Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1) Con sentenza del 20.12.2000 il Tribunale di Milano condannava S.L. alla pena di anni 5, mesi 6 di reclusione e lire 10 milioni di multa per il reato di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p., L. n. 75 del 1958, art. 3 e art. 4, nn. 1 e 7, per induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di Sl.
E. e B.I. (capo 2) e per il reato di cui agli artt. 81 cpv., 56 e 609 bis c.p., art. 609 septies c.p., n. 4, in danno di B.I. (capo 3), unificati sotto il vincolo della continuazione.
La Corte di Appello di Milano, in data 3.12.2009, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo 3) perchè estinto per prescrizione, rideterminando la pena per il rimanente reato di cui al capo 2) in anni 5 di reclusione ed Euro 8.000,00 di multa.
La Corte di merito disattendeva, preliminarmente, le eccezioni in rito proposte dall’imputato.
In ordine alla eccepita nullità del decreto di latitanza, rilevava la Corte che tale decreto era stato legittimamente emesso dal GIP, ritenendo le ricerche effettuate sufficienti. Peraltro, ai fini della dichiarazione dello stato di latitanza, non trovano applicazione i criteri di cui all’art. 159 c.p.p., in tema di irreperibilità;
sicchè non vi era necessità di disporre ricerche anche in Albania (a parte il fatto che non erano note neppure le esatte generalità dell’indagato).
Quanto alla eccepita nullità del decreto di giudizio immediato, riteneva la Corte territoriale che nei confronti del latitante non trovasse applicazione l’art. 453 c.p.p., (tale norma esclude la possibilità di emettere decreto di giudizio immediato solo nei confronti dell’imputato irreperibile). Il latitante, invece, ben può, costituendosi, intervenire nel processo.
Nel condividere, quanto al merito, la motivazione della sentenza di primo grado, ribadiva la Corte territoriale la piena attendibilità delle parti offese, per cui confermava il giudizio di colpevolezza dell’imputato.
2) Ricorre per cassazione S.L., a mezzo del difensore, denunciando con il primo motivo, la violazione di legge in relazione all’art. 295 c.p.p., comma 2, art. 296 c.p.p., comma 1, art. 165 c.p.p., commi 1 e 3, e art. 169 c.p.p., comma 4, e, comunque, la manifesta illogicità della motivazione.
A parte la assoluta carenza delle ricerche effettuate in Italia, nessun accertamento è stato effettuato, presso il paese di provenienza e residenza dell’indagato in Albania, in violazione di quanto prescrive l’art. 169 c.p.p..
L’assunto della Corte in ordine alle incertezze sulle generalità dell’indagato è smentito dal riconoscimento fotografico effettuato in data 26.2.2000 da B.E.. Del resto il verbale di vane ricerche del 9.3.2000 era stato redatto a carico di S.L., alias B., alias N., nato a (OMISSIS), ivi residente, di fatto domiciliato in Milano.
Erroneamente, poi, la Corte ha ritenuto la non applicabilità al latitante dell’art. 169 c.p.p., comma 4. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, tale norma deve ritenersi applicabile analogicamente ai fini della emissione del decreto di latitanza (che è una forma di irreperibilità).
La invalidità del decreto di latitanza, perchè non preceduto da adeguate ricerche, si ripercuote su tutti gli atti successivi, per cui gli atti vanno restituiti al P.M..
Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 453 c.p.p., comma 1, artt. 165 e 375 c.p.p., e, comunque, la manifesta illogicità della motivazione.
Erroneamente ed illegittimamente la Corte territoriale ha rigettato l’eccezione di nullità del decreto di giudizio immediato (per non essere stato preceduto dall’invito a presentarsi ex art. 375 c.p.p.).
Innanzitutto, stante la invalidità del decreto di latitanza, è apodittica l’affermazione della Corte territoriale, secondo cui lo S. si sarebbe sottratto volontariamente alla custodia cautelare. Inoltre, secondo la giurisprudenza di legittimità, è nullo il decreto che dispone il giudizio immediato emesso nei confronti dell’indagato latitante, dal momento che il divieto di instaurazione del rito nei confronti dell’irreperibile deve ritenersi esteso al latitante. In ogni caso la richiesta di giudizio immediato non risulta preceduta dalla emissione dell’invito a presentarsi nelle forme di cui all’art. 375 c.p.p..
Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità ed alla mancata esclusione delle aggravanti di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4, nn. 1 e 7.
Con il quarto motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
3) Il primo motivo di ricorso è infondato.
Ai fini della emissione del decreto di irreperibilità non sussiste, infatti, l’obbligo di disporre apposite ricerche all’estero dell’imputato colà residente, del quale si ignori l’esatto recapito (cfr. Cass. pen. sez. 1^ n. 27552 del 23.6.2010).
