a cura del dott. Domenico Cirasole direttore del sito http://www.gadit.it/
La questione giuridica in rilievo vede interessati TIZIO e CAIO in merito alla mediazione di vendita di immobile.
Infatti TIZIO proprietario di un appartamento si rivolge dall’agenzia immobiliare SENSALE srl per conferirgli mandato di vendita dell’appartamento in questione.
L’amministratore della Agenzia SENSALE srl, il sig. CAIO per l’appunto fa sottoscrivere a TIZIO, un modulo prestampato contenente mandato, ovvero incarico, di proporre in vendita l’appartamento in questione.
TIZIO aggiunge di proprio pugno, sul prestampato proposto da CAIO che in nessun caso sarà tenuto al pagamento di provvigione o compenso, che saranno a carico del solo compratore.
CAIO, per rigor di completezza, alla data della sottoscrizione del mandato, era in attesa di ottenere l’iscrizione prevista presso la Camera di Commercio, e non aveva adempiuto al deposito dei moduli prestampati in uso, presso la Commissione della stessa Camera di Commercio.
CAIO quale amministratore unico della SENSALE srl a seguito di ricerche propone a TIZIO un compratore, SEMPRONIO per l’appunto.
SEMPRONIO, ritenendo che l’immobile soddisfacesse le proprie necessità, sottoscrive una proposta d’acquisto, anch’essa redatta su predisposto modulo offerto da CAIO, nel quale è previsto che lo stesso assumeva valore di contratto preliminare di compravendita immobiliare, qual’ora l’offerta fosse stata accolta da TIZIO.
TIZIO ricevuta la notizia dell’offerta, che accetta senza condizione, si vede costretto da CAIO a sottoscrivere una promessa di pagamento, ovvero impegno di corrispondere, un compenso, la cui somma non viene riportata nello stesso atto, nonostante inizialmente fosse stato appositamente sottoscritto, che nulla era dovuto per l’affare da TIZIO.
TIZIO sottoscrive, suo malgrado la promessa di pagamento, e solo in seguito, controfirma per accettazione, la proposta ricevuta da SEMPRONIO.
TIZIO dopo aver stipulato il contratto notarile definitivo, ed ottenuto da SEMPRONIO il corrispettivo pattuito, riceve dall’agenzia immobiliare SENSALE srl, una richiesta di pagamento a titolo di provvigione per la mediazione, ritenuta esorbitante, e comunque mai pattuita, in sede di contrattazione iniziale.
Infatti TIZIO accetta e sottoscrive in buona fede di corrispondere un compenso a CAIO, solo quando ha notizia dell’offerta, senza che quest’ ultimo specificasse l’ammontare, ovvero la percentuale.
La compravendita immobiliare nella storia ha visto da sempre l’interessamento di soggetti terzi, nella stipula dell’atto finale.
Questi terzi nel Codice Civile, emanato nel 1942, venivano definiti mediatori ovvero sensali.
Detta figura è oggi definita del codice civile, ma anche da norme successive speciali nonché di giurisprudenza, osservando che nell’intermediazione nel mercato immobiliare vi è la presenza crescente di società di intermediazione diffuse su tutto il territorio articolate con concessionari in franchising.
Questa circostanza non può restare ininfluente nel momento della formazione del contratto, ora organicamente ricompresa nel Codice del consumo (D.lgs. 6 settembre 2005 n. 206).
Un primo esempio di adattamento dell’art.1754 è dato dalla stesso riconoscimento della natura contrattuale dell’attività di mediazione, posto che in precedenza, per oltre cinquant’anni, la mediazione si riteneva avesse solamente natura negoziale.
Se infatti la mediazione non poteva qualificarsi come contratto alla stessa non potevano essere applicate le norme, anche a carattere generale, riferibili ai contratti.
L’iniziale riconoscimento della natura meramente negoziale dell’istituto in esame era dovuto al fatto che la disciplina sulla Mediazione, non contemplava una definizione di contratto di mediazione, ma prevedeva unicamente la descrizione della figura del mediatore.
Infatti la definizione di mediatore è prevista all’art. 1754: “E’ mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”.
In seguito all’entrata in vigore della legge 3 febbraio 1989, n. 39 che ha istituito la figura del mediatore professionale prevedendo l’incompatibilità tra l’esercizio dell’attività di mediazione ed ogni altra attività, si è incominciato a sostenere che, nonostante non se ne rinvenisse una definizione precisa all’interno del Codice Civile, la mediazione fosse un contratto in tutto e per tutto e ciò in ragione delle modalità concrete con le quali veniva esercitata la relativa attività (cfr. Cass. civ. 7 agosto 1990, n. 7985; Cass. civ., sez. II, 26 settembre 2005, n. 18748; Cass. civ., sez. III, 14 aprile 2005, n. 7759).
