È un provvedimento amministrativo di secondo grado, congruamente motivato, con cui la P.A. ritira, con efficacia non retroattiva (ex nunc), un atto inficiato da vizi di merito (inopportuno, non conveniente, inadeguato), in base ad una nuova valutazione degli interessi pubblici.
L’istituto della (—) trova il suo fondamento nell’esigenza che l’azione amministrativa si adegui all’interesse pubblico, allorché questo muti.
Ne sono quindi presupposti:
— la mancanza attuale di rispondenza dell’atto alle esigenze pubbliche (dedotta discrezionalmente dalla P.A.);
— l’esistenza di un interesse pubblico, concreto e attuale, all’eliminazione dell’atto inopportuno.
L’art. 21quinquies L. 241/1990 prevede che il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato o da altro organo previsto dalla legge nel caso di sopravvenuti motivi di pubblico interesse, di mutamento della situazione di fatto ovvero a seguito di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
La (—) determina l’inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti e l’obbligo di provvedere all’indennizzo degli eventuali pregiudizi verificatisi in danno dei soggetti direttamente interessati.
La disposizione attribuisce infine alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie in materia di determinazione e corresponsione del suddetto indennizzo.
(—) del negozio giuridico (d. civ.)
È l’atto mediante il quale si pone nel nulla, privandolo di qualsiasi effetto giuridico, un negozio unilaterale o un contratto stipulato nel prevalente interesse del revocante.
Essa è ammissibile per i negozi che ancora non hanno prodotto effetti; secondo qualche autore, la (—) potrebbe riguardare anche negozi che hanno prodotto effetti (facendoli venir meno retroattivamente) e sarebbe un atto analogo al mutuo dissenso, salva la sua unilateralità.
Il termine è spesso utilizzato dal legislatore quale sinonimo di recesso (artt. 1722, 1734, 1738 c.c.), ma la differenza tra le due figure è fondamentale, in quanto il recesso opera solo sugli effetti negoziali che ancora devono prodursi nei contratti di durata [Contratto], mai sul negozio e sugli effetti già prodotti.
Categoria: Glossario
Riesame (d. proc. pen.) (Review)
Mezzo di impugnazione avverso le ordinanze applicative di misure coercitive, per motivi anche di merito.
L’istanza di (—) è proposta al tribunale (in composizione collegiale) del luogo nel quale ha sede la Corte d’appello nella cui circoscrizione è compreso l’ufficio del giudice che ha emesso l’ordinanza (art. 309, co. 7, c.p.c.).
L’istanza non necessita di motivi di sostegno, a differenza dell’appello.
Se non è ammesso il riesame è esperibile l’appello, che è quindi un mezzo residuale.
Il (—) è proponibile avverso le ordinanze cautelari applicative di misure coercitive, anche se non custodiali, per cui avverso le misure interdittive è esperibile sempre e soltanto il mezzo residuale dell’appello.
Trattasi delle misure che fin dall’inizio comprimono la sfera soggettiva: sono tali quelle che, per la prima volta, applicano, in accoglimento integrale della richiesta del p.m., la misura da lui sollecitata e anche quelle che, in parziale difformità dalla stessa, dispongono una misura di tipo diverso (ad es., arresti domiciliari in luogo della custodia carceraria) o modalità meno gravose. Non sono soggette quindi a (—) ma ad appello le ordinanze che modificano, sostituiscono, estinguono o ripristinano misure in precedenza applicate.
Il (—) può essere chiesto dalla difesa (imputato e difensore) e non dal p.m.
La richiesta di (—) deve essere presentata dall’imputato nella cancelleria del tribunale competente entro 10 giorni dall’esecuzione o notifica dell’ordinanza; ovvero dal difensore, entro lo stesso termine, decorrente dall’avviso di deposito dell’ordinanza.
Ricevuta la richiesta, il tribunale chiede all’autorità giudiziaria procedente l’invio degli atti sui quali è fondata la misura. Gli atti devono essere trasmessi e pervenire al tribunale entro 5 giorni dalla richiesta di (—), pena l’inefficacia della stessa.
Il tribunale può accogliere l’istanza di (—), anche per motivi diversi da quelli formulati, o può confermare l’ordinanza per ragioni diverse da quelle esplicitate nella sua motivazione.
Il tribunale dichiara inammissibile la richiesta di (—) in caso di tardività, difetto di legittimazione attiva etc., ovvero decide nel merito (conferma, riforma o annulla l’ordinanza impugnata).
La decisione sul riesame è sempre immediatamente esecutiva.
La decisione deve essere depositata in cancelleria entro 10 giorni dalla ricezione degli atti, altrimenti la misura cautelare perde efficacia (art. 310, co. 10, c.p.p.).
La misura perde efficacia anche se l’autorità giudiziaria procedente non fa pervenire, entro 5 giorni dalla richiesta, gli atti su cui si fonda la misura del tribunale del (—).
La misura cautelare può comunque essere reiterata, evitando così la materiale scarcerazione dell’indagato.
Riservatezza (tutela della) (d. civ.) (Confidentiality (protection))
Il nostro ordinamento giuridico riconosce e tutela il diritto alla (—), ovvero il diritto che ogni cittadino ha di escludere dall’altrui conoscenza quanto attiene alla propria vita privata.
Invero non è rinvenibile una specifica norma costituzionale a tutela di tale diritto e tuttavia, secondo autorevole dottrina, l’art. 2 Cost., proteggendo la persona nei suoi molteplici aspetti, si pone come fondamento e supporto di tutti i diritti cd. della personalità e quindi anche del diritto alla (—). Peraltro il diritto alla (—) appare presidiato, se pur indirettamente, da un complesso di norme costituzionali che tutelano, le singole manifestazioni in cui esso si estrinseca: l’inviolabilità del domicilio, la libertà e segretezza di ogni forma di comunicazione, la pari dignità sociale dei cittadini etc.
La (—) ha trovato un’importante affermazione anche a livello collettivo, attraverso alcune norme dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970) come, ad esempio, quella che vieta l’uso di impianti audiovisivi per il controllo a distanza dei lavoratori durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Il diritto alla (—) rileva, poi, quale limite ad altri diritti, pure sanciti costituzionalmente, il cui esercizio può determinare un’aggressione dell’altrui privacy: ne deriva un potenziale conflitto tra diritti di pari rango e la conseguenziale esigenza di discriminare in quali fattispecie sia lecito il sacrificio di un diritto per l’affermazione di un altro. È il caso, ad esempio, del diritto alla manifestazione di pensiero e del diritto di cronaca che dovrebbero trovare un limite nel contemperamento con il diritto alla (—) dei cittadini, per cui la divulgazione di fatti privati deve essere giustificata dall’esigenza di fornire notizie che il pubblico ha diritto di conoscere, piuttosto che di soddisfare curiosità superficiali.
Con riferimento al trattamento dei dati personali [Banca dati; Dato personale], la tutela del diritto alla (—) ha trovato riconoscimento in primo luogo con l’emanazione della L. 675/1996, successivamente abrogata dal D.Lgs. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali).
Quest’ultimo provvedimento, nel disciplinare la materia del trattamento dei dati personali, assicura una tutela molto ampia della (—).
Sono infatti previste particolari tutele per i dati sensibili, ossia quei dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni politiche, religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni, ed i dati personali idonei a poter rivelare lo stato di salute e la vita sessuale; il sistema di garanzie previsto per il trattamento di tali tipologie di dati si giustifica con l’esigenza di salvaguardare la particolare categoria di diritti ad essi sottesi.
Ricavo totale
Ricavo che corrisponde al prezzo unitario del prodotto moltiplicato per la quantità venduta.