Parere legale motivato di diritto penale – Reato di molestia, ovvero di atti persecutori, per mezzo di una chat (internet), con disturbo della quiete privata, e diffusione dei dati personali senza il realtivo consenso.

a cura del Domenico Cirasole

Tizio a seguito di disputa avuta con Caia, volendo vendicarsi del comportamento di quest’ultimo, crea un account di posta elettronica, intestato a costei.
Tizio usando la rete internet allaccia rapporti con utenti, della stessa a nome di Caia.
Infatti Tizio usando il falso nome di Caia, frequentando una chat, forniva a numerosi uomini i recapiti di Caia.
Tizio, inoltre, spacciandosi per Caia, nelle conversazioni in chat, dichiara di essere disponibile ad incontri anche sessuali.
Alcuni utenti della chat, contattano Caia, facendo avances, e chiedendo appuntamenti.
La questione appena descritta ci permette di affrontare alcuni istituti, che risultano ad essa collegata.
In nostro ordinamento, dichiara che ogni persona ha diritto al nome (art. 6 cc ), tutelata costituzionale ( art. 22 cost ).
La persona che possa risentire pregiudizio dall’uso che altri indebitamente ne faccia, ( art. 7 cc ) può chiedere giudizialmente, la cessazione del fatto, salvo il risarcimento dei danni.
Il nostro ordinamento tutelando la persona, statuisce che “ chiunque al fine di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, attribuendo a se un falso nome, è punito con la reclusione ( art. 494 cp ).
Detto delitto è precedibile d’ufficio, e l’autorità competente è il tribunale monocratico.
Tutelando la persona, il legislatore ha voluto tutelare anche, la reputazione, e l’onore, della stessa, punendo con la reclusione…” chiunque offende l’altrui reputazione….” ( art. 595 cp ).
La pena è aumentata, se si riferisce ad un determinato fatto, ed vi è aumento anche, se l’offesa è recata con mezzo stampa, o altro mezzo di pubblicità.
In quest’ultimo caso, il legislatore, sanziona anche il direttore, l’editore e lo stampatore ( art. 596 bis ).
Non è sanzionabile chi nello stato d’ira, determinato da un fatto ingiusto, da altri causato, e subito dopo detto fatto, ha offeso l’altrui reputazione ( art. 599 cp ).
L’offeso può tutelare la propria reputazione, querelando l’autore.
Lo stato d’ira, quale causa di non punibilità, del reato di diffamazione, può ravvisarsi in quella situazione psicologica complessa, prodotta da una violenta, alterazione dell’emozione.
Detta alterazione è capace di durare anche per un apprezzabile periodo di tempo.
Infatti in riferimento alla reazione, non può pretendersi una contemporaneità delle azioni.
L’accecamento dello stato d’ira provocato dal far insorgere una reazione, senza che essa si esaurisca in un’azione istantanea ( art. 599 cp ).
( Cass. Pen. V 11-1-07 ).
Il legislatore ha previsto che la circostanza dell’aver reagito in stato d’ira, per un fatto ingiusto altrui ( art. 62 comma 2 ), attenua il reato.
Detta attenuante sussiste anche quando la reazione, non immediatamente seguente al fatto ingiusto, sia conseguente ad un accumulo di rancore, per effetto di reiterati comportamenti ingiusti esplodendo anche a distanza di tempo ( Cass. Pen. 232106/05 ).
Ai fini della configurabilità della attenuante della provocazione è necessario che:
a) il fatto ingiusto altrui, sia costituito da un comportamento inosservante norme sociali di costume, oggettivamente ingiusto, tenendo conto della situazione psicologica che si è venuta a creare per colui che ha reagito ( Cass. Pen. n. 175/93 );
b) da tale fatto consegue una reazione incontenibile della persona offesa.

Il legislatore ha voluto aggravare il reato, quando, lo stesso è commesso, per motivi obietti e futili. ( art. 61 cp )
La pena è aumentata se l’autore con più azioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni di diversi disposizioni di legge ( art. 81 cp).
Osservando l’art. 43 del codice penale ricaviamo l’elemento psicologico del reato.
E’ definito doloso, o secondo l’intenzione, l’evento che è il risultato dell’azione dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione ( art. 43 cp ).
Dalle proprie azioni, possono conseguire reati della stessa indole ( art. 101 cp ), quando si violino disposizioni diverse, ma che per la natura dei fatti, presentano caratteri comuni.
Dalle proprie azioni, può inoltre derivare un fatto, determinato da altri indotti in errore, da inganno.
Quindi chi ha determinato l’inganno, e dallo stesso è sorto un fatto previsto come reato, di detto reato risponde chi induce in errore (art. 48 cp ).
Dalle proprie azioni può conseguire, induzione di altri a commettere singolarmente delle azioni, ma che da sole non costituiscono reato.