La giurisprudenza precedente aveva già escluso tale obbligo, evidenziando che: "Con riferimento all’interpretazione dell’art. 169 c.p.p., comma 4, di cui il ricorrente ha denunciato la violazione è opportuno rilevare che l’art. 159 c.p.p., nel prescrivere l’espletamento delle necessarie ricerche nel territorio dello Stato italiano, prima della declaratoria di irreperibilità dell’imputato, individua in modo puntuale i luoghi in cui dette ricerche devono essere effettuate, di talchè, nel caso di mancata conoscenza di uno di tali luoghi da parte dell’autorità giudiziaria procedente, non si verifica affatto la irritualità della dichiarazione di irreperibilità, quale conseguenza delle mancate ricerche nel luogo di cui si ignorava l’esistenza, pur se in prosieguo si venga a conoscenza di quest’ultimo. Orbene, nel caso di trasferimento all’estero dell’imputato, si palesa irrazionale un’interpretazione dell’art. 169 c.p.p., comma 4, nel senso che in tal caso dovrebbero essere eseguite ricerche più estese di quelle previste dall’art. 159 c.p.p., comma 1, e, cioè, da effettuarsi su tutto il territorio dello Stato estero, per di più da parte di organismi, che non dipendono dall’autorità giudiziaria italiana, di talchè la norma deve essere interpretata nel senso che dagli atti deve risultare la località dello Stato estero in cui si è trasferito o comunque dimora l’imputato perchè sorga l’obbligo di disporre le ricerche tramite canali diplomatici in detta località" (cfr. Cass. pen. sez. 3^ n. 30600 del 4.6.2004). La Corte territoriale ha accertato che le ricerche effettuate in Italia erano esaurienti e che non era possibile effettuare ricerche in Albania perchè "non erano note le esatte generalità, atteso che il decreto di latitanza veniva emesso nei confronti di S.L., alias B., alias N., nato a (OMISSIS), in Italia senza fissa dimora, persona, quindi, di cui non si conosceva altro se non i differenti nominativi forniti dalle parti lese". 4) Va accolto, invece, il secondo motivo.
La giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio ritiene di condividere, ha affermato il principio così massimato: "In tema di giudizio immediato, il divieto di instaurazione del rito, in caso di invito a presentarsi per rendere interrogatorio diretto al sottoposto ad indagine che sia irreperibile, deve intendersi esteso al caso del sottoposto ad indagine che sia in stato di latitanza, perchè l’espressione "persona irreperibile" di cui all’art. 453 c.p.p., comma 1, evoca, in quel contesto normativo, una precisa situazione di fatto, e cioè quella di un soggetto che comunque non possa essere rintracciato per essere posto nelle condizioni effettive di rendere l’interrogatorio" (cfr. Cass. pen. sez. 2^ Ord. n. 785 del 19.12.2005). Si afferma in motivazione che tale "equiparazione" è fondata su una valutazione della ratio cui la regola dettata dall’art. 453 c.p.p., comma 1, ultimo inciso, risulta ispirata. La regola del previo interrogatorio quale presupposto del giudizio immediato, infatti, si correla intimamente all’altro postulato della prova evidente, giacchè quest’ultimo potrà dirsi concretamente verificabile da parte del giudice richiesto del decreto, soltanto dopo che l’imputato sia stato posto in condizione di fornire le proprie eventuali giustificazioni, le quali – non a caso – hanno ad oggetto, non l’astratta accusa contestata, ma proprio "i fatti dai quali emerge l’evidenza della prova". Da qui la particolare cautela del legislatore nel rendere effettiva tale garanzia anche attraverso la specifica articolazione dell’invito a presentarsi, con la indicazione degli elementi e delle fonti di prova e l’avvertimento che potrà essere presentata richiesta di giudizio immediato (art. 375 c.p.p., comma 3), la possibilità di dedurre un legittimo impedimento, e, infine, la esclusione del rito ove si tratti di "persona irreperibile". Espressione quest’ultima, che, già nella sua valenza semantica, ma ancor più nella sua ratio, evoca non una condizione, per così dire "tecnica" (lo status di irreperibile ai soli fini della notificazione degli atti), ma una situazione di "fatto": vale a dire di un soggetto che comunque non può essere rintracciato, per metterlo in condizione "effettiva" di rendere l’interrogatorio. E si evidenzia ulteriormente che la distinzione tra irreperibile e latitante, agli effetti che interessano, fondata sulla volontarietà che caratterizzerebbe la condizione del secondo, rispetto alla incolpevolezza che contraddistinguerebbe il primo, si rivela priva di fondamento, posto che è lo stesso ordinamento positivo a presupporre che anche l’irreperibile possa essersi volontariamente sottratto alla conoscenza degli atti del procedimento".
La giurisprudenza successiva ha ribadito ancor più esplicitamente che "E’ nullo il decreto che dispone il giudizio immediato emesso nei confronti di indagato latitante, posto che il divieto di instaurazione del rito nei confronti dell’irreperibile deve ritenersi esteso – per il significato dell’espressione che definisce una situazione di fatto – al latitante, comunque non sottoponibile a previo interrogatorio" (cfr. Cass. pen. sez. 6^ sent. n. 29931 del 15.5.2009).
Essendo lo S. latitante, non poteva, pertanto, essere emesso nei suoi confronti, decreto di giudizio immediato.
La nullità di tale decreto si ripercuote su tutti gli atti successivi e quindi anche sulla sentenza impugnata.
5) Rimanendo assorbita ogni altra doglianza, va disposto, conseguentemente, l’annullamento della sentenza della Corte di Appello, nonchè di quella emessa dal Tribunale di Milano, con trasmissione degli atti al P.M..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nonchè quella di primo grado, emessa dal Tribunale di Milano il 20.12.2000, e dispone trasmettersi gli atti al P.M..
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