La mediazione differisce da altre fattispecie contrattuali, che potrebbero sembrare ad essa assimilabili.
In particolare, la mediazione differisce dal contratto di agenzia, in quanto l’agente è legato stabilmente ad una delle parti, nel cui esclusivo interesse agisce per la promozione e la conclusione di determinati contratti. Ne deriva che la provvigione gli sarà dovuta solamente da tale parte.
Quanto al mandato tale contratto, diversamente dalla mediazione, prevede che il mandatario agisca nell’interesse del mandante e per suo conto per la conclusione di un contratto. Egli percepirà pertanto il compenso per l’attività svolta anche a prescindere dal risultato raggiunto, e solamente dal mandante.
Notevoli divergenze disciplinari si riscontrano poi anche con riferimento al procacciamento oneroso d’affari. Il procacciatore è, infatti, un collaboratore che pone in essere la propria attività promozionale nell’ambito del rapporto intercorrente con una delle parti, dalla quale sola può pretendere la provvigione.
La mediazione tipica, è disciplinata come detto dagli art. 1754 ss. c.c., ed è soltanto quella svolta dal mediatore in modo autonomo, senza essere legato alle parti da alcun vincolo di mandato o di altro tipo, e non costituisce un negozio giuridico, ma un’attività materiale dalla quale la legge fa scaturire il diritto alla provvigione.
Tuttavia, in virtù del "contatto sociale" che si crea tra il mediatore professionale e le parti, il mediatore, per andare esente da responsabilità, deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile nell’adempimento degli obblighi di correttezza ed informazione a suo carico, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., e di non aver agito in posizione di mandatario.
Dall’art. 1754 c.c., ricaviamo inoltre alcuni requisiti del mediatore, ovvero l’imparzialità e l’indipendenza, precisando che il mediatore non deve avere con le parti “rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”, a pena di nullità del contratto stesso.
L’attività di mediazione, infatti, ravvisa nel mediatore colui che, mettendo in contatto due o più soggetti attua un’interposizione neutrale ed imparziale tra le stesse, favorendone l’accordo al fine di pervenire alla conclusione di un affare (Cass. civ., sez. II, 27 giugno 2002, n. 9380).
Orbene il mediatore per assolvere a tale compito dovrà essere privo di qualsivoglia interesse nella conclusione – o non conclusione – dell’affare, diversamente da quanto si verificherebbe se egli fosse, per esempio, il rappresentante di una delle parti intermediate.
Nella mediazione tipica la responsabilità del mediatore, con specifico riferimento agli obblighi di correttezza e di informazione, si configura come responsabilità da contatto sociale.
La stessa è incompatibile con un sottostante rapporto di mandato tra il cosiddetto mediatore e una delle parti che ha interesse alla conclusione dell’affare stesso, nel qual caso il cosiddetto mediatore-mandatario non ha più diritto alla provvigione da ciascuna delle parti ma solo dal mandante.
Nel caso in cui il mediatore agisca, invece, come mandatario, assume su di sé i relativi obblighi e, qualora si comporti illecitamente recando danni a terzi, è tenuto a favore di questi ultimi al risarcimento dei danni ex art. 2043 del c.c. (non escludendosi in proposito un’eventuale corresponsabilità del mandante).
A tale impostazione aderisce la Suprema Corte che distingue tra una mediazione tipica, ed una mediazione atipica contrattuale fondata sul conferimento di uno specifico incarico.
Il conferimento ad un mediatore professionale dell’incarico di reperire un acquirente od un venditore di un immobile dà vita ad un contratto di mandato e non di mediazione.
Da ciò consegue che nell’ipotesi suddetta che il mandatario: (a) ha l’obbligo, e non la facoltà, di attivarsi per la conclusione dell’affare; (b) può pretendere la provvigione dalla sola parte che gli ha conferito l’incarico; (c) è tenuto, quando il mandante sia un consumatore, al rispetto della normativa sui contratti di consumo di cui al d.lg. n. 206 del 2005; (d) nel caso di inadempimento dei propri obblighi, risponde a titolo contrattuale nei confronti della parte dalla quale ha ricevuto l’incarico, ed a titolo aquiliano nei confronti dell’altra parte.