La stessa azione può essere ripetuta, moltiplicata, da più soggetti, tutti indotti in errore da un terzo.

Detti comportamenti, frutto di uno stesso disegno criminoso, possono essere configurate come, molestia o disturbo alle persone ( art. 660 cp ).

Infatti anche inducendo numerosi singoli soggetti in errore, è possibile arrecare disturbo alla persona.

Detto disturbo può essere arrecato anche con semplice uso del telefono, che offende la quiete privata ( cass. 12303/02).

Detta condotta reiterata, può cagionare uno stato d’ansia, o di paura, o timore, prevedendo anche un’ipotesi di reato, previsto all’art. 612-bis. ( Atti persecutori ).

Ritornando alla fattispecie concreta in esame a parere dello scrivente, a Tizio può essere imputato il reato di sostituzione di persona ( art. 494 ), in concorso con il reato di Diffamazione ( art. 595 ).

Inoltre sembra che possa essere ascrivibile sempre a Tizio i reati di molestia ( 660 cp ), ovvero di atti persecutori ( art. 612 bis ), avendo indotto terzi in errore.

In tal caso Tizio risponderebbe del fatto commesso dalla persona ingannata ( art. 48 cp ).

A ben vedere Caia è certamente disturbata dalle continue telefonate ricevute da alcuni uomini, invogliati da incontri, anche amorosi, Tizio infatti sostituendosi a Caia nelle conversazioni in chat, e fornendo i recapiti di Caia, ha certamente fatto intuire una disponibilità ad essere contattata in modalità diverse dalla chat.

Quindi Tizio ha certamente, previsto, e voluto disturbare la quiete privata di Caia ( art. 660 cp ) quindi ha voluto intenzionalmente ( 43 cp comma 1 ) cagionare in Caia uno stato d’ansia, di paura, e timore così come previsto dall’art. 612-bis.

Quindi a parere della scrivente Tizio ha violato diverse disposizioni, commettendo più violazioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso ( art. 81 cp ).

A parere di chi scrive sembra anche ravvisabile, una lesione dei dati personali ( art. 1 D. Lgs. 196/03 ).

Infatti all’art. 2 è ammonito che il trattamento dei dati personali, avvenga nel rispetto della dignità dell’interessato, con riferimento alla riservatezza ( intesa come protezione ).

Per dato personale ( a norma dell’art. 4 ), si intende a qualunque informazione relativa a persona fisica, identificati o identificabili.

Il trattamento o la diffusione dei dati personali da parte di privati è ammesso solo con il consenso espresso dell’interessato ( art. 23 ).

Chi al fine di recare ad altri un danno, proceda al trattamento ( operazioni,
quale la diffusione e la comunicazione ), ( art. 4 ) di dati personali, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione ( art. 167 ).

Infatti commenta la cassazione penale ( sent. 28680/05 ) che commette il reato, di trattamento illecito, dei dati personali, chi diffonde, attraverso internet, senza il consenso dell’interessata , dei dati personali, dal quale deriva nocumento per la persona offesa.

In ultima istanza a favore di Tizio, sembra venire in soccorso una sentenza del 2007 ( cass. Pen. 46674/07 ). Detta sentenza, pronunciata a seguito di un caso analogo, prevede che si applichi l’art. 494 anche se a seguito di corrispondenza ( chat ) venga lesa l’immagine e la dignità di terzo.
Nello stesso caso, al fine di arrecare danno, al terzo soggetto, vengono usate abusivamente, le generalità del soggetto leso, e i recapiti della stessa.
Recita la sentenza”….Integra il reato di sostituzione di persona ( art. 494 cp ), la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto inducendo in errore gli utenti della sete internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate, e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese, subdolamente incluso in una corrispondenza idonea a ledere l’immagine e la dignità…” ( cass. Pen. 46674/07 ).

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