Parere legale. Nullità del contratto quale conseguenza dell’erronea predisposizione dello schema negoziale, in merito a lettera di patronage con condizione futura senza previsione dell’importo massimo garantito.

a cura del dott. Domenico CIRASOLE
La questione giuridica in esame vede interessata la società STELLA, con sede in ROMA, in , merito alla prestazione di una garanzia.
Detto contratto era stato concluso dal direttore e legale rappresentante della società STELLA, che aveva garantito la società CELLULA, in relazione a fatture scadute e non pagate dalla società ARABIA.
La società CELLULA (fornitrice) aveva chiesto il pagamento dei relativi importi, con due diffide comunicate alla debitrice ARABIA ed alla società STELLA quale garante.
La società STELLA provvedeva a comunicare la nullità del contratto di fideiussione omnibus alla luce del testo novellato dell’art. 1938 c.c., e deduceva che in ogni caso le parti ne avevano concordato la risoluzione (come da documentazione allegata).
Ciò detto è da premettere che la proposta diretta a concludere, un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile (ex art. 1333 c.c.), e tale atto produce effetto dal momento in cui la parte ne è a conoscenza (art. 1334 c.c.), e la si reputa conosciuta dal momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario (art. 1335 c.c.).
Dunque il contratto concluso dal direttore e legale rappresentante della società STELLA, che aveva garantito la società CELLULA, in relazione a fatture scadute e non pagate dalla società ARABIA, è da ritenersi presumibilmente valido dal momento in cui la società a sottoscritto il contratto.
Ovviamente la società STELLA, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, aveva l’obbligo di comportarsi secondo buona fede (art.1337 c.c.), e qualora avesse avuto conoscenza delle cause di invalidità del contratto, avrebbe dovuto dare notizia alla la società CELLULA (art. 1338 c.c.).
In caso contrario è tenuta a risarcire il danno risentito dalla stessa società CELLULA, per aver confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto.
Infatti, la stessa società CELLULA, aveva confidato nel contratto stipulato con la società STELLA, in relazione alla garanzia assunta per le fatture scadute e non pagate dalla società ARABIA.
La garanzia non è stata prestata, a causa della nullità del contratto di fideiussione (art. 1938 c.c), comunicata dalla stessa società STELLA.
Detto contratto di fideiussione, dalla società STELLA, predisposto con schema negoziale, e in seguito inviato e recepito dalla società CELLULA, doveva essere interpretato sin dal sorgere, quale fideiussione atipica, che avrebbe dovuto condurre alla qualificazione del contratto stipulato come una fideiussio indemmitatis (art. 1362 c.c.).
E comunque, in relazione alle obbiettive incertezze in merito alla natura giuridica ed alla qualificazione del rapporto di patronage, doveva prevalere il principio della sua conservazione e non quella della invalidazione per nullità (art. 1367 c.c.).
Tutto ciò premesso, la società STELLA aveva una vasta esperienza, in ordine alle garanzie atipiche con lettera di patronage, disciplinato secondo le regole del diritto vigente italian.
Infatti, era certamente a conoscenza del principio generale di garanzia in merito alla previsione del limite dell’importo massimo di legge.
La parte proponente (società STELLA) ha correttamente qualificato il rapporto negoziale sotto la figura tipica di una fideiussione – di guisa che la regola dell’art. 1938 è stata applicata come regola iuris – ma doveva dar conto che a tale norma, pur essendo inserita nella disciplina tipica dell’istituto della fideiussione, si applicava il principio generale (suscettibile di valenza generale anche per le garanzie personali atipiche e tra queste quelle di patronage) che presuppone un obbligazione o clausola condizionale futura, e deve obbligatoriamente, prevedere l’importo massimo garantito, pena la nullità del contratto per contrarietà a precetto imperativo (Cassazione civile Sez. III, 26-01-2010, n. 1520).
In altri termini la società STELLA, con esperienza comprovata nell’ambito delle fideiussioni, anche atipiche, avrebbe dovuto, considerata la natura dell’obbligazione (condizionale futura), prevedere l’importo massimo garantito(Cass. 13 aprile 2000 n. 4801 e 9 marzo 2005 n. 5166).
Sulla base di tali puntualizzazioni, le conseguenze della nullità del contratto, a causa del vizio denunciato ( mancanza dell’importo massimo garantito nella predisposizione dello schema negoziale, da parte della società STELLA) sulla base di quanto afferma l’art. 1370 c.c., 1375 c.c., e il 1338 c.c., e a parere di chi scrive, sono a carico della società STELLA, che è tenuta a risarcire il danno, risentito dalla società CELLULA, per aver confidato senza sua colpa, nella validità del contratto di garanzia, tra le parti stipulato.
La società CELLULA, non dovrebbe sopportare le conseguenze della nullità di un contratto di garanzia, nel quale aveva confidato.
Difatti la nullità del contratto è stata conseguenza dell’erronea predisposizione dello schema negoziale proposto dalla società STELLA alla società CELLULA.
Concludendo la società STELLA deve farsi carico delle rispettive conseguenze.

