Comìtia tribùta [Comizi tributi]

Particolare assemblea comiziale affermatasi in epoca repubblicana e, quindi, successivamente agli altri organi comiziali [vedi comitia centuriàta, comitia curiàta], rispetto ai quali si caratterizzò per la sua particolare “agilità operativa”.
I (—) erano assemblee del popolo intero, diviso in tribù (4 urbane, comprensive di coloro che non avevano proprietà terriera, e 31 rustiche, ciascuna esprimente un voto), convocati dal console o dal pretore per l’approvazione dei provvedimenti legislativi e per la nomina dei magistrati minori.
Il criterio seguito per l’assegnazione dei cittadini alle varie unità votanti, ossia alle tribù [vedi tribus], era tale da attenuare i privilegi attribuiti alle classi più ricche nei comizi curiati e centuriati e da riconoscere una posizione di particolare forza al ceto medio dei possessori di terre. A seguito della convocazione, regolata da norme procedurali identiche a quelle vigenti per i comitia centuriata [vedi], le tribù votavano contemporaneamente sul provvedimento di volta in volta in esame.
Mentre inizialmente le leggi potevano essere indifferentemente rogate dai magistrati dinanzi ai (—) ed ai comitia centuriata, in età classica la competenza legislativa dei (—) divenne sostanzialmente esclusiva, mentre a quelli centuriati restarono riservate solo le leggi in materia bellica e censoria.
Dopo la lex Hortènsia de plebiscitis [vedi], emanata nel 287 a.C., a seguito di una secessione della plebe sul Gianicolo, i (—) si fusero con i concilia plebis [vedi].

Condemnàtio

Uno degli elementi fondamentali della formula [vedi] nel processo per formulas [vedi], in mancanza del quale in iudicium non aveva rilevanza giuridica. La (—) poteva mancare solo nelle actiones præiudiciales [vedi àctio praeiudicialis].
La (—) aveva, in particolare, lo scopo di invitare il iudex a condannare (o ad assolvere) ponendo in evidenza: in primo luogo, il destinatario del provvedimento; in secondo luogo, la precisa richiesta dell’attore. Quest’ultima era sempre riferita ad una somma di denaro, cioè ad una “condemnatio pecuniaria”.
Si distinguevano in particolare:
— una (—) certa — relativa ad una somma di danaro predeterminata nella stessa formula — che si aveva solo in presenza di una intentio [vedi] certa relativa a somme di danaro;
— una (—) incerta — relativa ad una somma di danaro da determinarsi dal giudice — che seguiva, invece, ad una intentio (certa o incerta) che non fosse relativa ad una summa pecuniaria. In quest’ultimo caso, i criteri cui il giudice doveva attenersi nella determinazione dell’importo erano principalmente quattro:
— il quanti ea res est [vedi];
— il quanti actòris ìnterest [vedi];
— il quìdquid dare fàcere opòrtet [vedi];
— il quantum æquum (et bonum) vidèbitur [vedi].
Con il trionfo della cognìtio extra òrdinem [vedi] la (—) non consisté più necessariamente nella condanna al pagamento di una somma di danaro, ma venne pronunciata in ipsam rem (poteva, cioè, anche imporre un comportamento specifico).

Condemnàtio incerta

I criteri cui il giudice doveva attenersi nei casi di condemnatio incerta per la determinazione dell’importo erano principalmente quattro:
— quanti ea res est (erit, fuit), tantam pecuniam condemnàto: il giudice doveva valutare l’importo della condanna in base al valore di stima della res litigiosa;
— quanti A.A. ìnterest (intèrerit, intèrfuit) tantam pecuniam condemnato: l’importo della condanna doveva essere rapportato all’interesse della parte alla prestazione;
— quidquid dare fàcere opòrtet, eius condemnàto: il giudice doveva in primo luogo identificare la prestazione dovuta e successivamente valutare l’interesse dell’attore alla stessa, rapportando ad esso la summa condemnatiònis;
— quantum iùdici æquum (et bonum) vidèbitur, tantæ pecuniæ condemnàto: la summa condemnationis era determinata dal giudice secondo equità.

Constitùtio Antoniniàna de civitàte

Importante costituzione [vedi constitutiònes prìncipum], emanata dall’imperatore Antonino Caracalla [vedi] nel 212 d.C.
La (—) estese, a tutti i popoli che risiedevano nell’Impero romano e che erano organizzati in comunità cittadine, la cittadinanza romana [vedi cìvitas; status]. Per effetto della (—), tutti i sudditi dell’Impero romano divennero cives, acquistando la titolarità di diritti e doveri inerenti allo status civitàtis. Ne rimasero esclusi, probabilmente, gli schiavi manomessi di condotta turpe che la lex Ælia Sentia del 4 d.C. equiparava ai peregrini dediticii (dediticii Æliani); gli schiavi manomessi ai quali la lex Iunia del 19 d.C. riconosceva la latinità (Latini Iuniani) e i barbari dediticii, abitanti al di là dell’impero, assoggettati a Roma successivamente alla costituzione di Caracalla.