Il mediatore tanto nell’ipotesi tipica in cui abbia agito in modo autonomo, quanto nell’ipotesi in cui si sia attivato su incarico di una delle parti (c.d. mediazione atipica, la quale costituisce in realtà un mandato), ha l’obbligo di comportarsi con correttezza e buona fede, e di riferire alle parti le circostanze dell’affare a sua conoscenza, ovvero che avrebbe dovuto conoscere con l’uso della diligenza da lui esigibile.
La Cassazione con la sentenza n. 16382 del 14 luglio 2009 precisa in tema di responsabilità del mediatore (nella fattispecie immobiliare) che la responsabilità, in assenza di mandato, è di matrice extracontrattuale e va qualificata da“contatto sociale” poiché “tale situazione è riscontrabile nei comportamenti dell’operatore di una professione sottoposta a specifici requisiti formali abilitativi” (iscrizione albo mediatori ex l. 39/89) “ed a favore di quanti, utenti-consumatori, fanno particolare affidamento nella stessa per le sue caratteristiche”, mentre nel caso vi sia un mandato, il mediatore risponderà in base alle norme ex art. 1703 e ss.cc verso la parte che lo ha incaricato di acquistare/vendere l’immobile e risponderà per responsabilità da “contatto sociale” nei confronti del terzo acquirente/venditore, verso il quale non è legato da rapporto di mandato, eventualmente in solido ex art. 2055 cc con il mandante, ricorrendone i presupposti (anche Cass. 16470/02 ).
Orbene il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a compiere atti per conto di un’altra, con o senza poteri di rappresentanza, si presume oneroso, nella misura stabilita dalle parti, dalle tariffe professionali, dagli usi, ovvero dal giudice, ma le parti possono concordarne la gratuitià; può essere revocato, ma anche semplicemente modificato dalle stesse parti. Il mandatario, è tenuto nell’esecuzione del mandato, ad usare la diligenza del buon padre di famiglia, ossia quella diligenza media, ispirata sempre al principio della buona fede. Se il mandato è a titolo gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore, mentre il mandante, salvo diversa pattuizione tra le parti, è tenuto a fornire al mandatario i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato rimborsandogli le stesse somme comprensive degli interessi legali.
Sia i mediatori immobiliari a titolo oneroso che i mandatari, sono entrambi obbligati all’iscrizione nel degli Agenti di Affari in
Mediazione. Ciò è stato pensato dal legislatore al fine di accorpare e disciplinare (per alcuni aspetti) in modo uniforme le due figure, solo perché operanti entrambi nel campo immobiliare.
A norma dell’art. 2, comma 4, della legge n. 39/1989, "l’iscrizione al ruolo deve essere richiesta anche se l’attività viene esercitata in modo occasionale o discontinuo, da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, attività per la conclusione di affari relativi ad immobili od aziende"; mentre ai sensi dell’art. 11, comma 1, del d.m. n. 452/1990, "quando l’attività di mediazione sia esercitata da una società, i requisiti per l’iscrizione nel ruolo devono essere posseduti dai legali o dal legale rappresentante della società stessa ovvero da colui che è preposto dalla società a tale ramo d’attività".
In caso di assenza dell’iscrizione al ruolo di agenti di affari in mediazione ai sensi della legge 3 febbraio 1989 n. 39, e successive modificazioni, il notaio è obbligato ad effettuare specifica segnalazione all’Agenzia delle entrate di competenza.
In merito alla provvigione ai sensi dell’art. 6, comma 1, della legge n. 39/1989, "hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli" ed ai sensi del successivo art. 8, come modificato dall’art. 1, comma 47, della legge n. 296/2006, "chiunque esercita l’attività di mediazione senza essere iscritto nel ruolo è punito con la sanzione amministrativa, ed è tenuto alla restituzione alle parti contraenti delle provvigioni percepite.
A coloro che siano incorsi per tre volte in quest’ultima sanzione, si applicano le pene previste dall’articolo 348 del codice penale, nonché l’articolo 2231 del codice civile, in merito all’esercizio abusivo della professione punita con multa, reclusione, e la prestazione eseguita da chi non è iscritto non da azione per il pagamento della provvigione.
Dalla vigente normativa si ricava anche che il mediatore che opera usando una propria modulistica sia tenuto all’osservanza di alcune norme a tutela del consumatore, quale il deposito preventivo degli stessi presso la competente Camera di Commercio delle scritture denominate “incarico di mediazione”, “proposta di acquisto”e “proposta di locazione”. L’art.21 del Regolamento prevede che: “ Fatte salve le sanzioni disciplinari, l’agente che si avvale di moduli o formulari per l’esercizio della propria attività senza ottemperare al deposito di cui all’art.5 della legge, è punito con la sanzione di tre milioni.
