Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato in data 17 novembre 2008, depositato nella Segreteria del Tribunale il successivo 15 dicembre, il sig. F.D. ha impugnato il provvedimento a firma del vice Sindaco del Comune di Belvedere Marittimo di revoca dell’autorizzazione n. 12759 dell’8 agosto 2008 ad effettuare attività di intrattenimento musicale fino al 31 agosto 2008.
La revoca è stata disposta sulla base della nota del 14 agosto 2008 a firma di un soggetto incaricato dal Comune dell’effettuazione degli accertamenti dei livelli di pressione sonora generati dall’attività musicale.
A fondamento del ricorso parte ricorrente ha dedotto, innanzi tutto, la violazione degli artt. da 1 a 10 bis della legge n, 241/1990, rilevando la mancata comunicazione di avvio del procedimento, il difetto assoluto di motivazione, l’incompetenza dell’organo che ha effettuato il controllo, non essendo stata incaricata l’ARPACAL, l’erroneità del rilievo di cui al provvedimento, secondo cui non si sarebbe installato un limitatore automatico della potenza sonora, il mancato invio del preavviso di rigetto.
L’atto di revoca sarebbe, inoltre, viziato da sviamento, atteso che l’effettiva intenzione sarebbe quella di tutelare un singolo soggetto.
Parte ricorrente ha, inoltre, dedotto eccesso di potere e violazione dei regolamenti di disciplina in materia di attività rumorose.
Conserverebbe validità fino 21 agosto 2008 la precedente autorizzazione di durata biennale rilasciata nell’anno 2006, di talché la revoca dell’autorizzazione ottenuta nel 2008 sarebbe nulla.
Parte ricorrente ha chiesto, pertanto, l’annullamento dell’atto impugnato e la condanna del Comune al risarcimento dei danni.
Il Comune, pur intimato, non si è costituito in giudizio.
Alla pubblica udienza del 17 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione
Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, ex art. 335 cod. proc. civ., perchè sono stati proposti avverso la stessa sentenza. Con il primo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 873 cod. civ. e L. n. 765 del 1967, art. 17, lett. c)), censura la decisione gravata laddove aveva ritenuto che il torrino della cassa scala costituiva un volume tecnico, quando invece esso costituiva parte integrante dell’edificio e, come tale, andava considerato per stabilire l’altezza del fabbricato ai fini del calcolo delle distanze.
La censura è fondata.
Occorre premettere che la sentenza impugnata, nel calcolare la distanza fra gli edifici delle parti, ha fatto riferimento all’altezza di quello dei convenuti, cioè al fabbricato da costruire e, avendo accertato che i fabbricati erano alla distanza di mt. 5,96, ha ritenuto rispettata la distanza prescritta a stregua delle previsioni del programma di fabbricazione e della L. n. 765 del 1967:
peraltro, nel determinare l’altezza del fabbricato dei convenuti in mt. 5,11 non ha computato quella del torrino cassa scale, in quanto considerato volume tecnico, detraendo perciò l’altezza di quest’ultimo, pari a mt. 2,30, da quella complessiva del fabbricato (cioè comprensiva anche del torrino), pari a mt. 7,41.
Orbene, ai fini del calcolo delle distanze legali, integra la nozione di volume tecnico, non computabile nella volumetria della costruzione, solo quell’opera edilizia priva di alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi di una costruzione principale per esigenze tecnico- funzionali della costruzione medesima: in sostanza, si tratta di impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione che non possono essere ubicati all’interno di questa, come quelli connessi alla condotta idrica, termica o all’ascensore ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di volumi tecnici in relazione a quelle parti del fabbricato che ne costituiscono parte integrante, come ad es. il vano scale, di cui il torrino ne rappresenta la necessaria prosecuzione.
Orbene, la realizzazione del predetto torrino integrava sopraelevazione – tale dovendosi intendere qualsiasi costruzione che si eleva al di sopra della linea di gronda di un preesistente fabbricato che, comportando un aumento della volumetria preesistente, deve rispettare le distanze legali tra costruzioni stabilite dalla normativa vigente al momento della realizzazione.
Pertanto, erroneamente la Corte di appello – nel determinare la distanza esistente fra gli edifici delle parti – non ha calcolato l’altezza del torrino della cassa scale che andava invece computato, dovendo qui osservarsi come le circolari amministrative, costituendo espressione della potestà di indirizzare e disciplinare in modo uniforme l’attività dell’Amministrazione, non sono fonte di diritto nè hanno alcuna efficacia nell’interpretazione della legge.
Con il secondo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 873 cod. civ., del Decreto n. 1444 del 1968, art. 9, art. 41 del programma di fabbricazione del Comune di Azano, censura la sentenza laddove in modo empirico aveva tratto elementi di convincimento per stabilire la natura edificabile della zona in cui era stato costruito l’edificio e quindi l’applicabilità del programma di fabbricazione dagli atti del procedimento amministrativo relativo alla sanatoria, quando la stessa ha rilevanza esclusivamente nei rapporti con la P.A. e non in quelli fra i privati.
In ogni caso, la sentenza, nel soffermare la sua attenzione sulla disposizione che interessa i limiti di altezza di un edificio e non già i limiti di distanza tra fabbricati, aveva violato i principi di cui al programma di fabbricazione che aveva recepito le disposizioni di cui al Decreto n. 1444 del 1968, artt. 8 e 9.
Il motivo è infondato. a) Per quanto concerne la censura relativa alla natura (edificabile o meno) della zona in cui è stata realizzata la costruzione dei convenuti, la ricorrente non ha interesse a farla valere in relazione alla domanda di demolizione o di arretramento del manufatto, dovendo qui ricordarsi che nel caso in cui la costruzione sia realizzata in zona non edificabile, alla quale pertanto siano inapplicabili le prescrizioni dettate per le altre zone del territorio comunale dagli strumenti urbanistici – troverebbero applicazione le norme – assai meno restrittive – stabilite in materia di distanze legali dall’art. 873 cod. civ. (e che nella specie sarebbero state osservate), cfr.
Cass. 6743/1983; 4754/1995; d’altra parte, poichè la riduzione in pristino è possibile soltanto in caso di violazione delle norme sulle distanze, a tali fini appare del tutto irrilevante la circostanza che l’immobile sia stato realizzato in assenza di concessione edilizia o in violazione delle norme di pianificazione del territorio, spettando in tal caso eventualmente soltanto il risarcimento del danno (quest’ultima domanda è stata rigettata in primo grado con statuizione che non risulta essere stata impugnata e che comunque non forma oggetto del presente ricorso), cfr. Cass. S.U. 5143/1998; 3564/2002. b) In relazione alla denunciata violazione del programma di fabbricazione, va osservato che è inconferente il richiamo al Decreto n. 1444 del 1968, artt. 8 e 9, posto che l’osservanza delle distanze secondo i criteri e i parametri sanciti da tali norme introduce una questione avente il carattere di novità e, come tale, inammissibile in sede di legittimità perchè involge anche accertamenti di fatto nuovi (la distanza viene calcolata con riferimento a pareti finestrate), che non hanno formato oggetto delle domande proposte nel giudizio di merito, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata. Peraltro, occorre rilevare che la sentenza, nel ritenere che il programma di fabbricazione era conforme a quanto stabilito dalla L. n. 765 del 1967, art. 17, lett. c), ha in sostanza calcolato la distanza con riferimento all’altezza dell’edificio da costruire e, seppure incorrendo in errore per non avere considerato quale costruzione il torrino cassa scale, ha adottato un criterio convergente con quello invocato dall’attrice la quale ha chiesto l’arretramento dell’edificio realizzato dai convenuti a distanza pari all’altezza di quest’ultimo secondo quanto precisato nel ricorso.
Con riferimento al primo motivo del ricorso, il giudice di rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto: "In tema di distanze legali, integra la nozione di volume tecnico, non computabile nella volumetria della costruzione, solo quell’opera edilizia priva di alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi di una costruzione principale per esigenze tecnico-funzionali della costruzione medesima; pertanto, ai fini del calcolo delle distanze legali tra edifici frontistanti che, ai sensi della L. n. 765 del 1967, art. 17, lett. c), sono determinate con riferimento all’edificio da costruire, il torrino cassa scale va computato nell’altezza dell’edificio di cui costituisce parte integrante il ricorso incidentale, con cui è stata censurato il regolamento delle spese processuali, è assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso principale che comporta la caducazione della relativa statuizione.
La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso rigetta il secondo assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
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