Ricorso precari Sanità Regione Puglia: Le ASL costrette ad assumere infermieri e terapisti dai Tribunali

di DOMENICO CIRASOLE

Nelle giornata del, 24/03/2011 e del 21/04/2011, presso il Tribunale di Bari — Sezione Lavoro si sono conclusi primi ricorsi giurisdizionali contro la ASL BARI promossi da infermieri e terapisti.
Il ricorso riguarda 31 infermieri e terapisti, appartenenti al gruppo dei "precari storici".
Le parti hanno accettato e firmato un verbale di Conciliazione.
Questo al fine di non sentirsi dichiarare l’illegittimità del comportamento della Regione Puglia e della ASL BARI, nel continuare ad assumere per più anni lo stesso personale a Tempo Determinato, in assenza di concorsi.
Inoltre per non essere sanzionati alla corresponsione ai singoli ricorrenti di un risarcimento danni.
Detta conciliazione ( R.G. n. 2345/2011 e 5443/2011) tra le parti ha previsto la stabilizzazione finalizzata all’assunzione a tempo indeterminato nelle mansioni d’ infermiere ovvero di operatore professionale sanitario terapisti della riabilitazione, sulla base del sussiste interesse pubblico alla definizione del contenzioso nell’ambito di una valutazione bilanciata degli interessi coinvolti.
I ricorrenti, in considerazione dell’imminente scadenza del rapporto di lavoro a tempo determinato in essere con la ASL, infatti hanno sostenuto di aver svolto attività, pressocchè continuativa, in forza di contratti di lavoro a tempo determinato in qualità di infermieri e terapisti della riabilitazione nell’ambito del servizio A.D.I. sorti a seguito di procedure selettive di tipo concorsuale ( avviso pubblico).
Pertanto hanno chiesto al giudice adito l’immediata stabilizzazione nella posizione lavorativa, che da anni ricoprono.
La ASL BARI ha accettato la proposta così come formulata dai ricorrenti sussistendo in capo a ciascuno di essi il possesso di tutti i requisiti di legge previsti per essere stabilizzati e DELIBERANDO di prorogare il rapporto di lavoro a tempo determinato attualmente in essere con i ricorrenti fino alla definitiva stabilizzazione.
Consideriamo che questa conciliazione riguarda solo i primi ricorrenti a fronte di molti precari, che si sono rivolti alle autorità giudiziarie, e che continueranno a farlo patrocinati da sindacati come FIALS e CGIL da sempre attenti al mondo dei lavoratori precari.
Le cifre in gioco sono enormi e ciò dovrebbe indurre la Regione PUGLIA e le ASL DI BARI, FOGGIA, TARANTO. BRINDISI, LECCE a prendere atto che le normative comunitarie impongono una politica del personale che ponga termine allo SFRUTTAMENTO DEL PROFESSIONISTA PRECARIO, e di tutte quelle discriminazioni contrattuali che, finora, rendevano conveniente allo Stato assumere precari piuttosto che procedere alla loro stabilizzazione, ricordando che in puglia sono quasi 3000 gli infermieri, terapisti, tecnici, precari.
Da queste considerazioni il legislatore nazionale con la L. n. 296/06 (finanziaria 2007) e con la L. n. 244/07 (finanziaria 2008), ha deciso di:
A. scoraggiare le PP.AA. allo sfruttamento del lavoro flessibile, e riaffermare il rapporto a tempo indeterminato (art. 36 del D Lgs n. 165/01, secondo cui "le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato");
B. prevedere limiti temporali al precariato (articolo 7 del DLgs. n. 165/01);
C. escludere l’utilizzo di lavoratori precari per esigenze ordinarie connesse al funzionamento delle proprie strutture amministrative;
D. favorire procedure di stabilizzazione del personale da anni in servizio presso le diverse PP.AA. con contratti a tempo determinato.
L’esigenza di stabilizzare è determinata appunto da un lato dall’ impossibilità di rinnovare il ricorso al precariato e fare fronte ad esigenze organizzative ordinarie (ovvero sostituzioni di posti vacanti per pensionamenti) e dall’altro dall’impossibilità ( imposto da blocchi del turn-over, ovvero da "blocchi delle assunzioni") di procedere ad assunzioni attraverso concorsi del personale.
Ricordiamo che la finanziaria 2007 ha previsto la stabilizzazione a domanda del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato.
La finanziaria 2008, comma 94 dell’articolo 3, ha previsto inoltre la possibilità per le pubbliche amministrazioni di prevedere, la progressiva stabilizzazione del seguente personale non dirigenziale, tenuto conto dei differenti tempi di maturazione dei relativi requisiti, prevedendo la possibilità di riservare, nei bandi per le assunzioni a tempo indeterminato, una quota fino al 20% al personale con tre anni di lavoro subordinato presso PP.AA., nonché il riconoscimento, in termini di punteggio, del servizio prestato presso le pubbliche amministrazioni per almeno tre anni, anche non continuativi.
Inoltre ricordiamo l’inutilizzabilità nelle PP.AA. dei contratti c.d. "a progetto", introdotti nel settore privato dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 276/2003 (c.d. legge Biagi).
Nella Regione Puglia, in particolare, i contratti a progetto sono assai diffusi, così come i contratti a tempo determinato, e la concessione di proroghe, conseguenza del blocco delle assunzioni, in particolare nel settore della "sanità pubblica".

