie ratione temporis, i motivi di censura con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, attraverso un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità e da evitare che all’individuazione di detto fatto controverso possa pervenirsi solo attraverso la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo e all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore (Cass. S.U. 2007/20603; Cass. 2007/16002; 2008/8897).

La considerazione che precede conduce alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, ma nulla deve disporsi in ordine alle spese processuali, non avendo il Ministero intimato svolto difese.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2013) 24-06-2013, n. 27693

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Svolgimento del processo

Con ordinanza 28/2/12 il Tribunale di Sorveglianza di Napoli rigettava l’istanza di S.M. intesa ad ottenere la detenzione domiciliare (per la gravità dei reati in espiazione e per il profilo di alta pericolosità delinquenziale del soggetto, appartenente al c.d. clan dei Casalesi); dichiarava non luogo a provvedere sulle ulteriori di affidamento in prova al servizio sociale e di semilibertà.

Ricorreva per cassazione la difesa, deducendo violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione per la negata detenzione domiciliare: il Tribunale aveva trascurato la buona condotta inframuraria del detenuto e, pur dando atto che il Gip non aveva convalidato un fermo del 2007 per un atto intimidatorio in danno di un’autoscuola che gli era stato contestato in concorso con soggetti di presunta appartenenza al gruppo V.L. dei Casalesi, aveva contraddittoriamente basato "soprattutto" su ciò il giudizio di pericolosità. Ricordava inoltre che il fine pena era a brevissima scadenza (2/11/12).

Nel suo parere scritto il PG presso la S.C. (14/1/13) chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (avvenuta scarcerazione).

Motivi della decisione

La scarcerazione del ricorrente, avvenuta il 18/9/12 (giusta visura DAP in data odierna), rende priva di interesse l’impugnazione proposta. In via preliminare il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile per tale ragione (art. 591 c.p.p., comma 1., lett. a).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2013
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.