Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-06-2011) 12-10-2011, n. 36866

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 30.9.09, la corte di appello di L’Aquila ha confermato la sentenza 17.3.04 del tribunale di Avezzano, con la quale G. P. era stato condannato alla pena di 3 mesi di reclusione e Euro 150 di multa, perchè ritenuto colpevole del reato di furto aggravato di 6.730 mc di gas, sottraendoli dalle apposite tubature, mediante manomissione del sigillo apposto al rubinetto erogatore, accertato il 6.8.02. Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. contraddittorietà della motivazione: i giudici di merito dei due gradi di giudizio hanno dato per scontato che vi fosse la prova sull’apposizione dei sigilli sul contatore. Invece tale prova manca.

Inoltre, secondo la disciplina vigente, questa apposizione deve essere preceduta da una comunicazione scritta,inviata a mezzo raccomandata, che ha valore di costituzione in mora. La sospensione della fornitura del gas deve essere preceduta da questa comunicazione. Agli atti, manca la prova documentale dell’esecuzione di questa procedura. Manca inoltre il processo verbale dell’apposizione dei sigilli. Questa mancanza di prove documentali non consente di ritenere dimostrata l’apposizione dei sigilli e la sospensione della fornitura e conseguente la sottrazione del gas da parte del G..

2. vizio di motivazione in ordine all’esistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato. Dagli atti processuali emerge che l’imputato non aveva contezza di consumare il gas illecitamente, in quanto il contatore misurava il consumo, che egli pagava, come risulta dalle relative bollette, senza individuare a quale delle due utenze i pagamenti si riferissero. Questa mancata diligenza non può far ritenere che l’imputato dolosamente sottraeva il gas, nella piena consapevolezza di commettere il reato ascrittogli. Inoltre la mancata messa in mora e il mancato avviso di sospensione hanno impedito di rendersi conto di utilizzare il gas senza pagarlo.

In via preliminare si osserva che è maturato il termine di prescrizione del reato, che risulta commesso fino alla dato dell’accertamento effettuato dagli addetti dell’ente erogatore in data 6.8.02.

Le risultanze processuali, congiuntamente accertate dai giudici di merito, non consentono di ritenere sussistente l’ipotesi ex art. 129 cpv. c.p.p..

Le due sentenze dei giudici di merito – che per l’uniforme apparato storico – valutativo, costituiscono un unico risultato di un organico e inscindibile accertamento giudiziale- hanno dato atto che, in base alle dichiarazioni testimoniali di dipendenti dell’ente erogatore, sono emersi i seguenti fatti:

a) il G. era intestatario di due utenze e provvedeva al pagamento solo per una di esse, mentre per l’altra non pagava il relativo consumo;

b) per questa condotta, sono stati inviati numerosi solleciti, la cui inefficacia ha portato alla sospensione della fornitura e all’apposizione di un sigillo, consistito in una valvola di blocco del rubinetto erogatore;

c) questa seconda utenza risulta riattivata e autore di questa forzatura della valvola di blocco è stato individuato logicamente nel G., quale proprietario dell’appartamento servito dall’utenza e intestatario della medesima;

d) le dichiarazioni dei testi sono state considerate dai giudice di merito valida prova della sua responsabilità, non essendo state smentite da altre prove, nè risultando la sussistenza di dubbi sull’affidabilità delle fonti conoscitive;

e) in ogni caso, la mancata ricezione di solleciti, di messa in mora, di preavviso non lo autorizzava a ripristinare la fornitura – oggettivamente sospesa – mediante eliminazione della valvola di blocco del rubinetto erogatore.

Deve quindi concludersi con l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-04-2012, n. 6630 Servitù coattive di passaggio

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Svolgimento del processo

Pe.Ar., premesso di essere proprietario di fondi siti nel Comune di (OMISSIS), distinti in catasto ai mappali 969 e 939 e di 1/2 del mappale 1083, lamentava che P.F., divenuto proprietario del mappale 968, avesse compiuto atti di turbativa del diritto di passaggio gravante su detto mappale, in favore del fondo di esso ricorrente; in particolare, assumeva che il Pe. aveva ristretto il passaggio in questione, posteggiandovi permanentemente la sua auto e piantando e depositando pali e fili di ferro. Chiedeva, quindi, la condanna del P. alla cessazione delle turbative. Con sentenza 27.5.202 il Tribunale di Bassano del Grappa rigettava la domanda di tutela possessoria e dichiarava la sopravvenuta inefficacia dell’ordinanza collegiale pronunciata in sede di reclamo, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Avverso tale sentenza il Pe. proponeva appello cui resisteva il P..