Recentemente, il Tribunale del lavoro di Brindisi, (ordinanza 9-10.5.2011) accogliendo il ricorso proposto in via cautelare e urgente da un professionista, ha stabilito alcuni principi davvero importanti per i contratti co.co.co. della pubblica amministrazione.
Innanzitutto la durata del contratto stabilita nel co.co.co., finalizzata a progetto, deve prevedere proroghe per consentire all’interessato di effettuare la propria prestazione, e che non ostano alla prosecuzione del rapporto le disposizioni normative che limitano a 36 mesi il rinnovo dei rapporti di lavoro previsti dall’art. 4 D. Lgs. 368/2001 per i rapporti a tempo determinato di tipo subordinato, non estensibili ai co.co.co., ovvero senza i limiti temporali, ferma restando la necessità che il rapporto conosca limiti temporali determinati, secondo quanto previsto dall’art. 7 D.Lgs. 165/2001.

In un caso simile l’ASL BRINDISI Premesso che in data 13.5.2011 scadeva il tetto dei 36 mesi di servizio, a tempo determinato assunto a seguito di avviso pubblico, in qualità di collaboratore professionale sanitario tecnico della prevenzione nell’ambiente al fine di garantire la continuità delle attività già avviate inerenti il Piano regionale della prevenzione, considerate le imminenti scadenze contrattuali decide di procedere alla proroga dei contratti di lavoro in essere.
Questo a causa della specificità della qualifica acquisita dopo 18 mesi di servizio dagli stessi tecnici; e il manifesto pubblico interesse legato alla delicata problematica.
Nelle more dell’espletamento di concorsi pubblici presso la Direzione Provinciale del lavoro di Brindisi è stato stipulato, tra questa Azienda ed il lavoratore, un ulteriore contratto di lavoro a temine del quale lo stesso lavoratore viene assunto con le medesime mansioni del rapporto precedente a decorrere dal 14.5.2011 e per il tempo necessario all’espletamento del concorso.
In tal modo si è D E L I B E R ATA ulteriore proroga al contratto di lavoro a termine stipulato il giorno 28.4.2011, ai sensi dell’ art. 5, comma 4-bis, del D.Lgs. 6.9.2001, n.368 per il tempo necessario all’espletamento del concorso pubblico.
Queste sentenze seguono la scia di altre sentenze nel mondo della scuola e delle Poste che alternativamente hanno obbligato al reintegro nel posto del lavoro ovvero al risarcimento 500 mila euro per soli 15 lavoratori in contratto a termine (Tribunale di Genova)
 
Fonti
www.personaedanno.it/CMS/Data/articoli/files/021190_resource1_orig.doc
 
www.personaedanno.it/CMS/Data/articoli/021190.aspx
 
www.gildavenezia.it/com/Archivio/2011/febbr01/precari_ultime-sentenze.htm

http://89.97.184.41/elenchi/Pubblicazioni/Delibera/Delibera_1344_2011.pdf
 
http://88.45.184.78:8080/gestdoc/private/common/Allegati/1307454232666_1081.PDF

http://www.gadit.it/aggiornamento.asp?id=8477&idAgg=2

https://docs.google.com/viewer?a=v&pid=explorer&chrome=true&srcid=0B65SrZzykfRmZTJmODU4NGEtMDA3Yy00NjAyLTk0MzktMTA5Y2JmODMwMGQ4&hl=it

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Urto di navi (Impact of Aircraft)

