Comunione (d. civ.) (Communion)

Ai sensi dell’art. 210 c.c., i coniugi possono, mediante convenzione, modificare il regime della comunione legale, dando luogo ad una (—).
In tal caso va innanzitutto osservato che, mentre la comunione legale è un effetto del matrimonio (ope legis), quella convenzionale è effetto di un negozio giuridico, con tutte le conseguenze civili e fiscali da ciò derivanti. Le convenzioni possono escludere alcuni beni dalla comunione legale o, invece, includervi beni che non sarebbero compresi nella (—) legale, purché non si tratti di beni di uso personale o beni che servono per la professione o beni ottenuti per risarcimento del danno o pensione (tutti questi beni sono esclusi da ogni tipo di comunione in considerazione della loro speciale natura).
Possono, dunque, formare oggetto di (—), per effetto di un contratto tra le parti, i beni acquisiti prima del matrimonio, quelli ricevuti in donazione o per successione e quelli acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali.
Con la convenzione i coniugi non possono derogare le norme per l’amministrazione della comunione, né evitare l’uguaglianza delle quote relativamente ai beni che sarebbero oggetto di comunione legale.
(—) de residuo
Sono i frutti dei beni personali o i proventi dell’attività separata di un coniuge, percepiti, ma non consumati al momento dello scioglimento della comunione. Tali frutti e proventi sono considerati bene comune da dividere in parti eguali, ma solo al momento dello scioglimento della comunione (art. 177, lett. b) e c), c.c.).
(—) ereditaria
Quando ad una stessa persona sono chiamati a succedere più individui (coeredi), sui beni che formano l’asse ereditario si realizza una (—) (artt. 674 ss. c.c.).
Alla (—) sono applicabili tutti i principi sanciti in tema di comunione ordinaria, concretando essa un’ipotesi di contitolarità di diritti su beni indivisi.
Le due figure presentano, però, elementi di distinzione:
— la (—), a differenza di quella ordinaria, è composta non da un solo diritto, ma da una pluralità di diritti e di doveri di diversa natura dal momento che l’asse ereditario è composto da elementi eterogenei (diritti reali, di credito, di autore etc.);
— i coeredi nella (—), a differenza di quanto avviene per i comunisti nella ordinaria, hanno diritto di prelazione sulla quota che altro coerede voglia alienare [Retratto successorio].
La prelazione consiste nel diritto del coerede di essere preferito nell’acquisto, qualora un altro coerede voglia alienare ad un estraneo a titolo oneroso la propria quota o parte di essa.
L’alienazione che abbia luogo in violazione del diritto di prelazione attribuisce agli altri coeredi il diritto di riscattare la quota alienata da chiunque l’abbia acquistata.
Il diritto di prelazione può operare solo se esistono i seguenti presupposti:
— alienazione onerosa di quota o parte di essa ad un estraneo (non, quindi, ad un coerede);
— negozio oneroso nel quale la posizione dell’acquirente sia perfettamente fungibile, nel senso che la prestazione può essere eseguita da ogni soggetto;
— esistenza della (—) tra gli originari coeredi.
Quanto all’esercizio del diritto di prelazione si ricordi che:
— il coerede che intende vendere la quota, notifica agli altri coeredi la proposta di alienazione (fatta per iscritto poiché si tratta, comunque, di vendita di eredità, art. 1543) ed il prezzo: entro due mesi ogni coerede può esercitare la prelazione sulla quota da alienare, corrispondendone il prezzo;
— se il coerede, invece, non effettua la notificazione della proposta, ogni altro coerede ha il diritto di riscattare (cd. retratto successorio) la quota dal terzo acquirente. In tal caso, si stabilisce un rapporto diretto fra il coerede ed un terzo.
La comunione ereditaria cessa con la divisione.
Con quest’atto si sostituisce, allo stato di comunione, una nuova posizione del coerede: questi infatti, ottiene la titolarità esclusiva su una parte determinata dei beni comuni, corrispondenti alla quota a lui spettante nello stato di comunione.
La divisione cui non partecipino tutti i coeredi è nulla.
Nel caso di scomparsa o assenza di un comunista intervengono nella divisione rispettivamente il curatore (art. 48) o gli immessi nel possesso (art. 50), debitamente autorizzati.