Con sentenza depositata il 14.6.2006 la Corte d’Appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado, condannava il P. a cessare ogni turbativa relativa al possesso del passaggio del Pa., astenendosi dal parcheggio di autovetture o dal collocamento di paletti o altro sul terreno distinto in Catasto Terreni del Comune di (OMISSIS) con il mappale 968; respingeva la domanda di risarcimento danni dell’appellante in difetto di prova.

Osservava la Corte di merito che le condotte denunciate dall’appellante avevano determinato una restrizione della porzione di terreno in questione, sottraendola alla destinazione ad area di transito dei mezzi e determinando, comunque, una maggiore difficoltà di passaggio per i mezzi pesanti, stante la necessità di eseguire più manovre "per effetto della presenza di autovetture parcheggiate sull’area precedentemente destinata al transito". Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il P. formulando tre motivi.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Il ricorrente deduce:

1) omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo;

la Corte di merito aveva omesso di considerare le modalità di utilizzo del passaggio in questione nell’anno precedente la domanda di tutela possessoria, ai sensi dell’art. 1066 c.c.; il Pe. non aveva al riguardo specificato nè documentato la larghezza e la lunghezza degli autoveicoli che, in detto periodo, avrebbero avuto accesso al passaggio oggetto di causa così non adempiendo all’onere probatorio a suo carico;

2) la Corte di merito aveva illogicamente negato valore probatorio alla circostanza riguardante le ridotte dimensioni dell’accesso al fondo del Pe. dalla pubblica che, secondo la espletata C.T.U." è largo circa mt. 4,80-4,90, è delimitato da due pilastri e si immette perpendicolarmente in viale (OMISSIS) largo in questo punto mt. 5,90. Tale "strozzatura" del passaggio avrebbe dovuto comportare, come ritenuto dal primo giudice, la infondatezza della pretesa del Pe. di usufruire, per il transito di veicoli di elevata portata, di un sedime avente una larghezza maggiore di quella relativa a detto accesso (mt. 4,80-4,90), essendo già superiore ( mt. 5 circa) l’ampiezza dell’area di transito lasciata libera …);

3) difetto di motivazione sulla mancata attribuzione di valenza probatoria alle seguenti circostanze: a)difetto di prova sulla proprietà dell’auto che avrebbe ostacolato il passaggio del Pe.;

b) possibilità che, anche con l’autovettura parcheggiata, fosse possibile, come emerso dalla prova testimoniale e confermato dalla C.T.U., il transito dei mezzi diretti all’officina del Pe.;

c) la natura di passaggio "agricolo" da cui era gravato il terreno posseduto dal Pe. con la conseguenza che la servitù di passaggio non poteva comprendere il transito di automezzi pesanti in quanto non assimilabili ai mezzi agricoli;

d) il comportamento emulativo del Pe. avuto riguardo al passaggio dalla pubblica via.

Il ricorso è infondato.

Col primo motivo il ricorrente lamenta, sostanzialmente, che i testimoni nulla avevano riferito quanto all’esercizio della servitù nell’anno precedente, ex art. 1066 c.c., con riferimento al passaggio ed alle dimensioni degli autocarri; tale doglianza avrebbe, però, richiesto, ai fini del requisito dell’autosufficienza,che fosse riportato, in ricorso, il tenore delle deposizioni testimoniali;

peraltro, ai sensi della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.p., trattandosi di sentenza pubblicata il 14.6.2006 ed avendo il ricorrente denunciato vizi di motivazione della decisione, occorreva che la censura contenesse un momento di sintesi idonea a circoscriverne i limiti, così da non generare incertezza in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. n. 5795/2010; n. 8555/2010; 8757/09); nella specie, però, il tenore del motivo non risulta conforme a detti principi.

Priva di fondamento è la seconda censura, avendo la Corte di merito dato conto, sulla base di un apprezzamento di fatto, sorretto da congrua e logica motivazione, che il parcheggio di autovetture rendeva più difficoltoso il passaggio a mezzi larghi mt. 2-2,10 e lunghi m. 7,50 con conseguente difficoltà di passaggio per i mezzi pesanti, stante la necessità di eseguire più manovre. Tale valutazione sulla modifica peggiorativa dello stato di fatto nel tratto viario oggetto dell’azione di manutenzione, è in linea con la giurisprudenza S.C. che, in materia, ha evidenziato la necessità di un deterioramento giuridicamente apprezzabile del precedente esercizio del potere di fatto, per effetto della modifica dello stato dei luoghi interessati dalla servitù di passaggio (Cass. n. 1743/05;

n. 10819/01).