a cura del dott. Domenico CIRASOLE

Il progressivo intensificarsi del traffico aereo e l’aumento della velocità degli aeromobili, provocando un incremento delle collisioni sia in aria che sul suolo, hanno ingenerato una sempre più pressante esigenza di regolamentazione dell’attività aviatoria e di prevenzione delle collisioni. A tal fine già la Convenzione di Chicago del 7 dicembre 1944 sull’aviazione civile internazionale, obbligava gli Stati a prestare, con lo scopo di controllare il traffico aereo, assistenza al volo da terra. Questa attività, nonché il ricorso sempre più frequente a sistemi automatici di prevenzione delle collisioni installati sugli aeromobili, sono gli strumenti, integrati e complementari, utilizzati per rendere la circolazione aerea scorrevole e sicura e per ridurre quindi le possibilità che si verifichino urti aeronautici.
Nel tentativo di meglio comprendere l’espressione “urto aeronautico”, occorre fornire una spiegazione quanto più possibile dettagliata e precisa che valga a circoscrivere ciò che è oggetto di discussione.
La nozione di urto aeronautico corrisponde a quella elaborata per l’urto di navi, salvo richiedere, per la sua integrazione, l’ulteriore elemento del movimento di tutti i mezzi coinvolti: l’urto, come precisa il primo comma dell’art. 974 del Codice della Navigazione, non deve necessariamente consistere in una collisione materiale, potendo derivare dallo spostamento di aria o altra causa analoga (cosiddetto urto equiparato).
A l’urto aeronautico si applica, in quanto compatibile, la disciplina dell’urto fra navi, contenuta negli articoli da 482 a 487 C. Nav..
In maniera diversa la normativa che si applica nel caso di urto aeronautico, come recata dallo stesso Codice della Navigazione, non trova applicazione agli aeromobili militari. L’esclusione, espressamente prevista dall’art. 748 C. Nav., introduce una difformità di disciplina, in forza della quale ai danni che vedano coinvolti aerei militari in tempo di pace devono applicarsi le norme del Codice Civile in materia di responsabilità civile.
Poiché però le collisioni che si verificano nello spazio aereo, come anche negli aeroporti e in mare (nell’ipotesi di urto misto, ovvero tra aeromobile e nave), sovente interessano velivoli e natanti di diversa nazionalità, occorre menzionare quella parte di disciplina normativa che attinge al diritto internazionale privato, di prevalente origine consuetudinaria, nonché i tentativi di regolamentazione pattizia.
Mentre infatti quest’ultima è stata caratterizzata dai continui insuccessi dei progetti di convenzione internazionale che si sono susseguiti e che hanno fatto emergere l’impossibilità di disciplinare congiuntamente l’urto e i danni a terzi in superficie, ben più prolifero è risultato il bacino normativo del diritto internazionale privato. In base a questo: se l’urto avviene nel territorio o nello spazio aereo di un determinato Stato dovrà ritenersi applicabile la legge di quest’ultimo; se viceversa l’urto è avvenuto in alto mare, od in altro luogo o spazio non soggetto alla sovranità di alcuno Stato, la legge applicabile dovrà essere individuata, come dettato dall’art. 12 C. Nav., nella legge nazionale di appartenenza degli aeromobili, se comune o, altrimenti nella legge italiana.
Presupposto per l’applicazione della disciplina su indicata in materia di urto aeronautico è che tutti i velivoli coinvolti siano in movimento.