(—) forzosa
Situazione giuridica consistente nello stato di comunione, esistente tra più soggetti, avente ad oggetto un diritto reale [Diritti (soggettivi)] su uno stesso bene o un medesimo complesso di beni, venutosi a creare per volontà di legge. La (—) si caratterizza per il fatto che non è possibile, ai singoli partecipanti, chiedere lo scioglimento di essa. (artt. 897 ss. c.c.).
(—) legale tra coniugi
È il regime patrimoniale della famiglia che si instaura, tra i coniugi, in mancanza di diverse disposizioni convenzionali (artt. 159 ss. c.c.).
Essa si fonda sulla comune proprietà dei coniugi su determinati beni, quali:
— gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio;
— i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione legale;
— i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della (—), non sono stati consumati;
— le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio. Qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio, ma gestite da entrambi, la (—) concerne solo gli utili e gli incrementi;
— i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente, sempreché sussistano al momento dello scioglimento di questa.
Sono esclusi dalla (—) tra coniugi solo i beni elencati tassativamente dall’art. 179 c.c.
L’amministrazione del patrimonio in (—) spetta ad entrambi i coniugi, in applicazione del principio di uguaglianza. Occorre però distinguere tra ordinaria e straordinaria amministrazione. Infatti si osserva che:
— gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti da ciascuno dei coniugi disgiuntamente: si tratta di quegli atti di utilizzazione, conservazione o manutenzione che riguardano i bisogni ordinari della famiglia;
— la rappresentanza in giudizio per gli atti di cui sopra è riconosciuta disgiuntamente a ciascun coniuge: anche uno solo di essi può validamente compiere gli atti processuali;
— gli atti di straordinaria amministrazione (nonché la stipula dei contratti con i quali si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni) devono essere compiuti congiuntamente da entrambi i coniugi.
Gli atti compiuti senza il necessario consenso dell’altro coniuge non sono però sempre invalidi. Infatti:
— se l’atto riguarda beni immobili (o beni mobili registrati), esso è in tal caso annullabile, ma l’azione di annullamento va proposta entro un anno dalla data in cui il coniuge non consenziente ha avuto conoscenza dell’atto;
— se l’atto riguarda beni mobili, esso resta valido, ma il coniuge che lo ha compiuto senza il consenso dell’altro è obbligato, su istanza di quest’ultimo, a ricostituire lo stato di (—), in natura o per equivalente in danaro.
La (—) si scioglie per morte naturale o dichiarazione di assenza o morte presunta; per separazione personale o divorzio; per annullamento del matrimonio; per mutamento convenzionale del regime patrimoniale tra i coniugi
(—) ordinaria
Il concetto di (—) rientra nel più ampio concetto di contitolarità di diritti, che ricorre in tutte quelle ipotesi in cui uno stesso diritto appartiene, nella sua interezza, a due o più persone. Si ha, quindi (—) quando il diritto di proprietà, o altro diritto reale su uno stesso bene, appartiene a più persone (cd. comunisti), le quali sono tutte contitolari del diritto stesso (artt. 1100 ss. c.c.).
La (—) può essere:
— volontaria, quando nasce per accordo tra i partecipanti;
— legale o forzosa [Comunione (forzosa)], se il suo titolo è nella legge (es.: muro) costruito senza il rispetto delle distanze legali [Distanze];
— incidentale, quando sorge per circostanze fortuite (es.: comunione successoria, tra più eredi o tra più legatari).
I singoli comunisti hanno il diritto all’uso della cosa comune, al godimento della stessa, alla disposizione della quota e a chiedere la divisione della cosa comune (salvo patto contrario o divieto legislativo).
L’amministrazione della (—) è affidata all’insieme dei comunisti, applicandosi per le decisioni il principio maggioritario, e la maggioranza si calcola non in base al numero delle persone, ma in base al valore economico delle quote.
Si applica, invece, il principio dell’unanimità dei consensi per gli atti di alienazione e costituzione di diritti reali sul fondo comune.

