Parere offerto dal dott. Domenico CIRASOLE
La questione giuridica in esame vede interessato il sig. Tizio, che nel corso di un raid punitivo, avrebbe tentato di uccidere Mevio colpevole di non aver saldato un debito contratto con Caio.
Sempronio genero della vittima rilascia delle dichiarazioni senza che abbia materialmente assistito al raid, avendo solo riferito cose apprese da altri desumendo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, precisando e distinguendo ciò che ha riferito avendolo percepito direttamente, da ciò che ha dichiarato per averlo appreso dalla moglie e dalla suocera, quindi ricostruendo le modalità dell’attentato sulla base di elementi logici di natura indiziaria, con forti connotazioni di precisione e concordanza, offrendo una credibile spiegazione circa le ragioni del raid, determinate da un debito della vittima nei confronti di Caio.
L’attentato è stato posto in essere con l’uso di armi da sparo, mirando verso il balcone in cui si trovava il Tizio, sicchè è corretto ritenere l’ipotesi del tentato omicidio sulla base dell’idoneità degli atti e dei mezzi a provocare la morte della vittima.
Inoltre vi è dolo nel tentativo di omicidio, in quanto la volontà dell’agente a cagionare la morte della vittima, può essere desunti dalle regole di esperienza e che possono essere rappresentati dalla micidialità del mezzo adoperato, dalla reiterazione dell’azione, dalla mancanza di motivazioni alternative dell’azione, desumendo il tutto dall’utilizzo delle armi e dei numerosi colpi esplosi, tutti indirizzati verso il suo balcone.
Infine, vi è l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 non solo per le modalità dell’azione, ma per l’appartenenza degli autori del fatto a clan camorristici. (Cass. pen. 13-07-2010, n. 27092)