Il riferimento al movimento dei mezzi interessati, infatti, costituisce il criterio che discrimina la responsabilità per danno da urto e quella per danno a terzi in superficie.
A questo proposito il 2° comma dell’art. 974 C. Nav. afferma che: “l’aeromobile si considera in volo dall’inizio delle manovre per l’involo al termine di quelle d’approdo”, e da una interpretazione sistematica delle norme in materia, conforme peraltro al concetto elaborato nei citati progetti di convenzione sull’urto, si desume, e ciò a scopo chiarificativo, che deve considerarsi in volo l’aeromobile che si muova utilizzando la propria forza motrice, e dunque anche quello impegnato in una manovra di involo od atterraggio.
Al di fuori di tale ipotesi, la collisione che coinvolga un aeromobile in volo con una nave che non sia in movimento, ovvero con un bene che non sia un mezzo della navigazione, dà luogo all’applicazione della disciplina della responsabilità per danni a terzi in superficie. Ancora diversamente, la collisione tra una nave in movimento ed un aeromobile fermo comporta l’applicazione delle regole di diritto comune.
Tracciata una preliminare distinzione tra “danni da urto” e “danni a terzi in superficie cagionati da urto”, occorre individuare il soggetto responsabile nelle due distinte ipotesi e determinare il contenuto della sua responsabilità.
Così, del danno da urto è responsabile il soggetto esercente del velivolo, ovvero, in caso di urto misto, gli armatori delle navi, e ciò in forza del rapporto di preposizione che esercitano rispetto a comandanti ed equipaggi.
Questa prescrizione non osta, tuttavia, alla circostanza che il danneggiato possa agire direttamente nei confronti dei soggetti che siano preposti dell’esercente e ciò al fine di eludere il regime di limitazione risarcitoria che il Codice della Navigazione, all’art. 975, dispone in favore dell’esercente.
Il particolare, il diritto al risarcimento dei danni da urto si prescrive in due anni dal giorno in cui il danno è stato prodotto.
Invece, in tema di danni a terzi in superficie cagionati da urto, l’art. 978, 1° comma C. Nav. stabilisce che gli esercenti rispondono comunque in solido nei confronti del danneggiati, salvo poi ripartire tra loro le spese sulla base del criterio dell’entità delle rispettive colpe e dell’entità delle relative conseguenze. In questo caso il diritto di regresso si prescrive in un anno dal giorno del pagamento del risarcimento al terzo danneggiato (art. 979 C. Nav.).
Gli esercenti, però, ripartiscono il risarcimento in parti uguali, derogando alla disciplina generale ricordata, quando il danno sia stato prodotto da forza maggiore o se non sia possibile accertare la sussistenza di colpa, ovvero la gravità, o l’entità delle relative conseguenze.
In ultimo, la limitazione a favore dell’esercente è prevista dall’art. 975 C. Nav. il quale fissa nell’ipotesi di danno alle persone un tetto massimo risarcitorio corrispondente all’importo di centonovanta milioni di lire. Non è un caso che questa limitazione corrisponda a quella stabilita in favore del vettore aereo e ciò al fine di impedire che, agendo in via extracontrattuale si possa ottenere un risarcimento maggiore di quello conseguibile nei confronti del vettore in via contrattuale.
Detta limitazione è stata tuttavia superata dal Regolamento CE n. 2027/97 de Consiglio che, in tema di danno alla persona, ha soppresso totalmente il beneficio della limitazione per tutti i vettori aerei comunitari.

