Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo e motivi della decisione
Propone ricorso per cassazione D.A. avverso la sentenza della Corte di appello di Potenza in data 15 gennaio 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado, affermativa della sua responsabilità in ordine ai reati di tentata violenza privata ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, consumati il 19 giugno 2001.
L’accusa ritenuta provata era quella di avere, il D., apostrofato e minacciato le persone offese N. e D.S., ordinando loro di rimuovere un cartello con la scritta "proprietà privata", cartello che poi il ricorrente, al fine di esercitare un preteso diritto, rimuoveva personalmente.
Deduce:
1) la violazione degli artt. 336 c.p.p. e segg..
Difettava un valido atto di querela sotto più profili.
In primo luogo, infatti, risulta acquisita soltanto una querela del 6 luglio 2001 nella quale la persona offesa richiamava per confermarlo il contenuto di altra precedente querela, quella del 19 giugno 2001, menzionata anche nel capo di imputazione, ma non presente nel fascicolo processuale.
Tale querela del 6 luglio, poi, non reca in calce una firma autenticata.
In terzo luogo il verbale di ratifica redatto dai Carabinieri di Lauria, senza peraltro riferimento a documenti personali del latore, ha ad oggetto la querela del 19 giugno, come detto non presente in atti.
Ad ogni buon conto, la dichiarazione del 6 luglio non contiene nè la manifestazione della volontà punitiva nè la descrizione del fatto devoluto alla autorità giudiziaria;
2) il vizio di motivazione sulla responsabilità.
In ordine alla fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni la difesa aveva sostenuto la tesi della legittima difesa da parte dell’imputato: questi, facendo parte di un condominio che si riteneva possessore di una aiuola in muratura, aveva reagito quando aveva visto le persone offese turbare tale assetto possessorio apponendo un cartello rivendicante "proprietà privata".
Per sostenere tale tesi la difesa aveva indotto numerose testimonianze che erano state acquisite ma erano state anche ignorate dal giudice di primo grado nella sentenza a sua firma.
Per tale ragione nei motivi di appello era stato richiesto di procedere alla disamina delle dette prove testimoniali ai fini della valutazione della sussistenza della esimente ma la Corte si era sottratta a tale dovere.
Semmai, i giudici si erano affidati ad un dato, proveniente peraltro da produzione dell’appellante, che non aveva rilievo diretto ed immediato ai fini che ci occupano.
Si trattava di un ricorso possessorio che aveva ad oggetto un diverso bene (un cortile) e che era stato prodotto dalla difesa solo per dimostrare un’altra condotta usurpatrice della parte civile.
Tale prova era stata dunque travisata nel suo oggetto e più evidente appariva la omissione di valutazione dell’imponente prova testimoniale, anche alla luce della possibilità di riconoscere l’esimente nella sola forma dubitativa;
3) la erronea applicazione dell’art. 610 c.p.;
Il reato di violenza privata avrebbe dovuto essere escluso in forza del principio di specialità.
Infatti già la configurazione della fattispecie di ragion fattasi era inclusiva del comportamento asseritamente minaccioso tenuto dall’imputato, sicchè avrebbe dovuto prevalere il carattere solo sussidiario del reato di tentata violenza privata, non essendovi ragione di distinguere, come aveva fatto la Corte di merito, tra violenza fisica e materiale.
In data 10 novembre 2010 è stata depositata una memoria nella quale si evidenzia la avvenuta prescrizione dei reati.
Il ricorso è fondato.
Occorre dare atto preliminarmente della infondatezza della ultima richiesta, ossia quella relativa alla prescrizione dei reati:
prescrizione che, in ragione dei 716 giorni di sospensione dei termini, dovuti ad una pluralità di causali, è destinata a maturare il prossimo 5 dicembre 2010.
Il primo motivo è poi da rigettare.
Osserva la giurisprudenza di questa Corte che in tema di formalità relative alla ricezione della querela, è da escludere che l’autorità ricevente debba sempre attestare espressamente il ricevimento dell’atto, essendo tale dovere correlato al diritto del querelante di ottenere la suddetta attestazione prevista dall’art. 107 disp. att. c.p.p. e non potendo perciò configurarsi un obbligo in tal senso anche in caso di mancata richiesta da parte dell’avente diritto.
Ne consegue che l’identificazione della persona che presenta l’atto di querela può essere desunta anche dalla sequenza in cui si snoda l’iter procedimentale (Rv. 229586).
In applicazione di tale principio non può dunque affermarsi che la mancanza di ratifica della querela reiterata il 6 luglio, dopo la ratifica di quella in essa richiamata e da essa presupposta, sia evenienza che ne inficia fa regolarità.
Si è anche rilevato in giurisprudenza, quanto alle modalità di manifestazione della volontà di perseguire il colpevole, atta a rimuovere l’ostacolo alla procedibilità nei casi in cui la legge prevede la necessità della querela, che la manifestazione stessa non è vincolata a particolari formalità, nè deve estrinsecarsi in espressioni sacramentali.
E’ sufficiente infatti che essa risulti inequivocamente nel suo contenuto sostanziale ed, a tal fine, ben può prendersi in esame, quale elemento di giudizio per la esatta interpretazione della dichiarazione, il complessivo comportamento, anche successivo alla dichiarazione stessa, della persona offesa (Rv. 218329).
Consegue da tali principi che nel caso di specie le circostanze di fatto evidenziate nel ricorso non sono sufficienti a far ritenere mancante la condizione di procedibilità.