Ulteriore prescrizione per il mediatore è il divieto di prevedere l’obbligo di pagamento da parte del cliente di spese indicate in modo forfetario e non supportato quindi da specifiche ricevute o fatture, ovvero indeterminate nell’indicazione del prezzo, delle modalità, dei termini di pagamento.
Si può ritenere che il legislatore abbia risolto una delle ipotesi di esercizio abusivo dell’attività, privando l’operatore non iscritto al ruolo dei mediatori della possibilità di percepire una provvigione, pertanto attualmente chiunque operi nel settore immobiliare come mediatore, come mandatario, come procacciatore, etc. è tenuto all’iscrizione al ruolo degli agenti di affari ed in difetto sarà considerato come esercente l’attività in modo abusivo.
Ulteriore obblighi in capo ai mediatori immobiliari iscritti è quello di richiedere la registrazione per le scritture private non
autenticate di natura negoziale, stipulate a seguito della loro attività per la conclusione degli affari (nuovo art. 10, lett. d-bis), del d.p.r. n. 131/1986). A tal proposito è necessario precisare che il suddetto obbligo di registrazione vale per qualsiasi scrittura privata avente contenuto negoziale, sia che la stessa documenti un contratto (preliminare o definitivo), sia che si tratti di un atto unilaterale (es., proposta irrevocabile di acquisto per la quale è espressamente esclusa, nell’atto, la necessità l’accettazione). La proposta di acquisto destinata ad essere accettata, in quanto mero atto "prenegoziale", non è invece soggetta all’obbligo di registrazione come tale, ma solo dopo la sua accettazione. Quindi il mediatore immobiliare che rediga prima una proposta di acquisto (accettata), e successivamente un "preliminare formale", deve adempiere all’obbligo di richiesta di registrazione per entrambi.
In virtù di quanto affermato, un’eventuale, promessa di pagamento o ricognizione di debito "condizionata" dal rapporto sottostante estorta dal mediatore lede il rapporto di fiducia e di buona fede, dello stesso. Se l’obbligato, su cui grava l’onere della prova, dimostra l’inesistenza o l’invalidità o l’estinzione del rapporto fondamentale viene
meno ogni effetto vincolante dell’eventuale promessa o della ricognizione di debito. La ricognizione di debito, così come la promessa di pagamento, fonte autonoma di obbligazione comportando solamente l’inversione dell’onere della prova.
Vale a dire che il destinatario della promessa o della ricognizione è esonerato dal provare la causa o il rapporto fondamentale; grava, invece, sul dichiarante l’onere di provare l’inesistenza o l’invalidità o l’estinzione del rapporto, sia esso menzionato o non nella ricognizione di debito.
Da ciò deriva, che “dall’esistenza o validità del rapporto fondamentale non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, con il conseguente venir meno di ogni effetto vincolante della promessa o della ricognizione, ove rimanga giudizialemente provato che, detto rapporto fondamentale non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esiste una condizione ovvero un altro elemento attinente al rapporto medesimo che possa comunque incidere sull’obbligazione derivante dal riconoscimento”.
In buona sostanza, se l’“onerato” prova che il debito non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, il precedente riconoscimento non ha più effetto (Tribunale ROMA, Sentenza 04/09/2009, n. 18009).
In conclusione a parere di chi scrive il sig. TIZIO ha validi motivi per opporsi alla richiesta di pagamento avanzata da CAIO rappresentante legale della SENSALE srl.
Infatti considerando l’aspetto contrattuale delle parti, sin dal principio tra le parti, vi era l’accordo che nulla era dovuto per la mediazione in questione, e certamente una ricognizione di debito, ovvero promessa di pagamento, successiva si fonda su un rapporto sottostante nullo, infondato, ancor più se si considera che l’assenza dell’iscrizione del mediatore e della stessa società di mediazione, determina una sanzione, quella appunto della mancata provvigione, e di ogni altra spesa sostenuta da CAIO.
In secondo luogo un’eventuale compenso per spese sostenute, ovvero provvigione, devono essere decise dal giudice secondo equità, e secondo i tarifari in uso.
Al sig. CAIO è quindi consigliato intraprendere un giudizio, al fine di provare il rapporto sottostante dell’obbligazione, e quindi l’assenza di qualsivoglia somma richiesta.