Parere legale. I beni del fondo patrimoniale sono esclusi dal fallimento, anche se anteriore al d.lgs. 5/2006.

La questione giuridica in esame vede interessato il sig. TIZIO nelle more del procedimento fallimentare, vede riceversi un decreto del giudice delegato del Tribunale ROMA che autorizzava il curatore ad acquisire all’attivo del fallimento dello stesso TIZIO, beni immobili costituiti in fondo patrimoniale.
Il provvedimento, a seguito di un prima lettura, può trovare conferma, dovendo prevedersi che trattandosi del fallimento di un solo coniuge, l’acquisizione dei beni avrebbe dovuto essere limitata alla quota di pertinenza.
Ma una lettura più attenta delle norme è ravvisabile violazione degli artt. 46 l.f., 170 c.c., per il fatto che i beni del fondo patrimoniale non sarebbero compresi nel fallimento, in quanto rappresentativi di un patrimonio separato destinato al soddisfacimento di specifici scopi, e la relativa acquisizione sarebbe preclusa dal disposto di cui all’art. 46 n. 3 l.f..

E’ da evidenziare, come i vincoli di inalienabilità e inespropriabilità disposti con riferimento al fondo patrimoniale, risultino identici, sia nei rispettivi fini perseguiti (garantire un substrato patrimoniale alla famiglia), sia lo strumento a tal fine predisposto (consistente nella predisposizione di un patrimonio separato costituito da un complesso dì beni determinati, assoggettati ad una speciale disciplina di amministrazione ed a limiti di alienabilità ed espropriabilità).

La giurisprudenza, pur non avendo affrontato la questione dalla angolazione sopra indicata ha comunque escluso che i beni facenti parte del fondo patrimoniale, in quanto costituenti un patrimonio separato, siano compresi nel fallimento (C. 00/8379, C. 90/11449).
Detto principio è presente nell’art. 46, n. 3, l.f. dal D.L.gvo 2006, n. 5, con la quale fra l’altro il richiamo al patrimonio familiare è stato sostituito con quello relativo al fondo patrimoniale.

Infine dalla previsione contenuta nell’art. 155 l.f., come modificato dal D.L.gvo 2006, n. 5, conferma il principio della non confondibilità di beni deputati al soddisfacimento di specifiche esigenze (beni facenti parte del fondo patrimoniale), con gli altri beni dell’imprenditore fallito (Cass. civ., Sez. I, Sentenza 22 Gennaio 2010 , n. 1112).
Concludendo, i beni del fondo patrimoniale sono esclusi dal fallimento, anche se anteriore al d.lgs. 5/2006, e dunque il decreto del giudice delegato del Tribunale ROMA che autorizzava il curatore ad acquisire all’attivo del fallimento dello stesso TIZIO, beni immobili costituiti in fondo patrimoniale, può essere impugnato in virtù delle ultime decisione della cassazione (Cass. civ., Sez. I, Sentenza 22 Gennaio 2010 , n. 1112).