Esiste infatti la prova della manifestazione della parte dalla persona offesa di volere perseguire il ricorrente per i fatti connessi al danneggiamento del cartello indicato in premessa con diffida ad essa parte offesa di ricollocarlo (atto di querela descritto a pag. 3 del ricorso).
Basterà notare che anche nel solo atto del 6 luglio 2001 vi è un chiaro riferimento alla volontà querelatoria già in precedenza manifestata.
E a nulla rileva, in contrario, che nel capo di imputazione si faccia menzione della querela del 19 giugno 2001, posto che la contestazione rileva per la descrizione del fatto reato e delle coordinate spazio- temporali e non anche per la menzione dell’atto introduttivo del procedimento.
Il verbale di ratifica redatto dai Carabinieri, e sopra menzionato, d’altra parte, vale a fugare qualsiasi dubbio sulla provenienza della manifestazione della volontà di querela, relativamente ai fatti di causa, dal soggetto legittimato.
Sulle modalità di tale ratifica, d’altra parte, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio secondo cui è valida la querela presentata personalmente dal querelante alla competente autorità, pur in assenza della specificazione delle modalità di accertamento della identità del presentatore nella attestazione di ricezione di un atto preformato di querela, allorchè detta attestazione dia atto della identità del proponente e nessun dubbio sia sorto o sia prospettato sulla verità di detta indicazione, in quanto l’art. 337 c.p.p. si limita ad imporre al p.u. che riceve la querela di accertare l’identità di colui che la propone e, in tal caso, l’identificazione del querelante deve darsi per avvenuta (Rv.
241163).
Fondato è invece il secondo motivo di ricorso.
La difesa lamenta la mancata valutazione della esimente della legittima difesa alla luce delle testimonianze indotte.
Invero, il tema è rilevante come osservato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui il requisito dell’arbitrarietà, che concorre a determinare la punibilità della violenza reale, a norma dell’art. 392 c.p., si deve escludere solo nei casi in cui ricorre una causa di giustificazione secondo la legge penale (artt. 50 c.p. e segg.) e in quelli stabiliti espressamente da altre norme di legge (ex art. 638 c.p., u.c., e art. 896 c.c.), oppure rientranti nell’ambito dei principi generali del diritto di antica tradizione e costituenti limiti taciti della norma penale, che consentono la difesa immediata del possesso o la autoreintegrazione di esso in caso di spoglio violento da parte di altri.
In questi ultimi casi e necessario peraltro che la eccezionale reazione legittima del privato sia posta in essere o per evitare la flagrante violazione della situazione possessoria, in corso di aggressione manifesta o subito dopo (quasi flagranza) l’esaurimento di essa nei riguardi della cosa contesa, per far sì che non si verifichi, o immediatamente cessi, il nuovo possesso che su di essa tenti di instaurare, o sia riuscito del tutto precariamente ad instaurare, il soggetto verso cui e rivolta la reazione difensiva violenta del possessore (Rv. 138615).
Costituisce quindi un apprezzabile orientamento giurisprudenziale quello secondo cui in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (artt. 392 e 393 c.p.), l’autoreintegrazione nel possesso di una cosa opera come causa speciale di giustificazione in attuazione del principio "vim vi repellere licet", quando l’imputato si sia trovato nella necessità impellente di ripristinare il possesso perduto, al fine di evitare il consolidamento della nuova situazione possessoria, solo se risulti accertato in fatto che egli abbia voluto reagire ad un’azione di spoglio attuale nel momento della sua azione violenta e che la lite giudiziaria sia intervenuta solo successivamente (Sez. 6^, Sentenza n. 6387 del 06/04/1998 Ud. (dep. 01/06/1998) Rv. 210908; massime precedenti Conformi: N. 6507 del 1984 Rv. 165285 N 483 del 1997 Rv. 207734).
Invero, non commette il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni colui che usi violenza sulle cose al fine di difendere il diritto di possesso in presenza di uno atto di spoglio, sempre che l’azione reattiva avvenga nell’immediatezza di quella lesiva del diritto (Sez. 6^, Sentenza n. 2548 del 08/01/2010 Ud. (dep. 21/01/2010) Rv. 245854).
La questione era stata espressamente posta nei motivi di appello, con la richiesta di valutazione delle dichiarazioni, tra le altre, dei testi I. e P. che avevano deposto sul possesso della aiuola contesa, da parte del condominio del D., e con la richiesta altresì di nuovo esame delle dichiarazioni degli altri soggetti che avevano fatto acquisire al processo dati valorizzabili ai fini della tesi difensiva prospettata: l’omessa valutazione da parte della Corte, sull’assunto della difesa circa il possesso attuale del bene immobile da parte del ricorrente, va censurata con l’annullamento della sentenza impugnata.
Infondato appare invece l’ultimo motivo di ricorso.
Non si apprezza rapporto di specialità o di assorbimento tra le due fattispecie in contestazione tenuto conto che nel reato di tentata violenza privata è punita la minaccia diretta contro la persona, strumentale ad ottenere che questa tenga un comportamento in contrasto con la libertà di autodeterminazione; invece nel reato di ragion fattasi, con violenza sulle cose, manca il detto requisito della minaccia alla persona.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 392 c.p., con rinvio alla Corte di appello di Salerno per nuovo esame.
Rigetta nel resto il ricorso.
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