Del pari infondato è il terzo motivo, posto che le circostanze sub a) e d) integrano profili nuovi; che quanto dedotto sub c) è irrilevante sede possessoria e che la seconda circostanza è stata già dedotta col motivo sub 2). Alla stregua delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato. Nulla per le spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-05-2012, n. 8289 Conciliazione in sede sindacale

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza depositata il 17-9-2009 la Corte di appello di Firenze, in accoglimento dell’appello proposto da B.I. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra le parti, D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1 per il periodo 11-7-2002/30-9-2002, con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato e condannava la società al ripristino del rapporto e a pagare alla B. le retribuzioni maturate dal 7-7-2004, con rivalutazione e interessi, oltre le spese.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con cinque motivi, illustrati con memoria.

La B. ha resistito con controricorso.

Infine è stato depositata copia di verbale di conciliazione in sede sindacale concluso tra le parti in data 9-2-2011.

Il Collegio ha, quindi, autorizzato la motivazione semplificata.

Il ricorso va dichiarato inammissibile.

Dal verbale di conciliazione prodotto in copia risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.

Osserva il Collegio che il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278, Cass. 13-7-2009 n. 16341).

Infine, in considerazione dell’accordo complessivo intervenuto, le spese del presente giudizio di cassazione vanno compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese.

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Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 07-11-2011) 06-12-2011, n. 45387

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 23 novembre 2010 il Tribunale di Perugia ha condannato I.A., con le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi otto di reclusione per il reato previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter, disponendo la sospensione condizionale della pena.

Al prevenuto era stato contestato di essersi trattenuto, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato, dove era sorpreso in Perugia, in data 8 maggio 2010, in violazione dell’ordine di lasciare il territorio nazionale entro il termine di cinque giorni impartitogli dal Questore di Modena con provvedimento del 21 marzo 2010, notificatogli nella stessa data.

2. Avverso la predetta sentenza, ha interposto ricorso immediato a questa Corte di cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Perugia, deducendo con unico articolato motivo l’omessa applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, alla luce del contrasto tra normativa comunitaria, di cui alla direttiva 2008/115/CE, e la normativa interna in materia di immigrazione irregolare, e ha chiesto, pertanto, in via principale, l’annullamento della sentenza impugnata perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato e, in via subordinata, la sospensione del processo e il rinvio degli atti alla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione per la soluzione di quesito interpretativo del diritto dell’Unione, e, in via ulteriormente subordinata, la formulazione di questione di legittimità costituzionale dell’apparato sanzionatolo di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14 per violazione degli artt. 11 e 117 Cost..

Motivi della decisione

3. Il ricorso è fondato.

La fattispecie di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter, che punisce la condotta di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore, ancorchè posta in essere prima della scadenza dei termini per il recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, deve considerarsi non più applicabile nell’ordinamento interno, a seguito della pronuncia della Corte di giustizia U.E. 28/04/2011 (nell’ambito del processo El Dridi, C-61/11PPU), che ha affermato l’incompatibilità della norma incrlminatrice interna con la predetta normativa comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla abolitio criminis, con la conseguente necessità di dichiarare, nei giudizi di cognizione, che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e fare ricorso in sede di esecuzione -per via di interpretazione estensiva- alla previsione dell’art. 673 c.p.p. (c.f.r. Sez. 1, 28/04/2011, n. 22105 e 29/04/2011, n. 20130).

4. Il D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito con modificazioni in L. 2 agosto 2011, n. 129 – recante disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva suindicata sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva sul rimpatrio di cittadini di paesi terzi irregolari – ha novato la fattispecie (sostanzialmente confermando l’Intervenuta abolitio criminis). La nuova formulazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter, introdotta con l’intervento normativo suindicato, non realizza infatti una continuità normativa con la precedente disposizione, non soltanto per lo iato temporale intercorrente con l’effetto della direttiva, ma anche per la diversità strutturale dei presupposti e la differente tipologia della condotta necessaria ad integrare l’illecito delineato. Sul punto basta ricordare che, oggi, alla intimazione di allontanamento si può pervenire solo all’esito Infruttuoso dei meccanismi agevolatori della partenza volontaria ed allo spirare del periodo di trattenimento presso un centro a ciò deputato (Centro di identificazione ed espulsione, abbreviato in CIE). Il D.L. citato ha istituito dunque una nuova incriminazione, applicabile solo ai fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della novella.

L’intervenuta abolitio criminis impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non è previsto dalla, legge come reato.

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