Condizioni generali di contratto (d. civ.) (Conditions of Service)

Sono clausole predisposte unilateralmente dall’imprenditore al fine di regolare uniformemente il contenuto di tutti i rapporti di natura identica.
Le (—) vanno peraltro distinte dai contratti normativi, in cui il contenuto negoziale è invece preventivamente determinato bilateralmente, e dall’offerta al pubblico che presenta elementi strutturali chiaramente differenti soprattutto riguardo al momento del perfezionamento.
Le (—) sono valide nei confronti dell’altro contraente soltanto se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza (art. 1341 c.c.).
Per le clausole che impongono particolari oneri ad uno dei contraenti, cd. clausole vessatorie, l’art. 1341, co. 2 c.c. ha disposto la necessità, ai fini dell’efficacia della specifica approvazione per iscritto.

Contrattazione collettiva (d. lav.) (Collective Bargaining)

La (—) è finalizzata al raggiungimento di un accordo, cd. contratto collettivo, tra un datore di lavoro (o un gruppo di datori di lavoro) ed un’organizzazione (o più organizzazioni) di lavoratori, allo scopo di stabilire il trattamento minimo garantito e le condizioni di lavoro alle quali dovranno conformarsi i singoli contratti individuali stipulati sul territorio nazionale.
Il fondamento giuridico della (—) risiede, da un lato, nell’autonomia che l’ordinamento giuridico riconosce alle organizzazioni sindacali (art. 39 Cost.) e, dall’altro, nel rapporto tra il sindacato e i suoi membri: la (—) rappresenta, pertanto, la maggiore espressione dell’autonomia sindacale e costituisce il compito principale delle associazioni sindacali.
I soggetti della (—) sono quegli enti collettivi investiti (dai singoli aderenti o ex lege) del potere negoziale. Talvolta trattasi di rappresentanza occasionalmente conferita (le cd. delegazioni, frequenti soprattutto in relazione alla parte datoriale), ma di regola l’investitura è permanente, come nel caso dei sindacati o dell’Agenzia per la rappresentanza negoziale avente il compito di rappresentare in sede di (—) nazionale la P.A.
L’oggetto della (—) è costituito prevalentemente dai rapporti individuali di lavoro subordinato la cui disciplina viene definita nel contratto collettivo, oltre che dalla legge.
L’efficacia della (—) è, nella previsione dell’art. 39 Cost., riferita a tutti gli appartenenti alla categoria professionale considerata; tuttavia, la mancata attuazione del citato disposto costituzionale (mancata registrazione degli attuali sindacati) fa sì che la (—) vincoli esclusivamente i firmatari del contratto collettivo e di riflesso i datori e i lavoratori che aderiscono alle organizzazioni datoriali e sindacali stipulanti.
Di fatto, comunque, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, parte delle previsioni contrattuali (es.: quelle relative ai trattamenti retributivi minimi) sono immediatamente applicabili anche ai lavoratori non iscritti ai sindacati stipulanti e per i quali il contratto individuale abbia previsto un trattamento di minor favore.
(—) nel pubblico impiego (d. amm.)
Con il D.Lgs. 29/1993 la (—) viene recepita quale fonte di regolamentazione per tutte le materie relative al rapporto di lavoro dei dipendenti delle P.A. [Impiego (pubblico)] e alle relazioni sindacali.
Attualmente l’art. 40 D.Lgs. 165/2001, che ha coordinato in un unico testo normativo le disposizioni del D.Lgs. 29/1993 e le successive modificazioni e integrazioni, stabilisce che la (—) si svolge su tutte le materie attinenti il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali. A differenza del sistema precedente, il contratto collettivo, una volta concluso, è fonte autonoma e diretta di disciplina del rapporto di lavoro, così come accade nel settore privato.
I livelli della (—) corrispondono ai seguenti:
— contratti collettivi nazionali di comparto;
— contratti integrativi (che sostituiscono i precedenti contratti collettivi decentrati).
La (—) nazionale si fonda in via principale sui contratti collettivi di comparto. I comparti sono costituiti da settori omogenei o affini della P.A. e sono determinati mediante appositi accordi tra l’Agenzia per la rappresentanza negoziale [A.R.A.N.] della P.A. e le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative.
I contratti collettivi di comparto sono stipulati dall’Agenzia suddetta, per la parte pubblica, e dalle organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto interessato una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tal fine la media tra il dato associativo e il dato elettorale.
La (—) disciplina, alla stregua del settore privato, la durata e dei contratti nazionali e di quelli integrativi, la struttura contrattuale ed i rapporti tra i diversi livelli.
Possono, poi, essere stipulati contratti collettivi integrativi nel rispetto delle materie e dei limiti prefissati dai contratti nazionali di comparto, che, quindi, si pongono come fonte normativa di grado superiore. Sicché alla (—) in sede nazionale vengono riservate la scelta delle materie negoziabili in sede integrativa, nonché la definizione delle procedure negoziali e dei soggetti tra i quali si svolgerà la (—) integrativa, la quale, peraltro, potrà avere ambito territoriale e riguardare anche più amministrazioni. I contratti integrativi non possono contenere clausole in contrasto con vincoli risultanti dai contratti nazionali. La sanzione per l’eventuale difformità è costituita dalla nullità delle clausole in questione. Inoltre i contratti integrativi devono rispettare i limiti di bilancio posti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione.