a cura del dott. Domenico CIRASOLE
Il progressivo intensificarsi del traffico aereo e l’aumento della velocità degli aeromobili, provocando un incremento delle collisioni sia in aria che sul suolo, hanno ingenerato una sempre più pressante esigenza di regolamentazione dell’attività aviatoria e di prevenzione delle collisioni. A tal fine già la Convenzione di Chicago del 7 dicembre 1944 sull’aviazione civile internazionale, obbligava gli Stati a prestare, con lo scopo di controllare il traffico aereo, assistenza al volo da terra. Questa attività, nonché il ricorso sempre più frequente a sistemi automatici di prevenzione delle collisioni installati sugli aeromobili, sono gli strumenti, integrati e complementari, utilizzati per rendere la circolazione aerea scorrevole e sicura e per ridurre quindi le possibilità che si verifichino urti aeronautici.
Nel tentativo di meglio comprendere l’espressione “urto aeronautico”, occorre fornire una spiegazione quanto più possibile dettagliata e precisa che valga a circoscrivere ciò che è oggetto di discussione.
La nozione di urto aeronautico corrisponde a quella elaborata per l’urto di navi, salvo richiedere, per la sua integrazione, l’ulteriore elemento del movimento di tutti i mezzi coinvolti: l’urto, come precisa il primo comma dell’art. 974 del Codice della Navigazione, non deve necessariamente consistere in una collisione materiale, potendo derivare dallo spostamento di aria o altra causa analoga (cosiddetto urto equiparato).
A l’urto aeronautico si applica, in quanto compatibile, la disciplina dell’urto fra navi, contenuta negli articoli da 482 a 487 C. Nav..
In maniera diversa la normativa che si applica nel caso di urto aeronautico, come recata dallo stesso Codice della Navigazione, non trova applicazione agli aeromobili militari. L’esclusione, espressamente prevista dall’art. 748 C. Nav., introduce una difformità di disciplina, in forza della quale ai danni che vedano coinvolti aerei militari in tempo di pace devono applicarsi le norme del Codice Civile in materia di responsabilità civile.
Poiché però le collisioni che si verificano nello spazio aereo, come anche negli aeroporti e in mare (nell’ipotesi di urto misto, ovvero tra aeromobile e nave), sovente interessano velivoli e natanti di diversa nazionalità, occorre menzionare quella parte di disciplina normativa che attinge al diritto internazionale privato, di prevalente origine consuetudinaria, nonché i tentativi di regolamentazione pattizia.
Mentre infatti quest’ultima è stata caratterizzata dai continui insuccessi dei progetti di convenzione internazionale che si sono susseguiti e che hanno fatto emergere l’impossibilità di disciplinare congiuntamente l’urto e i danni a terzi in superficie, ben più prolifero è risultato il bacino normativo del diritto internazionale privato. In base a questo: se l’urto avviene nel territorio o nello spazio aereo di un determinato Stato dovrà ritenersi applicabile la legge di quest’ultimo; se viceversa l’urto è avvenuto in alto mare, od in altro luogo o spazio non soggetto alla sovranità di alcuno Stato, la legge applicabile dovrà essere individuata, come dettato dall’art. 12 C. Nav., nella legge nazionale di appartenenza degli aeromobili, se comune o, altrimenti nella legge italiana.
Presupposto per l’applicazione della disciplina su indicata in materia di urto aeronautico è che tutti i velivoli coinvolti siano in movimento.
Il riferimento al movimento dei mezzi interessati, infatti, costituisce il criterio che discrimina la responsabilità per danno da urto e quella per danno a terzi in superficie.
A questo proposito il 2° comma dell’art. 974 C. Nav. afferma che: “l’aeromobile si considera in volo dall’inizio delle manovre per l’involo al termine di quelle d’approdo”, e da una interpretazione sistematica delle norme in materia, conforme peraltro al concetto elaborato nei citati progetti di convenzione sull’urto, si desume, e ciò a scopo chiarificativo, che deve considerarsi in volo l’aeromobile che si muova utilizzando la propria forza motrice, e dunque anche quello impegnato in una manovra di involo od atterraggio.
Al di fuori di tale ipotesi, la collisione che coinvolga un aeromobile in volo con una nave che non sia in movimento, ovvero con un bene che non sia un mezzo della navigazione, dà luogo all’applicazione della disciplina della responsabilità per danni a terzi in superficie. Ancora diversamente, la collisione tra una nave in movimento ed un aeromobile fermo comporta l’applicazione delle regole di diritto comune.
Tracciata una preliminare distinzione tra “danni da urto” e “danni a terzi in superficie cagionati da urto”, occorre individuare il soggetto responsabile nelle due distinte ipotesi e determinare il contenuto della sua responsabilità.
Così, del danno da urto è responsabile il soggetto esercente del velivolo, ovvero, in caso di urto misto, gli armatori delle navi, e ciò in forza del rapporto di preposizione che esercitano rispetto a comandanti ed equipaggi.
Questa prescrizione non osta, tuttavia, alla circostanza che il danneggiato possa agire direttamente nei confronti dei soggetti che siano preposti dell’esercente e ciò al fine di eludere il regime di limitazione risarcitoria che il Codice della Navigazione, all’art. 975, dispone in favore dell’esercente.
Il particolare, il diritto al risarcimento dei danni da urto si prescrive in due anni dal giorno in cui il danno è stato prodotto.
Invece, in tema di danni a terzi in superficie cagionati da urto, l’art. 978, 1° comma C. Nav. stabilisce che gli esercenti rispondono comunque in solido nei confronti del danneggiati, salvo poi ripartire tra loro le spese sulla base del criterio dell’entità delle rispettive colpe e dell’entità delle relative conseguenze. In questo caso il diritto di regresso si prescrive in un anno dal giorno del pagamento del risarcimento al terzo danneggiato (art. 979 C. Nav.).
Gli esercenti, però, ripartiscono il risarcimento in parti uguali, derogando alla disciplina generale ricordata, quando il danno sia stato prodotto da forza maggiore o se non sia possibile accertare la sussistenza di colpa, ovvero la gravità, o l’entità delle relative conseguenze.
In ultimo, la limitazione a favore dell’esercente è prevista dall’art. 975 C. Nav. il quale fissa nell’ipotesi di danno alle persone un tetto massimo risarcitorio corrispondente all’importo di centonovanta milioni di lire. Non è un caso che questa limitazione corrisponda a quella stabilita in favore del vettore aereo e ciò al fine di impedire che, agendo in via extracontrattuale si possa ottenere un risarcimento maggiore di quello conseguibile nei confronti del vettore in via contrattuale.
Detta limitazione è stata tuttavia superata dal Regolamento CE n. 2027/97 de Consiglio che, in tema di danno alla persona, ha soppresso totalmente il beneficio della limitazione per tutti i vettori aerei comunitari.